Abd al-Rahman ibn al-Ash'ath
ʿAbd al-Raḥmān al-Ashʿath (in arabo عبد الرحمن بن الأشعث?; ... – 704) è stato un funzionario arabo.
Esponente dell'"aristocrazia" islamica di Bassora, ʿAbd al-Raḥman al-Ashʿath fu Governatore di Rayy (Persia). Dopo la sua nomina però le relazioni tra il potente al-Ḥajjāj b. Yūsuf, Wali di Kufa dal 694, e l'ambiente basriota divennero sempre più tese e ostili: frutto di una strutturale ostilità dei siriano omayyadi nei confronti degli iracheni filo-alidi e che si esprimeva anche nella paga ridotta assegnata a questi ultimi che militavano nelle armate califfali rispetto al soldo assegnato alle fedeli truppe di élite siriane.
Nel 699 o nel 700, al-Ḥajjāj autorizzò Ibn al-Ashʿath a mettersi alla guida di un imponente esercito, le cui uniformi e le cui armi erano tanto belle e splendenti, oltre ad ospitare non pochi uomini appartenenti alla ricca società basriota,[1] da essere subito chiamato "Esercito del Pavone" (jaysh al-ṭawāwīs). Il fine era quello di sottomettere il principato dello Zabulistān (attuale Afghanistan), il cui signore, lo Zunbīl, resisteva con tenacia e abilità all'espansionismo arabo-musulmano.
Nel 700, durante quella campagna militare, Ibn al-Ashʿath e i suoi guerrieri iracheni si ribellarono però nel Sigistan ad al-Ḥajjāj e al califfo omayyade Abd al-Malik, probabilmente a causa delle snervanti e continue intromissioni del Wali di Kufa che, ad esempio, pretendeva che non vi fossero pause nelle sfiancanti azioni belliche, condotte in un ambiente particolarmente ostico e poco conosciuto.
sotto il comando di Ibn al-Ashʿath, tornarono in Iraq, dove sconfissero la sera del 25 gennaio 701 a Dujayl, presso Tustar, al-Ḥajjāj, costretto a fuggire verso Basra, e poco dopo l'esercito ribelle s'impadronì di Kufa.
La reazione omayyade non si fece attendere troppo e Ibn al-Ashʿath fu sconfitto nel 701 a Dayr al-Jamājim (aprile 701) e costretto a fuggire, cercando rifugio presso il suo avversario originario, lo Zunbīl.
Questi lo avrebbe ucciso per ingraziarsi il Califfo o, secondo un'altra versione, ʿAbd al-Rahman al-Ashath avrebbe preferito gettarsi dagli spalti del castello di Rukhkhayj, evitando di essere consegnato nelle spietate mani di al-Ḥajjāj.
Note
- ^ Ibn Kathir, al-Bidāya wa l-nihāya (a cura di Aḥmad Abū Mulḥim, ʿAlī Najīb ʿAṭawwī e ʿAlī ʿAbd al-Sāʾir), 8 voll., Beirut, Dār al-kutub al-ʿilmiyya, 1974, vol. VIII, p. 34.
Bibliografia
- G.R. Hawting, The First Dynasty of Islam: The Umayyad Caliphate AD 661–750 (2nd Edition) ___location = London and New York, Routledge, 2000, ISBN 0-415-24072-7.
- Hugh N. Kennedy, The Prophet and the Age of the Caliphates: The Islamic Near East from the 6th to the 11th Century, Londra, Longman, 1986, ISBN 0-582-40525-4.
- Lemma «Ibn al-Ashʿath» (Laura Veccia Vaglieri), in: The Encyclopedia of Islam, New Edition, Volume III: H–Iram, Leiden, and New York. E. J. Brill, 1986, pp. 715–719. isbn 90-04-08118-6
- Julius Wellhausen, The Arab Kingdom and Its Fall, Calcutta, University of Calcutta, 1927, OCLC 752790641.
- Claudio Lo Jacono, Storia del mondo islamico (VII-XVI secolo) I. Il Vicino Oriente, Torino, Einaudi, 2003, pp. 108–110
Voci correlate
Collegamenti esterni
- Articolo su Treccani.it, su treccani.it.