Catasto onciario

catasto del Regno di Napoli

Il Catasto onciario, precursore degli odierni catasti, rappresenta l'attuazione pratica delle norme dettate da re Carlo di Borbone nella prima metà del XVIII secolo per un riordino fiscale del regno di Napoli.

Nonostante fosse un catasto descrittivo, poiché non prevedeva la rappresentazione geometrica dei luoghi, fu uno strumento teso ad eliminare i privilegi goduti dalle classi più abbienti che facevano gravare i tributi fiscali sempre sulle classi più umili e di fatto rappresenta uno dei più brillanti esempi del tempo di ingegneria finanziaria e di ripartizione proporzionale del peso fiscale.

Si chiamò Onciario perché la valutazione dei patrimoni sia immobiliari che da bestiame o finanziari (per es. da censi attivi), veniva stimato in base all'unità monetaria teorica di riferimento, l'oncia, corrispondente a sei ducati. Era anche detta Oncia di carlini tre, in quanto ogni tre carlini di rendita, capitalizzati al tasso di interesse fissato al 5% (solo per il bestiame era fissato al 10%), equivalevano a 60 carlini, pari a sei ducati e quindi 1 Oncia di capitale o patrimonio. Veniva così introdotta anche una distinzione tra unità monetarie di riferimento per la valutazione delle rendite, adottando le valute correnti del grano, il carlino e il ducato, e per i patrimoni usando delle unità monetarie di conto come il tarì e l'oncia. È chiaro come un meccanismo volutamente semplice poteva assicurare nelle intenzioni, un prelievo fiscale generalizzato ed accertamenti molto rapidi.

Per il calcolo delle imposte le persone erano distinti in diverse categorie. Una prima distinzione era effettuata fra cittadini e forestieri: i primi formavano i "fuochi" (ovvero le famiglie) dell'Università; i secondi erano solamente iscritti nell'Onciario o perché vi possedevano beni o perché vi esercitavano un'attività.

Una seconda distinzione era fra i laici e gli ecclesiastici, includendo in questi ultimi tutte le istituzioni religiose collaterali.

In sintesi erano sette le possibili categorie di contribuenti:

  1. cittadini abitanti e non abitanti
  2. vedove e vergini
  3. ecclesiastici secolari cittadini
  4. chiese, monasteri e luoghi pii nell'università
  5. forestieri abitanti laici
  6. chiese, luoghi pii e monasteri forestieri
  7. forestieri non abitanti laici

Erano tuttavia previste numerose forme di esenzione come per i beni feudali sottoposti alla sola tassa dell'Adoa, per cui i baroni potevano essere tassati solo per i beni allodiali cioè in piena proprietà con conseguenti numerosi tentativi di pretendere di far passare tutti i loro beni come feudali; così come i beni ecclesiastici per valori inferiori ad alcune soglie stabilite nelle norme concordatarie che potevano variare a seconda delle località; non vi era tassazione "sulla testa" per le professioni ritenute arti liberali come i giudici o i notai, o per i nobili e "civili viventi" e i benestanti che non svolgevano alcuna attività lavorativa, venendo tassati solo coloro che esercitavano un lavoro manuale con tre fasce di tassazione, oppure non erano tassati gli ultrasessagenari o i capi di famiglie numerose, e pertanto anche se nelle intenzioni la riforma voleva comprendere tutti indistintamente, in realtà il prelievo non fu così generalizzato ed uniforme.

I Comuni erano considerati un aggregato di persone e di beni di varie specie e nature. Le imposte erano così calcolate a seconda delle varie qualità delle persone e dei beni.
Le 4 fasi del procedimento per la formazione dell'onciario a cui erano tenute le singole comunità erano:

  • gli atti preliminari mediante i quali in particolare si nominavano i cittadini deputati in rappresentanza dell'università divisi per classi sociali (normalmente de civilibus, de mediocribus e de inferioribus) e gli estimatori interni ed esterni e si stabilivano i prezzi delle vettovaglie,
  • le rivele mediante le quali ogni cittadino rivelava la composizione dei propri nuclei familiari e le proprie sostanze,
  • l'apprezzo mediante il quale i deputati al catasto valutavano tutti gli immobili della comunità con le relative rendite, ad esclusione della casa di abitazione della famiglia che godeva di esenzione; di qui una commissione formata da rappresentanti del comune e dagli estimatori verificavano la veridicità delle rivele anche con i precedenti catasti locali ed altri numerosi documenti (stati delle anime, affitti di gabelle, documenti relativi al possesso di bestiame, ecc.),
  • l' onciario, con cui venivano liquidate le singole posizioni mediante il calcolo dei rispettivi patrimoni mediante la somma delle once da industria (cioè da lavoro) e once dai beni e il totale espresso, appunto, in once e tarì.

Il tutto poi veniva sintetizzato in una tavola sinottica riassuntiva generale del catasto, la Collettiva o Mappa generale, con l'elenco di tutti i tassati e la somma totale delle once relative all'Università.
A conclusione dell'onciario vi è poi lo stato discusso cioè il bilancio della località, e "rimesso" cioè validato dalla Regia Camera della Sommaria, che evidenzia le uscite e le entrate, tra le quali vi erano normalmente compresi i proventi della tassazione per fuochi, con l'entità del disavanzo da finanziare con il prelievo mediante la redistribuzione sulle once.

I lavori per attuare questa grande riforma tributaria cominciarono con l'emanazione di Prammatiche reali note come Forma censualis et capitationibus sive de catastis dal 1741 al 1748 ed occorsero un enorme impegno amministrativo e circa 15 anni per giungere in tutto il Regno alla compilazione della lista dei soggetti e dei relativi beni.
La laboriosità derivante dalla necessità, prescritta nell'ultima delle prammatiche De catastis, di aggiornare annualmente tutte le liste degli onciari in ogni componente reddituale, costituì il limite principale al suo utilizzo negli anni seguenti, causandone il progressivo accantonamento in tutte le università del Regno, che tornarono ad esercitare in larghissima parte la fiscalità locale mediante il sistema delle gabelle.

La consultazione dell'Onciario, conservato per tutte le università del Regno presso l'Archivio di Stato di Napoli, oltre che in alcuni pochi archivi comunali, è oggi, pur con tutti i suoi limiti e omissioni, una fonte preziosa di informazioni sul periodo.

Voci correlate

Collegamenti esterni

Bibliografia

  • Direzione, ovvero Guida delle Università di tutto il regno di Napoli per la sua retta amministrazione ... composta dal dottor Lorenzo Cervellino, Napoli 1756.
  • Pragmaticae, edicta, decreta, interdicta, regiaeque sanctiones Regni Neapolitani, a cura di Domenico Alfeno Vario, Napoli 1772, Volume 2, pp. 54–100