Papa Clemente VII
Clemente VII, nato Giulio Zanobi di Giuliano de' Medici (Firenze, 26 maggio 1478 – Roma, 25 settembre 1534), esponente della famiglia fiorentina dei Medici, fu il 219º papa della Chiesa cattolica dal 1523 alla morte.
Papa Clemente VII | |
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219º papa della Chiesa cattolica | |
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Elezione | 19 novembre 1523 |
Incoronazione | 26 novembre 1523 |
Fine pontificato | 25 settembre 1534 |
Cardinali creati | vedi categoria |
Predecessore | papa Adriano VI |
Successore | papa Paolo III |
Nome | Giulio di Giuliano de' Medici |
Nascita | Firenze, 26 maggio 1478 |
Ordinazione sacerdotale | 19 dicembre 1517 |
Nomina ad arcivescovo | 9 maggio 1513 da papa Leone X |
Consacrazione ad arcivescovo | 21 dicembre 1517 da papa Leone X |
Creazione a cardinale | 23 settembre 1513 da papa Leone X |
Morte | Roma, 25 settembre 1534 |
Sepoltura | Basilica di Santa Maria sopra Minerva |
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Formazione
Giulio era figlio naturale, poi legittimato di Giuliano de' Medici, ucciso nella Congiura dei Pazzi un mese prima della sua nascita, e di una certa Fioretta, forse figlia di Antonio Gorini. Da giovane fu affidato, dallo zio Lorenzo il Magnifico, alle cure di Antonio da Sangallo. Dopo poco tempo, però, lo zio lo prese direttamente sotto la sua protezione.
Nel 1495, a causa delle sollevazioni popolari contro il cugino Piero, Giulio de' Medici scappò da Firenze per rifugiarsi prima a Bologna, poi a Pitigliano, Città di Castello e Roma, dove visse per molto tempo ospite del cugino cardinale Giovanni, il futuro papa Leone X.
Arcivescovo di Firenze
Il 9 maggio 1513 fu nominato arcivescovo di Firenze dal cugino papa Leone X, che aveva ripreso la città sconfiggendo le truppe francesi alleate dei repubblicani fiorentini. Il 14 agosto dello stesso anno Giulio fece il suo ingresso a Firenze. Alla morte del cugino Lorenzo de' Medici divenne anche signore della città. Sia come arcivescovo che come governatore[È il termine giusto?] si dimostrò un abile uomo di governo. Pur ricevendo spesso incarichi e missioni diplomatiche per conto del Papa non trascurò mai la sua arcidiocesi e con la collaborazione del suo vicario generale Pietro Andrea Gammaro volle conoscere, attraverso i singoli inventari, la situazione di tutte le chiese sotto la sua giurisdizione. Nel 1517 tenne un sinodo di tutto il clero diocesano.
Sventò una congiura tramata contro di lui e fu inflessibile contro i suoi nemici (1522).
Al servizio di Leone X e di Adriano VI
Nel 1513, con l'elezione di Leone X, Giulio ebbe la concessione dell'arcidiocesi di Firenze. Il 29 settembre dello stesso anno, dopo una serie di procedure e l'ottenimento delle dispense necessarie a superare lo scoglio della sua nascita illegittima, Giulio fu creato cardinale diacono del titolo di Santa Maria in Domnica.
Dopo questa nomina iniziò la sua ascesa, caratterizzata da una grande ricchezza di benefici ecclesiastici e da un ruolo molto delicato all'interno della politica pontificia. Tra le sue azioni è da ricordare il tentativo di costituire un'alleanza con l'Inghilterra per aiutare Leone X a contrastare le mire egemoniche di Francia e Spagna; per questo motivo fu nominato cardinale protettore d'Inghilterra. La caratteristica principale della politica di questo periodo fu la ricerca di un equilibrio tra i principi cristiani e l'indizione del Concilio Lateranense V (1512-1517), durante il quale Giulio si interessò di lotta contro le eresie. Da cardinale diacono nel frattempo fu dichiarato cardinale prete con il titolo di San Clemente (26 giugno 1517) e poi di San Lorenzo in Damaso.
Il 9 marzo 1517 fu nominato vicecancelliere di Santa Romana Chiesa, incarico che gli diede modo di mettere alla prova le sue qualità diplomatiche. Nel delicato incarico mostrò un contegno serio in confronto a quello mondano e dissoluto del cugino. Mentre cercava di organizzare una crociata contro i turchi, che Leone X reputava assolutamente necessaria, dovette risolvere due problemi: la protesta luterana, e la successione dell'Impero che, dopo Massimiliano I, toccò al nipote Carlo, già re di Napoli. Nel corso del 1521 la situazione di Firenze (di cui era Governatore cittadino) lo tenne lontano per lungo tempo da Roma, ma l'improvvisa morte del papa, avvenuta nello stesso anno, lo costrinse a tornare a Roma per partecipare al conclave. Fu eletto Adriano VI, di cui aveva sostenuto la candidatura per ottenere l'appoggio di Carlo V. L'anno successivo fu vittima di una congiura, senza conseguenze, ordita dai repubblicani.
Il 3 agosto 1523 l'opera diplomatica di Giulio giunse alla conclusione: venne ratificata l'alleanza tra il papato e Carlo V. Poco dopo, nel settembre 1523 morì Adriano VI e Giulio, con l'appoggio dell'imperatore, dopo un difficile conclave che si protrasse per 50 giorni, fu eletto al soglio di Pietro.
Il 19 novembre Giulio de' Medici assunse il nome di Clemente VII.
Il pontificato
Governo della Chiesa
Relazioni con la chiesa tedesca
Al conclave tenutosi dal 1º ottobre al 19 novembre 1523 parteciparono 45 cardinali. Presero parte alla votazione finale 39 cardinali su 45:
- Bernardino López de Carvajal, vescovo di Ostia e Velletri, decano del Sacro Collegio dei Cardinali
- Francesco Soderini, vescovo di Palestrina
- Alessandro Farnese, seniore, vescovo di Frascati (Eletto papa Paolo III nel Conclave del 1534)
- Niccolò Fieschi, vescovo di Sabina
- Antonio Maria Ciocchi del Monte, vescovo di Albano
- Marco Cornaro, amministratore di Verona
- François Guillaume de Castelnau-Clermont-Ludève, arcivescovo di Auch
- Sigismondo Gonzaga
- Pietro de Accolti
- Achille Grassi, vescovo di Bologna
- Lorenzo Pucci
- Giulio de' Medici, arcivescovo di Firenze, amministratore di Narbona. (Eletto papa Clemente VII)
- Innocenzo Cybo, amministratore di Torino e di Marsiglia
- Giovanni Piccolomini, arcivescovo di Siena, amministratore de L’Aquila
- Giovanni Domenico De Cupis, amministratore di Trani
- Andrea della Valle, vescovo di Mileto, vescovo di Crotone, amministratore di Gallipoli
- Bonifacio Ferrero
- Giovanni Battista Pallavicini, vescovo di Cavaillon
- Scaramuccia Trivulzio
- Pompeo Colonna, amministratore di Potenza
- Domenico Giacobazzi
- Luigi di Borbone-Vendôme, vescovo di Laon, amministratore di Le Mans
- Lorenzo Campeggi
- Ferdinando Ponzetti, vescovo di Grosseto
- Silvio Passerini
- Francesco Armellini Pantalassi de' Medici
- Tommaso De Vio, O.P., vescovo di Gaeta
- Egidio da Viterbo, O.E.S.A.
- Cristoforo Numai, O.F.M., amministratore di Alatri, amministratore di Isernia
- Gualterio (o Guillermo) Raimundo de Vich, vescovo di Barcellona e Cefalú
- Franciotto Orsini
- Paolo Emilio Cesi
- Alessandro Cesarini, amministratore di Pamplona
- Giovanni Salviati, amministratore di Ferrara
- Niccolò Ridolfi, amministratore di Orvieto
- Ercole Rangoni, vescovo di Modena
- Agostino Trivulzio, amministratore di Bobbio e Alessano
- Francesco Pisani
- Willem Enckenwoirt, vescovo di Tortosa
I seguenti cardinali non parteciparono al conclave:
- Matthew Lang von Wellenberg, arcivescovo di Salisburgo
- Thomas Wolsey, arcivescovo di York, vescovo di Durham
- Alfonso di Portogallo, arcivescovo di Lisbona, vescovo di Évora
- Albrecht von Brandenburg, arcivescovo di Magonza
- Eberhard von der Mark, vescovo di Liegi e Chartres
- Giovanni di Lorena, vescovo di Metz, amministratore di Toul
Nonostante la scomunica comminata a Martin Lutero da papa Leone X nel 1521, la Riforma si andava espandendo sempre più in Germania. Nella seconda dieta di Norimberga, del febbraio 1524, gli stati tedeschi ratificarono l'editto di Worms come legge dell'Impero, promettendo, però, al legato pontificio, cardinale Lorenzo Campeggi, di mandarlo in esecuzione soltanto "nei limiti del possibile" e chiedendo un concilio nazionale che avrebbe dovuto aver luogo a Spira nello stesso anno. Sia il papa che l'imperatore negarono tale eventualità.
Lo scisma anglicano
Clemente VII fu talmente attento alla politica italiana ed europea che trascurò e sottovalutò il movimento protestante, in special modo quello inglese. Enrico VIII non aveva un erede maschio e di questo incolpava la moglie Caterina d'Aragona, la cui unica figlia era la principessa Maria. Dopo numerose relazioni con altrettante dame di corte, si innamorò di Anna Bolena, una delle più belle signore del tempo, ma protestante. Dal 1527 Enrico iniziò a cercare un modo per far annullare il suo matrimonio con Caterina, prendendo come scusa che il matrimonio con la vedova del fratello non poteva essere valido.
Per perorare la sua causa Enrico mandò a Roma Tommaso Moro, grande umanista e abile giurista. Nonostante le motivazioni addotte, il papa riteneva impossibile l'annullamento del matrimonio, soprattutto perché l’imperatore Carlo V era nipote di Caterina ed il papa non voleva renderselo nemico. Allora Enrico cominciò ad esercitare pressioni sul papa, arrivando, nel 1529 alla soppressione dell'indipendenza degli ecclesiastici inglesi e ad arrogarsi il diritto di nominare i vescovi.
Nel gennaio del 1533 Enrico VIII sposò Anna Bolena e, nel maggio dello stesso anno, il precedente matrimonio con Caterina d'Aragona fu dichiarato ufficialmente nullo dall’Arcivescovo di Canterbury. Dopo alcuni mesi, il 7 settembre 1533 nacque la futura regina Elisabetta, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena. Enrico venne scomunicato ed il papa continuava a ritenere legittimo il solo matrimonio con Caterina. Il re rispose allora con l'Atto di Supremazia, votato dal Parlamento il 3 novembre 1534, che lo dichiarava Re supremo e unico Capo della Chiesa d'Inghilterra, attribuendosi quel potere spirituale che fino a quella data era stato appannaggio esclusivo del pontefice. Chi, come lo stesso Tommaso Moro, rifiutò di accettare con giuramento il provvedimento e di riconoscere il nuovo matrimonio del re con il relativo ordine di successione al trono, fu considerato reo di alto tradimento e punito con morte.
Lo scisma era ormai compiuto. Tutti i pagamenti che prima erano versati al papa ora venivano versati alla corona; il Parlamento escluse la principessa Maria dalla successione al trono in favore della figlia di Anna Bolena, nella speranza di un futuro erede maschio. La Bibbia venne tradotta in inglese, ai preti fu permesso sposarsi e le reliquie dei santi vennero distrutte.
Relazioni con i monarchi cristiani
La Seconda Lega Santa
Una delle prime iniziative del nuovo papa fu quella di portare la pace tra i regnanti cristiani. Lo scopo ultimo di Clemente VII era fare in modo che i re cristiani si alleassero tra loro in una vasta coalizione contro il sultano turco Solimano, che stava invadendo l'Europa balcanica. Cercò così di concordare una tregua tra il re di Francia, Francesco I di Valois, e l'imperatore Carlo V d'Asburgo, in guerra tra loro dal 1521. Questa mossa fu causata anche dalla sua preoccupazione per Firenze.
Dopo la conquista del Ducato di Milano (ottobre 1524) da parte di Francesco I, il pontefice costituì un'alleanza con il re di Francia e la Repubblica di Venezia (tra la fine del 1524 e il 1525) contro Carlo V. Ma quando la Francia fu sconfitta nella battaglia di Pavia, il papa di nuovo si rivolse a Carlo V, indotto a questa scelta dall'arcivescovo di Capua, il tedesco Niccolò Schomberg.
Clemente effettuò un altro cambiamento di fronte politico nel maggio 1526, quando creò una Lega Santa contro l'imperatore (Lega di Cognac o Seconda Lega Santa[1]). Gli incontri preparatori con il re francese furono gestiti dalla dataria apostolica, Gian Matteo Giberti.
Il patto fu stretto il 22 maggio 1526 a Cognac sur la Charente. Vi presero parte: Clemente VII, Francesco I, Firenze, Venezia e Francesco Maria Sforza. Scopo della lega era scacciare gli imperiali dall'Italia. I confederati si obbligavano a mettere insieme 2.500 cavalieri, 3.000 cavalli e 30.000 fanti; Francesco I avrebbe dovuto mandare un esercito in Lombardia e un altro in Spagna, mentre i veneziani e il pontefice avrebbero dovuto invadere il regno di Napoli con una flotta di ventotto navi. Cacciati gli spagnoli, il papa avrebbe dovuto mettere sul trono napoletano un principe italiano, che avrebbe dovuto pagare al re di Francia un canone annuo di 75.000 fiorini. Francesco I non tenne mai fede ai patti e, per tutto il 1526 non partecipò alle operazioni, preferendo trattare con Carlo V il riscatto dei suoi due figli, catturati dai tedeschi a Pavia e presi in ostaggio.
Il papa, vedendo che gli alleati non onoravano i patti, concluse una tregua di otto mesi con l'imperatore. Scaduti gli otto mesi, l'imperatore si mosse con il suo esercito verso Roma. Il 31 marzo 1527 passò il Reno, nei pressi di Bologna, e si diresse verso la Toscana. Le truppe della Lega Santa, comandate da Francesco Maria I Della Rovere e dal marchese di Saluzzo, si accamparono vicino a Firenze per proteggerla dall'esercito invasore, ma questo effettuò una manovra aggiratrice: attraversò il territorio di Arezzo, quello di Siena, poi si diresse verso Roma. Lungo il tragitto gli imperiali, guidati da Carlo III di Borbone, devastarono Acquapendente e San Lorenzo alle Grotte, occuparono Viterbo e Ronciglione. Il 5 maggio gli invasori giunsero sotto le mura di Roma, difesa da una milizia piuttosto ridotta comandata da Renzo da Ceri (Lorenzo Orsini). Scopo dell'imperatore non era invadere la città: egli voleva forzare la mano al pontefice con un'azione dimostratrice.
Ma la soldataglia germanica che si era mossa al seguito dell'esercito imperiale si pose al di fuori del suo controllo. All'arrivo a Roma i "Lanzichenecchi" erano allo stremo, male armati e devastati dalla peste, che iniziava a diffondersi anche tra i romani. Per evitare il contagio, l'imperatore ritornò in Germania. Mancando la massima autorità, ogni gruppo di combattimento gestì in maniera autonoma le operazioni. Dopo un assedio reso vano dalla mancanza di bocche da fuoco, per una situazione fortuita, gli imperiali riuscirono a penetrare dalla sponda nord del Tevere.
L'assalto alle mura del Borgo iniziò la mattina del 6 maggio 1527 e si concentrò tra il Gianicolo e il Vaticano. Per essere di esempio ai suoi, Carlo III di Borbone fu tra i primi ad attaccare, ma mentre saliva su una scala fu colpito a morte da una palla d'archibugio. La sua morte[2] accrebbe l'impeto degli assalitori che, a prezzo di gravi perdite, riuscirono ad entrare in città. Caduto il Borbone, salì in posizione di comando Filiberto di Chalons, principe d'Orange.
Le soldataglie germaniche devastarono e saccheggiarono completamente la città, distruggendo tutto ciò che era possibile distruggere. Durante l'assalto Clemente VII, che non si era arreso al loro arrivo, si ritirò in preghiera nella cappella privata. Quando capì che la città era perduta, si rifugiò a Castel Sant'Angelo insieme ai cardinali e agli altri prelati grazie al sacrificio della guardia nobile, che lo protesse a prezzo della vita.[3] Questa vicenda è tristemente nota come il "sacco di Roma". Il saccheggio, feroce ed efferato, fu reso più crudele dall'appartenenza degli assalitori alla religione luterana, tanto che lo stesso imperatore ne rimase addolorato (forse per questo motivo la sua incoronazione, qualche anno dopo, venne celebrata a Bologna, temendo la reazione dei romani).
Il 5 giugno il pontefice fu fatto prigioniero. In dicembre fu liberato dietro la promessa del pagamento di un pesante indennizzo. Dovette versare al principe d'Orange 400.000 ducati, di cui 100.000 immediatamente e il resto entro tre mesi; era inoltre pattuita la consegna di Parma, Piacenza e Modena. Clemente VII, per evitare di ottemperare alle condizioni imposte dall'imperatore, abbandonò Roma e, il 16 dicembre 1527, si ritirò ad Orvieto e successivamente a Viterbo.
La pace con Carlo V
Carlo inviò un'ambasciata presso il papa per fare ammenda dell'episodio. E Clemente alla fine, non ritenendolo direttamente responsabile, lo perdonò. Dopo questi accordi, intorno alla fine del 1529, fu stipulata la Pace di Barcellona, secondo i termini della quale, il papa, il 24 febbraio 1530, incoronò a Bologna Carlo V imperatore, come segno di riconciliazione tra papato e impero. Carlo si impegnò a ristabilire a Firenze la signoria della famiglia Medici (di cui lo stesso Papa era membro), abbattendo la repubblica fiorentina[3] e a concedere la Borgogna a Francesco I, che in cambio prometteva di disinteressarsi degli affari italiani. Firenze fu consegnata ad Alessandro de' Medici (figlio illegittimo di Lorenzo), che sposò Margherita, figlia naturale di Carlo V.
Con i problemi della riforma che infuocavano la Germania, l'imperatore non si mosse dalla sua capitale e, con i turchi che imperversavano persino sul litorale laziale, il papa si riavvicinò alla Francia. Carlo V allora, con l'intenzione di rompere la nuova amicizia, propose al papa una lega di tutti gli stati italiani contro i turchi e gli propose di convocare un concilio generale per pacificare la Germania. Clemente VII accolse di buon animo la proposta della lega, ma non accettò la proposta del concilio, temendo di procurare un'arma per i suoi avversari. L’unica cosa che fu disposto a concedere fu un accordo segreto, consacrato con la bolla del 24 febbraio 1533, in cui il papa si impegnava a convocare il concilio a data da destinarsi.
Nell'autunno del 1533, il papa celebrò le nozze tra la nipote Caterina de' Medici, figlia di Lorenzo II de' Medici, ed Enrico di Valois, secondogenito di Francesco I di Francia.
Governo dello Stato pontificio
Il 25 gennaio 1525, concesse un indulto ai domenicani del Convento di Forlì per celebrare la messa del Beato Giacomo Salomoni ogni volta che, durante l'anno, la loro devozione li spingesse a farlo. Questo indulto è considerato importante nella storia delle celebrazioni ecclesiastiche, tanto da risultare come il più antico citato da Benedetto XIV nel documento De canonizatione[1].
Nel 1532 si impadronì, con un'abile manovra di copertura, della repubblica di Ancona: la costruzione a spese pontificie di una fortezza, in posizione dominante sulla città e sul porto, servì come cavallo di Troia per impadronirsi del potere nottetempo e soffocare sul nascere i tentativi di riprendere la libertà perduta. I denari pagati al papa dal cardinale che sarebbe stato il legato pontificio della città servirono a rimpinguare le casse papali depauperate dal sacco di Roma.[4]
Mecenatismo e opere realizzate a Roma
Nei periodi in cui non dovette dedicarsi alla politica, Clemente VII fu un grande mecenate. Spesso teneva i rapporti con gli artisti per mezzo del suo Guardarobiere e Maestro di Camera Pietro Giovanni Aliotti, costringendolo anche ad antipatici solleciti di consegna delle opere. Dell'Aliotti si lamentarono sia Michelangelo sia Benvenuto Cellini.
Il 17 dicembre 1524, con la bolla Inter sollicitudines et coram nobis, indisse per l'anno seguente un giubileo. Il papa aprì personalmente la Porta Santa. Ma l'affluenza dei pellegrini fu scarsa a causa delle guerre, del timore dell'avanzata turca e della rivolta dei contadini in Germania. Inoltre, nell'agosto del 1525 si ebbe una nuova epidemia di peste.
Tornato a Roma dopo la permanenza ad Orvieto, Clemente VII proseguì la sua opera di mecenate: sviluppò la Biblioteca Vaticana, continuò la costruzione della Basilica di San Pietro, portò a termine i lavori del Cortile di San Damaso e di Villa Madama. Incaricò, inoltre, Michelangelo di affrescare la Cappella Sistina con il Giudizio universale, seguendone personalmente i lavori. Commentò e fece pubblicare tutte le opere di Ippocrate. Nel 1528 approvò l'Ordine dei Cappuccini e, nel 1530, approvò i Chierici regolari di San Paolo (detti Barnabiti).
Morte e sepoltura
Di ritorno dal matrimonio della nipote (1533), Clemente VII si riammalò della malattia che lo aveva colpito nel 1529 e che spesso tornava a visitarlo. Il papa morì a Roma il 25 settembre 1534, a soli 56 anni, dopo aver mangiato l'amanita phalloides (un fungo mortale). Secondo un'altra teoria, suggerita dal divulgatore scientifico canadese Joe Schwarcz, Clemente VII potrebbe essere stato assassinato mettendo dell'arsenico in una candela che il papa avrebbe portato in una processione, inalandone i fumi altamente tossici.[5]
Alla sua morte sotto la statua di Pasquino, venne posto un ritratto dell'Archiatra Pontificio Matteo Curti, con l'ironica scritta: «Ecce aqnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi», segno che fu un Papa poco amato dal popolo romano. Era stato un pontificato intensissimo e controverso, segnato dall'onta del Sacco di Roma, durato undici mesi. Clemente VII venne sepolto in Santa Maria sopra Minerva. Il suo mausoleo si trova di fronte a quello del cugino Leone X e fu disegnato da Antonio da Sangallo il Giovane.
Vita privata
Su Clemente girò il sospetto che Alessandro de' Medici fosse suo figlio. Questa circostanza è stata inizialmente smentita dallo storico ed esperto della famiglia de' Medici, Alfred von Reumont. Il cardinale Gasparo Contarini, solitamente ben informato, ha affermato che Alessandro era figlio naturale di Lorenzo il Magnifico. Tuttavia, gli studiosi e gli storici moderni confermano che Alessandro era figlio di Clemente VII. In particolare, il Pastor ritiene che il Papa sia stato di una moralità irreprensibile dopo l'elezione al Soglio, ma quando era ancora cardinale cedette più volte ai desideri della carne.[6]
Concistori per la creazione di nuovi cardinali
Papa Clemente VII durante il suo pontificato ha creato 33 cardinali nel corso di 14 distinti concistori.[7]
Diocesi erette da Clemente VII
- 1529
- Diocesi di Santa Marta, comprendente il dipartimento colombiano di Magdalena (è incerto se il territorio della diocesi fosse ricavato dalla diocesi di Santo Domingo o da quella di Panamá).
- 2 settembre 1530 (bolla Sacri Apostolorum Ministerio):
- Diocesi del Messico (il territorio fu ricavato dalla Diocesi di Puebla).
- 21 giugno 1531 (bolla Pro excellenti praeminentia):
- 31 gennaio 1533 (bolla Pro excellenti praeminentia):
- Diocesi di Santiago di Capo Verde (comprende le isole sottovento dell'arcipelago di Capo Verde).
Onorificenze
- Cardinale Guillaume d'Estouteville, O.S.B. (1440)
- Papa Sisto IV, O.F.M.Conv. (1471)
- Papa Giulio II (1481)
- Cardinale Raffaele Sansone Riario (1504)
- Papa Leone X (1513)
- Papa Clemente VII (1517)
Ascendenza
Papa Clemente VII | Padre: Giuliano de' Medici |
Nonno paterno: Piero de' Medici |
Bisnonno paterno: Cosimo de' Medici |
Trisnonno paterno: Giovanni di Bicci de' Medici |
Trisnonna paterna: Piccarda Bueri | ||||
Bisnonna paterna: Contessina de' Bardi |
Trisnonno paterno: Alessandro de' Bardi | |||
Trisnonna paterna: Emilia Pannocchieschi | ||||
Nonna paterna: Lucrezia Tornabuoni |
Bisnonno paterno: Francesco Tornabuoni |
Trisnonno paterno: Simone Tornabuoni | ||
Trisnonna paterna: ? | ||||
Bisnonna paterna: Selvaggia degli Alessandri |
Trisnonno paterno: Maso degli Alessandri | |||
Trisnonna paterna: Nanna Cavalcanti | ||||
Madre: Fioretta Gorini |
Nonno materno: Antonio Gorini |
Bisnonno materno: ? |
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Trisnonna materna: ? | ||||
Bisnonna materna: ? |
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Nonna materna: ? |
Bisnonno materno: ? |
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Bisnonna materna: ? |
Trisnonno materno: ? | |||
Trisnonna materna: ? |
Note
- ^ La prima era la Lega di Cambrai.
- ^ Sull'episodio nacque l'aneddoto del famoso colpo di archibugio scoccato da Benvenuto Cellini dai bastioni di Castel Sant'Angelo.
- ^ a b Antonio Brancati, Trebi Pagliarani, 20. L'Impero di Carlo V, una formazione anacronistica, in Dialogo con la storia 1, Firenze, La Nuova Italia, p. 266.
- ^ Peris Persi, in Conoscere l'Italia, vol. Marche, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1982 (pag. 74); AA.VV. Meravigliosa Italia, Enciclopedia delle regioni a cura di Valerio Lugoni, ed. Aristea, Milano; Guido Piovene, in Tuttitalia, Casa Editrice Sansoni, Firenze & Istituto Geografico De Agostini, Novara (pag. 31); Pietro Zampetti, in Itinerari dell'Espresso, vol. Marche, a cura di Neri Pozza, Editrice L'Espresso, Roma 1980
- ^ Joe Schwarcz, Come si sbriciola un biscotto?, pag. 156.
- ^ Ludwig von Pastor e Paul Kegan, The history of the popes, from the close of the middle ages, Trench, Trubner, Co & Ltd., 1910, pp. 328-330.
- ^ Salvador Miranda, http://www2.fiu.edu/~mirandas/consistories-xvi.htm#ClementVII. URL consultato il 30 luglio 2015.
Bibliografia
- Annuaire Pontifical Catholique, Maison de la Bonne Presse, Parigi 1935.
- La chiesa fiorentina, Curia arcivescovile, Firenze 1970.
- Maurizio Gattoni, Clemente VII e la geo-politica dello Stato Pontificio (1523-1534), Città del Vaticano, Collectanea Archivi Vaticani, (49), 2002
- Maurizio Gattoni, Pace universale o tregue bilaterali? Clemente VII e l'istruzione a Nicolaus Schömberg, Arcivescovo di Capua (1524, in Ricerche Storiche, XXX (2000), n.1, pp. 171–196
Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- Carlo Capasso, «CLEMENTE VII, papa» la voce nella Enciclopedia Italiana, Volume 10, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. (Testo on line).
- Adriano Prosperi, «CLEMENTE VII, papa» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 26, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1982. (Testo on line).
- (EN) The Cardinals of the Holy Roman Church-Medici, su www2.fiu.edu. URL consultato il 26 giugno 2010.
- Cardinali nominati da Papa Clemente VII
Controllo di autorità | VIAF (EN) 90633828 · ISNI (EN) 0000 0001 2143 2441 · SBN BVEV041062 · BAV 495/25464 · CERL cnp01233118 · ULAN (EN) 500353928 · LCCN (EN) n88002890 · GND (DE) 118723510 · BNE (ES) XX1240078 (data) · BNF (FR) cb13623902x (data) · J9U (EN, HE) 987007259666705171 · CONOR.SI (SL) 128468579 |
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