Intelligenza collettiva
L'intelligenza collettiva è un concetto diffuso dallo studioso francese Pierre Levy a cui ha dedicato il libro del 1994 L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio.[1] Nel saggio Levy ripercorre le riflessioni e le indagini che egli ha condotto a partire dai primi anni ’90 presso il centro di ricerca sull’intelligenza collettiva dell’Università di Ottawa. Sebbene il termine sia stato definito per la prima volta da Douglas C. Engelbart nel 1962 in un articolo dal titolo Augmenting Human Intellect.A Conceptual Framework[2], Pierre Levy è colui che maggiormente ha approfondito e studiato le potenzialità di questa capacità umana, contribuendo alla sua divulgazione in ambito sociologico.
Secondo il filosofo francese, la diffusione delle tecniche di comunicazione su supporto digitale ha permesso la nascita di nuove modalità di legame sociale, non più fondate su appartenenze territoriali, relazioni istituzionali, o rapporti di potere, ma sul radunarsi intorno a centri d’interesse comuni, sul gioco, sulla condivisione del sapere, sull’apprendimento cooperativo, su processi aperti di collaborazione. Questo fenomeno dà vita all’idea di “intelligenza collettiva”, ossia una forma di intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta ad una mobilitazione effettiva delle competenze. Piuttosto che appiattire l’individuo all’interno di una collettività massificata e uniformante, questo sapere distribuito determina un vero e proprio processo di emancipazione e civilizzazione, poiché pone ogni persona al servizio della comunità, da una parte permettendogli di esprimersi continuamente e liberamente, dall’altra dandogli la possibilità di fare appello alle risorse intellettuali e all'insieme delle qualità umane della comunità stessa. Gli assiomi di partenza dell'argomentazione di Lévy sono che il sapere è sempre diffuso - "nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa" - e che "la totalità del sapere risiede nell'umanità". Tutta l'esperienza del mondo, quindi, coincide con ciò che le persone condividono e non esiste alcuna riserva di conoscenza trascendente.
Origini del concetto
Una concezione meno antropocentrica che emerge in alcuni studi di biologia e sociobiologia è l'ipotesi che un gran numero di unità (per esempio le api di un alveare) possano cooperare tanto strettamente da divenire indistinguibili da un singolo organismo,[3][4] raggiungendo un unico livello di attenzione che costituisce un'adeguata soglia di azione.
Fra i primi autori che hanno fatto esplicito riferimento all'idea di una intelligenza collettiva nel senso generale esposto sopra (pur usando altre espressioni o definizioni) si possono citare H. G. Wells con il saggio World Brain, Pierre Teilhard de Chardin con il concetto di noosfera, Herbert Spencer con il trattato Principi di sociologia[5]. Fra gli autori più moderni si possono invece citare Pierre Levy con il libro Intelligenza collettiva, Howard Bloom con Global Brain[6] e Howard Rheingold con Smart Mobs[7]. L'intelligenza collettiva, così come descritta da Tom Atlee, Douglas Engelbart, Cliff Joslyn, Ron Dembo ed altri teorici, è un particolare modo di funzionamento dell'intelligenza che supera tanto il pensiero di gruppo (e le relative tendenze al conformismo) quanto la cognizione individuale, permettendo a una comunità di cooperare mantenendo prestazioni intellettuali affidabili. In questo senso, essa è un metodo efficace di formazione del consenso e potrebbe essere considerata come oggetto di studio della sociologia.
Un altro pioniere dell'intelligenza collettiva è stato George Pór, autore nel 1995 di The Quest for Cognitive Intelligence. Egli ha definito questo fenomeno come "la capacità di una comunità umana di evolvere verso una capacità superiore di risolvere problemi, di pensiero e di integrazione attraverso la collaborazione e l'innovazione".
Intelligenza collettiva e comportamento emergente
Il concetto di intelligenza collettiva può essere studiato come esempio particolare di manifestazione di comportamento emergente che ha luogo in particolari sistemi dinamici non lineari (come ad esempio gli stormi di uccelli o i sistemi frattali). In sistemi di questo genere le parti atomiche che rappresentano gli elementi primitivi e costitutivi dell'insieme, prese a sé stanti, possiedono proprietà e funzionalità che le contraddistinguono in maniera univoca e lineare. Ma nel momento in cui un numero elevato di questi elementi primitivi si aggregano in modo tale da formare un sistema e raggiungono una soglia critica, per effetto delle relazioni che si stabiliscono fra di essi, cominciano a manifestarsi nell'aggregato complessivo delle proprietà e dei comportamenti spesso di tipo non lineare, di cui non si aveva traccia negli elementi atomici e che denotano quindi il cosiddetto comportamento emergente. Si ha un comportamento emergente, quindi, ogni qualvolta uno schema o una configurazione di alto livello si origina a partire dalle migliaia di interazioni semplici che avvengono tra agenti locali. L’emergenza, in tal modo, è una proprietà che non può essere ritrovata nelle componenti individuali di un sistema, in quanto si genera esclusivamente grazie all’interazione delle sue parti.
Secondo questa prospettiva, dunque, la complessità di un sistema emerge dall'interazione delle parti che lo compongono. Un primo esempio di sviluppo e auto-organizzazione lo ritroviamo nel Gioco della Vita o A-Life sviluppato dal matematico John Horton Conway: una simulazione che mostra come schemi complessi possono emergere dall'implementazione di regole molto semplici.
Steven Johnson parla di sistemi emergenti considerando i meccanismi di auto-organizzazione bottom-up, ovvero dal basso verso l'alto, ponendo l'attenzione sulle connessioni[8]. Presi singolarmente, una formica o un neurone non sono particolarmente intelligenti. Tuttavia se un numero abbastanza elevato di elementi così semplici interagisce e si auto-organizza, può attivarsi un comportamento collettivo unitario, complesso e intelligente, definito anche swarm intelligence. Se questo comportamento ha anche un valore adattativo, ci troviamo di fronte ad un fenomeno "emergente" come una colonia di formiche o il nostro cervello. Steven Johnson fa l’esempio delle colonie di formiche studiate da Deborah Gordon, le quali presentano alcuni dei comportamenti tipici dei sistemi bottom-up. Le formiche, cioè, non possiedono veri e propri capi e la stessa idea di formica regina è fuorviante: esse seguono piuttosto la logica di sciame. Johnson ha indicato cinque principi alla base della formazione della macrointelligenza: a) la quantità, nella quale si disperde l’errore e avviene il massimo della cooperazione; b) l’ignoranza individuale, che mantiene in equilibrio il sistema; C) gli incontri casuali, che rendono il sistema dinamico quanto basta; d) le configurazioni dei segnali; d) l’osservazione dei vicini. Secondo lo studioso americano Howard Bloom, qualsiasi sistema mostri un comportamento intelligente - dalle coloni batteriche alle società umane - può essere spiegato nei termini sia di sistema complesso adattivo generato dal computer e algoritmo genetico, due concetti elaborati dallo studioso John Henry Holland.
Nell’ambito dell’intelligenza artificiale e della robotica, il concetto di swarm intelligence – una intelligenza emergente collettiva di un gruppo di agenti semplici – ha offerto un modo alternativo di progettare i sistemi “intelligenti”, nei quali l’autonomia, l’emergenza e le funzioni distribuite sostituiscono il controllo, la programmazione, e la centralizzazione.
L'intelligenza collettiva può essere interpretata, alla luce di queste riflessioni, come appunto un aggregato sistematico di intelligenze individuali, le cui relazioni reciproche e la cui collaborazione producono effetti massivi a livello culturale, sociologico, politico e antropologico di tipo emergente e difficili da studiare con i criteri applicati sui singoli individui che ne fanno parte. Kevin Kelly, a tal proposito, parla di una sorta di mente globale che emerge da una integrazione tecno-culturale di rete. La mente globale nasce dall'unione tra cervelli umani e congegni capaci di autogoverno e di autoreplicazione[9].
Esempi di applicazione
Nell’arco di questi ultimi decennio la discussione sull’intelligenza collettiva si è andata ad intrecciare con altre questioni a essa legate, come la politica e il settore dell’organizzazione, la gestione dei processi decisionali, i meccanismi dell’apprendimento, l’intelligenza artificiale, lo sviluppo di Internet. In campo economico, ad esempio, è stato coniato il termine di capitale organizzativo per riferirsi a un patrimonio di competenze, conoscenze e relazioni che esistono al di là dei singoli individui che compongono l’organizzazione, come un’impresa (i brevetti), una squadra di calcio (il collettivo, lo spogliatoio), un partito (le idee condivise).
Nell’ambito della politica, i partiti possono essere considerati esempi di intelligenza collettiva, poiché mobilitano grandi numeri di persone per governare, scegliere candidati, finanziare e condurre campagne elettorali. Eserciti, sindacati e aziende, pur focalizzandosi su preoccupazioni più limitate, possono soddisfare alcune definizioni di intelligenza collettiva genuina, sebbene le definizioni più rigorose richiederebbero una capacità di rispondere a condizioni arbitrarie senza dover sottostare ad ordini o ad una guida da parte di una specifica “legge” o di “clienti” che ne limiterebbero fortemente l'azione. Un interessante propositore di questa visione rigorosa è Al Gore, il candidato democratico alla presidenza degli USA nel 2000, che fece notare come lo scopo della nazione doveva essere quello di scatenare l’intelligenza collettiva così come il mercato aveva scatenato la produttività collettiva.[10]
Un altro esempio di tale visione politica lo ritroviamo espresso nei Quattro Pilastri del Partito Verde che costituiscono le fondamenta di un processo di consenso per la formazione delle politiche del partito verde o di movimenti alleati. Ciò si è rivelato di grande successo nell'organizzare i Global Greens, per partecipare ad elezioni assieme a partiti più radicati che si appellano a gruppi di interesse.
Uno dei più famosi esempi di applicazione politica del concetto di intelligenza collettiva è il Global Futures Collective Intelligence System (GFIS) creato da The Millennium Project nel 2012. Esso permette di partecipare e avere accesso a tutte le risorse del The Millenium Project, una rete internazionale di ricerca sul futuro con circa 60 “nodi” sparsi nel mondo. Acquistando un abbonamento, è possibile interagire con tutti i nodi del sistema, proporre suggerimenti, avviare discussioni con esperti di tutto il mondo, avere accesso ad informazioni. Il testo utilizza le traduzioni di Google in 52 lingue.
Un'altra applicazione dell’Intelligenza Collettiva è la piattaforma UNUM, sviluppata da Louis Rosenger, considerato un pioniere negli studi sulla realtà aumentata e fondatore della società californiana Immersion Corp. Si tratta di una piattaforma che permette a gruppi di utenti collegati in rete - chiamati anche “sciami umani” - di rispondere in modo collettivo e in tempo reale a determinate questioni, prendere decisioni o risolvere dilemmi all’interno di sistemi dinamici unificati, in pochi secondi. Modellata sull’esempio degli sciami biologici, la piattaforma UNUM consente a gruppi online di lavorare in sincronia in tempo reale, esplorando in modo collaborativo i processi decisionali e convergendo sulle soluzioni migliori in pochi secondi. [11] I ricercatori dell’intelligenza artificiale si sono ispirati ad uccelli e api per realizzare un sistema che permetta ai partecipanti umani di comportarsi come una vera e propria intelligenza collettiva unificata, realizzando previsioni su eventi come gli Academy Awards, il Super Bowl e le finali NBA. [12] [13]
Nel 2011 nasce all'Università di Bologna il progetto Comuni-Chiamo che utilizza l'intelligenza collettiva (più precisamente la "saggezza della folla") al fine di ottimizzare le decisioni degli enti locali.
Il MIT Center for Collective Intelligence ha invece svolto una ricerca sul fattore C e sul numero minimo di persone necessario perché un gruppo sviluppi intelligenza collettiva. Massimizzare tale numero sembra essere spesso l’obiettivo di qualsiasi organizzazione, sebbene vi siano caratteristiche strutturali addirittura più importanti, come il tasso di crescita e attrattiva per i membri, l’uguaglianza tra essi, la densità interna ai confini, l’orientamento all’obiettivo e la frequenza delle interazioni. E’ stato inoltre dimostrato come le compagnie abbiano recentemente preferito limitare il potenziale, chiudendo e controllando l’accesso, per ottenere risultati migliori da iniziative completamente guidate dalla collettività. [14]
Nell’ambito delle dinamiche di apprendimento, l’intelligenza collettiva trova una sua applicazione nei Learned generated context. I learned generated context possono essere descritti come ambienti di apprendimento in cui un gruppo di utenti in maniera collaborativa organizza tutte le risorse a disposizione per creare un ambiente di apprendimento che soddisfi le proprie esigenze. I LGC rappresentano quindi comunità ideali che facilitano il coordinamento dell’azione collettiva all’interno di un ambiente di fiducia spesso mediato dalle nuove tecnologie. In tal senso condividono obiettivi e finalità molto simili ad altri fenomeni come i contenuti generati dagli utenti (UGC), le risorse didattiche aperte (OER), i sistemi di apprendimento distribuito e le comunità di pratica. [15]
Un esempio di LGC è offerto da Wikipedia, in cui gli utenti collaborano unendo le loro conoscenze in uno spazio di intelligenza condivisa. Tale sistema enciclopedico universale si fonda sulla collaborazione collettiva per la copertura completa e il più accurata possibile di qualsiasi branca dello scibile umano, obiettivo difficilmente realizzabile per un singolo individuo.[16]
In ambito di comunicazione e pubblicità un esempio di applicazione del concetto di intelligenza collettiva è offerto dal fenomeno del crowdsourcing, ossia una modalità di business attraverso la quale le aziende o le istituzioni affidano ad un insieme distribuito di persone - la "crowd" (folla), di solito riunita in comunità online o attorno ad un’apposita piattaforma web - la risoluzione di problemi, lo sviluppo di progetti o di attività riguardanti l’azienda stessa. La comunità si scambia idee, opinioni, pareri, discute e fornisce una serie di soluzioni, che vengono valutate, modificate, migliorate dal gruppo stesso, finché non si giunge ad un risultato condiviso, che viene poi proposto all'istituzione o all'individuo che ha inizialmente sottoposto il problema.
Imprese e istituzioni online utilizzano l’intelligenza collettiva per superare alcune caratteristiche del marketing tradizionale. Pur essendoci una mancanza di letteratura adeguata su questo argomento, quella esistente dimostra come imprese del Web 2.0 quali Google o Flickr si differenzino per capacità competitiva grazie alla predominanza dii una logica di ragnatela che connette gli utenti e che fa decadere qualsiasi possibile gerarchizzazione dall'alto, garantendo una maggiore capacità di innovazione, complementarietà ed efficienza.[17] Uno sbocco estremamente promettente per le aziende è il collaborative marketing, che riguarda la creazione di comunità strutturate di utenti, aperte o chiuse, controllate e gestite che lavorano, anche inconsapevolmente, alla definizione delle caratteristiche di un nuovo progetto o anche alla costruzione della reputazione di un marchio o di un prodotto.
Intelligenza collettiva e nuovi media
I nuovi media sono spesso associati alla promozione e alla valorizzazione dell'intelligenza collettiva. La loro capacità di archiviare e recuperare facilmente le informazioni, prevalentemente attraverso banche dati e Internet, consente loro di essere condivise senza difficoltà. Così, attraverso l'interazione con i nuovi media, la conoscenza si raggiunge facilmente passando da una fonte all’altra e dando vita a forme di intelligenza collettiva.
A partire dalla riflessione di Levy, Derrick De Kerckhove ha sviluppato la teoria dell’intelligenza connettiva per sottolineare soprattutto l’importanza della connessione, del collegamento, della messa in relazione delle intelligenze: mentre l’intelligenza collettiva rappresenta una aspirazione di stampo umanistico dall’ampio respiro, l’intelligenza connettiva fa maggior riferimento alla “pratica concreta” della moltiplicazione” delle intelligenze, favorita appunto dalla connessione. Ma, al di là delle differenze, quello che accomuna i due concetti riguarda la constatazione che l'epoca della rete consente una diversa e produttiva mobilitazione delle singole competenze che permette agli esseri umani di interagire e di condividere e collaborare con facilità e velocità (Flew 2008). Clay Shirky, noto studioso dei fenomeni della rete, ha sostenuto che grazie all'innovazione tecnologica, gran parte delle barriere che limitavano l’azione di gruppo è crollata, e senza questi ostacoli le persone sono maggiormente libere di esplorare nuovi modi di aggregarsi e di portare a termine compiti complessi, al di fuori del contesto tradizionale delle istituzioni e delle organizzazioni.
Queste possibilità neo-organizzative di condivisione, collaborazione e ed azione collettiva hanno dato vita a fenomeni come quello degli Smart mobs. Termine coniato da Howard Rheingold, gli smart mobs o folle intelligenti sono raggruppamenti di persone che grazie alla rapidità di comunicazione permessa dai dispositivi wi-fi, riescono a coordinarsi in assenza di leader verso obiettivi unitari, come azioni di protesta o performance ludiche (i Flash Mob); secondo Rheingold, esse possono costituire un nuovo soggetto del cambiamento politico, come dimostrano i casi dei movimenti acefali anti-globalizzazione o del gruppo di attivisti anti-censura che si riconosce sotto il nome di massa Anonymous[18].
Il teorico dei media Henry Jenkins ha elaborato il suo concetto di cultura convergente proprio a partire dalla teoria dell'intelligenza collettiva. Secondo lo studioso americano, l'intelligenza collettiva che si afferma nel cyberspazio sta portando alla nascita di culture partecipative che sono l'opposto di quelle del consumo dei media in quanto strutturano nuovi ruoli di produzione della conoscenza che valorizzano i contenuti prodotti amatorialmente e quelli di nicchia, la messa in comune di esperienze, la creazione di legami di vicinanza e prossimità[19]. All'interno di un ambiente in cui i linguaggi di massa dei media mainstream entrano in risonanza con pratiche individuali e collettive, l'intelligenza collettiva diventa una risorsa alternativa al potere dei media e delle strutture istituzionali della conoscenza. Jenkins osserva, ad esempio, il modo in cui le persone partecipano ai processi di apprendimento che avvengono al di fuori delle strutture educative formali. Mentre tali processi si avvalgono di logiche collaborative, le scuole tradizionali sembrano ancora promuovere vecchi modelli basati esclusivamente sull'apprendimento individuale guidato dall'alto. Riprendendo il pensiero di Levy, Jenkins sostiene che l'intelligenza collettiva è importante per la democratizzazione, la condivisione collettiva delle idee, le forme di apprendimento cooperativo e, in generale, una migliore comprensione della nostra società.
David Weingerber sostiene che l’enorme e potenzialmente illimitata massa di opinioni connesse in rete costituisce quella lui chiama l’expertise delle nuvole. La Rete, ampia, aperta e trasparente, consente una nuova forma di competenza nebulizzata che corrisponde bene al concetto di intelligenza collettiva. Come afferma l'autore nel suo libro La stanza intelligente, in un mondo collegato in rete la conoscenza non vive nei libri o nelle teste ma nella rete stessa. Internet piuttosto consente ai gruppi di sviluppare idee meglio di quanto possa farlo ogni individuo; questo sposta la conoscenza dalla testa dei singoli all’interconnessione del gruppo.
Intelligenza collettiva e Web 2.0
I principi di collaborazione, condivisione, interazione sociale, culturale e professionale che caratterizzano l'architettura del Web 2.0 sono ispirati alla teoria dell'intelligenza collettiva, secondo cui sono gli utenti a creare valore, intrecciando reti e collaborazioni in maniera spontanea. Fenomeni come blog, wiki, filesharing, feed RSS possono essere considerati tutti esempi di una intelligenza collettiva che emerge in presenza di una massa critica di individui che partecipano a un processo che permette loro di agire da filtro, scegliere i contenuti qualitativamente più pertinenti, promuovere lo sviluppo di sistemi di reputazione e valorizzazione delle risorse più valide attraverso link, segnalazioni e recensioni su motori di ricerca, condivisione delle proprie esperienze su weblog o forum di discussione. Le piattaforme della rete diventano così comunità di pratiche fondate su meccanismi di trasparenza e fiducia online[20].. Uno degli esempi più significativi di partecipazione e collaborazione che stanno alla base del web 2.0 è Wikipedia. L'applicazione delle teorie dell'intelligenza collettiva su Wikipedia è legato non solo alla cultura partecipativa che muove gli utenti alla pubblicazione e all'editing di contenuti in maniera collaborativa, ma all'uso di standard aperti e open source come wiki.
Altre applicazioni del Web 2.0 che usano l'intelligenza collettiva sono tutti quei sistemi che si fondano sul principio della folksonomy, ossia utilizzano l'input degli utenti per categorizzare dei contenuti superando la rigidità delle tassonomie tradizionali, spesso inadeguate a rappresentare realtà dinamiche, in favore di meccanismi di classificazione costruiti dal basso. Applicazioni di social bookmarking Web 2.0 come flickr del.icio.us devono il loro successo proprio a questa intuizione, lasciando libertà agli utenti di utilizzare un sistema di categorizzazione collaborativo che si basa su parole chiave scelte liberamente, meglio note come "tag". Siti di informazione specializzati come il Digital Photography Review o Camera Labs sono esempi di intelligenza collettiva: chiunque può accedere alle loro piattaforme e contribuire ad alimentare la conoscenza condivisa, distribuendo le proprie competenze.
Critiche
Gli scettici sono più inclini a credere che i rischi di danno fisico (e di azione fisica) siano alla base dell'unione tra gli individui e più portati a enfatizzare la capacità di un gruppo a intraprendere l'azione e a sopportare il danno come una fluida mobilitazione di massa rassegnandosi ai danni nello stesso modo in cui un corpo si rassegna alla perdita di poche cellule. Questa corrente di pensiero è più ovvia all'interno del movimento anti-globalizzazione, ed è caratterizzata dai lavori di John Zerzan, Carol Moore, e Starhawk, che solitamente non tengono in considerazione gli accademici. Questi teorici sono più inclini a fare riferimento alla saggezza ecologica e collettiva, e al ruolo del processo del consenso nel fare distinzioni ontologiche, piuttosto che a qualsiasi forma di intelligenza in quanto tale, che essi sostengono spesso non esistere o essere mero ingegno.
I feroci critici su basi etiche dell'intelligenza artificiale sono inclini a promuovere metodi di costruzione della saggezza collettiva, ad es. i nuovi tribalisti o i Gaiani. Se questi possano dirsi sistemi di intelligenza collettiva è questione aperta. Alcuni, come Bill Joy, auspicano semplicemente che si eviti qualsiasi forma di intelligenza artificiale autonoma e sembrano voler lavorare su una rigorosa intelligenza collettiva, allo scopo di eliminare qualsiasi possibile campo di applicazione per l'IA.
Note
- ^ Pierre Levy, L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli, 1996, ISBN 9788807817168.
- ^ Augmenting Human Intellect.A Conceptual Framework, in Doug Engelbart Institute, 1962.
- ^ Kevin Kelly, Out of Control, ISBN 978-0201483406.
- ^ Out of Control, su kk.org.
- ^ Herbert Spencer, Principi di sociologia: dati e induzioni della sociologia, relazioni domestiche, istituzioni cerimoniali, politiche, ecclesiastiche, professionali, industriali, Padova, Rinfreschi, 1922, pp. 205.
- ^ Howard Bloom, The global brain: the evolution of mass mind from the big bang to the 21st century, New York, Wiley, 2000, pp. 370, ISBN 9780471419198.
- ^ Howard Rheingold, Smart mobs:tecnologie senza fili, la rivoluzione sociale prossima ventura, Milano, Cortina, 2003, pp. 372, ISBN 9788870788419.
- ^ Steven Johnson, La nuova scienza dei sistemi emergenti. Dalle colonie di insetti al cervello umano, dalle città ai videogame e all'economia, dai movimenti di protesta ai network, Milano, Garzanti, 2004, ISBN 881159264-X.
- ^ Kevin Kelly, Out of Control: la nuova biologia delle macchine, dei sistemi sociali e dell'economia globale, Milano, Apogeo Editore, 1996, ISBN 88-7303-182-X.
- ^ Al Gore, The Assault on Reason: How the Politics of Blind Faith Subvert Wise Decision-Making, A&C Black, 2012, pp. 251, ISBN 1408835800.
- ^ Louis B. Rosenberg, Human Swarms, a real-time method for collective intelligence, su mitpress.mit.edu, 20 July 2015. URL consultato il 13/5/16.
- ^ RENEE MORAD, Swarms of Humans Power A.I. Platform, su news.discovery.com, JUN 3, 2015 12:51. URL consultato il 13/5/16.
- ^ Louis B. Rosenberg, Human Swarms, a real-time paradigm for Collective Intelligence (PDF), su sites.lsa.umich.edu, 2015.
- ^ Viscusi, Gianluigi; Tucci, Christopher, DISTINGUISHING “CROWDED” ORGANIZATIONS FROM GROUPS AND COMMUNITIES: IS THREE A CROWD?, su infoscience.epfl.ch, 2015. URL consultato il 13/5/16.
- ^ Luckin, R., Understanding Learning Contexts as Ecologies of Resources: From the Zone of Proximal Development to Learner Generated Contexts., 2006.
- ^ Luciano Paccagnella, La gestione della conoscenza nella società dell'informazione: il caso di Wikipedia (PDF), su iris.unito.it, 2007.
- ^ Lee,Sang M., Success factors of platform leadership in web 2.0 service business., Service Business 4.2, 2010, pp. 89-103.
- ^ Howard Rheingold, Smart mobs: tecnologie senza fili, la rivoluzione sociale prossima ventura, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, ISBN 8870788415.
- ^ Giovanni Boccia Artieri, Stati di connessione. Pubblici, cittadini e consumatori nella (Social) Network Society, Milano, Franco Angeli, 2012, ISBN 9788820402945.
- ^ Giuseppe Granieri, La società digitale, Roma-Bar, Laterza, 2006, ISBN 88-420-8047-0.
Bibliografia
- Pierre Levy, L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, 1996, ISBN 88-07-81716-0.
- Robert David Steele, The New Craft of Intelligence: Personal, Public, & Political--Citizen's Action Handbook for Fighting Terrorism, Genocide, Disease, Toxic Bombs, & Corruption, Os Pr, 2002, ISBN 978-0971566118.
Voci correlate
Collegamenti esterni
- (EN) Informazioni su George Pòr, su community-intelligence.com.
- (EN) Informazioni sull'opera The Quest for Cognitive Intelligence, su vision-nest.com.
- (EN) Blog di Intelligenza Collettiva, su community-intelligence.com.
- (EN) How to reverse the brain drain into a fantastic brain gain for the developing countries by the use of the strategy of collective intelligence (Dr. Sarr), su walosbraingain.blogspot.com.
- (EN) Social Capital & Collective Intelligence Forum at openbc, su openbc.com.
- (EN) Riferimenti bibliografici sul cervello globale, su pcp.lanl.gov.