Geografia di Ancona

Posizione
La città di Ancona sorge su un promontorio formato dalle pendici settentrionali del Monte Conero (572 m. s.l.m.). Questo promontorio dà origine al golfo di Ancona, nella cui parte più interna si trova il porto naturale.
Ad Ancona si vede sorgere il sole dal mare, come in tutta la costa adriatica italiana, ma è l'unica città in cui si può vedere sul mare anche il tramonto, visto che, grazie alla forma a gomito (da cui il suo nome, dal greco Ανκον - Ankon, ovvero gomito) della sua costa, è bagnata dal mare sia ad est che ad ovest. Punti panoramici particolarmente indicati per godersi lo spettacolo dell'alba sul mare sono il Passetto e via Panoramica; per il tramonto sul golfo invece sono ottimi il faro vecchio, il belvedere di Capodimonte, il Pincio, lo scalo Vittorio Emanuele II. Dal piazzale del Duomo si vedono bene sia l'alba che il tramonto.
Caratteristiche geo-sismologiche
Il luogo dove sorge Ancona rientra nella zona a sismicità medio-alta, è classificata di livello 2 dalla Protezione civile, essendo collocato nel distretto sismico dell'Adriatico centro-settentrionale, zona sismogenetica che si estende in direzione da nord-ovest verso sud-est da Cervia fino alla parte meridionale delle Marche, interessando sia il mare aperto, la fascia costiera e parte del corrispondente entroterra.[1]
Il terremoto del 1930
Il 30 ottobre 1930 Ancona fu gravemente colpita da un sisma (i cui effetti maggiori si ebbero a Senigallia) di magnitudo 6.0 della scala Richter, tra l'VIII° ed il IX° grado della scala Mercalli, con epicentro tra le province di Pesaro e Ancona; ciò comportò il consolidamento degli edifici storici danneggiati con chiavi e/o tiranti in acciaio e l'obbligo di costruzione dei nuovi edifici in cemento armato e con il rispetto delle normative antisismiche vigenti all'epoca.
Il sisma del 1972
Il 25 gennaio 1972, alle ore 20:25, un terremoto di magnitudo 5.4 della scala Richter, del 7º grado della scala Mercalli, con epicentro sotto il mare Adriatico, ad alcuni chilometri dalla costa antistante Ancona, colpì la città e molti centri limitrofi. La scossa ebbe una durata approssimativa di dieci secondi, e fu preceduta da un forte boato. Non vi furono gravi danni: cadde qualche cornicione e si aprì qualche crepa in edifici vecchi e già lesionati nei rioni di Capodimonte, San Pietro e Torrette[2]. Il panico negli abitanti fu grande: molti di essi trascorsero la notte all’aperto, abbandonando le proprie abitazioni. In un resoconto giornalistico del 26 gennaio non sono documentati danni[3].
Ma fu la scossa verificatasi nella notte tra il 3 ed il 4 febbraio 1972 alle ore 2:42 che portò alla fuga da Ancona di migliaia di cittadini. La scossa ebbe una durata approssimativa di 9 secondi e fu dell'8º grado della scala Mercalli[4] e, secondo le prime notizie di agenzia, causò l’apertura di crepe nei muri delle case nei rioni più antichi di Capodimonte e San Pietro e la caduta di alcune suppellettili, senza danni alle persone[5]. Fu preceduta di pochi secondi da un’onda marina gigantesca[6]. Il quadro degli effetti di questa scossa va completato, in modo cumulativo, dalle descrizioni dei danni delle scosse successive avvenute in quel 4 febbraio. In particolare, alle ore 9:19 vi fu una scossa di 7,5 gradi della scala Mercalli: crollarono soffitti[7], infissi e muri divisori nei quartieri di Capodimonte e di S. Pietro; furono riscontrati danni anche nel quartiere Pinocchio; molte parti pericolanti furono fatte demolire. In via Astagno crollò un fabbricato già in via di demolizione[8]. Le segnalazioni di crolli e lesioni furono 150[9]. Una donna di 52 anni e un uomo anziano morirono per lo spavento e molte persone furono colte da malore. Grande panico anche nel carcere di Santa Palazia: molti detenuti furono trasferiti in altri istituti di pena[10]. Diverse abitazioni crollarono. Non vi furono vittime per i crolli, perché le case erano state già abbandonate[11]. Iniziò quindi una lunga serie di scosse telluriche che durarono fino al novembre successivo, anche più intense rispetto a quella iniziale. Dopo le scosse del 4 febbraio 3.500 Anconetani trascorsero la notte in 83 vagoni ferroviari, 600 su 36 autobus urbani. Il Ministero della Difesa inviò ad Ancona la nave della Marina Miltare "Bafile" con attrezzature, materiali e rifornimenti vari. Anche l’esercito inviò uomini, ospedali da campo, tende di uso generale, materiali e generi vari[12]. Il 5 febbraio si susseguirono tre scosse forti, tutte del 7º grado della scala Mercalli: la prima alle ore 1:27 la seconda alle 7:08 e la terza alle 15:14. La scossa delle ore 1:27 causò danni diffusi e il crollo parziale di due celle nel carcere. Fu ordinata l’evacuazione degli ospedali[13]. La scossa delle 7:08 non provocò danni rilevanti. Durante la scossa delle ore 15:14 molti videro oscillare il pinnacolo di marmo e mattoni della Chiesa del Sacramento[14]. Il campanile di questa chiesa era stato riedificato dopo il crollo per il terremoto del 1930. Vi furono gravi danni che, in generale, interessarono soprattutto i vecchi fabbricati del centro storico e dei quartieri più poveri. Tra gli edifici maggiormente danneggiati vi fu il carcere, nella parte alta e antica della città: nella facciata posteriore, verso il Duomo, il muro di cinta crollò parzialmente. La galleria del Risorgimento venne chiusa a causa di una grossa fenditura apertasi nella volta[15]. Crolli e lesioni avvennero anche nella zona di Pinocchio, in corso Garibaldi, in via Mazzini, in via San Pietro e in via Scosciacavalli[16]. Gran parte degli abitanti lasciò la città per paura di nuove scosse. La scossa dell’1:34 del 6 febbraio fu del 7° grado della scala Mercalli e causò danni nella zona collinare del quartiere Pinocchio. Venne gravemente lesionato il tempio di San Michele Arcangelo; una villa vicina, "Villa Maria", crollò parzialmente; due moderni edifici, di complessivi 16 appartamenti, vennero lesionati. Secondo una dichiarazione del presidente del Consiglio Regionale, prof. Tulli, quasi tutte le scuole furono lesionate[17]; nei giorni seguenti, quattro furono dichiarate inagibili, mentre altre diciassette, per poter essere riaperte, dovettero essere sottoposte ad interventi di restauro[18]. Da un resoconto giornalistico del 6 febbraio si evince che 200 edifici nel centro storico ebbero gravi lesioni[19] e oltre 50 furono giudicati inabitabili[20]. Tra gli edifici danneggiati vi furono la prefettura, la questura, il tribunale e l’ospedale civile “Umberto I°[21]. Moltissime case furono lesionate nei quartieri vecchi: i vigili del fuoco risposero a oltre 1500 richieste di intervento[22]. I danni più gravi furono riscontrati, oltre che a San Pietro e a Capodimonte, anche nel quartiere Guasco[23]. La parte moderna della città, edificata secondo i criteri costruttivi di seconda categoria sismica, non ebbe gravi danni[24]. In una relazione basata su dati raccolti per conto del ministero dei Lavori Pubblici riferita alla sola città di Ancona[25] furono presi in considerazione i due quartieri maggiormente colpiti: uno era costituito in gran parte da edifici in cemento armato costruiti da vari enti pubblici; l’altro, invece, da edifici in muratura, quasi tutti risalenti al 1930 circa. Nella gran parte dei casi fu impossibile appurare il tipo e lo stato di consistenza dei solai a causa dell’uso di pesanti controsoffittature (tutte staccate). Inoltre, la maggior parte degli edifici in muratura aveva subito nel tempo numerosi rifacimenti e sovraelevazioni di strutture diverse; ciò causò un’alterazione della struttura primitiva con la conseguente impossibilità di determinarne il comportamento sismico. In questo tipo di edifici fu notato il distacco dei muri perimetrali, tanto più accentuato quanto maggiore era l’altezza dell’edificio. Ciò fu causato dalla mancanza totale o parziale di cordoli di piano o da sufficienti ammorsamenti fra le murature. Altri danni negli edifici in muratura: pericolosi sfilamenti nelle scale in legno; lesioni alle tramezzature in corrispondenza di architravi in legno, ecc. In generale, gli edifici recenti con intelaiature in cemento armato, seppure di scarsa fattura, non presentarono danni gravi. Inoltre, i danni più consistenti si ebbero all’interno degli edifici. Il 6 febbraio, in seguito a una violenta replica, una donna di 36 anni morì per lo spavento[26]. In una corrispondenza giornalistica del 12 febbraio è documentato il numero dei senzatetto nella città: circa 12.000[27]. In una corrispondenza giornalistica del 14 febbraio 1972 è documentato che, in seguito a 200 sopralluoghi, il numero degli edifici giudicati inagibili era salito a 75[28].
Alle 20.55 del 14 giugno 1972, per 15 secondi un terremoto di magnitudo 5.9 della scala Richter, del 10º grado della scala Mercalli scosse nuovamente Ancona.[29] La lunga durata, oltre che l'intensità, di questa serie sismica fu disastrosa per la città. Tutti gli edifici, abitazioni, aziende, uffici pubblici, furono lesionati in modo più o meno grave.[30] La scossa del 14 giugno delle ore 18:55 ebbe una durata di circa 20 secondi e causò ulteriori gravi danni agli edifici che erano stati lesionati dalle scosse precedenti. Si ebbero lesioni e crolli di cornicioni [31], molti vetri andarono in frantumi [32]; crollarono soffitti, comignoli, balconi, grondaie; si formarono crepature nei pavimenti, fenditure e deformazioni nei muri; in particolare, sono documentati danni in via Scosciacavalli [33]. Due edifici crollarono in via delle Grazie e in piazza Padella e circa 50 persone furono ferite o contuse; si ebbero molti crolli parziali nella zona di piazza della Repubblica e in via Colle Verde [34]. Furono riscontrate fenditure nei muri interni di riempimento in edifici in cemento armato[35]. La scossa causò danni alla sede comunale e, secondo una dichiarazione del Presidente della Regione riportata in una corrispondenza giornalistica, rese inabitabili altre centinaia di abitazioni[36]. Fu lesionato il Viadotto della Ricostruzione, che venne chiuso al traffico. In via Frediani crollarono i pavimenti di alcuni appartamenti; in corso Amendola il muro di un edificio crollò sulla strada, travolgendo quattro automobili e tre motocicli. Crolli si ebbero anche in via Cialdini, in via Petrarca, e nella zona del Pinocchio. Dal campanile della chiesa del SS. Sacramento di piazza della Repubblica si distaccò una grossa palla di granito. Nella parte vecchia della città, già danneggiata dalle scosse di gennaio e febbraio, molte case subirono dissesti soprattutto nei muri portanti[37]. Crollò parte del tetto e del sottotetto della chiesa di San Domenico; alcune balconate interne caddero fracassando le suppellettili dell’arredamento. Il palazzo dell’ENEL fu gravemente lesionato; l’ospedale psichiatrico dovette essere sgombrato. Gravi danni subì anche l’Ospedale Regionale, che ebbe due padiglioni lesionati: quasi tutti i degenti preferirono dimettersi. Lesioni subirono anche la sede dell’Ammiragliato e la caserma dei Vigili del Fuoco. Alcune guglie della Mole Vanvitelliana subirono danni. Anche in molte abitazioni nei quartieri nuovi si formarono crepe[38], ma solo all’interno, nei muri divisori[39]. Vi furono numerosi allagamenti[40]. Furono calcolati 200 miliardi di lire di danni[41]. Tre uomini morirono di infarto. Alcune persone furono contuse[42]. Gran parte degli abitanti lasciò la città per paura di nuove scosse. In seguito alla scossa del 15 giugno, la Marina Militare inviò ad Ancona per i soccorsi alla popolazione le navi "Quarto" e "Anteo", con a bordo materiali, viveri un ospedale da campo e 110 uomini del battaglione San Marco. Da La Spezia furono inviati una colonna di soccorso e tre elicotteri[43]. Il Comando Militare della Regione Tosco-Emiliana dispose l’invio di un ospedale da campo col nucleo ufficiali medici e una colonna mobile, di 2.000 coperte da campo, 400 materassini pneumatici, 65 tende di varia grandezza, gruppi elettrogeni, cucine rotabili e complessi per acqua potabile[44].
Così scriveva il capo cronista del quotidiano Corriere Adriatico dell'epoca, Giovanni Maria Farroni: “Nei rioni storici di Capodimonte, San Pietro, Guasco e Porto i crolli sono stati più numerosi; numerosissimi sono gli edifici gravemente lesionati al Piano, al Pinocchio, alle Grazie… una 500 è andata distrutta a causa della caduta della palla di pietra del campanile della Chiesa del Sacramento”. Per mesi le persone dovettero vivere in improvvisate tendopoli e persino nei vagoni ferroviari, la maggior parte delle attività economiche si fermarono, costringendo l'autorità civile a provvedere con sussidi economici alle famiglie, i servizi pubblici si ridussero al minimo, i rioni storici rimasero per anni deserti. Ricordava il sindaco di Ancona Guido Monina, nel 1982, decennale del terremoto, illustrando i numeri di quell’evento catastrofico: “Ben 1.453 tende allestite in 56 punti del centro urbano e della periferia… dopo la scossa del 14 giugno circa 30.000 anconetani vivevano sotto la tenda. Altre 8.000 tende unifamiliari furono consegnate ai cittadini e 1.500 persone vennero ospitate nei vagoni ferroviari, altri 1.000 nelle palestre e molti ancora sulla nave Tiziano. Dal 15 al 30 giugno furono distribuiti 200.000 pasti caldi e 15.000 pacchi di cibi freddi”[45].
In quei mesi l’abbandono della città da parte di migliaia di persone ebbe come risultato la paralisi economica della regione. Non solo Ancona fu colpita: danni ingenti vi furono anche a Camerano, Camerata Picena, Montemarciano e in decine di altri centri, ma fu colpita anche tutta l’area delle Marche centrali lungo il mar Adriatico, comprese le province di Pesaro e Macerata.
Nonostante la gravità ed il protrarsi nel tempo dei fenomeni sismici che costrinsero gli anconetani a convivere per oltre un anno con “Terry” (come veniva scherzosamente chiamato il terremoto, per esorcizzare la paura e i disagi che si dovevano subire[46]), fortunatamente non ci furono vittime dirette del sisma, anche se si dovettero registrare decessi causati dai disagi, dallo spavento e dai suicidi.
Infatti, grazie alle costruzioni antisismiche post sisma del 1930 e alle distruzioni dei quartieri storici medievali lungo il fronte del porto a seguito dei bombardamenti anglo-americani del 1943-1944, i pur gravissimi danni subiti dagli edifici pubblici e privati nel 1972 non determinarono crolli di interi fabbricati, con vittime sepolte sotto le macerie e soccorritori che, a rischio della propria vita, sono costretti a scavare, magari con le mani, per salvare qualche fortunato sopravvissuto.
Ciò ha determinato il fatto che, nonostante la gravità e l'estensione, sia territoriale che temporale, del sisma anconetano del 1972, lo stesso non venga quasi mai citato come precedente in occasione dei purtroppo frequenti terremoti che funestano l'Italia con morti e feriti.
Così come viene raramente ricordato il grande impegno di idee, innovazione nelle procedure legali ed amministrative, supporto alla partecipazione dei cittadini nei processi decisionali, valorizzazione del ruolo degli urbanisti e dei progettisti che caratterizzò l'opera di ricostruzione e restauro degli edifici e l'impegnativo risanamento del centro storico con criteri antisismici.[47][48]
Caratteristiche degli edifici locali
Il patrimonio edilizio di Ancona era relativamente recente ed era costituito da costruzioni in cemento armato, edificate negli anni ‘50 del Novecento, di altezza compresa fra i 9-12 m. (3 o 4 piani), e da edifici in muratura, in gran parte costruiti dopo il 1930, che non superavano i 2 o 3 piani di altezza. Il centro storico era invece costituito da edifici vecchi, spesso degradati, già danneggiati da precedenti eventi sismici e bellici[49]. A Falconara Marittima il più diffuso tipo di edificio era costituito da costruzioni alte dai 6 ai 10 metri, con solai con travi in legno incastrate in muratura spessa dai 15 ai 30 cm, con malte spesso polverizzate e mattoni erosi dalla salsedine. Vi furono danni a quasi tutte le abitazioni che erano state mal riparate dopo il terremoto del 1930; invece, le case cui erano stati aggiunti rinforzi in cemento ebbero lesioni riparabili e furono giudicate abitabili[50]. Il patrimonio edilizio degli altri comuni che subirono le lesioni più gravi era prevalentemente costituito da edifici di vecchia costruzione[51].
Il risanamento del centro storico della città
Gli anconetani seppero risollevarsi dalla grave crisi determinata dal sisma: tutti lavorarono di conserva affinché si favorisse la rinascita della città. Il principale artefice di questa sinergia fu il sindaco di allora, sen. Alfredo Trifogli. “Vorrei sottolineare – scriveva ancora Monina dieci anni dopo – il rigoroso impegno amministrativo, la grande forza d’animo nonché l’attivismo e la concretezza dimostrati dalla Giunta Comunale di allora, in particolare dal sindaco Trifogli”. Grazie anche ai fondi messi a disposizione dal Governo nazionale con una legge speciale, nel giro di alcuni anni Ancona riuscì a far ripartire l'economia cittadina, a riorganizzare la macchina amministrativa ed i servizi sociali della città ed a ricostruire o ristrutturare gli edifici lesionati. In particolare, vennero risanati gli antichi quartieri del colle Guasco e del colle Astagno, con una programmazione urbanistica che ha saputo ricostruire la città mantenendo intatti i connotati del centro storico e ricreando nuovi contenitori e che ha procurato al Comune di Ancona il premio della Comunità Europea. La ricostruzione post terremoto è inscindibilmente legata al nome di Giancarlo Mascino, Assessore ai Lavori Pubblici sino al 1974, con il sindaco Alfredo Trifogli, e poi all'Urbanistica, sino al 1985, con il sindaco Guido Monina, per divenire infine Assessore al Porto. Proprio per l'esperienza maturata nel risanamento della città, Mascino venne nominato Vice presidente dell'INU, l'Istituto Nazionale d'Urbanistica. Fu un vulcano d'idee: fece bandire un concorso internazionale di idee progettuali per la ricostruzione di Ancona, tra i quali quello per il risanamento del quartiere San Pietro presentato dall'architetto anglo-svedese Ralph Erskine, le cui intuizioni sono ancor oggi alla base delle proposte di innovazione dell'organizzazione dei quartieri storici della città. Promosse una task-force giuridica all'interno della struttura burocratica del Comune che seppe ideare una serie di procedure e prassi innovative che, pur nella laconicità delle normative urbanistiche dell'epoca (le Regioni erano appena state costituite e l'attribuzione delle competenze urbanistiche sui loro territori erano ancora in fieri) o, forse, proprio grazie ad essa, consentirono di evitare il più possibile attività speculative nella ricostruzione, reinserendo, almeno in parte, i vecchi abitanti nel tessuto urbanistico dei quartieri popolari del centro storico. Quindi, a buon diritto, sarà proprio Mascino, nel 1980, a recarsi in Francia a ritirare il premio assegnato al Comune di Ancona.
La costruzione della rete di monitoraggio sismico regionale
La fine dell’emergenza sismica del 1972 segnò l'inizio di un lungo e fertile rapporto tra le realtà istituzionali marchigiane e la comunità scientifica nazionale. Dal 1978 al 1980 vennero svolte indagini di microzonazione sismica finanziate dagli enti locali; ad esse collaborò anche l’Università di Ancona. Dal 1983 al 1988 il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti ha coordinato altre ricerche, in parte finanziate dalla Regione Marche, indirizzate a sperimentare approcci per la valutazione del rischio sismico a scala urbana. Dal 1987 al 1988 i ricercatori dell’attuale sezione milanese dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia hanno coordinato la ricerca sul rischio sismico in relazione alla variante generale del Piano Regolatore Generale di Ancona. Questa ricerca, resa possibile da finanziamenti del Comune e della Regione, è stata la prima nel suo genere in Italia e ha suscitato interesse e consensi in ambito nazionale ed europeo. A partire dagli anni '80 molte località marchigiane sono state oggetto di studi di microzonazione sismica. Questi studi, promossi dalla Regione Marche e coordinati prima dal Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti e oggi dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, hanno permesso di valutare con attenzione il comportamento dei terreni in alcune aree urbane che potrebbero amplificare gli effetti dei terremoti. Il territorio regionale è stato costantemente sorvegliato; i rilevamenti strumentali sono stati completati dagli studi macrosismici sugli effetti dei terremoti più forti recenti e del passato. I dati così raccolti formano un patrimonio unico, e in costante aggiornamento, la cui analisi ha permesso l’esecuzione di studi finalizzati alla riduzione del rischio o propedeutici alla redazione dei piani di protezione civile. Molto è stato fatto dal 1972. Grazie alla sinergia instaurata tra il Dipartimento per le Politiche Integrate di Sicurezza e la Protezione Civile della Regione Marche e l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, il monitoraggio sismico del territorio marchigiano viene effettuato mediante 93 stazioni sismometriche che in tempo reale inviano i segnali alla sala operativa posta nella sede del Centro Funzionale marchigiano.
Così è possibile sapere, dopo pochi minuti, che cosa sta accadendo al territorio marchigiano; in circa 10 minuti è possibile elaborare mappe di scuotimento ed orientare quindi gli interventi di soccorso. Ad esempio, a seguito dell'evento di magnitudo 3.4 che ha interessato la zona fermano-maceratese il 10 aprile 2012, circa 10 minuti dopo l'evento i responsabili regionali del Servizio di Protezione Civile erano informati che l'evento era profondo (25 km sotto la superficie terrestre) e che non aveva raggiunto valori di intensità di scuotimento e di accelerazione massima tali da far supporre la presenza di danni di una certa rilevanza.
Costa
La città possiede varie spiagge; la più centrale è quella del Passetto, tipica spiaggia di costa alta, ricca di scogli, tra i quali la Seggiola del Papa (uno dei simboli della città), lo scoglio del Quadrato, molto apprezzato per la possibilità di tuffarsi nell'acqua profonda. Altra caratteristica della spiaggia del Passetto è la presenza di centinaia di grotte scavate dai pescatori alla base della rupe a partire dalla fine dell'Ottocento, allo scopo di ricoverare le proprie barche. Oggi le grotte, attrezzate con cucine a gas e tavoli, permettono a molte famiglie uno stretto contatto con il mare e creano uno degli ambienti più tipici della città
A nord del Passetto, percorrendo uno stradello che parte da via Panoramica, si raggiunge la spiaggia della Grotta Azzurra, che prende il nome dall'omonima piccola grotta naturale scavata della onde sulla roccia; un centinaio di grotte scavate dall'uomo e il panorama verso il faro e il Duomo la caratterizzano[52].
Sotto le rupi a sud del Passetto ci sono numerose altre spiagge di scoglio, belle e poco frequentate; sono tutte costellate di grotte di pescatori e sono raggiungibili percorrendo ripidi sentieri detti stradelli. Da nord a sud esse sono:
- la Spiaggiola (o spiaggia della piscina), sotto il Monte Santa Margherita, raggiungibile dal parco del Passetto,
- la spiaggia della Fonte (raggiungibile da Pietralacroce),
- la spiaggia degli Scogli Lunghi (raggiungibile da Pietralacroce),
- la spiaggia della Scalaccia (raggiungibile da Pietralacroce),
- la spiaggia del Campo di Mare (raggiungibile da Pietralacroce),
- la scogliera dei Draghetti (raggiungibile da Pietralacroce),
- la spiaggia della Vena, sotto Monte Venanzio, (raggiungibile da Pietralacroce),
- la spiaggia della Vedova, sotto al Monte della Nave, (nel territorio della frazione di Montacuto),
- la spiaggia dei Campani, sotto al Monte dei Corvi (nel territorio della frazione di Montacuto),
- la spiaggia del Trave (nel territorio della frazione di Varano).
Segue poi la spiaggia di ghiaia fine di Mezzavalle, molto frequentata dagli amanti della natura, raggiungibile con due sentieri scoscesi; è una delle spiagge libere più lunghe dell'Adriatico.
Si arriva infine alla frequentatissima Portonovo, raggiungibile con una strada asfaltata, attrezzata con alberghi, ristoranti e stabilimenti balneari e caratteristica per i sassi bianchissimi ed arrotondati; questa spiaggia, dominata dalle rupi del Conero, è stretta tra mare e bosco, ed è particolare per la presenza di due laghi costieri: il Grande e il Profondo. Andando a sud di Portonovo la rupe si alza fino a raggiungere più di 500 metri di altezza; si trovano le spiagge della Vela e, già in territorio del Comune di Sirolo, la Spiaggia dei Gabbiani, quella delle Due Sorelle e i Sassi Neri.
Tutte le spiagge sin qui citate rientrano del territorio del Parco regionale del Conero.
A nord del porto le costa è bassa. In questa zona da ricordare è la spiaggia di Palombina, sabbiosa, di carattere urbano e con un'aria vivacemente popolare, in vista del golfo dorico e bordata dalla linea ferroviaria.
Colline
Dal punto di vista orografico il territorio urbano è contraddistinto da un'alternanza di fasce collinari e di vallate. La fascia di colline più settentrionale, affacciata direttamente sul mare, comprende:
- Colle Guasco, o di San Ciriaco[53], sul quale svetta il Duomo
- Colle dei Cappuccini, con il faro
- Monte Cardeto, con le sue fortificazioni immerse nel verde del parco omonimo.
Più a sud si trova la vallata un tempo detta Piana degli Orti, oggi attraversata dai tre corsi principali e dal Viale della Vittoria.
A sud di questa vallata c'è poi la seconda fascia collinare, con:
- colle Astagno, o della Fortezza[53], sul quale sorge la Cittadella, un grande polmone verde all'interno della città. Il versante settentrionale è occupato dal rione di Capodimonte, quello meridionale dal quartiere di Montirozzo.
- Colle di Santo Stefano, con il parco del Pincio. Sul versante settentrionale sorge il rione di Santo Stefano, su quello meridionale il quartiere di Borgo Rodi.
- Monte Pulito, con la sede dell'Ammiragliato
- Monte Pelago, con il piccolo osservatorio astronomico
- Monte Santa Margherita, a picco sul mare, occupato nelle sue pendici nord dal parco del Passetto
- Colle Altavilla, su cui sorge il quartiere di Pietralacroce e il Forte Altavilla
La vallata che si trova ancora a sud è costituita da Valle Miano e dal Piano San Lazzaro, occupato dal quartiere omonimo, il solo pianeggiante della città. Ancora a sud la fascia di colline periferiche e infine la vallata dei Piani della Baraccola.
Ancona sotterranea
Fino al periodo post-unitario, durante il quale fu costruito l'acquedotto dell'Esino, l'approvvigionamento di acqua potabile verso Ancona non era costante e soprattutto era minore del fabbisogno per alcuni mesi l'anno. Un approfondito studio dei primi anni del XIX secolo rivelava infatti che per otto mesi l'anno la presenza d'acqua era abbondante, mentre nei restanti quattro c'era un calo. Per sopperire a questo problema, che si presentava da sempre, furono costruiti sin da 1430 una serie di cunicoli e cisterne lungo tutta la parte vecchia della città. Questa rete di gallerie si estende dal rione Passetto fino al porto attraversando il viale della Vittoria e corso Mazzini, una diramazione si estende fino al colle Guasco sotto al Duomo.
L'esplorazione di questi cunicoli, ancora funzionanti, ma abbandonati da molti anni, è iniziata nel giugno 2001. I serbatoi maggiori sono tre e si trovano sotto piazza Stamira, dietro la fontana del Calamo, ed in via Trento vicino piazza Diaz, quest'ultima chiamata "La chioccia".
Note
- ^ Classificazione sismica (PDF), su protezionecivile.it, Protezione civile, 7. URL consultato il 20 marzo 2008.
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.01.26, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ Corriere della Sera, 1972.01.26. Milano 1972
- ^ Il Resto del Carlino, 1972.02.05, n.30. Bologna 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.04, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.05, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.04, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.05, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.04, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ Corriere della Sera, 1972.02.05. Milano 1972 - Il Resto del Carlino, 1972.02.05, n.30. Bologna 1972
- ^ La Stampa, 1972.02.05. Torino 1972 - Gazzetta di Ferrara, 1972.02.05, n.29. Ferrara 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.05, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ Il Resto del Carlino, 1972.02.06, n.31. Bologna 1972
- ^ La Stampa, 1972.02.06. Torino 1972
- ^ Corriere della Sera, 1972.02.06. Milano 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.05, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.07, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.02.11, Servizio Italiano. Roma 1972
- ^ Gazzetta di Ferrara, 1972.02.06, n.30. Ferrara 1972
- ^ Il Resto del Carlino, 1972.02.06, n.31. Bologna 1972
- ^ Gazzetta di Ferrara, 1972.02.09, n.32. Ferrara 1972
- ^ Corriere della Sera, 1972.02.11. Milano 1972
- ^ Il Resto del Carlino, 1972.02.10, n.34. Bologna 1972
- ^ Console R., Peronaci F. e Sonaglia A. Relazione sui fenomeni sismici dell’Anconitano,1972, (con alcune considerazioni sui terremoti di origine vicina), in "Annali di Geofisica", vol.26, Supplemento, pp.3-60. Roma 1973
- ^ Cipollini A. Alcune considerazioni sul comportamento degli edifici della città di Ancona, in "Annali di Geofisica", vol.26, supplemento, pp.61-66. Roma 1973
- ^ Gazzetta di Ferrara, 1972.02.08, n.31. Ferrara 1972 - Corriere della Sera, 1972.02.06. Milano 1972
- ^ La Stampa, 1972.02.13. Torino 1972
- ^ Il Resto del Carlino, 1972.02.14, n.7. Bologna 1972
- ^ Il terremoto di Ancona del 1972 - Sistema museale Provincia di Ancona
- ^ INGV, Quarant'anni fa ad Ancona (PDF), su an.ingv.it, 25 gennaio 2012. URL consultato il 4 settembre 2016.
- ^ Gazzetta di Ferrara, 1972.06.17, n.141. Ferrara 1972 - La Stampa, 1972.06.17. Torino 1972
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- ^ Corriere della Sera, 1972.06.25. Milano 1972
- ^ Il Resto del Carlino, 1972.06.15, n.140. Bologna 1972 - Il Resto del Carlino, 1972.06.16, n.141. Bologna 1972
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- ^ Corriere della Sera, 1972.06.17. Milano 1972
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- ^ Corriere della Sera, 1967.06.15. Milano 1967
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- ^ Bollettino sismico definitivo, 1972.06, Istituto Nazionale di Geofisica. Roma 1974 - ANSA, Notiziario per la stampa, 1972.06.15, Servizio Italiano. Roma 1972
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- ^ Ancona, dalla scossa di oggi al ricordo di 40 anni fa, Corriere Adriatico, 6 giugno 2012. URL consultato il 12 settembre 2014.
- ^ Un'altra battuta "spiritosa" che circolava nel 1972 era: “Noi, signora mia, col teremoto ce ‘ndormimo i fjoli” ("Noi, signora mia, col terremoto ci addormentiamo i bambini")
- ^ Franco Frezzotti, Ancona '72: il terremoto, Ancona, Remel, 1997.
- ^ Ancona, un brivido lungo 40 anni Lo speciale sul terremoto del '72, Il Resto del Carlino, 24 gennaio 2012. URL consultato il 27 gennaio 2012. con foto e video
- ^ cfr. Calza W., Maistrello M., Marcellini A., Morganti C., Rampoldi R., Rossi B., Stucchi M. e Zonno G., Elementi di microzonazione sismica dell’area anconetana, CNR-PFG, pubbl. n.430, Milano 1981
- ^ cfr. Console R., Peronaci F. e Sonaglia A., Relazione sui fenomeni sismici dell’Anconitano (1972) (alcune considerazioni sui terremoti di origine vicina), in "Annali di Geofisica", vol.26, Supplemento, pp.3-60, Roma 1973
- ^ cfr. Console R., Peronaci F. e Sonaglia A., Relazione sui fenomeni sismici dell’Anconitano (1972) (alcune considerazioni sui terremoti di origine vicina), in "Annali di Geofisica", vol.26, Supplemento, pp.3-60. Roma 1973
- ^ Giorgio Petetti, Aspetti naturalistici e toponomastica in: Marina Turchetti - Mauro Tarsetti Le grotte del Passetto Ancona 2007. ISBN 978-88-95449-036
- ^ a b Castellano, Lo Stato Pontificio, ne' suoi rapporti geografici Roma 1837 (pag. 480-495)
Collegamenti esterni
- Ancona sotterranea, su anconasotterranea.it.