Per neocolonialismo si intendono tutte le forme di dipendenza alle quali molti Paesi, a pochi anni di distanza dai processi che portarono questi a conquistare l’indipendenza, sono obbligati a dipendere da altri stati molto più potenti e con uno sviluppo economico-industriale più avanzato.

Queste ex potenze coloniali controllano i paesi sottosviluppati utilizzando strumenti economici e culturali anziché la forza bruta militare.

Si tratterebbe di un tipo di colonialismo "informale", al contrario di quello "formale" che l'aveva preceduta.

Dopo la seconda guerra mondiale, il colonialismo ha avuto una fase di crisi negli aspetti giuridico-politici ed ha subito una trasformazione adeguandosi ai nuovi tempi, nascondendosi come una testimonianza di aiuto, di sostegno o addirittura di collaborazione.

Gli stati europei capirono che la dominazione politica non era più così vantaggiosa e che, invece, era molto più redditizio gettare le basi di solidi legami finanziari ed economici, nello stesso momento in cui si procedeva al trasferimento dei poteri di governo ai sistemi elitari locali e quindi a negoziare per l'indipendenza.

Un esempio tipico è sicuramente costituito dalla Gran Bretagna, le cui condizioni finanziarie durante il periodo post-bellico erano decisamente in declino.

Le strutture commerciali e finanziarie che essa sviluppò con le sue colonie durante il dopoguerra furono finalizzate a risanare il suo indebitamento con il dollaro. Quelle stesse strutture costituirono poi la base per i rapporti economici e politici fra le ex colonie che si sono rese indipendenti e lo stato colonizzatore.

Le origini

 
Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana.

Il fenomeno del neocolonialismo cominciò ad apparire nei primi testi degli anni ‘50 per definire le forme di dipendenza politica, sociale, culturale ed economica che gli ex stati coloniali riuscirono ad esercitare sui propri ex possedimenti territoriali in Asia e soprattutto in Africa.

Il termine è stato poi teorizzato per la prima volta dal premier indonesiano Sukarno in occasione della Conferenza di Bandung del 1955, e ripreso nella Terza Conferenza dei popoli panafricani tenutasi ad Il Cairo nel 1961.

Kwame Nkrumah (1909 – 1972), leader indipendentista e successivamente primo presidente del Ghana (1960 – 1966), dopo aver condotto il suo paese all’indipendenza, coniò il termine “neocolonialismo” che fece la sua comparsa nel 1963 nel preambolo dell’Organizzazione dell’unità africana, ed è stato anche il titolo del suo libro uscito nel 1965 “Neo-Colonialism, the Last Stage of Imperialism”[1], in cui viene richiamata la teoria dell' imperialismo di Lenin.

La guerra fredda

Durante il XX° secolo, nel corso del conflitto ideologico tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione Sovietica, entrambi i Paesi e i loro stati satelliti sono stati accusati di praticare il fenomeno del neocolonialismo. Questo scontro ha incluso anche gli stati clienti nei paesi decolonizzati.

Il Patto di Varsavia, Cuba, l'Egitto sotto il controllo di Gamal Abdel Nasser (1956-70) ecc. hanno accusato gli Stati Uniti di sponsorizzare i governi anti-democratici, i quali regimi non rappresentavano gli interessi delle persone; inoltre dichiararono di rovesciare i governi formalmente eletti come quelli asiatici ed africani, i quali non supportavano gli interessi geopolitici degli Stati Uniti.

Negli anni '60, sotto il comando del Presidente Mehdi Ben Barka, la Conferenza Tricontinentale cubana (ossia un'Organizzazione di Solidarietà di cui ne fanno parte l'Asia, l'Africa e l'America Latina), riconobbe e supportò la validità della rivoluzione anti colonialista come un mezzo per i popoli colonizzati del Terzo Mondo a raggiungere l'autodeterminazione. Questo irritò gli Stati Uniti e la Francia.

Inoltre, il Presidente Barka guidò la Commissione sul Neocolonialismo, che trattava a risolvere il coinvolgimento neocoloniale delle potenze coloniali nei paesi decolonizzati; e affermò che gli Stati Uniti, come principale paese capitalista del mondo, era l'attore protagonista della politica del neocolonialismo.

Le multinazionali

 
Conflitto tra gli inglesi e i boeri, XVII secolo.

I critici del neocolonialismo sostengono inoltre che gli investimenti delle aziende multinazionali non arricchiscono i paesi sottosviluppati ma anzi provocano danni a livello umanitario, ambientale ed ecologico alla popolazione locale. Inoltre affermano che questo si traduce in un continuo sviluppo non sostenibile.

Questi paesi rimangono serbatoi di manodopera a basso costo e di materie prime, e allo stesso tempo gli vengono negati gli accessi ad avanzate e nuove tecniche di produzione in grado di sviluppare la loro economia.

Tutto ciò ha come conseguenze l'aumento della disoccupazione, la povertà e il calo del reddito pro-capite.

Nelle nazioni dell'Africa occidentale come la Guinea-Bissau, il Senegal e la Mauritania, la pesca era storicamente al centro dell'economia.

Agli inizi del 1979, l'Unione Europea iniziò la negoziazione con i governi per la pesca al largo delle coste dell'Africa occidentale.

Ciò ha causato un aumento della pesca in quei territori da parte di paesi stranieri, che ha portato un tasso maggiore di disoccupazione e di migrazione in tutta la regione.

Questo viola la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che riconosce l'importanza della pesca per le comunità locali e insiste sul fatto che gli accordi di pesca del governo con le imprese straniere devono avere come obiettivo solo per quanto riguardano le scorte in eccesso.

Etiopia

Precisamente nella valle dell'Awash, durante il periodo della transumanza, viveva il popolo degli Afar, il quale si concentrava soprattutto sulla pastorizia.

Negli anni ’60, la banca mondiale finanziò un'azienda olandese che aveva lo scopo di realizzare dei campi di canna da zucchero in questa valle.

Gli afar furono costretti a rifugiarsi nelle zone circostanti, le quali non offrivano terreni fertili a sufficienza per alimentare la popolazione[2].

Ciò ebbe come conseguenza che negli anni successivi il popolo soffrì di una carestia che uccise più di 30000 persone.

Zambia

[3]Il governo socialista, durante il 1960, garantì istruzione e sanità gratuita per chiunque.

Successivamente durante la crisi petrolifera degli anni ‘70 il paese si indebitò nei confronti degli enti internazionali.

Nei primi anni ’90 avvenne la cosiddetta svolta liberista: le case popolari e tutte le strutture pubbliche furono privatizzate e le miniere di rame furono svendute. Il debito nei confronti dei paesi esteri non fece altro che aumentare.

Burkina Faso

[4]Jean Ziegler *nota* racconta nel suo libro che il Presidente Thomas Sankara, durante gli anni ’80 avviò una serie di riforme federali con lo scopo di abbattere la corruzione e l’inefficienza tipica dei governi africani post-indipendenza. Decise inoltre di far coincidere le varie zone tribali con i confini amministrativi.

Il popolo reagì in maniera molto positiva e decise di lavorare spontaneamente con dedizione e volontà alla costruzione di nuove opere pubbliche.

Tutto questo entusiasmo si diffuse anche nei paesi circostanti, i quali presero come esempio quello che era stato fatto in Burkina Faso.

Tuttavia le potenze neocolonialiste non poterono sopportare più una situazione simile: la Francia teleguidò un golpe militare dall'estero, nel corso del quale il Presidente Sankara fu assassinato.

Kenya e Tanzania

[5]Fino agli anni ‘80 in questi due paesi i governi sostenevano piccoli agricoltori, e la loro produzione alimentare era in crescita del 5/7 % all'anno.

Inoltre, come in altri paesi africani, venivano applicate delle tasse sull'importazione del mais, grano e riso, per proteggere i piccoli produttori locali.

Successivamente vennero travolti dai debiti, e dovettero quindi adeguare la loro produzione secondo le concessioni dell'Europa e dell'America.

Infine si sono aggiunte le multinazionali che hanno inondato i mercati costringendo i produttori locali a sparire sempre di più.

Questi due paesi, sempre più strozzati dal debito, hanno finito per esportare anche quello di cui avevano bisogno.

Cile

[6]Nei primi anni ’70 la nazione era una colonia delle aziende statunitensi, come ad esempio la Nestlè che controllava il mercato del latte grazie ai distributori ed al loro possesso delle fabbriche.

Salvador Allende, importante politico cileno marxista, propose di applicare la distribuzione del latte ai minori di quindici anni, ma l’azienda rifiutò questa collaborazione.

Questi contrasti tra il governo cileno e le aziende multinazionali spinsero ad un golpe di stato da parte dell’esercito cileno appoggiato dagli Stati Uniti.

Allende morì probabilmente suicida e divenne un’icona della sinistra mondiale.

Questi fatti portarono al comando del governo cileno il generale Pinochet, il quale fu responsabile dello sterminio di migliaia di oppositori. Inoltre Pinochet vendette intere foreste alle grandi aziende nordamericane.

Messico

[7]Così come in altre nazioni come il Brasile e l’Argentina, negli anni '90 il peso della valuta era sopravvalutato, e quando infine crollò gli investitori si ripresero ciò che era loro.

Il Presidente Clinton impose al Fondo Monetario Internazionale di prestare dieci miliardi di dollari al Messico, per venire incontro sia al popolo messicano, quello più ricco, sia agli investitori stranieri. Ciò andò ai danni della popolazione più povera.

India

[8]Nel 1998 la Banca mondiale decise di imporre l’ingresso delle multinazionali nel settore agroalimentare.

Tutto questo portò ingenti danni nei confronti dei piccoli produttori alimentari, i quali furono costretti ad indebitarsi.

Successivamente un avvenimento che è accaduto è stato l’estrema protesta dei produttori rovinati, molti dei quali morirono suicidi.

Nel 2004 sono stati 16000 i contadini indiani suicidi perché rovinati dalle politiche delle multinazionali e dal neocolonialismo.

Note

  1. ^ Kwame Nkrumah, Neo-Colonialism: the Last Stage of Imperialism, 1965.
  2. ^ Etiopia, nella regione dell’Afar la carestia non è finita, in LaStampa.it, 3 agosto 2016 (archiviato dall'originale).
  3. ^ De Michelis Ferrari Masto Scalettari, No global, zelig, 2001.
  4. ^ Jean Ziegler, La fame nel mondo spiegata a mio figlio, pratiche editrice, 1999.
  5. ^ Il neoliberismo, breve storia sui metodi per affamare il mondo, in ariannaeditrice.it, 1º gennaio 2010 (archiviato dall'originale).
  6. ^ Jean Ziegler, La fame nel mondo spiegata a mio figlio, pratiche editrice, 1999.
  7. ^ De Michelis Ferrari Masto Scalettari, No global, Zelig, 2001.
  8. ^ Vandana Shiva, Il bene comune della terra, feltrinelli, 2006.

Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni