Voce principale: Catania.

Nel XIX secolo, la Sicilia era il maggior produttore mondiale di zolfo e aveva il monopolio della fornitura in Europa[1]; dalla seconda metà del secolo Catania divenne il più importante centro siciliano di raffinazione e commercializzazione del minerale. La commercializzazione dello zolfo e dei suoi derivati permise alla città di cambiare volto e di industrializzarsi; i suoi stabilimenti divennero tra i più grandi e attrezzati del mondo[2].

Gli Archi della Marina all'inizio del Novecento

L'economia cittadina nel XIX secolo

Nel 1837 la città e il suo circondario erano state prostrate economicamente dall'epidemia di colera che aveva falcidiato anche le classi più in vista e le menti direttive della società catanese; anche le casse comunali e provinciali erano ridotte allo stremo. Le turbolenze del 1848 e del 1860 avevano lasciato segni profondi di disagio cui aveva fatto seguito il crollo del commercio, della produzione e la disoccupazione in massa anche come conseguenza della riduzione delle tariffe doganali decisa dal nuovo governo del Regno[3].

Grave era anche la situazione dei commerci interni anche a causa della mancanza di un sistema viario e ferroviario; gli zolfi delle aree di Assoro e di Valguarnera doveano essere ammassati mediante migliaia di carri a trazione animale nell'area di Raddusa donde poi altre migliaia di carri affrontavano il lungo e difficile viaggio per Catania traversando su chiatte il fiume Simeto alla "Barca dei Monaci"[4].

La città era una delle tre sedi di "Consolato della Seta" dell'Isola ma l'industria serica e la tessitura avevano già perso molti dei mercati precedenti; e se nel 1815 il numero di addetti alla lavorazione della seta a Catania era di circa ventimila[5] nel 1845 si diceva delle manifatture di cotone e di seta di Catania come di industrie "venute meno da alquanti anni in qua" a causa del protezionismo accordato ad esse "con un sistema doganale suggerito dal Colbertismo, non acconcio al caso" [6]. Alla fine del secolo il settore era ormai in crisi profonda.

Altra produzione del catanese era quella dei limoni, valutata in circa 20 mila casse (contro quella del messinese di 150.000); nel 1815, alla fine del blocco continentale, i limoni venivano imbarcati per Amburgo, Anversa, Amsterdam, Copenhagen, Pietroburgo, Danzica e (in misura minore) per Livorno, Trieste e Venezia[7].

La produzione di buona pasta di liquirizia, prodotto estratto a livello artigianale dalle radici dell'arbusto coltivato in varie parti della Sicilia, attraverso la cottura in grandi caldaie era appannaggio di Catania (la produzione di altre località era di qualità scadente o adulterata) e l' esportazione annua era valutava in circa diecimila cantari; la sua destinazione era l'Europa del nord e l'Inghilterra dove veniva impiegata come ingrediente nella fabbricazione della birra[8].

Scarsa era ancota la rilevanza dello zolfo nell'economia cittadina in quanto era più conveniente per le solfare del centro della Sicilia indirizzarlo verso i caricatori di Licata e Terranova[9]. Difficoltà incontrava anche l'industria chimica a Catania: la fabbrica di acido solforico impiantata da Giuseppe Mirone chiudeva i battenti nel 1838 per difficoltà di reperimento di apparecchiature di distillazione[10].

Nel 1855 Vincenzo Florio impiantava a Catania nell'area di Piazza dei Martiri un distilleria per produrre alcool dai fichidindia e dalle carrube, in società con alcuni investitori francesi; frutto della collaborazione con l'ambiente scientifico siciliano che aveva trovato il modo per ricavare un buon tenore di alcool impiegava una trentina di operai con produzione giornaliera tra 2.200 e 4.400 litri. L'attività tuttavia ebbe breve durata sia per la concorrenza che per le elevate tasse comunali[11].

In crescita era la produzione delle arance la cui destinazione estera maggiore erano gli Stati Uniti ma, se nel 1850 dai porti di Palermo e Messina partivano oltre 300.000 casse, dal Porto di Catania l'imbarco era poco più del 10% della produzione isolana e per l'Austria[12].

Ancora nei primi anni settanta del XIX secolo il sindaco di Catania, Tenerelli, finanziere e imprenditore del settore zolfifero, denunciava il ritardo con cui si procedeva nella costruzione della Ferrovia Palermo-Catania come motivo principale di paralisi dell'industria zolfifera catanese.[13]. Fu solo dopo l'apertura della linea ferrata fino a Villarosa (1876), realizzata in subappalto da Robert Trewhella, anch'egli importante imprenditore zolfifero del catanese, che lo zolfo poté giungere celermente alle raffinerie della città e al porto. Il trasporto per ferrovia, che abbatté da 33 a 20 lire (per tonnellata) il prezzo di trasporto dal centro isolano allo scalo catanese, fino al tempo operato per mezzo di carri da carico tirati da robusti cavalli[14]portò la città ad assumere un ruolo preminente nel settore[15]. La ferrovia attrasse verso Catania anche lo zolfo dell'area di Valguarnera, Castrogiovanni, Villarosa e Calascibetta che prima verteva su Licata ad un costo esorbitante di 50 lire per tonnellata[16], mutandone le gerarchie territoriali e mercantili a vantaggio degli imbarchi della costa orientale. Catania divenne il centro principale di smistamento dello zolfo. Se nel 1870 il prezioso minerale partiva per l'85% dai porti di Licata, Terranova e Porto Empedocle e solo il 12% da Catania nel 1885, grazie al trasporto ferroviario al porto catanese ne giungevano 133.000 t contro 103.000 t di Porto Empedocle e 58.000 t di Licata[17]. Nel corso dell'ultimo quarto di secolo l'area attorno alla stazione centrale e a nord del portosi riempì di depositi, magazzini di spedizione, raffinerie e forni di fusione in pani di zolfo, molini per riduzione in polvere, laboratori di produzione di acido solforico e di concimi e antiparassitari. L'imprenditoria del settore comprendeva operatori indigeni e stranieri trapiantati; gli stabilimenti di Alonzo, Consoli Marano, Fog, Sarauw e Trewhella davano occupazione a circa 2000 operai[18].

La prima industrializzazione

Lo stesso skyline della città di fine secolo era caratterizzato da una selva di capannoni e comignoli, tanto che alcuni arrivarono a paragonare Catania alla città inglese di Manchester. Inoltre, tramite lo zolfo la città iniziò ad esercitare un certo potere attrattivo sui territori limitrofi, specie per la provincia di Agrigento, Caltanissetta ed Enna, dove veniva estratta la materia prima. Uno spaccato parziale di quello che fu la Catania dello zolfo, si può ancora osservare in viale Africa intorno al centro espositivo "le Ciminiere". I prezzi dello zolfo estratto venivano scelti unilateralmente sfruttando il potere del monopolio sulla raffinazione, e quindi volutamente tenuti ai minimi. In questo modo si ottenne un duplice effetto favorevole: da un lato gli importanti profitti - che venivano ricavati anche grazie allo sfruttamento dei minatori (si vedano ad esempio alcune opere scritte da Luigi Pirandello, come Ciaula scopre la luna, e Giovanni Verga, come Rosso Malpelo) - dall'altro, un flusso continuo di mano d'opera a basso prezzo costituito dagli stessi minatori, che cercavano in città delle migliori condizioni di lavoro rispetto a quelle delle miniere. Le rendite della raffinazione affluivano copiose alla nobiltà cittadina, mentre larga parte della popolazione costituiva il proletariato operaio urbano, residente nei quartieri popolari (tipico fenomeno caratterizzante dei paesi industrializzati dell'Ottocento)

A partire dal primo dopoguerra, lo zolfo e la città stessa (che si presentava ancora economicamente arretrata) persero d'importanza. Conseguentemente, Catania fu segnata da una crisi economica - che culminò nei primi anni venti - e da una pesante contrazione demografica, aggravata dall'emergenza sanitaria dovuta alla tristemente famosa epidemia di "spagnola".

Negli anni trenta, (durante il regime fascista), Catania era una tranquilla cittadina di provincia ma con uno sviluppo incerto. Fu a partire dal secondo dopoguerra e specialmente negli anni sessanta che si ebbe un boom economico, demografico e sociale di notevoli dimensioni, soprattutto nel settore dell'edilizia privata.

La Milano del Sud

Lo sviluppo degli anni sessanta raggiunse un livello tale che Catania fu definita la "Milano del Sud". Tale vigorosa crescita economica era connessa all'espansione dell'edilizia in città, alle attività insediate nella zona industriale ma anche al settore agricolo in special modo quello della agrumicoltura nella vicina piana di Catania. La crescita economica provocò un copioso flusso migratorio dalla stessa provincia e da quelle vicine (in particolare da Enna, Caltanissetta, Siracusa e Ragusa), culminato nel 1971 quandò la popolazione superò i 400.000 residenti.

Lo sviluppo economico si intrecciò presto con gli interessi di particolari lobby affaristiche e permise alla mafia - che sino ad allora era rimasta praticamente ai margini della vita cittadina - di infiltrarsi nel tessuto sociale e produttivo con effetti che si sarebbero visti negli anni seguenti. A partire dagli anni settanta, infatti, iniziò una spietata guerra di mafia fra il clan dei Santapaola e quello dei Cursoti per il controllo del territorio. Questa faida ebbe il suo apice negli anni ottanta, quando nell'arco di un anno avvenivano anche più di cento omicidi. Testimone e poi vittima di quella mattanza fu, tra gli altri, il giornalista Pippo Fava.

Il boom dell'edilizia e i "cavalieri del lavoro"

L'economia cittadina alla fine degli anni settanta era in mano ai quattro cavalieri del lavoro Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Francesco Finocchiaro e Mario Rendo. Questi imprenditori gestivano grosse attività che vertevano principalmente nell'edilizia, e più in particolare, negli appalti pubblici in Sicilia, nel resto d'Italia (specie a Milano e a Roma), in Europa (sia ad ovest che nell'est "comunista") e persino nelle Americhe (Stati Uniti, Argentina e Brasile). Inoltre, i cavalieri affiancavano all'edilizia attività in diversi settori, fra cui il commercio (supermercati 3A), la televisione (Telecolor, Telejonica, Video 3), il turismo delle zone vicine (il complesso La Perla Jonica ad Acireale, il Lido dei Ciclopi ad Acitrezza, l'Hotel Timeo di Taormina), il credito (la Banca Agricola Etnea) e l'agricoltura, dilagando in diversi altri ambiti (erano anche presidenti di fondazioni benefiche e di ricerca) e vantando la fama di mecenati[19].

 
Giuseppe Fava

Il giornalista Giuseppe Fava, descrivendo l'intreccio di interessi economico-politico-mafiosi che vigeva in città, citò questi imprenditori come i "quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa". Proprio dei Cavalieri avrebbe parlato anche il pentito Antonino Calderone[20]. Nel 1984, Pippo Fava veniva assassinato e con lui scompariva l'unica importante voce[senza fonte] "contro" la mafia e quel particolare sistema, quando quasi tutti negavano il problema mafioso e descrivevano le faide adducendo a «questioni private» (non a caso, il quotidiano La Sicilia, fra le polemiche parlò molto banalmente di «questioni di natura privata» alla base dell'agguato mortale subito da Fava).

Sulle indagini che seguirono Antonino Drago (sottosegretario alla Pubblica Istruzione nell'ultimo governo Spadolini) disse: «bisogna chiudere presto le indagini, altrimenti i cavalieri se ne andranno»[senza fonte]. Ciò in quanto gli interessi economici che ruotavano attorno ai cavalieri coinvolgevano pesantesente il tessuto economico della città.

Permangono molte e divergenti interpretazioni riguardo ai Cavalieri. La magistratura italiana li assolse, ritenendoli vittime di quel sistema mafioso, dalla quale neanche loro seppero sfuggire.

L'affaire delle Ciminiere

Il sistema affaristico del cosiddetto "Caso Catania" proseguì praticamente indisturbato sino ai primi anni novanta, quando, a seguito dell'appalto per il centro fieristico le Ciminiere di viale Africa si sarebbe scoperto un losco giro di tangenti (nell'ordine di centinaia di miliardi di lire) pagate da Francesco Finocchiaro ai politici più in vista in città. Aperta una finestra e tolta la rete di protezione che favoriva quel sistema, gli altri tre gruppi (Costanzo, Rendo e Graci) caddero uno alla volta. Destino che toccò anche all'intera classe dirigente del tempo, travolta da altri scandali di quella che fu definita la "Tangentopoli catanese".

Le tangenti del Garibaldi

Negli anni novanta scoppiò un altro caso di tangenti, legato alla realizzazione del nuovo ospedale Garibaldi e che portò (oltre all'inchiesta sull'impresa aggiudicataria l'appalto) alla richiesta di autorizzazione d'arresto per il senatore Giuseppe Firrarello (poi respinta) e all'arresto di Nuccio Cusumano (sottosegretario di governo) e di Giuseppe Castiglione (vicepresidente della Regione Siciliana) con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e turbativa d'asta.

La prima gara era stata vinta proprio dalla "Fratelli Costanzo" ma revocata per eccesso di ribasso. L'opera venne quindi affidata ai nuovi appaltatori accusati di corruzione. Giuseppe Castiglione venne assolto in appello dall'accusa di associazione mafiosa, ma venne condannato comunque a dieci mesi per turbativa d'asta. Nuccio Cusumano venne invece assolto con formula piena solo nel 2007. Nell'aprile 2007 la prima sezione del tribunale di Catania ha condannato Firrarello a 2 anni di reclusione per corruzione e turbativa d'asta, riconoscendo invece il risarcimento dei danni morali e materiali all'impresa di costruzione del Cavaliere Carmelo Costanzo e all'ospedale Garibaldi.

La mafia oggi

Negli ultimi anni, la città sembra volersi ribellare dal cancro mafioso: in seguito al coraggioso atto di ribellione di un imprenditore catanese che ha denunciato il pizzo, molti altri hanno seguito l'esempio. La gente sta imparando che si può dire no alla mafia. E sempre sullo stesso fronte il comitato Addiopizzo Catania sta realizzando una rete commerciale pulita in cui il commerciante dichiara alla città di non pagare il pizzo e il consumatore lo sostiene con i suoi acquisti.[21] La lista dei commercianti che dichiarano di non essere collusi con la mafia è garantita da un'apposita commissione di garanzia ed è in costante crescita.

La cappa mafiosa, però non è ancora stata soppressa, e rappresenta comunque un freno all'economia che nonostante ciò va incredibilmente e coraggiosamente avanti. In particolare il clan dei Santapaola - uscito vincente dalla faida mafiosa degli anni ottanta - gestisce il potere criminale in città (in alcuni casi collaborando con altri piccoli clan). Tuttavia la politica della mafia è cambiata: non più omicidi, attentati e stragi o altre mosse che possano attirare potentemente l'attenzione dello Stato o dei media, ma un controllo subdolo e capillare del territorio tramite le intimidazioni, gli intrecci con le istituzioni e la politica locali e l'uso della cosiddetta "zona grigia", ovvero la collaborazione cosciente o incosciente di cittadini impauriti ed omertosi. Comunque da diverse ricerche statistiche si è notato come il fenomeno mafioso a Catania sia in declino e non più forte come una volta contro un'imprenditorialità (anche straniera) sempre più coraggiosa ed intraprendente.

L'economia catanese oggi

Oggi Catania si presenta come una città economicamente vivace e dinamica.[senza fonte] Il tessuto economico della città appare vitale in settori come quello della medio-piccola industria, del commercio, dei servizi e del turismo, anche se attualmente è trainante il settore della produzione tecnologica (con la STMicroelectronics), chimica e farmaceutica. Molto sviluppato anche il settore dei mass media e delle telecomunicazioni. La città è infatti sede di diverse emittenti televisive regionali come Antenna Sicilia, e del quotidiano La Sicilia (il secondo quotidiano della Sicilia, dopo il Giornale di Sicilia).

I poli economici

 
Il centro commerciale Etnapolis

La città dispone di numerosi poli di attività economica orbitanti nella sua area metropolitana, come l'area industriale, commerciale e artigianale di Misterbianco; il centro commerciale Etnapolis in zona Valcorrente (Belpasso); più vari altri centri commerciali dislocati sul territorio, tra i quali i principali sono Le Zagare e I Portali a San Giovanni La Punta ed i più recenti Porte di Catania e Centro Sicilia, rispettivamente dislocati in zona Zia Lisa-Gelso Bianco il primo e in zona San Giorgio il secondo[è invece in territorio di Misterbianco]. L'agglomerato industriale e commerciale di Piano Tavola spazia dalla produzione elettromeccanica a quella alimentare. Le attività industriali più importanti sono invece concentrate a sud della città, nella zona industriale di Pantano d'Arci, costituita nell'immediato dopoguerra, dove ha sede anche il polo tecnologico (definito da alcuni Etna Valley per alcune affinità con la più ben nota Silicon Valley americana)[quali?], che ospita aziende operanti nei settori farmaceutico, elettronico, informatico, agro-alimentare e meccanico, con alcuni punti d'eccellenza. Fra le più importanti si ricordano STMicroelectronics, Nokia, Vodafone, IBM, Alcatel, Nortel, Berna, Coca-Cola e Wyeth che dal 2010 è diventato Pfizer.[22] Attorno a queste grandi aziende è sorto un indotto di oltre 1.500 micro aziende che producono i semilavorati necessitanti per le varie produzioni. Tutto questo complesso omogeneo di aziende ha dato lavoro a circa 5.000 giovani laureati e diplomati catanesi.

Nella zona industriale si trova anche un "incubatore d'imprese" (Business Innovation Center - BIC, controllata da Sviluppo Italia), che svolge la funzione di consulenza e supporto alle iniziative economiche, ed accoglie diverse iniziative imprenditoriali. Al BIC si affiancano - e in alcuni casi vengono a sovrapporsi - altre agenzie pubbliche come il bureau InvestiaCatania, altra agenzia di sviluppo finanziata questa volta dal Comune.

Sempre nella parte sud della città ha sede il Centro Commerciale all'Ingrosso della città di Catania e il mercato ortofrutticolo di San Giuseppe La Rena. Il settore agricolo appare in genere in declino a causa della diminuzione delle rendite agricole e della concorrenza dei produttori esteri.

Il centro città ha invece funzione prevalentemente burocratica, direzionale, amministrativa e commerciale.

Nel 2011 è stato infine inaugurato il primo centro commerciale IKEA in Sicilia.

Trasporti

Il 27 giugno 1999 fu inaugurata la metropolitana di Catania. Gestita dalla Ferrovia Circumetnea, collega il capoluogo etneo con i centri dell'hinterland e della fascia pedemontana, anche tramite un servizio ferroviario di superficie.

Il progetto di ammodernamento della ferrovia in fase di attuazione prevede l'istituzione di un servizio a carattere metropolitano fino ad Adrano e la costruzione di una linea che raggiungerà lo scalo aeroportuale di Fontanarossa.

Il 5 maggio 2007 venne inaugurata la nuova aerostazione dell'aeroporto di Catania-Fontanarossa[23]) intitolata al musicista catanese Vincenzo Bellini; un progetto in corso prevede anche la ristrutturazione di quella vecchia.

Note

Bibliografia

  • Giuseppe Giarrizzo, Catania, Bari, Editori Laterza, 1986, ISBN 88-420-2786-3.
  • Denis Mack Smith, Storia della Sicilia medioevale e moderna, vol. 3, Bari, Editori Laterza, 1976.
  • Giuseppe Barone, Le vie del Mezzogiorno, Donzelli, pp. 133-138.
  • Luigi Costanzo Catalano, Sulle strade ruotabili da Catania a Caltanissetta e le ferrovie sino a Palermo, Catania, La fenice, tipografia di Musumeci, 1862.
  • Orazio Cangila, Storia dell'industria in Sicilia, Bari, Editori Laterza, 1995, ISBN 88-420-4609-4.
  • A. Aniante, Figlio del sole, Milano, 1965.
  • Giambattista Scidà, Il caso Catania, supplemento telematico a i Cordai, Reg. Trib. Catania, 6/10/2006, nº 26, febbraio 2011.
  • Giuseppe Giustolisi e Marco Travaglio, Arrivano i catanesi, da Micromega, 3/2006.(Link non funzionante)

Voci correlate

Collegamenti esterni