Grisì
Grisì, circa 1000 abitanti, è una frazione del comune di Monreale, nella città metropolitana di Palermo, in Sicilia.
Grisì frazione | |
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Localizzazione | |
Stato | ![]() |
Regione | ![]() |
Città metropolitana | ![]() |
Comune | ![]() |
Territorio | |
Coordinate | 37°57′11″N 13°05′20″E |
Altitudine | 480 circa m s.l.m. |
Abitanti | 994 (2011) |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 90040 |
Prefisso | 091 |
Fuso orario | UTC+1 |
Nome abitanti | grisiesi |
Patrono | Sacro Cuore di Gesù |
Giorno festivo | 18 agosto |
Cartografia | |
Il nome
Di incerta etimologia, il nome sembra derivare dal greco χρυσός (Krysòs) "Oro", diventato in periodo bizantino grysòs, dunque "Terra d'Oro" probabilmente con il significato di ricca e fertile, adatta ad ogni sorta di colture grazie anche al suo clima temperato.
Cenni storici
Il territorio era abitato già da tempi molto antichi: sulla cima del colle su cui si trova Grisì, è possibile infatti individuare alcuni ruderi, segni delle fondamenta di un antico maniero, e caratteristiche costruzioni del periodo Greco-Romano, spesso usate anche dagli Arabi. Grazie a scavi praticati a scopo di coltura fu scoperto anche un cimitero, nei cui sarcofagi si sono trovati oggetti e monete riconducibili all'epoca della dominazione araba. Sempre araba è l'antica torre Saracena presente ancora oggi nella contrada Disisa da cui gli Arabi potevano facilmente controllare l'intero territorio circostante.
Fino alla prima metà del 700 Grisì fu gestita dai Gesuiti che risiedevano nell'antica masseria sita nell'odierno "Chiasso Riccobono" detto anche 'u bagghiu. La loro presenza è testimoniata da una lapide in pietra ritrovata e oggi conservata sotto l'altare della parrocchia.
Nel 1767 il re Ferdinando IV di Borbone espulse dal regno i Gesuiti confiscandone tutti i beni, che successivamente furono messi in vendita. Acquirente del feudo fu Giuseppe Beccadelli di Bologna Gravina, principe di Camporeale e marchese della Sambuca il 22 maggio 1779. In seguito si stabilirono nell'antica masseria dei Gesuiti quattro cittadini di Montelepre che ottennero dei fondi in enfiteusi. Da qui cominciò a popolarsi nel tempo grazie ai contadini provenienti da altri paesi vicini che venivano a lavorare le terre di Grisì, in cui scelsero di stabilirsi. La piccola masseria divenne così il primo nucleo del successivo centro abitato, via via popolatosi sempre più.
Nel 1890 cominciò la costruzione dell'odierna chiesa parrocchiale dedicata al Sacro Cuore di Gesù per iniziativa del sacerdote Natale Di Bella, ma con spontanee oblazioni del popolo, che rimborsò al sacerdote anche il prezzo del suolo. La chiesa fu compiuta e solennemente benedetta il 4 ottobre 1897, sebbene vi fosse celebrata la messa sin dal 21 novembre 1890. La parrocchia fa parte dell'Arcidiocesi di Monreale.
Nel 1910 furono aperte le prime tre classi delle scuole elementari e l'anno seguente Grisì fu dichiarata frazione del comune di Monreale, ottenendo così l'ufficio dello stato civile e l'ufficio postale e telegrafico; è stata sede di uno dei Consigli di circoscrizione in cui è suddiviso il comune di Monreale (oggi eliminati e sostituiti con delle consulte a seguito della modifica della carta statutaria del Comune dell'anno 2006).
Il paese risentì del disastroso Terremoto del Belice la notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, e ancora oggi è possibile vederne i segni. Esisteva anche una seconda chiesa fatta di prefabbricati realizzata appositamente in sostituzione della chiesa principale allora inagibile a causa del terremoto. Con il restauro della chiesa madre, la chiesa prefabbricata non fu più utilizzata e in seguito smontata.
Geografia Fisica
Grisì è adagiata su colline a 480 metri di altezza sopra il livello del mare, sulle quali si trova un parco eolico di recente formazione, mentre ai piedi del versante della contrada Cambuca si estende la diga Jato (detto anche Lago Poma), prediletto luogo di sosta degli uccelli migratori. Proprio grazie alla considerevole altitudine, uscendo dal paese si gode la vista dell'intero Golfo di Castellammare e di notte anche il faro di San Vito Lo Capo. Grisì è tra tutte la frazione più lontana da Monreale, dista infatti 37,5 Km e confina con i territori dei comuni di Alcamo (TP), Camporeale e Partinico.
Tradizioni e folklore
Il patrono principale di Grisì è il Sacro Cuore di Gesù, al quale fu dedicata la chiesa sorta nel 1890. Tutti gli anni viene organizzata una festa in suo onore nei giorni 16,17,18 agosto da un comitato che per tradizione viene rinnovato annualmente con il rito del passaggio della candela. Appena ricevuta, essa viene portata in mano durante le processione precedendo la Vara del Sacro Cuore Di Gesù, trasportata a spalla dal comitato uscente e seguita dalla banda musicale e dai fedeli. I festeggiamenti si concludono alle ore 24.00 con l'esecuzione di giochi pirotecnici. Per il paese, la festa patronale è motivo di animazione (presenza di luminarie, spettacoli canori, competizioni agonistiche) ed è considerata anche come un'occasione di riunione familiare, poiché tutti gli emigrati ritornano in quel periodo a Grisì per festeggiare con i loro cari.
San Giuseppe è considerato il secondo patrono della frazione. È consuetudine da più di 25 anni onorare il Santo nella ricorrenza del 19 marzo. Ogni anno un comitato di devoti, con il contributo degli abitanti, organizza la festa del santo Patriarca. Durante la celebrazione delle Sante Messe viene distribuito a tutti il pane benedetto di San Giuseppe, mentre nei giorni precedenti vengono allestiti i cosiddetti altari da famiglie che intendono sciogliere un voto, per ringraziamento o semplicemente per devozione. In questi altari addobbati con veli e fiori, vengono posti molti piatti tipici locali, suddivisi in tre porzioni che verranno serviti a tre bambini, i santuzzi, di famiglie meno abbienti che rappresentano La sacra famiglia. Il resto delle pietanze verrà distribuito in beneficenza. (In passato gli altari venivano allestiti in gran numero, oggi invece questa tradizione sta scomparendo). Dato che ne è presente almeno uno in quasi ogni famiglia, la giornata prosegue con il festeggiamento dell'onomastico di un familiare di nome Giuseppe. Alla fine della giornata, tutti gli abitanti si riuniscono davanti la parrocchia per dare vita come ogni anno alla processione, raccolti insieme alla banda musicale dietro la statua di San Giuseppe che viene trasportata a spalla dai componenti il comitato. Durante l'itinerario si svolge la tradizionale vampa seguita da uno spettacolo pirotecnico.
La solennità dell'Immacolata Concezione celebrata l'8 dicembre, a Grisì è stata riportata in vita nei primi anni 2000 grazie all'omonima confraternita. Una novena precede la festa, mentre la sera della vigilia, le famiglie sono solite consumare per tradizione lo sfincione. Il giorno seguente si svolgono messe e la processione con l'esecuzione di un gioco pirotecnico.
Il 13 dicembre, giorno della memoria della martire Santa Lucia, da sempre si svolge una partecipata messa all'alba per richiamare l'idea della luce del sole che sorge, luce che è il significato del nome della santa. È tradizione in quel giorno non mangiare pasta né pane ma riso, ceci e la tradizionale cuccìa cioè chicchi di frumento bollito e crema di latte.
U Bancu ri Disisa
Un'antica leggenda araba narra che in una grotta presso il Feudo Disisa, nei pressi di Grisì, un ricco saraceno abbia nascosto tesori immensi tali da far ricca l'intera Sicilia, abbandonati lì quando gli Arabi furono cacciati dall'isola nel 1091 dai Normanni. I tesori vengono anche chiamati col nome: Lu Bancu ri Disisa. Raccontano gli antichi che ci sarebbe una grande quantità di monete d'oro e d'argento, e che coloro che si avventurano dentro la grotta restino a bocca spalancata per ciò che vedono: tutto è un luccichio d'oro e di brillanti disseminati per terra, preziosi oggetti ammucchiati qua e là. Alcuni spiriti in sembianze umane giocano alle bocce, ai dadi o a carte, seduti su monete di purissimo oro e su gioielli e pietre preziose. Il tesoro non è custodito, ma chi cercasse di portarlo via, non riuscirà a trovare l'uscita fin quando non avrà lasciato l'ultima moneta dentro la grotta. Si dice che qualcuno addirittura abbia tentato di far uscire delle monete facendole ingoiare ad un cane dentro una mollica di pane, ma nemmeno quest'ultimo sia riuscito ad uscire dalla grotta se non espellendo le monete. Si tramanda che l'unico modo per portar via il tesoro sia quello di trovare tre persone di nome Santi Turrisi, ognuno proveniente dai tre angoli dell'allora regno, e far loro uccidere una giumenta bianca, toglierle le interiora e mangiarle fritte dentro la grotta. Infine anche i tre devono essere uccisi e dunque solo attraverso questo rito, chiunque potrà impadronirsi del grande tesoro.
Non è da escludere che la probabile etimologia di Grisì cioè "Terra d'Oro" faccia anche riferimento proprio al tesoro della grotta.
La leggenda è trattata da grandi studiosi di tradizioni popolari ed etno-antropologi siciliani quali Giuseppe Pitrè, Giuseppe Cocchiara e Salvatore Salomone Marino. Cocchiara, nella sua opera Genesi di Leggende del 1941, oltre a riportare il racconto della leggenda come già fatto in precedenza da Pitrè nel quarto volume della sua Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani del 1875, aggiunge un altro racconto popolare in versi inerente alla leggenda e riguardante un certo "Greco di Levante":
Un Grecu di Livanti
Sfugghia lu sò libru
Lu libru leramenti.
"A li parti di Cicilia
Lu Bancu annuminatu
Lu cchiù forti massenti
A Disisa mmasatu"
ma, entrato nella grotta che contiene il tesoro, non può più uscire se prima non lascia al suo posto le monete d'oro. Allora:
Sfugghia lu sò libru
Lu libru leramenti
<<Cci voli assà curaggiu
<<CCi voli armu custanti
<<E tri Santi Turrisi
<<Di tre capi di Regnu
<<Dintra la propria grutta
<<Facissiru cummegnu :
<<E 'na jimenta bianca
<<Bianca comu la nivi
<<Tirata pi la cuda
<<Puru ci havi a scinniri
Poiché, aggiunge il libro:
<<Lu scavu voli sangu
<<Sangu si cci havi a dari
<<'Ntra un bottu la jimenta
<<Tutta s'havi a sbinari
<<Lu còiru arsu a li mura
<<Li zoccoli a la via
<<Lu campanaru frittu
<<Si mancia in cumpagnia.
<<Trema tutta la grutta
<<Scruscinu li catìni
<<E li russi diavuli
<<Spuntano senza fini.
<<Lu Scavu voli sangu
<<Sangu si cci havi a dari
<<Li tri Santi Turrisi
<<'Ntra un bottu hannu a cascari.
Alla fine purtroppo il "Greco di Levante" muore mentre va alla ricerca dei tre Santi Turrisi, sicché <<lu Bancu annuminatu è dda, sempri com'era>>.»
La leggenda de u Bancu ri disisa è inoltre testo di una canzone scritta dal cantautore italiano Mario Venuti intitolata Il banco di Disisa inclusa nell'album Il tramonto dell'Occidente pubblicato nel 2014.
Le coltivazioni
Grisì è nata e si mantiene ancora oggi con la sua vocazione prettamente agricola. In tempi antichi nel costone del Monte Campana/Castellaccio, sul versante della contrada Cambuca, vi era una folta distesa di Frassino ,albero da cui viene prodotta la manna. Oggi la distesa non esiste più, ad eccezione di qualche albero sparso.
Nelle contrade attuali che circondano Grisì si coltivano in abbondanza l’olivo e la vite ed in minore estensione il grano duro. Il territorio fa parte del comprensorio di due DOC vitivinicole (la DOC Alcamo e la DOC Monreale da cui provengono alcuni dei migliori vini siciliani esportati nel mondo) e di una DOP olivicola (DOP Val di Mazara).
Contrade
Contrade agricole del territorio di Grisì:
- Contrada Strasatto (coltivazione di vigneti ed uliveti)
- Contrada Vigne grandi
- Contrada Cambuca/Cambuchella (prende il nome da antico toponimo Lacamucka/Lakamuka)
- Contrada Lavatore/Lavatorello
- Contrada Tornamira/Tornamilla (prende il nome dal barone Joannem Vincentium Tornamira).
- Contrada De sisa/Disisa (prende il nome dalla parola araba "Aziz" che significa "la splendida")
- Contrada Roano
- Contrada Vuarìa
- Contrada Terra delle fate
Bibliografia
- Bollettino Ecclesiastico dell'Arcidiocesi di Monreale (1912-N.2-3)
- Archivio storico Arcidiocesi di Monreale
- S. SALOMONE-MARINO, Leggende popolari siciliane, Palermo 1880, pp 111-117.
- G. COCCHIARA Genesi di leggende, Palermo 1941, pp 71-73.
- G. PITRE' Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, Palermo 1875, vol. 4, pp 87-88.