Nave dei veleni

espressione giornalistico-saggistica per indicare un'imbarcazione carica di sostanze nocive

Le navi dei veleni sono, nella cultura di lingua italiana, tutte le navi affondate durante un periodo di alcune decine di anni nelle acque di norma vicine all'Italia, o come in alcuni casi arenate, con il loro carico di rifiuti tossici di varia provenienza per consentirne uno smaltimento illegale e altamente pericoloso per l'ecosistema e per l'uomo.

Queste navi hanno consentito guadagni grandissimi alla criminalità organizzata (mafia, 'ndrangheta e camorra ma non solo) che ne ha organizzato e gestito il carico e l'affondamento. In alcuni casi persone collegate agli eventi per le loro indagini in merito sono state uccise; i casi più noti sono quelli della giornalista Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin e di Natale De Grazia, un ufficiale della Capitaneria di porto morto in circostanze misteriose mentre era in viaggo verso Roma per vicende collegate alla Jolly Rosso.

Il periodo, secondo una indagine di Legambiente, è durato almeno dal 1979 al 2000[1]. Nel 2010 è stata promossa anche una commissione di inchiesta sulla tematica[2], che implica per l'ecomafia un giro di affari per migliaia di milioni di euro.

Anche alcuni pescherecci italiani sono andati persi, in due casi (Messalina e Arcobaleno) perché speronati da navi sorprese a sversare il loro carico in mare, ed in uno (Orca Marina) probabilmente per aver preso con le reti a strascico un container di rifiuti tossici abbandonato da un mercantile[1].

Personaggi coinvolti

Note

Bibliografia

Collegamenti esterni