Basilica di San Magno
La basilica di San Magno è la chiesa principale di Legnano. Intitolata a San Magno dei Trincheri, arcivescovo di Milano dal 518 al 530 e costruita con uno stile architettonico rinascimentale lombardo di scuola bramantesca, è stata edificata tra il 1504 e il 1513. Si può ragionevolmente credere che il progetto della basilica sia stato realizzato su un disegno tracciato personalmente da Donato Bramante.
| Basilica di San Magno | |
|---|---|
| Stato | |
| Regione | |
| Località | Legnano |
| Indirizzo | Piazza San Magno, 10(P) |
| Coordinate | 45°35′41.78″N 8°55′09.05″E |
| Religione | cristiana cattolica di rito ambrosiano |
| Titolare | san Magno dei Trincheri |
| Diocesi | arcidiocesi di Milano |
| Consacrazione | 15 dicembre 1529 |
| Architetto | Donato Bramante |
| Stile architettonico | rinascimentale lombardo |
| Inizio costruzione | 4 maggio 1504 |
| Completamento | 6 giugno 1513 |
| Sito web | www.parrocchiasanmagno.it/ |
La basilica, che ha pianta centrale, possiede sette cappelle: la cappella maggiore e, in senso antiorario, quelle di San Giovanni Battista, ora del Battistero, San'Antonio Abate, ora di San Carlo, Santa Maria, ora dell'Immacolata, Sant'Agnese, San Carlo, ora del Crocefisso e degli apostoli Pietro e Paolo, ora del Santissimo Sacramento. Il suo campanile, che è stato costruito in seguito, è stato terminato nel 1791. Il 29 marzo 1950 papa Pio XII ha elevato la chiesa a basilica romana minore.
L'interno della chiesa è arricchito da varie opere d'arte, che vennero realizzate nei secoli mantenendo lo stile cinquecentesco lombardo, con influenze quattrocentesche, delle prime produzioni artistiche[1][2]. Le opere più importanti conservate nella basilica sono gli affreschi della volta principale, che sono opera di Gian Giacomo Lampugnani, i resti degli affreschi cinquecenteschi della cappella di San Pietro Martire, che sono stati realizzati da Evangelista Luini, figlio di Bernardino, una pala d'altare del Giampietrino, gli affreschi delle pareti e della volta della cappella maggiore, che sono stati dipinti da Bernardino Lanino; su tutte queste opere svetta, per la sua importanza artistica, un polittico di Bernardino Luini[3].
La genesi: l'antica chiesa di San Salvatore
Prima della basilica di San Magno, la comunità legnanese faceva riferimento alla chiesa di San Salvatore, la cui costruzione risalirebbe, secondo alcuni studi, al X oppure all'XI secolo[4]. L'ingresso, che era situato a nord, era prospiciente ad una stradina che portava alla "Braida Arcivescovile" grazie ad un ponte sull'Olonella[5]. Già nel XV secolo la chiesa di San Salvatore era minata da alcuni problemi di stabilità che erano originati dalla vetustà delle strutture e dalle infiltrazioni dell'acqua dell'Olonella che scorreva poco distante[6]. A peggiorare la situazione c'erano anche le frequenti inondazioni del fiume[6].
La chiesa di San Salvatore crollò parzialmente alla fine del Quattrocento e quindi i legnanesi ottennero dall'Arcivescovo di Milano e da Ludovico il Moro il permesso di demolire i resti del vecchio tempio e di costruire una nuova chiesa[6]. L'aspetto generale della chiesa di San Salvatore era piuttosto morigerato e quindi i legnanesi del XVI secolo decisero di edificare una chiesa che fosse più sontuosa della precedente[5]. La Legnano del XVI secolo, infatti, non era più il modesto borgo agricolo dell'epoca medioevale, ma era diventata un centro abitato benestante sede di molte famiglie nobiliari, che si era arricchito di diverse dimore gentilizie.
Della vecchia chiesa di San Salvatore furono conservate le fondamenta dell'abside e il campanile. Tale torre campanaria diventò poi il campanile della basilica di San Magno[6]. Mantenne questa funzione fino al 1752, quando crollò per due terzi e fu sostituito dall'attuale[6]. I suoi resti furono trasformati in una cappella, che è ancora visibile dietro al campanile attuale in corrispondenza del lato sud della basilica, vicino ad un passaggio coperto[6]. Tali resti sono riconoscibili per la presenza di una piccola porta e di sassi a vista.
Storia
La costruzione della basilica
Un contributo fondamentale ai fondi necessari per realizzare l'opera fu dato dalle famiglie Lampugnani e Vismara[7], che all'epoca erano le due più importanti di Legnano[8]. La prima pietra fu posata il 4 maggio 1504, mentre l'edificazione si concluse il 6 giugno 1513 con il completamento delle opere murarie[9]. Poco dopo iniziarono i lavori di decorazione degli interni[9]. Sempre il citato scritto del 1650 di Agostino Pozzo che fa parte dell'opera Storia delle chiese di Legnano, a proposito della costruzione della basilica, riporta che:
La decisione di realizzare la chiesa di San Magno nei pressi dell'alveo dell'Olonella, con tutti i problemi annessi sui potenziali danni alla struttura per via delle infiltrazioni d'acqua, problemi già vissuti dai legnanesi per la chiesa di San Salvatore, testimonia il coraggio e le capacità tecniche dell'architetto progettista della basilica[11]. Nel 1510 furono fuse le prime due campane della basilica: il 10 aprile quella da 50 rubbi, mentre il 24 maggio la campana da 80 rubbi[12]. Il 10 dicembre 1511 Legnano venne incendiata e saccheggiata dalle truppe svizzere, che facevano parte della Lega Santa e che erano scese in Italia per combattere la Francia di re Luigi XII: questo evento bellico, che è quello citato da Agostino Pozzo nel precedente stralcio della Storia delle chiese di Legnano, coinvolse anche la basilica di San Magno, che venne parzialmente danneggiata[10].
La basilica fu consacrata il 15 dicembre 1529 da Francesco Landino, vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Milano[12][8], dopo una sospensione dei lavori che durò dal 1516 al 1523[13]. I motivi di questa interruzione risiedono nella possibile mancanza di fondi oppure nella mancata comunicazione, da parte del Bramante, di come decorare gli interni: il grande artista urbinate si spense infatti a Roma nel 1514[13].
Per quanto riguarda l'ipotesi della mancanza di denaro, erano infatti venute meno la maggior parte delle donazioni da parte delle famiglie nobiliari che soggiornavano a Legnano nel periodo estivo: queste ultime, che erano originarie di Milano, erano in forte difficoltà economica a causa dell'invasione dell'esercito francese, che nel 1499 scacciò gli Sforza dal Ducato di Milano[13]. Questo ribaltamento politico causò uno sconvolgimento a livello amministrativo, ambiente di cui facevano parte i nobili milanesi che soggiornavano periodicamente a Legnano[13]. Come conseguenza, Legnano subì un forte impoverimento, che era causato dal sopraggiunto disinteresse dei nobili milanesi nei confronti delle loro proprietà possedute nel borgo legnanese: gli aristocratici milanesi erano ora impegnati a difendere i propri affari a Milano[13].
A questo si aggiunse la costante diminuzione dell'interesse dell'arcivescovo di Milano su Legnano, da cui conseguì anche il progressivo ritiro degli ordini monastici dai conventi legnanesi: ciò era conseguenza della sempre minore importanza strategica di Legnano, che era causata dalla perdita, da parte del Seprio, del suo atteggiamento ribelle nei confronti di Milano, tale per cui la presenza di truppe fisse nel borgo legnanese, che si trovava ai confini del contado milanese, non era più giustificata[14]
I progetti originali della basilica sono andati perduti e quindi non esistono documenti su cui è riportata la firma dell'architetto: il nome del Bramante compare infatti solamente su testimonianze scritte in epoche successive[15]. I lavori di edificazione furono poi materialmente eseguiti sotto la supervisione dell'artista più importante della Legnano dell'epoca, sia per esperienza che per sensibilità artistica, Gian Giacomo Lampugnani, oltre che da un capomastro dal nome sconosciuto[13]. Gian Giacomo era lontano parente di Oldrado Lampugnani, il condottiero protagonista della Legnano del XIII secolo che realizzò, tra l'altro, l'omonimo maniero e che completò la fortificazione del castello visconteo di Legnano[13]. Gian Giacomo Lampugnani affrescò anche la volta principale della basilica. Del suo lavoro, per cui percepì 180 lire per la costruzione dell'edificio e 80 lire per gli affreschi[8], Agostino Pozzo, prevosto di Legnano, scrisse:
Per quanto riguarda le decorazioni, le cappelle più antiche sono la cappella maggiore e la cappella dedicata a Sant'Agnese[16].
L'intitolazione a San Magno
Un'ipotesi che spiega l'intitolazione della basilica a san Magno dei Trincheri si riallaccia ad alcuni avvenimenti accaduti qualche decennio dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente[17]. Nel 523 l'imperatore bizantino Giustino I promulgò un editto contro gli ariani. Come risposta a questo provvedimento, il re degli Ostrogoti Teodorico, che era di fede ariana, iniziò a perseguitare i cattolici uccidendo e imprigionando anche personalità religiose di rilievo.
Alla morte di Teodorico, sul trono degli Ostrogoti si sedette il più tollerante Atalarico, e grazie anche all'intercessione di san Magno, arcivescovo di Milano, molti prigionieri furono liberati. Dato che queste persecuzioni toccarono anche Legnano, i suoi abitanti decisero di intitolare a san Magno prima l'abside centrale dell'antica chiesa di San Salvatore, e poi la nuova basilica.
I secoli successivi
Fino al 1610 l'ingresso alla basilica era situato verso il moderno palazzo Malinverni e quindi, rispetto all'odierno, era ruotato di 90° verso nord: poi l'ingresso fu spostato nella posizione attuale. In origine l'ingresso principale era collocato verso nord, in corrispondenza della cappella dell'Immacolata (chiamata anche "dell'Assunta"), cioè della cappella che attualmente ospita una pala del Giampietrino: quando venne spostato l'ingresso, la porta qui presente venne murata e questo spazio venne trasformato da atrio a cappella[18]. Una seconda porta si trovava verso sud, in direzione delle case canonicali, nell'attuale cappella del Santo Crocifisso, e venne murata anch'essa[19]. Vennero quindi aperti due nuovi ingressi, le attuali porte laterali che danno verso piazza San Magno[20].
L'attuale porta principale fu invece aperta successivamente, nel 1840, oppure in precedenza, come risulta da alcune note di archivio relative alla visita pastorale effettuata a Legnano dal cardinal Giuseppe Pozzobenelli nel 1761, in cui è presente una descrizione della basilica di San Magno dove sono citate, oltre che disegnate su uno scritto, le tre porte prospicienti l'attuale piazza San Magno[21]. Venne deciso di aprire la porta centrale perché i due ingressi laterali non consentivano al visitatore che entrava di trovarsi di fronte all'altare maggiore[19].
Questi lavori furono opera del Richini, già ingegnere della fabbriche ecclesiastiche della Lombardia[1], che modificò anche l'aspetto esterno della basilica eliminando le costolature in rilievo, aggiungendo lesene, timpani e architravi alle porte d'ingresso, aprendo delle finestre barocche sulla cupola e costruendo la lanterna e il tiburio, che davano nel complesso alla basilica un aspetto più leggero[1]. Fu probabilmente questa l'occasione in cui vennero persi i progetti originali della basilica: l'altra congettura considera invece il già citato saccheggio del 1511[9]. In riferimento allo spostamento degli ingressi effettuato dal Richini, il prevosto Agostino Pozzo scrisse:
Il 20 agosto 1611 vennero consacrate dal cardinale Federico Borromeo[20] due nuove campane, che erano state installate sul campanile il precedente 2 luglio[12]. In riferimento a questo avvenimento, una nota di archivio recita[12]:
Prima della fusione delle due campane Lazzaro Brusaterio, canonico di San Magno, compì un viaggio a Sion, città svizzera del Canton Vallese, con l'obiettivo di portare a Legnano un frammento di una campana divenuta sacra per via di un miracolo compiuto da San Teodulo, che si trovava lì custodita e che sarebbe stata aggiunta alla gettata di fusione delle nuove campane della basilica legnanese[12]. A tal proposito, Agostino Pozzo, prevosto di San Magno, scrisse:
Il vescovo di Sion Adrian von Riedmatten diede poi al Brusaterio il frammento di campana, che venne incluso nelle due campane della basilica di San Magno[12]. Riedmatten, per testimoniare ufficialmente l'avvenimento, consegnò poi al Brusaterio una patente, che venne poi riportata da Agostino Pozzo negli archivi parrocchiali[12]. Le campane iniziarono a risuonare subito nei cieli di Legnano, spesso, come si usava all'epoca, durante le perturbazioni atmosferiche più intense e pericolose, come la grandine e i fulmini[12]. A tal proposito Agostino Pozzo scrive:
Per quanto riguarda invece lo spazio antistante la basilica, fin dal Medioevo, in corrispondenza della moderna piazza San Magno, era ubicato il cimitero principale di Legnano, che era utilizzato per seppellire le salme della gente comune[22]. I nobili, infatti, inumavano i propri defunti all'interno delle chiese, mentre le salme del popolo venivano seppellite nei pressi dei templi. A proposito dei cimiteri annessi alle chiese, Carlo Borromeo, nella sua opera De fabrica Ecclesiae, scrisse:
Mentre sulle note relative alla già citata visita pastorale del cardinal Pozzobenelli del 1761, sempre in riferimenti dello spostamento degli ingressi effettuato dal Richini, è riportato che:
«[...] [Il cimitero] è separato e distinto dalla piazza adiacente solamente da colonnine in pietra [...]»
Il camposanto citato fu utilizzato già da prima della costruzione della basilica di San Magno. Successivamente, per il medesimo scopo, fu realizzata una grande stanza sotterranea. Questo cimitero era conosciuto come "il foppone" e venne utilizzato fino al 1808[22][23]. Sempre d'epoca napoleonica fu la depredazione degli arredi sacri della basilica, suppellettili che erano importanti sia da un punto di vista storico che artistico[24].
Durante la sua storia la basilica di San Magno non fu mai oggetto di modifiche sostanziali[22]. Nel 1840 vennero eseguiti anche dei lavori di consolidamento della cupola e forse, come già accennato, fu realizzata l'attuale porta principale[21][25] e fu demolita la casa del sacrestano, che era situata verso il moderno municipio[20]. Il 12 novembre 1850 fu compilata una relazione che venne redatta da una commissione formata dai pittori Francesco Hayez e Antonio de Antoni e dallo scultore Giovanni Servi, la cui finalità era fare un sondaggio per realizzare un eventuale restauro: la commissione venne creata dal governo austriaco su proposta del prevosto di San Magno[20]. Nel 1888 fu ipotizzato un primo restauro, che non fu approvato dalla Conservazione dei Monumenti per la Lombardia[25] e che venne seguito da un altro restauro, questa volta andato in porto, che fu realizzato dal 1911 al 1914[26].
Durante la risistemazione eseguita dal 1911 al 1914, che fu necessaria per rimediare ai danni causati da un ciclone che colpì Legnano il 20 luglio 1910, vennero realizzati dei lavori importanti che coinvolsero l'intera basilica. Vennero rifatti il tetto e la facciata con la chiusura delle murature sottotetto, furono allungate di una campata le cappelle che danno verso piazza san Magno e vennero realizzati i timpani sulle porte[26]. Da un punto di vista estetico, durante questi lavori, furono eliminate le aggiunte barocche del Richini, furono tolte le cornici secentesce che impreziosivano le aperture circolari del tamburo[21] e vennero realizzate delle decorazioni sulla parte esterna della basilica, che richiamavano le forme e le linee dell'interno[27]. Da un punto di vista artistico, queste modifiche all'esterno non hanno però raggiunto l'elevato livello degli interni[27]. Nell'occasione furono anche realizzati i graffiti della facciata e vennero sostituiti gli infissi delle finestre[26][22].
Nel 1909 fu invece edificata la nuova sacrestia[26][25]. L'anno precedente la basilica perse cinque arazzi risalenti al 1550-1560 e realizzati della manifattura di Bruxelles, che rappresentavano le Storie di Elia e Eliseo e che furono ceduti alle Civiche raccolte d'arte applicata del Castello Sforzesco di Milano, dove sono state poi esposte[28].
La piazza di fronte alla basilica, intitolata in un primo momento ad Umberto I (re d'Italia dal 1878 al 1900), fu dedicata a san Magno dopo la seconda guerra mondiale[29]. La basilica fu restaurata nuovamente dal 1963 al 1964[26]. Durante questi lavori venne rifatto il tetto e fu realizzata una seconda copertura sopra l'altare maggiore[25]. Inoltre furono ristrutturati i resti del campanile romanico dell'antica chiesa di San Salvatore e vennero rifatti gli intonaci esterni[25]. Il 29 marzo 1950, con una bolla, Papa Pio XII elevò la chiesa di San Magno a basilica romana minore[30].
Le origini bramantesche
Le fonti
Il primo documento che menziona Donato Bramante come architetto della basilica di San Magno è un scritto di Federico Borromeo, all'epoca arcivescovo di Milano, che è collegato alla sua visita pastorale effettuata a Legnano nel 1618, un cui stralcio recita:
«È notevole l'architettura di questa chiesa, che è stata interamente progettata dall'insigne architetto Bramante. Questa chiesa necessita di una facciata altrettanto bella e che soddisfi esteticamente la sua vista. La si dovrà pertanto realizzare utilizzando marmi pregiati prevedendo nicchie, statue, pinnacoli e altri elementi decorativi, e tutto quanto necessario per aumentarne la bellezza.»
I lavori ordinati dal cardinal Borromeo non vennero poi eseguiti, se non qualche secolo dopo con tutt'altro stile[31]. Il secondo documento che assegna la paternità dei disegni al celebre artista urbinate è uno scritto del 1650 di Agostino Pozzo, prevosto di San Magno dal 1628 al 1653[8] e storico locale, che fa parte dell'opera Storia delle chiese di Legnano, un cui stralcio riporta che:
Sul testo I capi d'arte di Bramante da Urbino nel Milanese, redatto nel 1870 dallo storico dell'arte Carlo Casati, è riportato che uno stralcio di un manoscritto di fine XVIII secolo intitolato Vita di Bramante e scritto da Venanzio De Pagave, recita:.
Evidentemente la menzione della "chiesa delle Grazie in Legnano" è un refuso, visto che il progetto menzionato sul documento, come accennato in precedenza dal Casati, si riferisce alla basilica di San Magno[33].
Le ipotesi degli studiosi
Per quanto riguarda l'opinione degli studiosi di arte sulle origini bramantesche della basilica, degno di nota è uno stralcio dell'opera Histoire de l'art pendant la Renaissance di Eugène Müntz, che recita:
«[...] nello stesso modo in cui il breve soggiorno del Bramante nella provincia [l'Umbria] fu sufficiente per popolare la zona di meraviglie architettoniche [...] così, grazie al suo assiduo lavoro, si costruirono le splendide chiese di Lodi, Crema, Saronno e Legnano»
Più dubbioso è lo storico dell'architettura Arnaldo Bruschi, nella cui opera Bramante, riporta genericamente il possibile intervento diretto del Bramante in diverse chiese, tra cui l'edificio di culto principale di Legnano, che sono infatti tutte a pianta centrale, caratteristica fondamentale delle chiese realizzate dall'architetto urbinate[34]. Altrettanto dubbioso è lo storico dell'architettura Luciano Patetta, che ipotizza anche un intervento indiretto del Bramante, con dei suggerimenti precisi dati ai reali realizzatori del progetto della basilica[35]. Lo studiosi di arte lombarda Silvano Colombo, in suo articolo pubblicato sulla rivista Arte Lombarda, descrive minuziosamente le caratteristiche architettoniche della basilica, ascrivendoli a una semplice evoluzione dell'arte lombarda senza l'intervento diretto del Bramante[36].
Certezza sull'intervento diretto del Bramente viene, come accennato, da Federico Borromeo (che fu anche un grande esperto d'arte, nonché contemporaneo del Richini: con quest'ultimo Federico Borromeo ebbe poi legame molto stretto) un cui documento, menzionato in precedenza, confermerebbe la paternità del progetto al Bramante[37]. Tutto ciò farebbe propendere, con ragionevole certezza, sul reale intervento del Bramante sul progetto, intervento confermato anche dalla bolla papale del 29 marzo 1950 emessa da papa Pio XII che conferiva alla chiesa legnanese la dignità di basilica romana minore:
A questo va aggiunta la presenza a Legnano, a cavallo tra il XIV e il XV secolo, di potenti e influenti famiglie nobiliari con cospicui interessi anche a Milano, tra cui i Lampugnani e i Vismara, che poi finanziarono l'opera, che avrebbero potuto contattare il Bramante, che avrebbe poi deciso di realizzare un disegno della futura basilica convinto da questi importanti casati nobiliari[37].
Il Bramante e la tempistica di edificazione della basilica
Non ci sono però altri documenti che comprovino il fatto che la paternità dei progetti sia ascrivibile all'architetto urbinate: inoltre, secondo le poche fonti disponibili, Bramante, durante il periodo della realizzazione della basilica di San Magno, non si sarebbe trovato a Milano, perciò non avrebbe potuto occuparsi della chiesa legnanese[38]. Un'ipotesi vagliata dagli studiosi considera il fatto che il Bramante realizzò e lasciò i disegni della basilica ai legnanesi senza dimorare nel borgo, e ciò non è in contraddizione con le asserzioni di Agostino Pozzo scritte nella sua opera sulla storia delle chiese legnanesi[13].
Altro fatto che farebbe propendere per l'ipotesi bramantesca è lo stile architettonico specifico della basilica, soprattutto per quanto concerne l'accurato studio dei volumi, che è ascrivibile, per quanto riguarda il Rinascimento lombardo, al soggiorno di Bramante a Milano, che è datato 1492: tale studio architettonico è infatti sconosciuto, perlomeno in Lombardia, su altre chiese costruite precedentemente alla basilica legnanese[13]. Inoltre l'anno in cui il Bramante risiedette a Milano è cronologicamente compatibile con la tempistica della realizzazione del progetto, la cui redazione molto probabilmente è stata fatta qualche anno prima dell'inizio dei lavori di costruzione della basilica (4 maggio 1504): i legnanesi iniziarono infatti a considerare l'ipotesi della demolizione della chiesa di San Salvatore e della costruzione di una nuova basilica, quasi dieci anni prima, nel 1495[13].
Coincidenza aggiuntiva che potrebbe far pensare all'origine Bramantesca della basilica è il quasi contemporaneo completamento della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Milano la cui ultimazione, che è datata 1497, venne seguita proprio dal Bramante: la chiesa milanese e la basilica legnanese hanno infatti in comune l'idea architettonica generale, che corrisponde a una croce greca principale a cui sono aggiunte agli angoli altre tre croci greche minori[13]. Nel complesso questa struttura prevede un sistema architettonico a tre gradi, che è identico per entrambe le chiese, ovvero le cappelle angolari, la cappella principale e il tamburo ottagonale sormontato dalla cupola che è sorretta da grandi piloni, i quali separano le cappelle e i timpani[13]. Ogni ordine architettonico è poi subordinato a quello superiore[13]. Inoltre, il fatto che le fattezze e i volumi architettonici dell'edificio sono praticamente perfetti, avvalorano il fatto che la basilica di San Magno possa essere realmente opera del Bramante, sia da un punto di vista cronologico che artistico, e quindi non frutto di un lavoro di un architetto locale[13].
L'analisi dei tratti bramanteschi della basilica
Nonostante non ci sia una conferma documentata chiara del legame tra il Bramante e la basilica di San Magno, è innegabile che quest'ultima abbia forti connotati bramanteschi, soprattutto per quanto riguarda i volumi del fabbricato, la cui ricerca ha prevalso su quella degli spazi[10]. A sua volta il Bramante fu ispirato da Leonardo da Vinci: il genio vinciano fu infatti il primo a ricercare, nelle realizzazioni di opere d'arte, l'estrinsecazione del movimento e, in un certo senso, dell'"anima" dei soggetti ritratti; questi concetti, da un punto di vista architettonico, si espressero poi nella ricerca dei volumi a discapito di quella degli spazi, dando quindi priorità all'espressione della spiritualità dell'opera, concetto che è fortemente legato all'anima e al movimento trasmesso da questa nuova idea di forme architettoniche[39].
Lo studio dei volumi a scapito dell'impostazione del progetto architettonico basato sugli spazi, da cui discende una visuale prospettica dove nessuna parte è predominante sull'altra, è quindi tipico del rinascimento quattrocentesco e si trova in tantissime opere realizzate dai più grandi architetti di questo periodo, e ciò fa della basilica di San Magno un eccellente esempio di architettura rinascimentale[10]. Il fatto che nessuna parte della basilica di San Magno è architettonicamente centrale, cioè non è predominante sulle altre, neppure ognuno dei suoi sette altari, è anche osservato da Agostino Pozzo nel sopracitato scritto del 1650, quello inserito nell'opera Storia delle chiese di Legnano[32]. L'ipotesi che la basilica di San Magno abbia origini bramantesche, è suffragata anche dalla commissione preposta alla conservazione dei monumenti della Lombardia, che l'ha infatti inclusa nell'elenco dei monumenti nazionali di importanza regionale[8].
Il complesso della basilica di San Magno presenta gli stessi elementi architettonici riscontrabili più tardi in alcune chiese della penisola italiana, come nel tempio di Santa Maria della Consolazione di Todi (1508), nella chiesa di San Biagio di Montepulciano (1518), nella basilica di Santa Maria di Campagna di Piacenza (1528), nella basilica di Santa Maria della Steccata di Parma (1539), oltre che nel santuario di Santa Maria di Piazza di Busto Arsizio (1517) e in altre chiese di Saronno, Pavia e Crema, che sono tutte a pianta centrale[1][13]. Questi edifici religiosi forse non sono stati progettati dal Bramante, ma dai suoi seguaci: sebbene di elevato pregio architettonico, non raggiungono la perfezione della basilica di San Magno, e questo potrebbe essere un altro fatto che avvalorerebbe la paternità, per la chiesa legnanese, assegnata al Bramante[13]. Quest'ultima, infatti, non ha neppure aggiunte architettoniche che facciano deviare l'aspetto dalla basilica di San Magno dall'idea stilistica del Bramante: in altri termini, al chiesa legnanese, rispetto agli edifici sopramenzionati, è architettonicamente pura da un punto di vista bramantesco[1].
Architettura
La chiesa
La pianta della basilica è tipicamente rinascimentale: essa non ricalca più la tipica forma rettangolare allungata verso l'altare delle chiese medioevali, ma presenta una pianta centrale a ottagono che permette una visione prospettica verso tutte le direzioni[39] e che è tipica del primo periodo rinascimentale, quando vennero concepite queste proporzioni, sia per un problema prettamente estetico che per questioni prospettiche[15]. Il visitatore, in ogni posizione, può infatti trovare angoli, scorci e spazi architettonici che appagano sempre la visuale: è questa mancanza di riferimenti precisi che comunica quel movimento che è tipico, come già accennato, delle opere architettoniche bramantesche[39]. Le chiese bramantesche, in particolare, non possiedono una facciata principale attorno alla quale "ruotano" dei volumi secondari, ma hanno una serie di simmetrie e di spazi prospettici dotati circa della stessa importanza che formano, nel complesso, l'insieme della struttura[39].
Nel Medioevo, invece, la prospettiva era tutta incentrata sull'altare maggiore, dove questa centralità monodirezionale, piuttosto che sull'estetica e sulla visuale del visitatore, era focalizzata sulle funzioni religiose[39]. Celebre eccezione medievale di questa regola è il duomo di Pisa che, nonostante sia stato costruito nel XI secolo, presenta una forma che permette una visuale prospettica simmetrica e appagante in tutte le direzioni anticipando le ricerche architettoniche rinascimentali[39]. Era invece tipicamente medievale la già citata chiesa di San Salvatore, edificio religioso che venne sostituito dalla basilica di San Magno: architettonicamente era infatti tutta incentrata sull'altare maggiore[39].
La pianta a ottagono della basilica di San Magno presenta un corto transetto che fornisce alla chiesa una forma a croce. Sugli angoli di quest'ultimo sono poi presenti quattro piccole cappelle. Questa simmetria è presente anche all'esterno della basilica, dove non esiste una facciata principale che spicca particolarmente e dove l'occhio del visitatore viene catturato, bensì una serie di volumi esterni la cui importanza architettonica è paragonabile alla facciata principale, grazie a simmetrie che si ripetono a 360°[32]. Come già accennato, nella basilica di San Magno è stato eseguito un attento studio sui volumi architettonici, che è tipico delle opere rinascimentali, a scapito della semplice ricerca sugli spazi, che è invece prevalente in molte opere occidentali[10]. In particolare, la basilica di San Magno presenta una perfetta ripartizione dei volumi architettonici delle varie parti che compongono il volume architettonico globale dell'edificio (dal tiburio alle cappelle laterali, dalla facciata all'abside, ecc.)[10].
Queste porzioni hanno poi rapporti perfetti e voluti: nel complesso, per quanto riguarda i volumi e le proporzioni, l'architettura della basilica di San Magno ricorda un tempio dell'antichità classica[10], in particolar modo d'epoca imperiale romana[7]. In riferimento a quest'ultimo periodo storico, gli architetti rinascimentali avevano una maggiore conoscenza dei concetti ingegneristici e delle caratteristiche dei materiali, che permetteva di realizzare strutture più snelle e dalle forme più leggere rispetto agli edifici dell'antichità classica, e la basilica di San Magno non fu un'eccezione[7].
A questi concetti si aggiunge lo studiato alternarsi di nicchie e finestre, che conferiscono alla basilica un'eccellente armonicità[10]. In particolare la posizione delle finestre, che sono posizionate in due ordini lungo tutte le pareti della chiesa, fornisce alla basilica dei giochi di luce che sono differenti in base alla posizione del Sole nel cielo, e quindi sono diversi in riferimento all'ora: ciò aumenta quella parvenza di movimento che è dettato dalle forme architettoniche, dato che la luce illumina, nei diversi momenti del giorno parti diverse della costruzione, dalla volta, al tamburo, ai piloni, nessuna delle quali è predominante sulle altre[39]. La basilica di San Magno desta quindi nel visitatore una visuale globale che è appagante e una pienezza che è largamente superiore a quella che ci si aspetterebbe da una chiesa dalle dimensioni paragonabili alla basilica legnanese, che sono infatti modeste[10].
Il campanile
Il campanile originario che serviva la basilica era quello dell'antica chiesa di San Salvatore. Non avendo problemi strutturali, si salvò infatti dalla demolizione. Tale torre campanaria fu allungata nel 1542, mentre nel 1611 fu ristrutturata e irrobustita per poter permettere la collocazione delle campane consacrate da Federico Borromeo, che erano più grandi e pesanti[22]. Nel 1638 venne eseguita un'altra opera di ristrutturazione della torre[22] ma senza ottenere i risultati sperati, vista la persistenza dei problemi dovuti alla vecchiezza della struttura[12].
A metà del Settecento l'antico campanile crollò per due terzi, e quindi il 2 dicembre 1752 iniziarono i lavori di costruzione di una nuova torre campanaria[40]. La data del 2 dicembre risulta solamente da un documento: per tale motivo, probabilmente, considerando il clima gelato che impediva i lavori di costruzione degli edifici, in questa data venne firmato solo il contratto[12]. Sicuramente i lavori erano già stati avviati nel 1761, dato che le note d'archivio relative alla visita pastorale del cardinal Pozzobenelli, avvenuta proprio quell'anno, riportano che il campanile fosse "da finirsi"[41]. Il nuovo campanile fu poi completato nel 1791[21].
Il progetto del nuovo campanile porta la firma di Bartolomeo Gazzone, mentre il capomastro responsabile dell'edificazione fu Francesco Beltrame[16]. Il nuovo campanile venne realizzato con una struttura in mattoni che sostituì, come già accennato, quella in sassi della torre campanaria precedente. L'altezza supera i 40 metri e vennero previste, lungo le pareti, delle lesene[22]. Il tetto superiore, che sovrasta la cella campanaria, è piano e si presenta con linee architettoniche semplici, ben differenti da quelle del progetto originale, che prevedeva vistose decorazioni[16].
Come già accennato, i resti della vecchia torre campanaria furono trasformati in una cappella, che è ancora visibile dietro al campanile della basilica di San Magno in corrispondenza del lato sud dell'edificio, nei pressi del moderno passaggio coperto appartenente al centro parrocchiale di San Magno[6].
La canonica
Sul lato destro della basilica era presente, fino al 1967, un'antica canonica cinquecentesca[22]. Tale edificio fu ingrandito nel Seicento per volere di Federico Borromeo, e nuovamente nel Settecento in occasione della costruzione del nuovo campanile[22]. Già alla fine dell'Ottocento parte della struttura fu demolita, con l'abbattimento della case canonicali che ospitavano al casa del sacrestano e che erano situate verso nord, lungo la moderna via Luini, su un'area prospiciente a dove sarebbe stato costruito palazzo Malinverni[22].
Il resto degli edifici, come già accennato, sono stati abbattuti nel 1967 per permettere la costruzione del nuovo centro parrocchiale, che è stato inaugurato nel 1972 dall'arcivescovo di Milano Giovanni Colombo[26]. La nuova canonica è stata fabbricata in stile moderno[22].
Opere artistiche
La facciata e le porte d'ingresso
Inizialmente la facciata e le altre pareti esterne della basilica erano in mattoni a vista. L'aspetto cambiò radicalmente nel 1914, quando furono realizzati gli intonaci a graffiti[22], che coprirono i muri in cotto che avevano caratterizzato la basilica per secoli, dandole un aspetto di "non terminata": questi lavori vennero realizzato alcuni secoli dopo la costruzione della chiesa perché l'architetto che la progettò e ne seguì la realizzazione non aveva lasciato disegni su possibili lavori di intonacamento dei muri, e quindi gli architetti che lo seguirono non erano sicuri sul tipo si rivestimento da applicare sulle pareti della basilica, soprattutto considerando la riconosciuta valenza artistica della chiesa legnanese[1].
Il motivo dell'omissione, da parte degli architetti cinquecenteschi, dei progetti inerenti le pareti esterne risiedette nella loro volontà di nascondere ai successori le loro idee, così da prendersi la paternità anche di un futuro e ipoteco lavoro di intonacamento[27]: gli artisti, infatti, generalmente non lasciavano disegni sulla prosecuzione dell'opera, come schizzi sulle decorazioni esterne, per evitare che altri si appropriassero dell'idea o della sua esecuzione[13]. Forse un altro motivo risiedeva nel far focalizzare l'attenzione verso l'interno della chiesa, che venne fin dall'origine riccamente decorato[2]. Non fu quindi un caso che il campanile, che venne costruito dopo il 1752, fu realizzato in cotto e senza intonaco: in questo modo avrebbe avuto un aspetto esteriore simile a quello della basilica[27]. L'aspetto di "non terminato", che caratterizzò la basilica di San Magno fino al 1914, non si limitava solamente all'assenza di un intonaco, ma era molto più profondo; ad esempio erano evidenti, sulle pareti esterne, i buchi dei ponteggi che risalivano ai tempi della costruzione della basilica e si intravedeva il sottotetto delle cappelle quando si guardava in prossimità delle colonne di sostegno di queste ultime[27].
Le tre porte d'ingresso in bronzo vennero invece donate alla basilica in occasione del settimo centenario della battaglia di Legnano (29 maggio 1976) grazie ad una sottoscrizione popolare organizzata dall'associazione locale Famiglia Legnanese con la partecipazione delle otto contrade che prendono annualmente parte al Palio cittadino[42]. Furono opera dello scultore Franco Dotti e vennero benedette il 30 maggio 1976 dall'arcivescovo Giovanni Colombo[42]. Le raffigurazioni delle tre porte sono ispirate alla battaglia di Legnano e alle tradizioni culturali della città[42].
L'atrio d'ingresso
Quando venne realizzata la basilica le porte d'ingresso erano ruotate di 90° verso nord e quindi il moderno atrio, che era a campata unica fino all'ampliamento della facciata verso piazza san Magno, avvenuto durante i lavori eseguiti tra il 1911 e il 1914, quando fu costruita una seconda campata, fungeva da cappella[43]. La volta di questa cappella venne affrescata con un motivo a cassettoni, dipinto poi andato perduto[43].
Di questo ciclo di affreschi sono giunte al XXI secolo solo alcune decorazioni che si trovano sotto la cornice della pareti laterali; su quella di sinistra è raffigurato un altare sopra cui è presente un ostensorio che contiene l'Ostia Sacra, simbolo caro a san Bernardino, con ai lati sant'Apollonia, sant'Antonio, santa Sabina e san Biagio, mentre sulla parete di fronte sono raffigurate la Madonna con il Bambino, intorno ai quali sono presenti san Magno, san Sebastiano, sant'Eustachio e san Rocco[43].
Gli affreschi che invece erano stati dipinti sulla parete in seguito destinata a ingresso della basilica sono andati quasi tutti perduti: si sono salvate solo alcune tracce di pittura lungo l'arco principale d'ingresso e sulle colonne[43].
Tutti gli affreschi vennero realizzati nel 1517 a spese di Aloisio Fumagalli, come testimonia un'iscrizione ad affresco situata sotto gli stemmi dei Fumagalli e dei Caimi, che si trovano a loro volta nei pressi dei due santi più vicini alla Madonna:
Il pavimento e le balaustre
Il pavimento, che è stato realizzato in marmo rosso, bianco e nero di Verona, fu posato nel Settecento[16] e ha un disegno geometrico a scacchi realizzato a intarsio, con il motivo sotto la cupola che converge verso il centro della basilica richiamando le linee della volta e - più in genere - i profili curvi delle pareti verticali circostanti, che si chiudono convergendo nella cupola soprastante[27]. La tarsia vera e propria è realizzata con marmo bianco e nero, mentre le fasce sono in macchia vecchia rossa[16]. Storicamente, nei mesi più freddi, il pavimento marmoreo veniva protetto con grandi assi di legnao[16]. Fino al Settecento l'intera chiesa era pavimentata con piastrelle in cotto[16].
Anche le balaustre sono realizzate con lo stesso tipo di marmo utilizzato per il pavimento: le colonnine, che vennero sagomate in forma quadrata, sono in marmo rosso, mentre il basamento e i contorni sono neri[16].
Il coro
Gli stalli del coro sono collocati nella cappella maggiore e vennero realizzati in legno di noce nel Seicento dai fratelli Coiro, ovvero dai medesimi intagliatori del tempietto con il vecchio tabernacolo che si trova in sacrestia[44][16]. Sono pertanto di pregevole fattura[45]. Fu deciso di costruirli dopo la collocazione dell'altare nella sua posizione definitiva: in questo modo si ebbe la certezza su quale parete sarebbe rimasta completamente libera[44]. Nel 1586 il cardinal Niccolò Sfondrati, vescovo di Cremona e futuro papa Gregorio XIV, inviò per un sopralluogo un auditore che scrisse, in riferimento a tale visita:
Originariamente l'altezza degli stalli del coro arrivava quasi fino al bordo inferiore della cornice dipinta dal Lanino[44]. A quest'ultima, nel XVIII secolo, venne aggiunto uno zoccolo per alzarla e staccarla dagli stalli[45]. All'inizio del XX secolo vennero eliminati gli inginocchiatoi e fu posizionata una pedana che alzasse gli stalli, che fino ad allora poggiavano direttamente a terra[45]. Nella stessa stessa occasione furono collocate sugli stalli della cattedra arcivescovile, che è situata centralmente[16], delle cariatidi a putti, che vennero realizzate con il legno proveniente dalla cattedra precedentemente collocata sotto l'affresco avente per soggetto la Disputa[45]. Con le modifiche avvenute nella prima parte del XX secolo, gli antichi stalli del coro della basilica hanno perso quell'austerità che era tipica del periodo rinascimentale[45]. La pedana realizzata nella prima parte del XX secolo nascondeva però parte degli affreschi delle pareti, in particolare le scene della Visita dei Magi e del Ritorno, e quindi nel 1968 fu costruita una nuova pedana, questa volta più bassa, che ha risolto il problema[45].
I pulpiti
In origine i pulpiti, che vennero scolpiti su legno di noce probabilmente nel 1586[N 4], erano due[16][46]. Si trovavano installati sui piloni che si trovano davanti all'arco trionfale ed erano in una posizione rialzata: per tale motivo, vi si accedeva tramite due scale a chiocciola[16][46]. Queste ultime furono rimpiazzate, nel 1922, da scale lineari rimovibili[46]. Originariamente i pulpiti era dotati di baldacchini[46].
Per le funzioni liturgiche veniva utilizzato generalmente sempre lo stesso, quello cornu Evangelii (in it. "al lato del Vangelo"), ovvero il pulpito situato a sinistra dell'altare maggiore, dato che esso era quello più vicino alle sacrestie, mentre il pulpito in cornu Epistulae (in it. "al lato dell'epistola"), cioè quello sulla destra dell'altare, veniva utilizzato per le cerimonie solenni[46][47].
Nel 1967 uno dei due venne eliminato, mentre l'altro fu posizionato a livello del pavimento lateralmente alla cappella maggiore[16][46].
L'organo
L'organo venne realizzato nel 1542 dalla famiglia Antegnati[2]. La cantoria in legno di noce è invece opera del pittore Gersam Turri, che ne progettò lo stile e ne disegnò il progetto[2]. Fino allo spostamento degli ingressi della basilica eseguito dal Richini nel 1610, si trovava sopra la vecchia porta d'entrata, nell'attuale cappella dell'Immacolata o dell'Assunta, all'epoca atrio di ingresso alla chiesa, che era situato a nord: poi l'organo venne spostato nella cappella di San Pietro Martire[48]. L'ultimo trasferimento avvenne nel 1830, quando fu posizionato sopra l'ingresso principale, dove si trova tuttora[48].
L'organo, che è più antico di quello conservato nel Duomo di Milano, è forse l'unico strumento a canne fabbricato dalla famiglia Antegnati che è giunto sino a noi praticamente intatto[49]. A detta di molti esperti di musica l'organo della basilica di San Magno è un eccellente strumento, in particolar modo per la dolcezza e la sonorità degli accordi[49]. Agostino Pozzo, prevosto di San Magno e storico locale, nella sua opera Storia delle chiese di Legnano lo descrive così:
La volta principale
La prima opera decorativa realizzata nelle basilica fu eseguita nel 1515 da Gian Giacomo Lampugnani, che affrescò la volta della chiesa a grottesca dopo aver supervisionato, come già accennato, alla costruzione dell'intera chiesa[9]. Complice la sapiente illuminazione naturale interna originata dalle aperture laterali della volta, che permettono una calibrata luminosità a qualsiasi ora del giorno, l'effetto globale è di rilievo assoluto[27], tanto da estasiare anche lo storico dell'arte Eugène Müntz, che definì tale decorazione "la più bella grottesca della Lombardia"[13].
La volta è divisa in otto spicchi all'interno dei quali sono affrescati dei grandi candelieri da cui si dipanano, partendo dal basso, dei rami[11]. All'interno di questo disegno si aprono le finestre della cupola[11]. Il dipinto è poi completato con la rappresentazione di centauri, delfini, aquile, satiri, cavalli marini, arpie, putti alati e draghi, i cui colori dominanti sono il bianco e il grigio in chiaroscuro e il blu dello sfondo, che venne realizzato utilizzando una tintura a base di polvere di lapislazzuli[11][9]. Gli otto spicchi sono divisi da costolature di colore rossastro su cui sono affrescati dei candelieri[11]. Le scelta di realizzare otto spicchi non fu casuale: in questo modo l'affresco non ha una direzionalità univoca, ma richiama la pianta centrale dell'edificio, che non possiede una parte architettonicamente dominante sulle altre[9].
Sopra la cupola è presente un tamburo ottagonale che internamente è affrescato con colori più forti rispetto alle tinture della volta, e ciò è l'opposto di quello che in genere si è fatto nelle decorazioni delle altre chiese coeve, che sono invece caratterizzate da colori più forti nella parti inferiori e più tenui nelle sezioni architettoniche superiori[46]. Questo ciclo di pitture è stato realizzato nel 1923 da Gersam Turri[46]. In particolare, tra le arcate maggiori e i capitelli sono raffigurati in altrettanti tondi sedici profeti biblici (Geremia, Isaia, Gioele, Daniele, Salomone, Davide, Giona, Abdia, Amos, Aggeo, Abacuc, Sofonia, Ezechiele, Michea, Zaccaria e Malachia)[46]. I pilastrini sono invece decorati con candelabri su sfondo azzurro, candelabri che troviamo anche nelle ventiquattro nicchie, questa volta rappresentati su uno sfondo dipinto in un azzurro più scuro in modo tale da far risaltare la penombra della rientranza; i sottarchi sono invece impreziositi da pitture che raffigurano delle greche[46].
La cappella maggiore
Gli affreschi del Lanino
La volta e le pareti della cappella maggiore furono dipinti da Bernardino Lanino tra il 1562 e il 1564 nel pieno della sua maturità artistica[50] grazie al contributo economico della famiglia dei Cavalieri Lampugnani[51], che elargirono, all'artista vercellese, 2164 lire[3]. Prima degli affreschi del Lanino, la cappella maggiore era dipinta con una tintura di colore giallo dall'aspetto rugoso che era decorata con disegni geometrici (cerchi e riquadrature) con la tecnica del graffito[51]. Il Lanino sfruttò la rugosità dell'intonaco precedente per stendere le nuove decorazioni senza asportare le pitture precedenti[52]. A lungo andare è sorto però un problema: il Lanino non tolse neppure le incrostazioni dovute al fumo delle candele e all'umidità, e quindi ancora oggi questi affreschi sono soggetti alla formazioni di piccole crepe che disegnano una sorta di ragnatela e che sono causate dalla scarsa aderenza delle pitture[52]. Il pavimento originario era invece a mattoni in cotto che erano disposti a spina di pesce; i suoi resti sono poi stati rinvenuti durante i lavori di restauro effettuati dal 1963 al 1964[51].
La volta a crociera è decorata da festoni di frutta e coppie di putti che sono stati realizzati con stile a grottesca[52]. Il colore dominante della volta a crociera è il giallo oro, che volutamente contrasta con il blu della cupola, il quale ha una tonalità piuttosto scura[48]. I soggetti dipinti sulla volta hanno uno stile tipicamente lombardo quattrocentesco[48]. La parte superiore della parete, essendo collocata sotto il cornicione, fa ancora parte, da un punto di vista architettonico, della volta; essa è suddivisa in lunette, che sono tutte affrescate[52]. Quelle laterali, che sono accanto ai finestroni, raffigurano i quattro evangelisti: partendo da sinistra, san Matteo e san Giovanni, mentre quella centrale san Marco e san Luca[52]. Sulla lunetta di fondo sono invece dipinti i primi quattro dottori della Chiesa, cioè sant'Ambrogio, sant'Agostino, san Girolamo e san Gregorio[52][48].
Anche le pareti sotto il cornicione sono state affrescate[52]. Sulla parete alla destra dell'altare sono rappresentati lo Sposalizio della Vergine, la Visitazione della Beata Vergine Maria, l'adorazione dei pastori e la visita dei Re Magi[53]. La parete di sinistra è invece decorata con il viaggio verso Nazareth, la Purificazione, la strage degli innocenti, il ritorno a Nazareth e la Disputa[54]. In quest'ultima scena sono presenti i ritratti del Lanino e del suo aiutante, che prestano il loro volto ad alcuni passanti[55]. L'arco trionfale è invece affrescato con angeli in volo e motivi geometrici decorati da frutti[48].
Sulla parete di fondo, ai lati della pala del Luini, sono dipinti san Rocco e san Sebastiano, mentre sui pilastri d'ingresso sono raffigurati Gesù Cristo e san Magno[N 6]. Questi ultimi sono sovrastati da baldacchini impreziositi da tende purpuree[55]. Sempre frontalmente sono presenti anche le raffigurazioni dei profeti Isaia e Geremia e quattro putti. Questa cappella, nel suo complesso, ha una grande valenza artistica, soprattutto per quanto riguarda la fattura dei personaggi dipinti, e rappresenta uno dei capolavori riconosciuti del Lanino[55].
Nel 1923 il pittore Gersam Turri completò la decorazione della cappella maggiore dipingendo, lungo tutto il perimetro dei piloni e delle voltine a pennacchi, dei tondi contenenti raffigurazioni di profeti biblici[48]. Nel 1967 queste aggiunte furono ridipinte ad affresco da Mosé Turri junior, figlio di Gersam, ispirandosi ai cartoni originali[48]. Mosé Turri junior, nell'occasione, restaurò anche tutti gli affreschi del Lanino, che nei secoli si erano danneggiati per i già citati problemi dell'aderenza delle pitture sui muri[48].
Il polittico del Luini
Altro capolavoro presente nella basilica[56] è il polittico di Bernardino Luini, commissionato il 5 luglio 1523[3], che si trova dietro l'altare maggiore[48]. A proposito della richiesta, al Luini, di eseguire l'opera, nell'archivio parrocchiale di San Magno è riportato che[56]:
Secondo alcune ipotesi il Luini visse per lungo tempo a Legnano durante gli anni in cui venne realizzato questo polittico[56]. Il motivo presumibilmente era legato all'epidemia di peste che affliggeva Milano e che obbligò molti a rifugiarsi in ville di campagna o in luoghi isolati o periferici per sfuggire al morbo[56]. Secondo la testimonianza di Agostino Pozzo il Luini ebbe occasione, al di là del suo ipotetico lungo soggiorno legnanese, che sarebbe durato un anno, di dipingere altre opere[56]. A tal proposito, nei suoi scritti, il prevosto di San Magno scrive che[56]:
Il polittico in questione, che misura circa 3 m x 5 m, ha uno stile pittorico molto diverso rispetto a quello di tutte le opere circostanti[56]. Sopra il timpano è presente una tavola che è decorata da due angeli intenti a suonare la tromba[N 8][56]. In origine erano presenti due ante, andate perdute, che venivano richiuse nei giorni feriali sopra il polittico per proteggere i dipinti; sulle due ante erano dipinte, rispettivamente, santa Caterina e un gruppo di angeli[56]. Una copia delle due ante è conservata presso l'Isola bella, all'interno di palazzo Borromeo[57]. Il polittico del Luini è considerato dagli storici dell'arte come uno dei capolavori dell'artista lombardo[50].
Sul timpano è invece raffigurato il Padre Eterno, mentre sulla tavola centrale, che ha dimensioni cospicue[48], è dipinta in stile leonardesco una Madonna col Bambino seduta sul trono che è attorniata da un cherubino e da sette angeli[44]. I tre angeli dipinti nella parte superiore cantano in coro, i due raffigurati lateralmente alla Madonna suonano dei liuti, mentre i tre rappresentati ai piedi della Vergine suonano dei flauti[44]. Nelle quattro tavole laterali sono invece dipinti san Giovanni Battista, san Pietro, san Magno e sant'Ambrogio[58], con questi ultimi due che sono rappresentati in una posa con la quale indicano la scena centrale, quella dove è raffigurata la Madonna col Bambino[44]. Sulla predella inferiore, all'interno dei piccoli scomparti verticali, sono rappresentati in chiaro scuro san Luca e san Giovanni, l'Ecce Homo, san Matteo e san Marco, mentre nelle sezioni orizzontali sono dipinti, sempre in chiaro scuro, il Cristo inchiodato alla Croce, la Posa nel sepolcro, la Resurrezione e l'incontro di Emmaus[44].
Di notevole valenza artistica è anche la cornice dorata, che risale al tempo della realizzazione di questa opera da parte del Luini[44]. La volta affrescata dal Lanino ha come punto focale di tutte le decorazioni il polittico del Luini[48]. Nel 1624, su tale polittico, Federico Borromeo scrisse[44]:
Già nel 1634 il valore stimato dell'opera fu stimato in 10.000 scudi[57]. Nei secoli è stata quindi oggetto di tentativi di compravendita[57]. Nel 1857 un museo britannico offrì 420.000 svanziche per averla, offerta poi rifiutata, mentre nel 1906 il periodico britannico specializzato in arte Magazine Office Arts accusò le autorità ecclesiastiche locali di aver trascurato l'opera, il che avrebbe causato danni alla stessa, invitando pertanto il governo britannico a chiedere ufficialmente alle autorità politiche italiane la cessione del polittico, che sarebbe stato destinato al National Gallery di Londra[57]. Il governo italiano poi rifiutò, dimostrando l'infondatezza delle accuse[57].
L'altare maggiore
In questa cappella, come già accennato, è presente l'altare maggiore, che risale al 1587[45]. Una nota d'archivio lo definisce così:
L'altare maggiore fu consacrato solo il 23 maggio 1639: in precedenza vi si celebrava sopra messa grazie a un altare portatile. A tal proposito, Agostino Pozzo scrisse:
Prima della riforma liturgica l'altare era appoggiato, come da tradizione, alla parete[45]. In particolare era situato sotto la pala ed era rialzato da terra da alcuni scalini[45]. In sacrestia è conservato un tempietto con tabernacolo, opera dei fratelli Coiro, di grande valore artistico che risale al Seicento e che fino alla prima parte del secolo citato era collocato sopra uno zoccolo realizzato in mattoni, che aveva ai lati due modiglioni in legno dorato: questo prezioso oggetto, un tempo posizionato dietro la mensa dell'attuale altare maggiore, è ora conservato in sacrestia[45].
Nel Settecento fu realizzato un nuovo tabernacolo più piccolo, questa volta sostenuto da alcuni gradini: su di esso era collocato un tempietto, la cui altezza oscurava metà della pala[45]. In seguito, lateralmente al ciborio, vennero collocate due statue lignee raffiguranti degli angeli adoranti che vennero tolte all'inizio del XX secolo, insieme a tutte le aggiunte settecentesche e al baldacchino rococò, per poter permettere la visione completa della pala del Luini[45]. Nel 1963 vennero eliminate le balaustre di marmo e le lampade pendenti: nell'occasione fu anche spostata più avanti la mensa, così da lasciare, come luogo per le celebrazioni, il solo blocco marmoreo[48][45]. Fino alla fine degli anni sessanta l'altare maggiore era sormontato anche da un velario e da un capocielo[16].
La cappella di San Pietro Martire
In origine non era una cappella, ma un semplice atrio di ingresso al campanile romanico della chiesa di San Salvatore[59]. Con lo spostamento dell'ingresso alla basilica effettuato dal Richini all'inizio del Seicento, diventò l'anticamera d'accesso alla canonica[59].
La cappella di San Pietro Martire, che venne dedicata a questo santo domenicano, da non confondere con l'apostolo Pietro, a metà del Cinquecento, è stata affrescata originariamente nel 1556 da Evangelista Luini, figlio del già citato Bernardino[48]. In origine gli affreschi furono erroneamente attribuiti al Lanino[59]. Altra errata attribuzione vuole che gli affreschi siano stati dipinti da Aurelio Luini, altro figlio di Bernardino, ma lo stile delle raffigurazioni e il periodo di realizzazione portano a Evangelista Luini, fratello di Aurelio[48].
Gli affreschi cinquecenteschi rappresentavano il martirio di San Pietro sovrastato da putti musicanti (dipinti sulla volta), attorniato da Dio benedicente e da cherubini (sulla lunetta) e da alcuni santi (sui pilastri)[58][48][60]. In particolare, il Dio benedicente era ispirato al Padre Eterno raffigurato dal padre di Evangelista, Bernardino, nella pala conservata nella cappella maggiore[60]. Sulle colonne erano invece dipinti san Magno, san Rocco, san Sebastiano e san Giovanni Evangelista[60].
Il motivo della perdita dell'affresco originario è legato all'epidemia di peste che colpì l'Alto Milanese tra il 1576 e il 1577: per ordine di san Carlo Borromeo vennero infatti imbiancate le pareti delle chiese della zona, sperando di ingraziarsi Dio con questo atto di rinuncia[60]. Le uniche parti della basilica di San Magno che si salvarono dall'imbiancatura furono le figure rappresentanti la Vergine Madre e la cupola maggiore, quest'ultima perché poco accessibile e per via delle forti proteste dei legnanesi[60].
Gli affreschi della cappella di san Pietro vennero probabilmente distrutti nel 1610, in occasione dei lavori del Richini durante i quali, nella cappella, venne aperto un nuovo ingresso conducente all'antico campanile della chiesa di san Salvatore[48]. In aggiunta, un'altra concausa della distruzione degli affreschi fu il già citato trasferimento dell'organo degli Antegnati nella cappella di San Pietro Martire, che rese necessari lavori sulle pareti[48]. Proprio il nuovo spostamento dello storico strumento musicale che avvenne, come già accennato, nel 1830, portò alla scoperta degli antichi affreschi[48]. Dopo aver eliminato l'imbiancatura, Beniamino Turri ridipinse la figura di san Pietro[48]. All'inizio del XX secolo tornarono alla luce le tracce delle pitture originarie che raffiguravano gli angeli e le figure laterali al santo: in questa occasione Gersam Turri rifece il Padre Eterno, mentre nel 1967 Mosé Turri junior restaurò l'intero ciclo di pitture, scoprendo altre tracce dell'affresco originale[48].
Nel 1518 venne realizzato da Gian Alberto Bossi il distico che ornava la porta principale della facciata situata a nord[20][59]. Questa scritta, realizzata scolpendo un'architrave di pietra, venne trasferita nella cappella di San Pietro nel 1610, in occasione del già citato spostamento degli ingressi effettuato dal Richini[59]. In particolare, il distico si trova sopra la porta detta "del prevosto", che è chiamata in questo modo perché conduce alle case canonicali[20]. Il distico di Gian Alberto Bossi recita[13]:
«I pascoli, le vigne, le messi, l'abbondanza di acque, il tempio e le numerose famiglie nobiliari danno lustro a Legnano»
La cappella del Santo Crocifisso
La cappella grande laterale di sinistra è dedicata al Santo Crocifisso. In origine, prima dello spostamento dell'ingresso a opera del Richini, che avvenne all'inizio del Seicento, questa cappella rappresentava l'andito che metteva in collegamento la chiesa con l'abitazione del parroco e del coadiutore[61]. Quando fu trasformata in cappella vera e propria, fu dedicata a san Carlo Borromeo[61]. Per tale motivo la cappella conservava le due tele rappresentati il santo, che sono state trasferite in un'altra cappella della basilica, quella di San Carlo e San Magno, in occasione della nuova intitolazione[61].
Nella cappella è anche presente un altare realizzato con marmi preziosi che risale al Settecento[61]. Anche la lavorazione dei rivestimenti marmorei è di notevole fattura[61]. Un tempo era sormontato da due putti che sostenevano le insegne di san Carlo, ovvero la mitra e il pastorale, con al centro il cappello cardinalizio su cui era riportato il motto della famiglia Borromeo[61].
La cappella è stata affrescata nel 1925, in occasione della nuova dedicazione al Santo Crocifisso, con alcune raffigurazioni di scene bibliche quali Pilato che rimanda Gesù, l'incontro con la Vergine, san Pietro e san Paolo (questa scena è stata dipinta di fianco all'altare), san Giovanni e gli angeli (realizzati dentro la nicchia), Geremia e Davide (sui pilastri) e un Cristo nell'orto (sulla volta)[61][62]. Gli affreschi sono stati eseguiti da Eliseo Fumagalli, che era pittore e scenografo di teatro: la professione esercitata in teatro si desume dalla struttura e dalla composizione delle scene dipinte[62]. Nella cappella fu poi collocato un prezioso Cristo ligneo deposto proveniente dalla cappella del Battistero che è conservato in una teca di vetro, oltre che un pregevole crocifisso un tempo conservato in sacrestia a cui sono state aggiunte due statue di cartapesta decorate a stucco e risalenti al XVIII secolo, che raffigurano l'Addolorata e la Maddalena piangenti sotto il crocifisso[62].
La cappella dell'Immacolata
Gli affreschi
La cappella dell'Assunta, chiamata anche dell'Immacolata, era in origine un atrio in corrispondenza del quale era presente l'antico ingresso della basilica[18]. Con i già citati lavori eseguiti dal Richini, nel 1610, l'ingresso venne spostato nella posizione attuale e quindi l'atrio venne trasformato nella cappella dell'Assunta[18]. Un tempo questa cappella ospitava anche l'organo[18].
Gli affreschi della volta, che sono stati eseguiti da Francesco e Giobatta Lampugnani, sono invece del 1633 e raffigurano l'Assunzione di Maria[18][62]. La Madonna, nell'affresco, sale in cielo accompagnata da alcuni angeli che sono estasiati dal miracolo[18]. Sugli archi sono dipinti cinque putti, mentre sulle colonne sono raffigurate santa Lucia e sant'Agata: anche questo ciclo di pitture è dei due pittori Lampugnani sopramenzionati[18]. Le pareti, che raffigurano delle colonne marmoree sormontate da soffitti a cassettoni[62], sono invece state affrescate nel 1646 da Giovan Battista e Girolamo Grandi.
Il polittico del Giampietrino
La cappella dell'Immacolata ospita dal 1610 un polittico del Giampietrino risalente al 1490[62] e raffigurante, al centro, una Madonna col Bambino[63]. Le ultime notizie documentate della parte centrale di questa opera d'arte sono datate 1650: poi se ne sono perse le tracce[63]. La pala del Giampietrino, che è la più antica opera d'arte presente nella basilica, proviene dall'antica chiesa di San Salvatore[63]. Alcuni studiosi dell'arte contestano però questa datazione: considerando lo stile delle pitture, a loro dire la pala sarebbe stata realizzata in un periodo compreso tra il 1520 e il 1530[64].
Sul polittico del Giampietrino, in sostituzione della Madonna col Bambino, venne realizzata nel XVIII secolo una pregevole statua lignea raffigurante l'Immacolata nell'atto di schiacciare il serpente[62][63]. La pala è quindi ora composta da una parte a sinistra, dov'è raffigurato san Giovanni Evangelista, dallo scomparto centrale, dov'è collocata la già citata statua lignea settecentesca, mentre sulla destra è raffigurato san Giuseppe[63].
I due comparti laterali, che sono caratterizzati da tratti pittorici sfumati ad arte, risentono dell'influenza della scuola di Leonardo da Vinci, che soggiornò a Milano proprio nel periodo in cui queste opere sono state realizzate[63]. Le tre tavolette presenti alla base del trittico rappresentano, da sinistra a destra, san Gioacchino che reca la buona novella a sant'Anna, la Natività e la Presentazione al Tempio[63], mentre nella sezione superiore è stata dipinto dai fratelli Lampugnani un pregevole Ecce Omo[62]. Di questa opera, e dei suoi presunti miracoli, Agostino Pozzo scrisse:
Nella parte centrale, a fianco del polittico del Giampietrino, sono presenti due statue, una raffigurante sant'Elena, l'altra sant'Apollonia[63]. Nella cappella, in due nicchie laterali, sono presenti altre due statue, una (quella sulla sinistra) raffigurante santa Caterina e l'altra (sulla destra) sant'Anna[63].
La cappella di San Carlo e San Magno
La cappella di San Carlo e San Magno, che è la terza sulla sinistra, fungeva originariamente da andito che portava alla casa del sacrestano, abitazione che si trovava sulla moderna via Luini e che è stata abbattuta, come già accennato, a fine Ottocento per poter permettere la realizzazione di palazzo Malinverni[65]. In origine la cappella era dedicata a sant'Antonio Abate: prese questa intitolazione nel 1924, quando è stata affrescata con dipinti raffiguranti dei puttini[62]. Un tempo conteneva un antico altare e alcuni quadri, tutti dedicati a sant'Antonio Abate, poi andati persi[62].
Contiene una reliquia di san Magno e due quadri del XVII secolo che raffigurano san Carlo, uno che rappresenta il santo che visita gli appestati, l'altro che mostra san Carlo in estasi[65]: entrambe le tele sono di un pittore Lampugnani, Francesco o Giovanni Battista[62]. Gli stucchi che adornano la cappella risalgono al XVII secolo e sono composti da motivi decorativi[62]. Sulla volta della cappella sono dipinti in chiaroscuro quattro putti, realizzati da Gersam Turri nel 1924, mentre sulle lesene sono raffigurati, sempre in chiaroscuro, la Carità (sulla sinistra) e la Fede (sulla destra): tutte queste pitture rispettano lo stile secentesco delle decorazioni a stucco[65]. Nella cappella sono poi conservati due antichi confessionali[65].
La cappella dell'Andito e le sacrestie
La cappella dell'Andito, che si trova di fronte alla cappella di san Carlo e che porta alle sacrestie, non è stata decorata da quasi nessuna pittura aggiuntiva per dare l'idea di come fossero le parti laterali minori della basilica prima della realizzazione delle opere pittoriche del 1923[62]. La sola opera ospitata nella cappella dell'Andito è un quadro realizzato da Francesco Lampugnani nel 1620 che ha uno stile cinquecentesco e che raffigura una Madonna[62].
L'andito, che serve come ambiente intermedio tra la chiesa e la sacrestia, da cui il nome, è caratterizzato da due porte, una che mette in collegamento la sacrestia realizzata nel 1909, l'altra che permette l'ingresso nella vecchia sacrestia, ovvero nell'edificio rappresentato dai resti del campanile dell'antica chiesa di San Salvatore[66]. A lato della porta che dà verso la sacrestia vecchia, è presente un quadro del Seicento opera di Francesco Lampugnani che rappresenta la Madonna col Bambino[62]. La porta che consente l'ingresso nella nuova sacrestia, quella realizzata nel 1909 e poi ampliata, è collegata alla cappella maggiore da un corridoio che sfocia nella cappella del Santissimo Sacramento, la quale è collegata a sua volta ai cori della cappella maggiore da un'apertura[66].
Come già accennato, nella sacrestia nuova è conservato l'antico tabernacolo con tempietto barocco, di grande valore artistico, opera dei fratelli Coiro e risalente al Seicento[66]. Tra le due porte è collocato un antico armadio che in origine conservava l'archivio parrocchiale[66]. Alla sua sinistra è presente un altro armadio che custodisce i paramenti e le suppellettili sacre[66]. Nella vecchia sacrestia, quella ospitata dall'edificio rappresentato dai resti del campanile dell'antica chiesa di San Salvatore, sono invece collocati i confessionali per gli uomini[66].
La cappella del Sacro Cuore o del Battistero
La cappella del Sacro Cuore si trova invece sulla sinistra dell'altare maggiore. Questa cappella ha avuto questa dedicazione nel 1948; in origine era intitolata a san Giovanni Battista e agli apostoli Giacomo e Filippo[N 9], per poi essere dedicata, all'inizio del XIX secolo, all'Addolorata[67].
Un tempo nella cappella erano conservati, all'interno di cornici murarie in gesso collocate sui pilastri, quattro quadri settecenteschi che erano opera di Antonio Schieppati e di cui si sono perse le tracce[65]. Le tele dello Schieppati vennero sostituite da altrettanti quadri a olio di Mosé Turri senior, che furono collocati sulle colonne e che hanno per soggetto la Presentazione, la Fuga in Egitto, l'Addolorata e la Deposizione[65]. Sempre del medesimo pittore sono altre tre tele che sono appese sull'arco d'ingresso e che ritraggono La Disputa, il Crocifero che incontra la madre e la Crocifissione[67]. La volta è affrescata sempre a opera di Mosé Turri senior: i soggetti dipinti, in questo caso, sono quattro angioletti con i simboli del martirio[68]. Tutte le decorazioni ad affresco hanno foggia settecentesca[62]. Tale cappella comprende anche degli affreschi del 1862 di Mosè Turri e delle decorazioni del medesimo pittore che sono state eseguite nel 1853. È anche conservato un prezioso quadro a olio del Seicento situato sulla destra e raffigurante la deposizione di Cristo, che è opera di Giovanni Battista Lampugnani e che precedentemente era conservato nella cappella di sant'Agnese[16].
In origine sopra l'altare presente nella cappella, che risale al XVIII secolo, era presente una statua del Cristo morto che in seguito è stata spostata nella cappella del Crocifisso[68]. Ai suoi lati erano collocate due statue che rappresentavano San Giovanni Battista e san Giacomo, che vennero eliminate nel 1948 in occasione dell'ultimo cambiamento di intitolazione della cappella[68]. Sempre in occasione del medesimo evento, la statua del Cristo morto venne sostituita da un quadro che rappresenta il Sacro Cuore e che è stato eseguito dal pittore Galelli[68]. Il grande timpano presente nella cappella è decorato con stucchi che rappresentano dei putti: putti della medesima fattura si ritrovano anche sui costoloni che definiscono la volta a crociera e sulle cornici[68]. Gli stucchi del timpano e i puttini sono stati realizzati dai fratelli Mosé e Daniele Turri[16].
Notevoli sono anche il pavimento di marmo intagliato a mosaico e la torciera in rame precedentemente situata al centro della basilica insieme a un altro manufatto identico: entrambi servivano per illuminare le panche per poter permettere ai fedeli, prima dell'installazione dell'impianto elettrico, di leggere senza fatica[68]. L'unica torciera superstite è diventata poi il sostegno per il cero pasquale[68].
Nella cappella è anche presente un'antica fonte battesimale in marmo rosso, risalente alla metà del Seicento[69][49], che è stata trasferita in questa parte della basilica negli anni sessanta del XX secolo[68]. In tal modo la cappella del Sacro Cuore è diventata il battistero della basilica[68]. In origine la fonte battesimale trovava nel moderno atrio di ingresso[11], in corrispondenza dell'ingresso principale, prima che la porta venisse creata, poi fu nel 1840 fu spostato in una cappella semicircolare che venne realizzata a sinistra dell'ingresso minore e che venne dotata di una piccola finestra[70]. Durante i lavori di ristrutturazione dell'inizio del XX secolo questa piccola cappella venne eliminata per ricostituire la simmetria della basilica e la fonte battesimale venne collocata all'interno di una nicchia ricavata nel muro per poi essere definitivamente spostata all'interno delal cappella del Sacro Cuore[43]. Agostino Pozzo, prevosto di San Magno, nei suoi scritti, definisce così la fonte battesimale:
La fonte battesimale è sostenuta da un basamento costituito da una parte inferiore che appoggia terra e che è formata a sua volta da quattro modiglioni contrapposti; sopra questa sezione marmorea poggiano altrettante erme che sorreggono la vasca per le abluzioni, vasca che è plurilobata all'altezza dei modiglioni e delle erme e che riprende il motivo scultoreo della restante parte della fonte battesimale[49]. Tutto il gruppo marmoreo è riccamente intarsiato[49]. Le erme hanno piede leonino, con la criniera dei felini che si trasforma in fasce di festoni di frutta che avvolgono parte dei modiglioni[49].
Un tempo nella cappella, proprio sopra la fonte battesimale, era presente un ciborio che venne in seguito spostato nell'atrio di sinistra per mancanza di spazio e di luce[49]. Questo ciborio, che è a forma di tempietto e che riprende lo stile scultoreo della fonte battesimale, è riccamente decorato con scene bibliche, tra le quali spiccano quelle realizzate dai fratelli Giacomo, Giovanni e Ricciardo Taurini, artisti che realizzarono anche decorazioni nel coro del Duomo di Milano[49].
La cappella del Santissimo Sacramento
La cappella del Santissimo Sacramento, che è dedicata a san Pietro e san Paolo, si trova a destra dell'altare maggiore. In parte testimone di questa intitolazione è una tela a olio situata sulla parete di sinistra che è opera dei fratelli Lampugnani e che ha per soggetto la crocifissione di Gesù Cristo: alla destra della croce sono presenti san Paolo, san Gerolamo e Sant'Antonio Abate[45]. Nelle lunette sono presenti degli affreschi del 1603 opera di Giovan Pietro Luini (detto "il Gnocco") che raffigurano degli angeli musicanti: vennero parzialmente coperti nei secoli e furono riportati interamente alla luce durante i lavori di restauro del 1925[66]. Fino al 1585 la cappella del Santissimo Sacramento è stata utilizzata dalla confraternita del Santo Rosario[16].
Nella cappella è poi presente un altare che risale al XIX secolo e che ha sostituito un altare andato distrutto per un incendio. L'altare originario, che era realizzato in legno dorato, era decorato con fiori e grappoli di frutta: venne disegnato da Francesco Borromini e scolpito dai fratelli Coiro[66]. Un tempo era presente, sopra l'altare, una statua della Beata Vergine di cui si sono perse le tracce; di questa opera Agostino Pozzo scrive:
Nei tondi delle vele sono dipinti quattro angeli recanti il simbolo del Rosario, che sono stati realizzati nel 1925 da Gersam Turri[66][16]. La cappella ospita anche una statua lignea rappresentante la Vergine del Rosario, che è collocata in una nicchia, e un quadro della scuola del Beato Angelico che risale al 1940 e che raffigura santa Teresa del Bambin Gesù[66][16].
La cappella di Sant'Agnese
All'entrata, sulla sinistra, è presente la cappella di sant'Agnese. Deve il suo nome a una piccola cappella che si trovava un tempo fuori dalla basilica, all'angolo della piazza antistante, e che venne in seguito demolita[71]. Un'altra ipotesi fa risalire il nome della cappella alla moglie di Oldrado Lampugnani, che si chiamava appunto Agnese[71]. I Lampugnani, come già accennato, donarono i primi fondi, insieme ai Vismara, a favore della costruzione della basilica, e quindi questo potrebbe essere stato un tributo a questa elargizione[71]. È anche chiamata "cappella del prevosto" per via del fatto che ospita da secoli il confessionale del prevosto[18]. Gli affreschi che la decorano risalgono al Cinquecento e sono opera di Giangiacomo Lampugnani.
La volta, che è affrescata, riporta la figura di sant'Agnese posta su un busto, mentre sulla lunetta di fondo sono rappresentati due putti alati che sostengono due stemmi, uno dei Lampugnani e l'altro della casata nobiliare di cui faceva parte Agnese, la moglie di Oldrado Lampugnani[71]. Lo stile di queste pitture è quattrocentesco[71].
Sulla parete posta di fronte è presente un affresco che raffigura una Madonna con il Bambino posta su un trono; alla sua destra sono dipinti sant'Agnese e sant'Ambrogio, mentre sulla sinistra sono rappresentati san Magno e sant'Orsola[71]. Tutti e quattro i santi sono inseriti in una nicchia dipinta[71]. A questo ciclo di affreschi, che era chiamato della "Madonna del parto", erano devote le legnanesi che erano in attesa di un bambino; a tal proposito Agostino Pozzo scrisse:
Sulla parete di destra invece è rappresentata la Natività, con la Madonna genuflessa che adora in un atto di preghiera il Bambino steso a terra[71]. La stalla è costituita da un colonnato di stile architettonico lombardo[71]. Attorno al soggetto principale sono presenti, in primo piano, santa Caterina, san Giovanni Battista e san Simeone (o forse, secondo alcune interpretazioni, san Giuseppe)[71]. Sulle colonne sono invece raffigurati san Gerolamo e Origene, il primo vestito da cardinale e con il libro di Dottore della Chiesa, il secondo vestito da vescovo: entrambi sono in posa benedicente[18].
Note
Esplicative
- ^ Agostino Pozzo, nei suoi scritti, chiama Gian Giacomo Lampugnani "mastro Giacomo".
- ^ Agostino Pozzo si riferisce al distico di Gian Alberto Bossi, scolpito su pietra, che in seguito è stato spostato nella cappella di San Pietro.
- ^ Per "schola di grammatica" si intende l'insegnamento della lingua latina.
- ^ Agostino Pozzo ci riferisce, come anno di realizzazione dei pulpiti, il 1586. Studi successivi sul loro stile hanno ipotizzato la sostituzione dei pulpiti originali con altrettanti amboni intagliati in epoca successiva.
- ^ Agostino Pozzo intende il trasferimento della prepositura da Parabiago a Legnano, che avvenne il 7 agosto 1584 per decisione di Carlo Borromeo.
- ^ Così da ricordare l'intitolazione della basilica a san Magno. Cfr. il testo di D'Ilario, Gianazza, Marinoni e Turri Profilo storico della città di Legnano a p 252.
- ^ Il denaro dato in un secondo momento al Luini era relativo a un lavoro aggiuntivo, quello di realizzazione delle due ante che chiudevano l'opera, che vennero successivamente perse.
- ^ Queste figure sono state aggiunte più tardi a guazzo. Probabilmente gli scritti dell'archivio, quando recitano che vennero aggiunte "lire 30 et 4 et soldi 12 et mezzo", si riferiscono alla commissione aggiuntiva necessaria per realizzare questi due angeli.
- ^ L'intitolazione originaria venne suggerita dalla famiglia nobiliare dei Vismara, che contribuì finanziariamente insieme ad altri all'erezione della basilica. Per tale motivo nella cappella del Sacro Cuore è ancora presente uno stemma dei Vismara.
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Bibliografia
- Giorgio D'Ilario, Egidio Gianazza, Augusto Marinoni, Marco Turri, Profilo storico della città di Legnano, Edizioni Landoni, 1984, SBN IT\ICCU\RAV\0221175 Controllare il valore del parametro
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Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- Giorgio D'Ilario, La basilica di San Magno: il cuore della città di Legnano, "La Martinella" n°7, su legnano.org. URL consultato il 15 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 25 giugno 2007).
- Eugenia De Giovannini,, Fu il Papa XII a elevare S.Magno a basilica Romana minore, "La Martinella" n°7, su legnano.org. URL consultato il 15 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 22 giugno 2007).
- Parrocchia di San Magno - Visita guidata alla basilica, su parrocchiasanmagno.it. URL consultato il 15 novembre 2016 (archiviato dall'url originale il 19 febbraio 2014).
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