Fortilizio dei mulini
Il fortilizio dei Mulini, sullo sfondo la Rocca
StatoItalia (bandiera) Italia
Città Spoleto
Coordinate42°43′56.4″N 12°44′42.7″E
Informazioni generali
Condizione attualerudere fatiscente
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Il fortilizio dei mulini è un impervio edificio turrito situato a Spoleto, all'estremità verso Monteluco del Ponte delle Torri. Da qui partono il Giro dei condotti e altri sentieri verso la montagna spoletina. Seppur ridotto a rudere fatiscente, fa parte del panorama più famoso e caratteristico della città.

Funzioni

La funzione prevalente del fortilizio era di vigilanza: una torre di avvistamento che sorvegliava la strada sopra il ponte, facile da battere e bersagliare dall'alto. All'altro estremo la vigilanza veniva garantita dalla possente fortezza, la Rocca Albornoziana. Il perfetto allineamento fra questa e il fortilizio, consentiva di comunicare facilmente eventuali pericoli attraverso segnali di fumo, o di fuoco, o sbandieramenti.

Un'altra importante funzione era quella di mulino per il grano. Il fortilizio infatti rappresentava il punto di confluenza di due acquedotti, quello di Cortaccione e quello proveniente da Patrico. Prima di percorrere il canale sopra il ponte, l'acqua si riversava in ampi contenitori al suo interno adattato fin dal XIV secolo a svolgere funzione di serbatoio, denominato la Rifolta. Confluendo dentro la Rifolta, le acque con la loro caduta azionavano le macine di due mulini comunali, uno dei quali rimase in attività fino a fine ottocento; venne abbandonato dopo la costruzione del nuovo acquedotto di Spoleto nel 1894.

 
Fortilizio dei mulini
 
Fortilizio dei mulini
 
Il fortilizio in un'antica foto

Altri vecchi acquedotti meridionali continuarono a riversarsi nella Rifolta, ma la discesa delle loro acque, non dovendo più alimentare il mulino, divenne un suggestivo insieme di cascatelle.

Storia

Non si conosce l'esatto anno di costruzione; probabilmente esisteva già una fortificazione a difesa del precedente ponte/acquedotto di origini romane. Forse venne eretto, o solamente consolidato, in epoca tardo medievale, nel periodo in cui il cardinale Albornoz intraprese importanti iniziative edilizie a Spoleto, come la costruzione della Rocca sul colle sant'Elia e la sistemazione dell'antico ponte romano, alzato e ingrandito come lo vediamo oggi; forse anche il fortilizio, come le altre opere, fu affidato all'ingegno dell'architetto Matteo Gattaponi.

Il primo cenno dell'edificio si trova in un testo del 1572 dedicato alle biografie di Braccio Fortebraccio e di Nicolo Piccinino Perugino. Gli autori descrivono il tentativo, da parte di Fortebraccio, di impadronirsi della Rocca nell'aprile 1419[1]; egli cercò prima di espugnare il fortilizio in incognito, come semplice gregario di una schiera di armati:

«[...] ai monti vicini dalla Rocca si passa per un ponte fondato sopra molte pilastre, e tanto alto ch'abbaglia la vista di chi rimira à basso, nella fin del ponte surge à mezzo del monte una Torre alta e gagliarda, acciocché quei di dentro, facendosi qualche tumulto dal popolo contro la Rocca, possano ricevere il soccorso da fuori, e i nemici non possano occupare il ponte, guardato dalla Torre [...] Braccio presa che hebbe la Torre, cercando di occupare il ponte, del quale havea già libera l'entrata, combatteva anch'egli coperto da uno scudo [...] mentre egli così combatteva, una freccia tirata dalla Rocca gli trapassò un piede...[2]»

Il condottiero dovette ritirarsi e rimase zoppo per sempre. Altri tentativi disposti dalle sue truppe contro la Rocca non ebbero fortuna alcuna. Il controllo del Ponte sia da oriente sia da occidente si mostrò efficace, come ingegnosamente progettato dal Gattaponi.

Indicato come "lu mulinu a botte"[3], l'esistenza del fortilizio si legge anche negli annali di Parruccio Zampolini (1305-1424).

Fu abbandonato una prima volta nel XVI secolo a causa di lunghi litigi fra il Comune e il mugnaio. Solo nel 1601 venne restaurato e rimesso in funzione per volontà di Fabrizio Perugini vescovo di Terracina, luogotenente a Spoleto del cardinale Cinzio Aldobrandini. L'evento viene ricordato da una lapide posta da allora nella facciata meridionale del palazzo comunale.

All'inizio del settecento i mulini erano due, uno superiore all'altro, ed erano gestiti per conto del Comune che ne ricavava un buon reddito; venivano sorvegliati da uno dei deputati degli acquedotti, compito al quale si avvicendarono Pier Biagio Fontana e il conte Paolo Campello[4].

Ai primi del novecento l'edificio venne del tutto abbandonato e iniziò la sua decadenza.

Trasformazioni

Nei secoli l'edificio ha subito numerosi interventi che ne hanno cambiato destinazione d'uso e significato, come si evince dal confronto di stampe, incisioni e foto di varie epoche. Tra i cambiamenti più appariscenti la tamponatura di un alto arco verso il Ponte delle Torri e la sua conseguente riduzione a semplice finestra. E ancora la chiusura di alcuni spazi, il consolidamento di tutta la struttura, lo spostamento dell'ingresso da nord a sud con l'aggiunta della facciata verso il sentiero chiamato corta di Monteluco, facciata che venne realizzata con pietra sponga e fu corredata da due fonti simmetriche; sopra l'ingresso principale campeggiava una scritta incisa su pietra, ormai distrutta: "Custode del serbatoio dell'acqua potabile".

Note

  1. ^ Carlo Bandini, La rocca di Spoleto, Spoleto, Tipografia dell'Umbria, 1933, p. 82.
  2. ^ Gio. Antonio Campano e Giovanbattista Poggio Fiorentino, L'Historie et vite di Braccio Fortebracci detto da Montone, et di Nicolo Piccinino Perugino, su books.google.it, tradotto in volgare da M. Pompeo Pellino Perugino, Venezia, 1572, p. 86. URL consultato il 17 febbraio 2016.
  3. ^ Parruccio Zampolini, Frammenti degli annali di Spoleto di Parruccio Zampolini dal 1305 al 1424 (PDF), in Achille Sansi (a cura di), Memorie umbre - Documenti storici inediti, p. 22. URL consultato il 13 febbraio 2016.
  4. ^ Carlo Bandini, Il fonte e gli acquedotti, in Monte Luco, con prefazione di Ugo Ojetti, Spoleto, Claudio Argentieri Editore, 1922, p. 72.

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