Vorrei segnalare questa frase che, per la sua parzialità, se non disonestà intellettuale, viola ogni criterio di neutralità:

«L'Islam non è peraltro una religione nel senso classico del termine. Non è costituito cioè da un puro e semplice insieme di regole devozionali liturgicamente organizzate. Indica invece essenzialmente quale debba essere il modo di agire, di operare, di ragionare. È, insomma, regola di vita.»

L'autore dovrebbe intanto spiegare "il senso classico del termine" a cui si riferisce, che, evidentemente, non è poi così classico, ma così inteso solo dall'autore. L'Islam è a tutti gli effetti una religione e, da orientalista specializzata in Islamistica, è la prima volta che mi capita di leggere una affermazione del genere, diffamatoria nei confronti degli appartenenti a questa religione (se non è una religione nel senso classico del termine che cos'è? Religione e "regola di vita" hanno significati totalmente diversi che l'autore farebbe bene ad approfondire, completamente errata da tutti i punti di vista, essendo l'Islam annoverata da sempre tra le grandi religioni monoteistiche, scorretta anche nei confronti delle altre religioni, poichè, secondo questo assunto, anche il Cristianesimo non dovrebbe essere considerata una religione, in quanto il Cristianesimo "Non è costituito (cioè) da un puro e semplice insieme di regole devozionali liturgicamente organizzate. Indica invece essenzialmente quale debba essere il modo di agire, di operare, di ragionare": basti pensare alle proibizioni circa l'uso del preservativo. Parliamo poi dell'Ebraismo, che, tanto per fare un esempio soltanto, contiene rigidi dettami alimentari. Chi poi e dove ha mai sentito che una religione nel senso classico del termine è solo " un puro e semplice insieme di regole devozionali liturgicamente organizzate"?

Professo la mia ignoranza in materia, ma mi sembra che la frase si applichi meglio al buddismo. Che chi l'ha scritta abbia fatto confusione?--Cruccone (msg) 13:40, Giu 20, 2005 (CEST)

Detto fatto. A rispondere è qualcuno che è stato quarant'anni fà (1964-167) uno studente di Islamistica col prof. Alessandro Bausani e di Lingue e Letteratura Araba col prof. Francesco Gabrieli e che per due anni ha frequentato la Specialistica della Scuola Orientale sempre in Islamistica e in Lingua e Letteratura Araba. Forse avrò capito male e si può discutere se l'espressione usata sia stata infelice - che si può sempre migliorare) ma, se la definizione di "religione" è quella di «complesso di credenze, sentimenti, riti che legano un individuo o un gruppo umano con ciò che egli ritiene sacro, in particolare con la divinità» (Diz. Encic. Ital.), l'Islam è per forza di cose "qualcosa di diverso" senza che ci sia bisogno di inalberarsi. Qualsiasi studente di Islamistica sa - o dovrebbe sapere - che la stessa definizione che i musulmani danno di se stessi è, in arabo, quella di "din wa dawla") che può sommariamente essere tradotta con "pratiche-devozionali-credo-ritualità-e-quant'altro" e "Stato-secolarità-aspetti terreni-laicità-e-quant'altro". Se si preferisce, spirito e carne, oppure mondo-ultraterreno/mondo terreno. Chi pensasse nell'Islam di vivere solo in funzione dell'Oltre errerebbe gravemente. Il musulmano è obbligato a vivere qui e subito in vista del Dopo e dell'Oltre. Questo non è esattamente richiesto dal Cristianesimo (Date a Dio quel che è di Dio...con quel che segue" o "il mio mondo non è di questo mondo". L'aggettivo "classico" potrà essere anche inadeguato (e come tale emendabile) ma chiaramente si riferisce alla realtà occidentale cristiana. Classico per il lettore italiano (ma anche inglese, francese, polacco, ecc. ecc.). Comunque, per l'accezione "classico" si può utilmente vedere la definizione data dal DEI, al comma d) del relativo lemma: "senso ...prossimo a «tradizionale»". Si potrà utilmente leggere quanto scritto da Alberto Ventura ("Islam", in Storia delle religioni curata da G. Filoramo, Roma, Laterza, 1999, p. 77): «...Forse più di ogni altro fenemeno religioso, sin dalla sua nascita la nuova fede ha visto spesso intrecciarsi gli elementi spirituali e teologici con l'organizzazione di una comunità ogni giorno crescente, per la quale la definizione dei rapporti fra gli uomini, nel pubblico e nel privato, è stata altrettanto importante del culto da attribuire a Dio.». E che altro è questa definizione (scritta meglio certamente ma, ahinoi, coperta da copyright) se non l'equivalente di "modo di agire, di operare, di ragionare... regola di vita"?

Non mi sembra vi fosse alcun intento diffamatorio verso alcuna religione di questa come di altre parti del pianeta. Mi sbaglio? E, comunque, il tono delle discussioni culturali dovrebbe essere sempre non eccitato ma aperto alle opinioni diverse dalle notre. Basta argomentare, ascoltare la controparte, e decidere se esiste una "verità" da difendere a spada tratta. Cloj--80.181.233.74 14:09, Giu 20, 2005 (CEST)

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