Utente:Yvul/Sandbox
Chiusa di Casalecchio di Reno | |
---|---|
![]() | |
Ubicazione | |
Nazione | ![]() |
Città | ![]() |
Provincia | Bologna |
Regione | Emilia Romagna |
Informazioni generali | |
Lunghezza del ciglio superiore | 160,45 metri |
Lunghezza del ciglio inferiore | 138,65 metri |
Soglia superiore (pedana) | 0,90 metri (larghezza) |
Sdrucciolo (stramazzo) | 34,55 metri |
35,45 metri | |
Struttura idraulica | |
La chiusa di Casalecchio di Reno è una chiusa di origine medievale posta sul fiume Reno. È situata nel comune di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna, nella regione Emilia Romagna. Rappresenta il punto in cui il Reno abbandona il suo percorso naturale montano per entrare in pianura guidato dall'uomo attraverso il Canale di Reno.
Si tratta di un'opera idraulica di rilievo poiché aveva un ruolo fondamentale nella fornitura dell'acqua necessaria ai filatoi da seta della medievale industria serica bolognese. [1]
Storia
Fino alla sistemazione definitiva della chiusa, ordinata dal cardinale Legato Pontificio Cardinale Gil Alvarez Carrillo de Albornoz e posteriore al 1360, i fatti e le date relativi a questa struttura idraulica rimangono incerti e sono stati ampiamente dibattuti da storici bolognesi quali Alberti, Ghirardacci, Sigonio, Vizzani, Savioli e Guidicini. Successivamente all'intervento del Legato, non vi furono invece sostanziali modifiche a chiusa e relativo canale, ma solo aggiustamenti minori.
Dal secolo XIII al XV
La chiusa lignea
Possiamo rintracciare la prima traccia documentaria relativa alla chiusa nell'anonimo manoscritto ottocentesco B 2238, conservato nella biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna. Questo fissa già nell'anno Mille l'esistenza di una rudimentale chiusa, a cui si riferisce coi termini "Pescaja" o "Steccaia", e di un breve tratto (appena qualche centinaio di metri) del canale di Reno. Tuttavia, pare ragionevole datare l'opera idraulica a un periodo più tardo, benché anteriore al 1191, anno in cui fu costruita una ramificazione del canale di Reno, che giunse così a toccare la cinta muraria di Bologna[1]. Tale ramificazione costeggiava via del Pratello e ne facevano uso i cosiddetti Ramisani, che devono il nome dalla loro natura di comproprietari di un ramo del Reno. I Ramisani erano riuniti in consorzio e si occupavano delle spese di mantenimento di canale e chiusa.
Non è certo chi fu coinvolto nell'opera di costruzione della chiusa, ma una possibile ipotesi vede i Canonici Renani, appartenenti alla Canonica di S. Maria del Reno (fondata nel 1130), che erano dotati dei mezzi economici, organizzativi e tecnici necessari per tale impresa. Certo è, invece, che in origine la chiusa era una costruzione modesta, collocata in un punto non ricostruibile con precisione[2] e successivamente migliorata e ampliata in base alle funzioni e alle potenzialità che con il passare degli anni le erano richieste.
Il 29 maggio 1208 il consorzio dei Ramisani cedette al Comune di Bologna i diritti sull'acqua superflua alle loro lavorazioni, come è riportato nel relativo atto, rogato dal notaio Giovanni Canova e conservato attualmente nel "Registro Grosso", presso l'Archivio di Stato di Bologna. Fra i Ramisani sottoscrittori compaiono nomi di famiglie di nobiltà feudale, di famiglie d'origine mercantili, futura aristocrazia cittadina, e di persone legate all'Università.
Fino a metà del secolo XIII la chiusa era un semplice sbarramento di legno simile a una palizzata. La costituivano grossi pali di legno infissi sul fondo dell'alveo fluviale, collegati gli uni agli altri tramite traverse, ferle e funi di canapa. Non era particolarmente alta, poiché non era necessario che lo fosse per resistere a correnti e piene, e probabilmente era rinforzata da grandi massi disposti a scogliera. Si trattava di una struttura piuttosto vulnerabile, bisognosa di costanti e costose manutenzioni.
La prima chiusa in pietra
Per ovviare a tali costi, il Comune di Bologna fece costruire nel 1250 una chiusa in pietra più a monte della precedente in legno; a questo si aggiunse lo scavo del "ramus vetus", un tratto di collegamento fra la nuova struttura e il canale già esistente. Tali compiti furono gestiti da una commissione tecnica costituita dall'ingegnere Alberto, mastro Giovanni da Brescia, mastro Michele Delamusca e mastro Michele Lamandini. Il lavoro fu terminato nel 1278. Nonostante i buoni propositi, però, anche la nuova costruzione si rivelò bisognosa di frequenti manutenzioni, dovute alle piene del fiume e all'erosione causata dalle acque. Si hanno notizie di riparazioni eseguite negli anni 1288, 1289, 1294, 1295 e 1299.[2] Interventi di riparazione riguardano periodicamente anche la vecchia chiusa lignea, forse considerata un impianto sussidiario, che fu ritenuta non più necessaria e quasi del tutto smantellata solo nel 1309.
Il 29 aprile 1310 una piena del Reno arrecò danni talmente gravi alla chiusa da romperla e lasciare a secco il canale: impedì che l'acqua giungesse ai mulini bolognesi, lasciando così la città senz'acqua. Le necessarie operazioni di ripristino, in atto già il giungo seguente, furono supervisionate dai frati Predicatori e Minori [3], a cui il Comune di Bologna decise di affidare il complesso chiusa-canale. Episodi come questi non erano inusuali, in particolare nel primo trentennio del Trecento; non risulta tuttavia possibile ricostruire esattamente il numero e i dettagli degli interventi effettuati per via delle versioni contrastanti dei fatti fornite da cronache e studi. [1]
Nel 1317 si parla di interventi di tipo strutturale, e così anche nel 1324, anno in cui l'allora al governo cardinale Bertrando del Poggetto (Bertrand du Pouget) affidò a due frati dell'ordine degli Eremitani[4], frate Giacomo e frate Bartolomeo, la definitiva sistemazione della Chiusa. Tale lavoro venne compiuto ma ebbe vita breve. Nel 1325, infatti, a seguito della battaglia di Zappolino, Passerino Buonacossa devastò il territorio casalecchiese e, in quella stessa occasione, molto probabilmente aiutato da una violenta piena del fiume, rovinò anche la chiusa, così da privare Bologna dell'acqua.
I ruderi della chiusa distrutta da Buonacossa sono oggi ancora visibili a valle della Chiusa attuale. Fino al 1985 erano ben più numerosi, ma in quell'anno furono in parte distrutti per un malinteso riguardante la sistemazione del fiume. I resti sono localmente chiamati "il Pracinino" (dal termine dialettale "Prè-zinèn", ovvero "prato piccolo") e "i Masgnòn" (i Macignoni). Osservandoli, è chiaramente visibile la composizione della chiusa: un conglomerato di pietre e sassi legati da calce e ricoperti, su almeno parte dello scivolo della chiusa, da pietra ofiolitica. Si notano anche segni di una struttura di travi lignee, probabilmente impiegata per la sopraelevazione delle parti superiori della chiusa, e, nella calce, tracce di carbonella, che fanno pensare a fuochi accesi dagli operai nei momenti di sosta. La chiusa presentava gravi errori di progettazione, che la costrinsero a cadere sotto l'attacco congiunto del legato e della piena: la costruzione era eccessivamente lunga, sprovvista di elementi interni capaci di opporre resistenza a una forte pressione dell'acqua, e appoggiata direttamente sulla pietra, senza scavo di fondazione. Le sue fondamenta affondavano infatti solamente in un alto e poco solido cuscino di ghiaia.
La seconda chiusa in pietra
Nella successiva ricostruzione, indetta dal Legato de Albornoz fra il 1360 e il 1363 [2 pag.28], la chiusa fu ulteriormente spostata a monte di 200 metri, nel sito in cui ancora oggi si trova, per sfruttare il naturale maggiore dislivello del terreno. Questa fu la sistemazione definitiva dell'impianto; seguirono solo minori miglioramenti, aggiustamenti e rinforzi. Ne è un esempio la correzione alla chiusa e al canale apportata da Guglielmo da Siena nel 1403. La chiusa di Casalecchio, così come il canale di Reno, può essere considerata campo di confronto per gli ingegneri idraulici bolognesi che, a ogni intervento studiavano gli errori del passato per evitare che si ripetessero.
Dal secolo XVI al XVII
Dopo i lavori di Guglielmo da Siena, per un lungo periodo la chiusa non è più danneggiata da piene e, fino a oltre la metà del Cinquecento è sottoposta solamente a ordinaria manutenzione e a qualche miglioria. Fu infatti solo nel 1567 che sopravvenne il danno successivo: cedette un tratto della chiusa lungo "pertiche 10 e piedi 5", mettendo a rischio l'intera struttura. Visto l'importante ruolo della chiusa nelle attività legate all'energia idraulica, l'allora papa Pio V dispose che venisse sistemata. I lavori iniziarono l'anno stesso e si protrassero fino al 1574, poiché fu colta l'occasione per mettere mano anche in altri due punti della chiusa. Infine, fu protetto lo scivolo della chiusa con un assito ligneo che, col passare degli anni, ogni tanto necessitava d'essere sostituito. La chiusa rimase invariata per molti anni: nel secolo XVIII presentava ancora le stesse caratteristiche costruttive. Nel 1781 lo storico Serafino Calindri così la descrive:
Dal secolo XVIII a oggi
Si giunse quasi alla fine del XIX secolo senza che la chiusa subisse danni di grave entità: nel 1763 e 1790 si resero necessarie alcune riparazioni, che non posero però grandi difficoltà. L'avvenimento che maggiormente segnò la storia della chiusa di questi due secoli si presentò proprio sul finire del secolo: negli ultimi giorni del settembre del 1893 un violento nubifragio abbattutosi sul bacino del Reno provocò una piena di eccezionale entità, che fu causa di una grave rotta del Reno l'1 ottobre 1893.
La piena raggiunse il suo culmine alle ore 11 della mattina: l'idrometro della Chiusa segnò 4,70 m sullo zero idrometrico e una portata di 2200 m³/sec, quota senza precedenti. L'onda della piena travolse case e animali e fece saltare il muro di protezione della sponda sinistra del fiume. L'acqua abbandonò l'alveo del fiume, lasciando a secco la chiusa e il canale, causando il blocco di tutta l'industria bolognese.
Il giorno 7 ottobre le autorità cittadine si recarono presso la Chiusa per valutare i danni e decidere come procedere per riportare d'urgenza l'acqua nel canale, affinché le imprese bolognesi potessero riprendere la loro consueta attività, e sistemare poi definitivamente la sponda sinistra che aveva subito il danno. I provvedimenti che la civica amministrazione decise d'intraprendere furono illustrati il 20 dicembre 1893 al sindaco Luigi Tacconi e al Consiglio Comunale di Casalecchio dal presidente della provincia Giuseppe Bacchelli, che assicurò che la Provincia stessa si sarebbe assunta gli oneri della spesa grazie a un finanziamento effettuato presso la Cassa di Risparmio di Bologna.
Furono stipulati i contratti d'appalto il 16 gennaio 1894 e i lavori iniziarono il 18 gennaio, salvo essere interrotti per una nuova piena del fiume e riprendere il giorno 23 gennaio, 114 giorni dopo la rotta. Furono diretti dall'ingegnere Giuseppe Boriani, su un progetto presentato al Consiglio Provinciale l'8 gennaio.
La notizia dell'avvio dei lavori richiamò a Casalecchio un gran numero di disoccupati, provenienti da vicino e da lontano e in cerca di impiego. I braccianti locali, che si erano illusi di aver trovato un lavoro redditizio e sicuro per molto tempo, li accolsero con diffidenza. Vista l'urgenza di portare a termine in fretta i lavori, la manodopera richiesta era molta e anche i forestieri furono assunti. Questo causò tumulti che richiesero l'intervento dei Reali Carabinieri e il cantiere prese l'avvio con la vigilanza della forza pubblica.
Il primo intervento consistette nel ricondurre il fiume al vecchio alveo. A tale scopo, furono collocati contenitori in rete metallica riempiti di sassi, detti burghe e prodotti dalla ditta Maccaferri, lungo la sponda sinistra del fiume. Tale fila di burghe fu subito rinforzata dalla costruzione di una diga di 252 m, costituita quasi interamente di burghe del volume di 3-4 m³ e, per la parte restante, di sacchi di tela di iuta riempiti di terra per minimizzare la quantità d'acqua che riusciva a filtrare attraverso le burghe. Inoltre, monte della diga e come sua prosecuzione lungo la sponda dell'alveo fluviale, fu costruito un repellente per deviare la corrente fluviale. Questo era lungo circa 100 m, formato da un nucleo di terra vegetale e rivestito su fianchi e sommità da gradoni di burghe, che furono collocate in numero maggiore sul lato verso il fiume al fine di proteggere maggiormente il repellente contro la corrente fluviale. Oggigiorno il repellente è coperto da terreno vegetale.
Riportato il Reno nel suo letto e al canale, i lavori si rivolsero alla costruzione di un argine di chiusura della rotta lungo 102 m e alto 7 m. Ancora una volta, si ricorse a un nucleo di terra vegetale rivestito con burghe disposte a gradoni e, nella scarpata verso il fiume, anche con sacchi di terra, questa volta protetti da una rete metallica. L'argine fu collegato, alla sua destra, con la diga precedentemente costruita.
In totale furono impiegate 2900 burghe, che finirono per suscitare interesse anche negli ambienti scientifici universitari.
Seguì la sistemazione della Chiusa e la costruzione di uno sfioratore, oggi chiamato Chiusa Nuova. Costruito in muratura e riempito con grossi ciottoli fluviali, quest'ultimo era lungo 85 m e più elevato di 1,82 m sul ciglio più basso della chiusa. Era dotato di uno scivolo in calcestruzzo ricoperto con masselli di grès, materiale allora all'avanguardia. Fra la Chiusa e lo sfioratore fu infine costruito un partiacque formato da muri in mattoni contenenti un riempimento di sabbia e ghiaia.
L'opera fu terminata nel 1894, nei tempi previsti, con una spesa inferiore a quella attesa. Il denaro rimanente fu utilizzato nel 1895 per la prima fase dei lavori volti alla copertura della chiusa con lastroni di granito bianco. Dopo la grande piena la copertura in travi di rovere era infatti in condizioni preoccupanti. Per mancanza di fondi, si procedette a ricoprire un secondo tratto di chiusa solo nel 1907; non trovando però granito bianco, i tecnici ripiegarono su granito rosso, lasciando scoperta solo una piccola zona sulla spalla sinistra della struttura. La copertura fu terminata definitivamente nel 1950, con comune pietra da taglio.
Ancora oggi la chiusa riparata dopo la rotta è integra e funzionante. Ne sono proprietari tutti coloro che ne traggono un beneficio diretto o indiretto; questi costituiscono il Consorzio della Chiusa di Casalecchio e del Canale di Reno.
Custodi
Nella gestione della acque era fondamentale la figura del custode, o intendente, della Chiusa, che sapeva interpretare i segnali dati dal fiume e prevedere arrivo e portata delle piene. Visto il potere che aveva sul corretto flusso di energia necessario per il funzionamento degli opifici bolognesi, nucleo vitale dell'economia del territorio, veniva considerato una delle maggiori autorità. La sua importanza era tale che nei cortei legati a rilevanti cerimonie pubbliche era solita sfilare una sua controfigura con un'uniforme di gala. Secondo l'annuale Stato delle Anime della Parrocchia di San Martino, il custode non era solito risiedere a Casalecchio.
Nel caso in cui minacciasse di esservi un temporale, l'intendente allertava una squadra di manovali perché regolassero il flusso d'acqua nel canale mediante pesanti paratoie di legno. Evitava così il rischio che il canale si riempisse eccessivamente portando ad allagamenti in città. L'intendente tentava inoltre di intuire, a seconda di colore e odore, da dove provenisse l'acqua portata da un'onda di piena. Acque portate da affluenti diversi, infatti, attraversavano terreni diversi.
La famiglia Chierici
La famiglia Chierici fu responsabile della chiusa a partire dal 1768 e rimase fedele all'incarico per duecento anni. Contravvenendo l'usanza precedente, si stanziò a Casalecchio per controllare con continuità il regime delle acque. Precisamente, i Chierici risiedettero nella Casa di Guardia del Pracinino, costruita dall'ingegnere Ghedini proprio per questo scopo.
Il primo intendente appartenente alla famiglia Chierici fu Giovanni I (1753-1833): nominato intendente in virtù di passate cariche ricoperte nell'arte della seta, era uomo di buona cultura e sapere tecnico. Gli succedette il figlio Serafino I (1812-1879): patriota di orientamento liberale, industriale, pubblico amministratore. Ebbe cinque figli e lasciò la gestione della chiusa al maggiore, Giovanni II (1843-1921), che dovette affrontare la complessa vicenda legata alla piena dell'1 ottobre 1893. Alla sua morte, prese le redini dell'ufficio il figlio Serafino II (1883-1966), famoso per le sue imprese di salvataggio di bagnanti che rischiavano l'annegamento nel fiume. Gli succedette il figlio minore Cesare II (1924-2007).
Oggi
Dal 1966 il lavoro di custode è affidato al geometra Marcello Benni, che può servirsi nel suo lavoro di moderne tecnologie telematiche, che permettono di monitorare in tempo reale la situazione idrografica del bacino.
Curiosità
Affresco del Catalani
Nella sala Farnese del Palazzo Comunale di Bologna si trova un affresco, risalente al 1658-1660 e realizzato da Antonio Catalani detto "Il Romano", che ritrae il Cardinale Albornoz nell'atto di esaminare progetti per la costruzione della chiusa attuale.
La visita degli ingegneri
Dalla creazione del canale di Reno fino allo scoppio della Seconda Guerra mondiale fu tradizione che, durante l periodo della seccam una commissione di tecnici percorresse a piedi le rive del canale, da Bologna sino alla chiusa di Casalecchio, per accertarsi dei lavori da eseguire. La visita era solita terminare con un pranzo offerto dalla moglie dell'intendente, che veniva ringraziata con il diritto di sfalcio e vendita dell'erba del viale di accesso alla Chiusa. Il pranzo presentava, per lo meno nel Novecento, sempre il medesimo menù, che prevedeva vini della tenuta dei marchesi Talon Sampieri, salumi e crostini, tagliatelle con ragù alle rigaglie di pollo, buconotti ripieni, arrosti misti di carne e pollo, torta ricciolina, fragole e gelato.
L'impressione di Stendhal
Stendhal si trattenne a Bologna dal 20 dicembre 1816 al 19 gennaio 1817 e il 17 gennaio annota: