Fuoco greco
Fuoco greco (greco Υγρό Πυρ igró pyr), talvolta Fuoco bizantino, era l'espressione usata per indicare una miscela esplosiva usata dai bizantini per incendiare il naviglio avversario o tutto quello che poteva essere aggredito dal fuoco.

La formula della miscela che componeva il "fuoco greco" non ci è però ancora pervenuta, tanto essa era custodita gelosamente. Si ipotizza nondimeno che il "fuoco greco" - la cui invenzione si attribuisce a un Greco originario della città di Eliopolis (oggi Baalbek in Siria ), di nome Callinico - fosse una miscela di pece, zolfo e calce viva contenuta in un grande otre di pelle o di terracotta ( sìfones ) collegato ad un tubo di rame, montato sui dromoni bizantini, che veniva spruzzata con una semplice pressione del piede sulle imbarcazioni nemiche oppure catapultata con appositi strumenti sul naviglio nemico.
La caratteristica che rendeva temuti questi primitivi lanciafiamme era che il "fuoco greco" non poteva essere spento con l'acqua e di conseguenza le navi, realizzate in quel periodo in legno, coi comenti dello scafo impermeabilizzati tramite calafataggio e con velatura, sartie e drizze di fibre vegetali, anch'esse intrise di pece, erano destinate a sicura distruzione.
Fu grazie al "fuoco greco" che il secondo assedio degli Arabi musulmani (condotto fra il 674 e il 677) fallì ma anche in altre occasioni l'arma fornì servigi essenziali a Costantinopoli e ad altre città dell'Impero bizantino per sfuggire ai loro assedianti.
Bibliografia
- A cura di Cavallo, L'uomo bizantino, Roma, Edizioni Laterza, 2005.
Lev Prozorov - Kavazskii Rubezh,Moskva 2006 (pagg. 161-171)