E tanta paura

film del 1976 diretto da Paolo Cavara
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...e tanta paura è un film del 1976, diretto da Paolo Cavara.

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Paese di produzioneItalia
Durata98 min
Genereorrore
RegiaPaolo Cavara
SoggettoPaolo Cavara
SceneggiaturaPaolo Cavara, Bernardino Zapponi, Enrico Oldoini
ProduttoreErmanno Curti, Guy Luongo, Rodolfo Putignani
FotografiaFranco Di Giacomo
MontaggioSergio Montanari
MusicheDaniele Patucchi
ScenografiaFranco Fumagalli
CostumiMarisa Crimi
TruccoOtello Sisi
Interpreti e personaggi

Trama

Milano. L'ispettore Lomenzo indaga su una serie di omicidi che colpiscono un gruppo di ricchi viziosi. Unico indizio: un'illustrazione di Pierino Porcospino lasciata accanto ad ognuno dei cadaveri.

Testimonianza del regista

«Ancora un film sulla polizia?», chiediamo a Paolo Cavara sul set di E tanta paura. Il quarantanovenne regista bolognese (Mondo cane con Jacopetti, I malamondo, L'occhio selvaggio…) oppone un garbato reciso rifiuto.

«Il mio film vuole essere soprattutto la risposta contraria a Il giustiziere della notte. Il discorso di fondo si pone contro l'esaltazione, tanto diffusa nel cinema contemporaneo, della giustizia privata, contro ogni tipo di vigilantes, contro ogni individualismo più sfrenato. I miei personaggi li incontriamo ogni giorno sulla cronaca nera dei giornali, in lotta fra il senso del dovere e il qualunquismo, sommersi dalla sfiducia che c'è oggi in Italia.»
«Il protagonista del film, che incarna questa contrapposizione alla tendenza pro–vigilantes dell'ultimo cinema, è – d'accordo – un commissario di PS, ma siccome è giovane e moderno, ed ha anche qualche idea di sinistra, si scontrerà in continuazione con la vecchia mentalità e con le istituzioni del suo ambiente. E soprattutto con una potente organizzazione di G Men privati al servizio dei ricchi borghesi meneghini...»
«C'è il pericolo, facciamo a Cavara, di cadere nella retorica: che è un modo abbastanza usuale, e anche poco rischioso, di restare nel vago, per non creare suscettibilità soprattutto quando si prendono di mira certe istituzioni. Ma abbiamo a che fare con un uomo di cinema che, dalla sua, ha l'esperienza di documentarista: vale a dire una forma di comunicazione che deve possedere, come pregio caratteristico, un appiglio immediato presso il pubblico. «Non farò né della retorica, né della politica.»
«Il mio commissario non pretende di risolvere i problemi, ma li denuncia (…), non spara, ma rischia la vita. (…) intende essere l'alternativa istituzionale ai difensori privati, che possono permettersi solo i ricchi e che servono solo ad alimentare la sfiducia generale nelle istituzioni» Sono d’accordo tutti, anche gli interpreti»

Recensioni

  • «Un poliziotto assai diverso dell'abituale cliché è il Gaspare Lomenzo che indaga su una serie di delitti che avvengono a Milano… Il giovane questurino non è un superman, né un duro, né un pistolero, né un mostro di deduzione. È un giovanotto che hai gusti di molti giovani d’oggi. La sua virtù maggiore è quella che Prezzolini mette al vertice delle motivazioni umane: una sana e irresistibile curiosità. Lomenzo si ficca nell'indagine senza strafare, ci rimugina, ne viene a capo. Deve intrufolarsi non soltanto nella “mala” di basso e alto bordo, ma anche competere con le organizzazioni di protezione personale, cui i ricchi ricorrono con larghi mezzi…Una speciale immagine merita Paolo Cavara (Mondo cane), che vediamo come un abilissimo preparatore di quella specialità gastronomica che si chiama crepe Suzette. (…) Forse i prestigiatori fanno di meglio: ma nella cucina del cinema ci vuole, oltre che abilità, vocazione. Accurata in tutte le sue fasi la produzione.» P.F. Il Giornale degli spettacoli Sabato 18 settembre 1976
  • «…E tanta paura esce dunque dal consueto solco (del giallo–poliziesco esteriore, violento e schematizzato), accostandosi al “thriller”, ma senza sprechi di “suspense”, per un più studiato disegno dei personaggi, delle situazioni e degli ambienti, con un'insolita condanna dei vari “giustizieri”.» P. Virg. Gazzetta del Mezzogiorno, 3 ottobre 1976
  • «…Il film di Paolo Cavara si distacca fortunatamente dal filone esecrabile del poliziesco all'italiana e dal grand–guignol alla Dario Argento. Il giallo, condotto con ritmo, costruisce un personaggio, quello del commissario progredito, di buona cultura e nemico della violenza, articolato e simpatico, anche per l'acuto disegno che ne fa Michele Placido, con una recitazione volutamente ora tenera e ora isterica che ribadisce, dopo Marcia trionfale, le sue non comuni doti di interprete. E se la sceneggiatura di Zapponi, Cavara e Oldoini ha qualche aggancio troppo automatico, nonché qualche digressione giù verso il grosso pubblico, l'attenzione comunque non vien mai meno e il “pasticciaccio” riserva un finale non tanto prevedibile. E tanta paura rivela il gioco professionistico del regista (che aveva già dato con Il lumacone un'operina fuori dal comune) e, accanto a Placido, mette in mostra la bravura di Eli Wallach e Tom Skerritt, e le doti erotiche di Corinne Clery…» Maurizio Porro. Corriere della sera, 18 settembre 1976
  • «Nel mazzo dei polizieschi all'italiana che invadono ormai da troppo tempo i nostri schermi, si pesca di rado un film da non perdere. È il caso di E tanta paura diretto da Paolo Cavara: merita attenzione al di là degli strilli di cartellone che vorrebbero ricondurlo nei binari del thrilling erotico. Cavara (…) ne Il lumacone aveva già mostrato un certo gusto per l'immagine anticonvenzionale, una mano sicura nella direzione degli attori. E tanta paura è un passo avanti.(…) Il pregio maggiore di E tanta paura è quello di essere un giallo solo in apparenza: la meccanica delitto–indagine–soluzione è tenuta costantemente in secondo piano, per lasciar spazio a saporiti “tagli” d’ambiente e a uno studio psicologico dei personaggi giocato sul contrasto di notazioni secche. E infatti, ogni volta che il film si libera dagli schematismi di una sceneggiatura di maniera (scritta dallo stesso regista con Zapponi e Oldoini) e lascia da parte certe insistenze sull'erotismo ginnico di Corinne Clery, Cavara rivela la mano sicura del professionista. Due sequenze, a conforto di quanto dico: la passeggiata di Placido con Eli Wallach lungo un corridoio ornato di specchi (realtà e apparenza viaggiano spesso sulla stessa carrozza) e l'inseguimento con scazzottata finale tra il commissario e un presunto colpevole. In particolare quest’ultima, montata su campi lunghissimi e medi, senza le solite acrobazie motoristiche, con un uso discreto e mai oleografico del tele, ha il taglio asciutto, il ritmo essenziale e privo di sbavature che solo il cinema americano di serie A ci ha insegnato ad apprezzare.» Pierluigi Ronchetti. Tempo 4.10.76
  • «…quello che Cavara e Zapponi tentano di fare con …E tanta paura è di decretare la fine del “giallo” con una parola che ironizzi su tutti gli stilemi classici.(…) Tanto le vittime quanto i carnefici sono rappresentati come macchiette. Il commissario che indaga (Placido) è un duro che “non c’azzecca un cazzo” e che pensa più alle gonnelle che al suo lavoro. Gli alibi e i moventi perdono volontariamente ogni traccia di veridicità dietro machiavelliche spiegazioni che vogliono prendere per i fondelli gli improbabili espedienti utilizzati dai gialli negli ultimi anni: c’è persino una citazione di La tarantola dal ventre nero (con i gioielli importati di contrabbando nascosti nelle gabbie degli animali feroci, proprio come là il traffico di droga era garantito dalla cocaina nascosta nelle teche degli aracnidi velenosi), che sembra voler dire che nessuno è escluso dalla satira, nemmeno lo stesso Cavara. Meno compatto rispetto al precedente La tarantola…, con qualche lentezza in più e una discreta propensione alla sexploitation, …E tanta paura resta però una brillante rilettura del genere diretta con mano esperta da un autore originale che merita di essere riscoperto e rivalutato una volta per tutte.» Gomarasca & Pulici, Nocturno cinema
  • «Curioso giallo, giocato su toni grotteschi anziché sulle atmosfere da thriller argentiane. La sceneggiatura (di Cavara e di Bernardino Zapponi con la collaborazione di Enrico Oldoini, che è lo sbirro baffuto che fa coppia con Placido) di tanto in tanto si perde per strada, e la satira sociale è di grana grossa (ma è simpatico Lomenzo che trova ogni volta un pretesto per stracciare “Il Secolo d'Italia” del suo capo (Skerritt); e c'è spazio anche per divagazioni erotiche (con un demenziale porno–cartoon di Gibba (Francesco Guido) e per svolazzi formalistici nei quali il direttore della fotografia Franco di Giacomo dimostra la sua bravura (l'omaggio agli specchi de La Signora di Shanghai). In ogni caso la soluzione è intelligente nello smontare il meccanismo dei soliti gialli: anche se Pierino Porcospino non c'entra niente.» Mereghetti 2002
  • «Strano, complesso giallo che porta la firma alla sceneggiatura di Bernardino Zapponi che inserisce nel film le sue passioni per i fumetti e i disegnatori.(…) Bel cast con Michele Placido non ancora piovrizzato e Corinne Clery ancora bellissima. In una delirante sequenza animata il grande Gibba si scatena in ogni tipo di eccesso fumettistico sadomaso, arrivando a autorappresentarsi come nano libidinoso capo delle depravazioni tra donne discinte e falli giganteschi. Niente male.(…)» Marco Giusti, Dizionario dei film italiani stracult
  • «…Cavara, che in seguito abbandonerà il genere, costruisce un insolito thriller, ambientato a Milano che sembra la città–custode di molti segreti. La trama di un consueto giallo devia in altre, diverse, direzioni, dando vita a un ingegnoso meccanismo di tensione narrativa.(…)» Antonio Bruschini, Antonio Tentori, Profonde tenebre. Il cinema thrilling italiano 1962–1982. Bologna 1992

Fonti

  • Il Resto del Carlino, 3 febbraio 1976, con interviste a Cavara, Placido e Clery
  • Informazione spettacoli, 18 settembre 1976 con intervista a Cavara

Collegamenti esterni

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