Storia della bandiera d'Italia

storia del tricolore italiano
Voce principale: Bandiera d'Italia.

La storia della bandiera d'Italia inizia il 7 gennaio 1797, con la sua prima adozione ufficiale come bandiera nazionale da parte di uno Stato italiano, la Repubblica Cispadana.

Lapide posta nell'androne del palazzo comunale di Reggio nell'Emilia, dove nacque il tricolore italiano

In seguito la bandiera italiana è diventata uno dei simboli più importanti del Risorgimento, che culminò il 17 marzo 1861 con la proclamazione del Regno d'Italia, di cui il tricolore divenne vessillo nazionale. La bandiera tricolore ha attraversato più di due secoli di storia d'Italia, salutandone tutti gli avvenimenti più importanti.

L'origine dei tre colori

L'ipotetico uso dei tre colori in epoca medievale

Spesso nella ricerca sull'origine del tricolore italiano si sono considerati utilizzi dei tre colori bianco, rosso e verde avvenuti in epoca medievale, volendo così far risalire la creazione della bandiera nazionale ad epoche remote, ma in realtà queste ipotesi dell'origine “antica” del vessillo, se non ampiamente documentate, in modo tale da collegare l'antico tricolore a quello usato a partire dall'età napoleonica, sono, dal punto di vista storico, da rifiutare.[1]

L'ipotesi genovese

 
La coccarda italiana tricolore

Anche la bandiera italiana, come altri vessilli nazionali, si ispira a quella francese, introdotta dalla Rivoluzione nell'autunno del 1790 sulle navi da guerra transalpine[2] e simbolo di rinnovamento sociale e politico[3][4][5]. Il tricolore blu, bianco e rosso debuttò invece in precedenza, il 17 luglio 1789, tre giorni dopo la presa della Bastiglia, su coccarde appuntante sopra le divise della Guardia nazionale francese[2]. Il tricolore francese diventò poi ufficialmente bandiera nazionale il 15 febbraio 1794[2].

Poco dopo gli eventi rivoluzionari francesi, anche in Italia iniziarono a diffondersi estesamente gli ideali di rinnovamento sociale – sulla scorta della propugnazione della dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 – e successivamente anche politico, con i primi fermenti patriottici indirizzati all'autodeterminazione nazionale: per tale motivo la bandiera francese diventò prima riferimento dei giacobini italiani e in seguito fonte di ispirazione per la creazione di un vessillo identitario italiano[5].

Pare che il verde, il bianco e il rosso non abbiano debuttato su una bandiera, bensì su una coccarda tricolore. Le prime sporadiche dimostrazioni favorevoli agli ideali della rivoluzione francese, da parte della popolazione italiana, avvennero nell'agosto del 1789 con la comparsa, soprattutto nello Stato Pontificio, di coccarde di fortuna costituite da semplici foglie di alberi, che vennero apposte sui vestiti dei manifestanti richiamando le analoghe proteste avvenute in Francia poco tempo prima, durante le quali apparve la coccarda tricolore francese blu, bianca e rossa[6].

In seguito la popolazione italiana iniziò a usare coccarde vere e proprie: al verde delle foglie degli alberi già utilizzato in precedenza, vennero aggiunti il bianco e il rosso in modo da richiamare in modo più marcato gli ideali rivoluzionari francesi[7]. All'epoca non era ancora avvenuta una presa di coscienza nazionale vera e propria, tant'è che molti manifestanti italiani credevano erroneamente che la coccarda verde, bianca e rossa fosse il tricolore francese[8].

La prima traccia documentata dell'utilizzo della coccarda tricolore italiana è datata 21 agosto 1789: negli archivi storici della Repubblica di Genova è infatti riportato che testimoni oculari avessero visto aggirarsi per la città con apposta sui vestiti "[...] con la nuova coccarda francese bianca, rossa e verde introdotta da poco tempo a Parigi. [...]"[9].

L'ipotesi bolognese

 
Giovanni Battista De Rolandis

Nel 1794 due studenti dell'Università di Bologna, il bolognese Luigi Zamboni e l'astigiano Giovanni Battista De Rolandis, si posero a capo di in tentativo insurrezionale per liberare Bologna dal dominio pontificio; oltre ai due studenti facevano parte dell'impresa anche due dottori, Antonio Succi e Angelo Sassoli, che riferirono il tutto alla polizia pontificia e altre quattro persone (Giuseppe Rizzoli detto della Dozza, Camillo Tomesani collo torto, Antonio Forni Mago Sabino e Camillo Galli).[10]

Dopo aver fallito nel sollevare la città i rivoluzionari tentarono di rifugiarsi nel Granducato di Toscana ma la polizia locale li consegnò alle autorità pontificie che istituirono presso il tribunale del Torrone (l'Inquisizione di Bologna) un processo Super complocta et seditiosa compositione destributa per civitatem in conventicula armata; il processo coinvolse tutti i partecipanti al tentativo insurrezionale, i familiari di Zamboni e tutti i fratelli Succi. Zamboni venne trovato morto, forse suicida, nella sua cella il 18 agosto 1795 (in proposito esistono ipotesi, non infondate, che in realtà si sia trattato di un omicidio i cui mandanti vanno cercati in alcune famiglie senatorie bolognesi e nella famiglia Savioli in particolare)[11], mentre De Rolandis fu giustiziato pubblicamente il 26 aprile dell'anno successivo. Gli altri imputati ebbero pene minori.[12]

Il tentativo dello Zamboni e del De Rolandis, sia per la poca notorietà delle persone coinvolte che per lo scarso successo avuto, non ebbe grande eco (così come altri avvenimenti analoghi avvenuti in Italia nello stesso periodo), ma un particolare doveva renderlo famoso: l'opinione che cominciò a circolare negli anni successivi che in esso avesse avuto origine la bandiera nazionale italiana. Il primo ad attribuire questo merito a Zamboni e De Rolandis fu Giuseppe Ricciardi, infatti egli nel suo Martirologio italiano dal 1792 al 1847 ricostruisce con molte inesattezze il tentativo bolognese e dichiara che «molti fra gli altri congiurati erano, come lo Zamboni, dottori e studenti in legge [e che] venne da loro il color verde che mirasi nella bandiera italiana, avvegnaché, abborenti quali erano di ogni forestierume ed in ispece delle cose francesi, fermarono in una delle loro conventicole di sostituire il verde al turchino del famoso vessillo nazionale repubblicano»; la notizia, secondo quanto dichiarato dal Ricciardi, gli era stata fornita a Londra da un testimone oculare dell'avvenimento precisando, in una lettera diretta ad Augusto Aglebert, di averla avuta «nel 1837 da un vecchio esule italiano parente del giudice inquisitore» del processo Zamboni-De Rolandis.[13]

Questa affermazione, passata quasi inosservata, fu ripresa nell'opuscolo dell'Aglebert pubblicato nel 1862 avente come titolo I primi martiri della libertà italiana e l'origine della bandiera tricolore o congiura e morte di Luigi Zamboni di Bologna e Gio. Battista De Rolandis di Castel d'Alfero presso Asti tra da documenti autentici e narrata da Augusto Aglebert.

 
Luigi Zamboni

In quest'opera l'Aglebert affermava che dagli atti del processo risulta che furono lo Zamboni e i suoi complici a creare «il palladio della libertà popolare e che a Bologna torna l'onore di aver data all'Italia il vessillo tricolore immortale dell'emancipata nazione» riportando perfino le parole pronunciate dallo Zamboni nel proporre ai suoi compagni la nuova bandiera.[14] L'opuscolo, pieno di retorica risorgimentale, fu subito "adottato" dai patrioti e dagli storici sia per la reputazione dell'estensore, patriota e «uomo onesto e leale», sia per il fascino della sua origine universitaria e rivoluzionaria, facendo divenire l'ipotesi dell'Aglebert l'origine ufficiale della bandiera. L'autore ripubblicò la sua opera nel 1880 entrando anche in polemica con la tesi del Cusani sull'origine massonica del vessillo nazionale. Nel 1890 la tesi "bolognese" iniziò ad essere messa in discussione fin quando Vittorio Fiorini la dichiarò infondata, infatti (a differenza di quanto dichiarato dall'Aglebert) il Fiorini negli atti relativi al processo non trovò traccia della scelta dei colori verde-bianco-rosso quale simbolo della tentata insurrezione ma, bensì, dei colori bolognesi (cioè quelli dello stemma della città) il bianco e il rosso «i soli, del resto, che convenissero ad una impresa la quale – nonostante le esagerazioni dell'Aglebert – ebbe un carattere e fini quasi esclusivamente locali. Non si tratta della redenzione o libertà d'Italia, ma della Repubblica bolognese»,[15] posizione confermata anche da studi più recenti infatti: «Il nemico è identificato nel Legato e nei suoi ministri e soldati, che si minaccia d'impiccare. Il Senato, e tutto il complesso degli organi di governo locali, il Reggimento, sono esclusi dalle invettive e dalle minacce. La rivolta avrebbe dovuto essere a favore del Reggimento, dunque, da sempre, e soprattutto in quegli anni, impegnato nella difesa degli «antichi diritti», della libertas di sapore medievale»[16]. Per quanto riguarda l'uso dei colori dell'attuale bandiera italiana: «Mai, nella documentazione a disposizione, appare una coccarda con i colori bianco, rosso e verde; ed il fatto che le tracolle delle sciabole fossero «bianche e rosse e nel di sotto erano foderate di stallone o sia fittucia grande di filo verde» (carta 790, deposizione di Antonio Succi) appare del tutto casuale».[17] A conferma di ciò lo stesso Zamboni, alle insistenze del magistrato Pistrucci se nelle coccarde era contenuto il color turchino (l'azzurro della bandiera francese) rispose che:[17]

«[...] di robbe che potessero formare alcun distintivo col color turchino, non mi ricordo che ne sia mai stata preparata di sorta veruna, anzi son certo, che fra noi quattro, cioè il De Rolandis, io, il Succi, ed il Sassoli era stato stabilito per massima principale di non mischiare verun altro colore con il rosso ed il bianco, e precisamente si era detto il torchino per non somigliare il terzo colore della Francia [...]»

La consegna di una coccarda "bolognese" da parte dell'avvocato difensore Antonio Aldini alla famiglia De Rolandis è riportata nell'opera Origine del Tricolore di Ito De Rolandis;[18] questa coccarda (presente sulla copertina dell'opera) si presenta di un tricolore verde-bianco-rosso anche se lo stesso autore riporta in un'altra pagina che l'avvocato Aldini affermò durante il processo che le coccarde «dovevano essere considerate solo come immagini dei colori di Bologna, bianco e rosso, e non Tricolore […] Se in molte coccarde i nastrini purpureo e candido anziché essere cuciti su un supporto verde, erano affiancati da un terzo nastrino pure verde, questo era dovuto ad una imperizia da parte di chi aveva confezionato le coccarde stesse».[19]

L'ipotesi massonica

 
Ritratto di Cagliostro

Nel 1865 il marchese Francesco Cusani, nella sua opera Storia di Milano dall'origine ai giorni nostri, proponeva che la bandiera italiana avesse avuto origine massonica e precisamente dal Rito egiziano creato da Cagliostro, desumeva ciò da un libretto anonimo (Il Cagliostrismo svelato) pubblicato a Venezia nel 1791. Egli infatti riportava che:

«Il famoso impostore Cagliostro, qualche anno prima che scoppiasse la rivoluzione in Francia, introdusse tra i Franchi Muratori la riforma che intitolò degli Illuminati dell’Alta Osservanza o Rito egiziano e la diffuse anche in Italia. Fra le bizzarre cerimonie prescritte per l'accettazione di un aspirante all'iniziazione trovasi la seguente: La benda [posta sugli occhi] deve essere di seta nera larga quattro dita terminata in tre ale, ed avere qualche figura emblematica ricamata sulle tre estremità. Una di queste ale deve essere bianca, una rossa, una verde[20]»

Dalla presenza delle tre “ale” e dal fatto che la nuova bandiera fu accolta, nonostante la novità della sua adozione, senza commenti od opposizioni anzi essa, in breve, da semplice vessillo militare fu proclamata nazionale da vari territori, che prima di allora avevano come unico nesso (sempre secondo il Cusani) la massoneria egli deduce l'origine massonica della bandiera.

Bisogna però considerare che il Cagliostro, durante in suo tentativo di introdurre il Rito egiziano, soggiornò poco in Italia e comunque riuscì a fondare una sola loggia, precisamente a Rovereto, avendo quindi pochissima influenza sullo sviluppo della massoneria italiana.[21]

È da dire che comunque il Cusani non è molto accurato, confondendo le cerimonie comuni a tutti i tipi di massoneria, contenuti nella prima parte del libretto e a cui appartiene quella della benda, con quelli del Cagliostrismo. Comunque anche così riesce difficile condividere l'affermazione del Cusani sul fatto che l'unico collegamento tra le varie provincie delle nuove repubbliche italiane fosse la massoneria, attribuendo quindi a quest'ultima la responsabilità degli effetti della Rivoluzione francese; bisogna anche considerare che questa tesi era molto diffusa specie negli anni seguenti la caduta del Primo Impero francese.[22]

Altro punto a sfavore di questa ipotesi è il fatto che i tre colori proposti non rivestono particolare importante nelle cerimonie massoniche (compaiono solo in quella riportata) e che il colore principale della benda (cioè il nero) vi è completamente ignorato, bisogna inoltre considerare che una spiegazione "ermeneutica" dei colori difficilmente avrebbe fatto presa sul popolo che era il principale "destinatario" della nuova bandiera.[23]

La bandiera militare di Cherasco

 
La torre del municipio di Cherasco

La traccia documentata più antica che cita la bandiera tricolore italiana è legata alla prima discesa di Napoleone Bonaparte nella penisola italiana. Con l'avvio della prima campagna d'Italia, in molti luoghi i giacobini della penisola insorsero, contribuendo, insieme ai soldati italiani inquadrati nell'esercito napoleonico, alle vittorie francesi[24][25].

Questo rinnovamento venne accettato dagli italiani nonostante fosse legato alle convenienze della Francia napoleonica, che aveva forti tendenze imperialiste, perché la nuova situazione politica era migliore di quella precedente: il legame a doppio filo con la Francia era infatti molto più accettabile dei secoli passati nell'assolutismo[26].

Durante la prima campagna d'Italia Napoleone Bonaparte conquistò gli Stati in cui era divisa la penisola italiana, fondando nuovi organismi statali repubblicani che si ispiravano agli ideali rivoluzionari francesi[27]. Tra il 1796 e il 1799 nacquero, tra le altre, la Repubblica Piemontese, la Repubblica Cispadana, la Repubblica Transpadana, la Repubblica Ligure, la Repubblica Romana, la Repubblica Anconitana e la Repubblica Napoletana[27]. Molte di queste repubbliche ebbero un'esistenza breve: nonostante ciò, il lasso di tempo in cui furono in vita fu più che sufficiente per diffondere gli ideali rivoluzionari francesi, tra cui quello dell'autodeterminazione dei popoli, che gettò le basi per il Risorgimento italiano[27].

Il primo territorio a venir conquistato da Napoleone fu il Piemonte; nell'archivio storico del comune piemontese di Cherasco è conservato un documento che comprova, il 13 maggio 1796, in occasione dell'omonimo armistizio tra Napoleone e le truppe austro-piemontesi, il primo cenno al tricolore italiano, riferito agli stendardi militari[28] issati dal comune su tre torri del centro storico[29]:

«[...] si è elevato uno stendardo, formato con tre tele di diverso colore, cioè Rosso, Bianco, Verde Bleu. [...]»

Sul documento il termine «verde» è stato successivamente barrato e sostituito da «bleu», cioè dal colore che forma – insieme al bianco e al rosso – la bandiera francese[3]. Secondo Carlo Cattaneo fu proprio la bandiera militare di Cherasco a ispirare i tricolori italiani successivi[28].

La bandiera militare della Legione Lombarda

Nonostante le varie ipotesi sull'origine del Tricolore italiano e sul significato dei suoi colori nei fatti non si hanno prove certe della sua esistenza prima dell'ingresso dei francesi in Milano, avvenuto il 14 maggio 1796. È da notare che in Francia, grazie alla Rivoluzione, la bandiera era già passata dall'avere un significato "dinastico" o "militare" ad averne uno "nazionale", e questo concetto, in Italia ancora sconosciuto, fu dai francesi trasmesso agli italiani.[30]

 
Napoleone Bonaparte. Iniziò la sua carriera militare come comandante dell'Armata d'Italia[27]

Questo spiega sia l'iniziale indifferenza all'adozione della nuova bandiera, che quindi ha lasciato poche tracce certe della propria origine, sia il fatto che inizialmente, invece che adottare una propria bandiera, le città abbiano innalzato il tricolore francese. Infatti il nuovo conquistare non è, come gli antichi, "geloso" dei propri colori ma anzi, essendo questi i simboli di un esercito conquistatore e di un popolo vittorioso, è orgoglioso che essi vengano messi bene in mostra,[31] ed è alla bandiera francese che i documenti, almeno fino all'ottobre 1796, fanno riferimento quando usano il termine tricolore.[32]

La prima citazione di un tricolore italiano è presente in una circolare del 27 vendemmiatore dell'anno V (18 ottobre 1796) diretta ai governi provvisori di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio; alle quattro città, federatosi due giorni prima per la difesa comune, nella circolare venivano indicate le norme di formazione della legione militare a cui tutte dovevano partecipare e vi si citava la bandiera a tre colori nazionali italiani anche se questi colori non sono esplicitamente riportati; nonostante ciò in un prologo della circolare veniva comunicato che la norma «è una traccia che il generale in capite dell'armata francese in Italia le ha consegnato». Il generale riportato è naturalmente Napoleone Bonaparte, la cui intromissione nei più minuti dettagli dell'istituzione del nuovo corpo armato viene confermata nel verbale della prima riunione della Giunta di difesa generale, dove tra l'altro si legge:[33]

«Si stampi il piano militare che fu presentato dallo stesso generale in capite

I colori nazionali, mai riportati, probabilmente erano stati concordati dai rappresentanti dei governi federati nella prima riunione del 16 ottobre traendoli da quelli già usati dai transpadani; questa ipotesi è rafforzata da un ulteriore deliberazione, a proposito dell'uniforme della Legione, dove si legge che essa «avrà la forma e colori stessi di quello delle truppe assoldate che è lo stesso già ammesso dai nostri confratelli milanesi»; bisogna anche considerare che i colori transpadani era con tutta probabilità del tutto sconosciuti ai partecipanti al congresso modenese (erano stati scelti solo dieci giorni prima della deliberazione cispadana), ma questo aveva poca importanza perché le deliberazioni erano in realtà prese da Bonaparte e perciò non discutibili.[34]

Infatti l'8 ottobre era stato pubblicato a Milano un proclama in cui si dichiarava che era stata presentata due giorni prima una petizione firmata da migliaia di patrioti e in cui si chiedeva al Generale la costituzione di una Legione lombarda, la quale combattesse al fianco dei francesi, (in realtà l'iniziativa risaliva al Bonaparte stesso e la petizione era sta fatta girare dal Comitato di polizia, a riprova di ciò i volontari furono poi molti meno dei firmatari). Il giorno successivo fu pubblicato dall'Amministrazione generale il Piano di organizzazione della Legione lombarda, che si presenta suddivisa in sette coorti; all'interno del Piano compare per la prima volta un tricolore nazionale lombardo diverso dal francese con una dizione praticamente identica a quella presente nelle Norme emanate dalla Giunta di difesa cispadana, fatto che conferma una volta di più che era stato Napoleone stesso a dettare in entrambi i casi le norme.[35]

Da una lettera inviata l'11 ottobre da Bonaparte al Direttorio, e in cui viene illustrata l'organizzazione della nuova Legione Lombarda, apprendiamo che la scelta dei colori del nuovo vessillo era stata preceduta da una deliberazione:

 
 Lo stendardo dei cacciatori a cavallo della Legione Lombarda, il cui originale è conservato al museo del Risorgimento di Milano
«Vous y trouverez l'organisation de la légion lombarde: les couleurs nationales qu'ils ont adoptées sont le vert, le blanc et le rouge»

A tal proposito, uno dei patrioti milanesi filonapoleonici, l'avvocato Giovanni Battista Sacco, dichiarò[37]:

«[...] Già il tricolore vessillo che da gran tempo ci lusinga di renderci liberi soggiace a riforma: il color nostro nazionale vi ha parte e in certo modo ci si assicura che presso è a spuntare l'aurora apportatrice della nostra rigenerazione [...]»

Il fatto che questa decisione sia passata praticamente inosservata si deve al fatto che la bandiera scelta per la Legione Lombarda (e per quella Italiana) era ancora solamente un vessillo militare a cui non venne data particolare importanza, mentre la comunicazione di Bonaparte al Direttorio riflette invece la nuova sensibilità dei francesi a questo riguardo, e quindi il nuovo significato attribuito ai simboli nella Francia rivoluzionaria; per gli enti italiani che accolgono la "proposta" di Napoleone i nuovi colori (presenti sulla divisa e sulla bandiera) serviranno solo a distinguere sul campo di battaglia le truppe italiane da quelle dei loro alleati, senza che abbiano un significato politico o "nazionale". Questa affermazione, oltre ad essere confermata da un canto popolare dell'epoca, e corroborata da altre prove; ad esempio a Modena la bandiera che ornava l'albero della libertà continuò ad essere, per molti mesi dopo il provvedimento che adottava il vessillo con il verde, quella francese, e ciò si verificò anche a Bologna e a Cento,[38] inoltre anche la Guardia nazionale milanese, nata della trasformazione dell'antica milizia cittadina e riorganizzata il 2 novembre 1796, ricevette come propria bandiera il 20 novembre il tricolore francese e non quello lombardo consegnato alla Legione lombarda quattordici giorni prima.[39] Il fatto che questa bandiera fosse proprio il tricolore francese è confermato da svariate fonti tra cui il Corriere Milanese del 21 che riporta:[40]

«Ieri venne solennemente installata la guardia nazionale. Cento uomini per ciascuno degli otto rioni trovavansi in armi rispetto all'albero della libertà in piazza del Duomo e ricevettero la rispettiva bandiera. Era questa a tre colori nazionali francesi e rappresentava un fascio con la scure col motto Libertà Eguaglianza»
 
Lo stemma comunale di Milano

La bandiera della Guardia nazionale milanese rimase tale fino alla fine di gennaio 1797 quando, per ordine di Napoleone, fu stabilito che doveva «portare i tre colori italiani verde, bianco e rosso»; disposizione riportata anche nel nuovo Piano di organizzazione della guardia nazionale cisalpina in cui veniva ben specificato che: «Ciascun battaglione avrà una bandiera con tre colori nazionali […]; allo stesso modo si svolsero le cose nella vicina Modena.[41]

In ogni caso si tratta ancora di una bandiera "militare" e non "nazionale" o "di Stato", ma perché vennero scelti proprio questi il verde, il bianco e il rosso e non altri? Si deve notare che tutte le repubbliche instaurate in Italia dai francesi portarono un tricolore ad imitazione di questi ultimi; la preferenza per il bianco e il rosso dell'amministrazione milanese discende dal fatto che questi colori erano (e sono) presenti nella bandiera di oltralpe e nello stemma cittadino "d'argento (bianco) alla croce di rosso",[42] mentre la scelta del verde è dovuta al fatto che questo colore era caratteristico delle milizie milanesi e discendeva dall'uniforme della milizia cittadina concessa a questa dall'imperatore Giuseppe II con dispaccio del 18 aprile 1782:

«Consiste in una sopraveste di color verde con colletto e paramani bianchi, sottoveste e calzoni bianchi, spallette d'oro, fiocchi al capello, portaspada con pendone verde ed oro, sciarpa simile.[43]»

I colori presenti furono dunque verde e bianco con una netta prevalenza del primo che, essendo anche il colore del soprabito, divenne il distintivo della milizia divenendo quindi abituale all'occhio dei milanesi. I miliziotti furono perciò soprannominati ramolazzil (dal nome milanese di una specie di rapa)[44]. Questa divisa (e quindi i suoi colori) furono ereditati dalla Guardia nazionale che sostituì la milizia dopo l'arrivo dei francesi, fu anzi accentuata la prevalenza del verde rendendo di questo colore anche i pantaloni dell'uniforme, e passò anche al primo corpo di milizia "regolare" organizzato dalla città, la Legione Lombarda, destinato a combattere a fianco delle truppe napoleoniche; in seguito, tutti i soldati che portarono questa divisa furono conosciuti come verdi. Fu quindi per questo motivo che il verde, insieme al rosso e al bianco , passò sulla coccarda e sulla bandiera tricolore della Legione, bandiera che doveva poi divenire il tricolore italiano.[45]

Anche Francesco Cusani nella sua Storia di Milano parla di questa avvenimento:

«Antonio Bonfanti, uno tra i primissimi ufficiali della guardia nazionale milanese, che morì tenente maresciallo in ritiro, messo alle strette da me circa all'origine dei tre colori della bandiera italiana, se ne sbrigava dicendo che il bianco e il verde eransi desunti dalla milizia urbana: e quasi arrossendo di tale risposta, rifuggiva il discorso, quantunque amasse rammentare nei famigliari colloqui le guerresche vicende della Repubblica e dell'Impero.[46]»

Il Bonfanti fu uno dei pochi ufficiali a passare dalla Milizia, dove era capitano di uno dei Terzi, alla Guardia nazionale.

Il debutto del tricolore, a cui è legata la prima approvazione ufficiale della bandiera italiana da parte delle autorità, fu quindi come insegna militare della Legione Lombarda e non ancora come bandiera nazionale di uno Stato[47]. Il 6 novembre 1796 la prima coorte della Legione Lombarda ricevette il proprio vessillo tricolore nel corso di una solenne cerimonia alle ore cinque pomeridiane in piazza del Duomo a Milano[48][49][50]. La bandiera si presentava divisa in tre fasce verticali; riportava inoltre la scritta "Legione Lombarda" e il numero di coorte, mentre al centro era presente una corona di quercia che racchiudeva un berretto frigio e una squadra massonica con pendolo[51].

Bandiere della stessa foggia furono assegnate anche alle altre cinque coorti costituite[52]. Tutti e sei i vessilli sono ancora esistenti: cinque esposti all'Hures Museum di Vienna e uno al musée de l'Armée di Parigi[49]. Una bandiera della Legione Lombarda consegnata solo successivamente alla coorte dei cacciatori a cavallo, risalente al 1797, è conservata al museo del Risorgimento di Milano[49].

Con il susseguirsi delle vittorie militari di Napoleone e la conseguente nascita delle repubbliche favorevoli agli ideali rivoluzionari, in molte città italiane si assunsero, sugli stendardi militari, il rosso, il bianco e il verde quali simbolo di innovazione sociale e politica[5].

La bandiera militare della Legione Italiana

  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Cispadana.
 
 Bandiera della Guardia Civica Modenese della Repubblica Cispadana

Dal 16 al 18 ottobre 1796, a Modena, si tenne un congresso a cui parteciparono i delegati di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio nell'Emilia, che decretò la nascita della Repubblica Cispadana, con l'avvocato Antonio Aldini in qualità di presidente.

Il congresso deliberò anche la costituzione di una Legione Italiana, poi ridenominata Legione Cispadana[53], che avrebbe dovuto partecipare insieme alla Francia a una guerra contro gli austriaci; il vessillo militare di questa unità militare era composto da un tricolore rosso, bianco e verde, probabilmente ispirato dall'analoga decisione della Legione Lombarda[49][37][54]:

«[...] Si decreta la costituzione della Confederazione Cispadana, e la formazione della Legione Italiana, le cui coorti debbono avere come bandiera il vessillo bianco, rosso e verde adorna degli emblemi della libertà. [...]»
«[...] ART.VIII Ogni Coorte avrà la sua bandiera a tre colori Nazionali Italiani, distinte per numero, e adorne degli emblemi della Libertà. I numeri delle Coorti saranno estratti a sorte fra quelle formate delle quattro Provincie. [...]»

Come già accennato, non si trattò ancora di una bandiera nazionale, ma nuovamente di una bandiera di guerra[51].

Il vessillo civico della congregazione di Bologna

Il 18 ottobre 1796[50] la congregazione filo-napoleonica dei magistrati e deputati aggiunti di Bologna (davanti al cittadino De Bianchi, ai cittadini-senatori: Segni, Malvezzi, Isolani, Angeletti, Bargellini, Cospi, Marescalchi, Bentivoglio, con i cittadini legali consiglieri Gavazzi, il sindaco Tacconi e l'avvocato Antonio Aldini), al terzo punto della discussione, deliberò la creazione di un vessillo civico tricolore, questa volta sganciato dall'uso militare. Su un documento conservato nell'Archivio di Stato di Bologna si può leggere:

«[...] Bandiera coi colori Nazionali - Richiesto quali siano i colori Nazionali per formarne una Bandiera, si è risposto il Verde il Bianco ed il Rosso [...][50][N 1]»

Una delibera del Senato di Bologna del 5 novembre 1796 che abolisce «tutti quei distintivi che caratterizzano una diversità di ranghi fra cittadini» e si prescrive che «ciascuno entro il termine di otto giorni debba essere provveduto e portare la coccarda tricolore francese ovvero anche la mista dei nostri colori nazionali».[55]

Dopo l'adozione da parte della congregazione bolognese il tricolore diventò simbolo politico della lotta per l'indipendenza dell'Italia dalle potenze straniere, visto il suo utilizzo anche in ambito civile, prendendo il nome di "bandiera della rivoluzione italiana"[50].

A questo vessillo bolognese, legato a una realtà comunale e quindi avente ancora respiro prettamente locale, e agli stendardi militari della Legione Lombarda e di quella Italiana, si ispirò poi la successiva adozione della bandiera italiana da parte di un organismo statale, la Repubblica Cispadana, che avvenne il 7 gennaio 1797[4][56].

La bandiera nazionale della Repubblica Cispadana

 
La settecentesca Sala del Tricolore, poi diventata sala consiliare del comune di Reggio nell'Emilia, dove nacque la bandiera italiana

A Reggio nell'Emilia, il 27 dicembre 1796, in un'assemblea che avvenne in un salone del municipio della città, chiamato "sala del congresso centumvirato e in seguito ribattezzato Sala del Tricolore[57], 110 delegati presieduti da Carlo Facci approvarono la carta costituzionale della Repubblica Cispadana, comprendente i territori di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia[58][59]. In riunioni successive vennero decretate e ufficializzate molte decisioni, tra cui la scelta dell'emblema nella neonata repubblica[60].

Ad avanzare la proposta di adozione di una bandiera nazionale verde, bianca e rossa fu Giuseppe Compagnoni in un'assemblea avvenuta il 7 gennaio, che per questo è ricordato come il "padre del tricolore"[51][60][61]. Il decreto di adozione recita[62]:

«[...] [Giuseppe Compagnoni] fa pure mozione che si renda Universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti. Vien decretato. [...]»
 
 Bandiera della Repubblica Cispadana

La decisione del congresso di adottare una bandiera tricolore verde, bianca e rossa fu poi salutata da un'atmosfera giubilante, tanto era l'entusiasmo dei delegati, e da scrosci di applausi[63]. Per la prima volta città di stati ducali per secoli nemiche, si identificano in un'unico simbolo: la bandiera tricolore[50]. La scelta finale di un vessillo verde, bianco e rosso non fu priva di un'ampia discussione preventiva: in luogo del verde i giacobini italiani avrebbero privilegiato l'azzurro della bandiera francese, mentre i sodali al papato avrebbero preferito il giallo del vessillo dello Stato Pontificio, mentre sul bianco e sul rosso non ci furono contestazioni[50]. La discussione sul terzo colore si incentrò infine sul verde, che venne poi approvato anche come soluzione di compromesso[50]. La scelta del verde fu molto probabilmente ispirata dal vessillo militare tricolore verde, bianco e rosso della Legione Lombarda[37].

La storica seduta del congresso non specificò le caratteristiche di questa bandiera con la determinazione della tonalità e della proporzione dei colori, e non precisò neppure la loro collocazione sul vessillo[64]. Sul verbale della riunione di sabato 7 gennaio 1797[50], avvenuta anch'essa nella futura Sala del Tricolore, si può leggere[65]:

«[...] Sempre Compagnoni fa mozione che lo stemma della Repubblica sia innalzato in tutti quei luoghi nei quali è solito che si tenga lo Stemma della Sovranità. Decretato [...]»
«[...] Fa pure mozione che si renda Universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti. Viene decretato. [...][50]»
«[...] Dietro ad altra mozione di Compagnoni dopo qualche discussione, si decreta che l'Era della Repubblica Cispadana incominci dal primo giorno di gennaio del corrente anno 1797, e che questo si chiami Anno I della Repubblica Cispadana da segnarsi in tutti gli atti pubblici, aggiungendo, se si vuole, l'anno dell'Era volgare. [...]»
 
Reggio Emilia: rievocazione storica della guardia civica

Per la prima volta il tricolore diventò ufficialmente bandiera nazionale di uno Stato sovrano, sganciandosi dal significato militare e civico locale: con questa adozione la bandiera italiana assunse pertanto un'importante valenza politica[65][66]. Nella seduta del III congresso delle città cispadane, che è datato 21 gennaio e che si tenne questa volta a Modena, dove nel frattempo erano stati spostati i lavori dell'assemblea, la decisione venne resa esecutiva:

«[...] confermando le delibere di precedenti adunanze – decretò vessillo di Stato il Tricolore – per virtù d'uomini e di tempi – fatto simbolo dell'unità indissolubile della Nazione. [...]»

Il vessillo che fu poi utilizzato dalla Repubblica Cispadana si presentava interzato in fascia con il rosso in alto, con al centro l'emblema della repubblica e ai lati le lettere "R" e "C", ovvero le iniziali delle due parole che formano il nome del neonato organismo statale[51][64].

Nel 1897, in occasione del primo centenario dell'adozione del vessillo tricolore, nell'atrio del municipio di Reggio nell'Emilia, fu posta una lapide commemorativa avente un'iscrizione composta da Naborre Campanini che recita[67]:

 
Il palazzo del Comune di Reggio nell'Emilia
 
Il museo del Tricolore di Reggio nell'Emilia, che è situato all'interno del palazzo del Comune, adiacente alla Sala del Tricolore
«
IL CONGRESSO CISPADANO

DELLE CITTÀ DI BOLOGNA FERRARA MODENA E REGGIO
ADUNATO IN QUESTO PALAZZO
IL GIORNO VII GENNAIO MDCCXCVII
ORDINÒ
CHE FOSSE UNIVERSALE LO STENDARDO DI TRE COLORI
VERDE BIANCO E ROSSO
DI QUI LA BANDIERA
TOSTO AUGURATA DALLA FEDE DEI PENSATORI
SALUTATA DALLE SPERANZE DEI POETI
BAGNATA DAL SANGUE
DI MARTIRI E DI SOLDATI EROI
INDI DAL POPOLO E DAL RE CONCORDI
DECRETATA SIMBOLO E VESSILLO DELLA NAZIONE
MOSSE PIENA DI FATTI
ALLA GLORIA DEL CAMPIDOGLIO
DOVE VINDICE DEL DIRITTO ITALICO
CONSACRA
LA LIBERTÀ E L'UNITÀ DELLA PATRIA

VII GENNAIO MDCCCXCVII
»

La bandiera italiana fu esposta per la prima volta in pubblico a Modena il 12 febbraio 1797; per celebrare l'avvenimento venne organizzato un corteo per le vie della città, con esponenti della guardia civica e dell'esercito che le tributavano solennemente onore[64]. Da questa data il tricolore italiano si diffuse anche al di fuori dei confini emiliani, soprattutto in Lombardia, e iniziò a essere adoperato sempre più spesso come vessillo militare dai soldati napoleonici che combattevano in Italia[64].

A Bergamo fu decretato l'obbligo, da parte dei civili, di portare una coccarda tricolore appuntata sui vestiti, coercizione che venne sancita, il 13 maggio 1797, anche a Modena e Reggio nell'Emilia[68][69]. Anche senza bisogno di obblighi da parte delle autorità, la coccarda si diffuse sempre di più tra la popolazione, che la portava con fierezza, gettando le basi, insieme ad altri fattori, al Risorgimento[70]. Il tricolore verde, bianco e rosso venne poi adottato dalle città di Venezia, Brescia, Padova, Bergamo, Vicenza e Verona[71].

La bandiera nazionale della Repubblica Cisalpina

  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Cisalpina.
 
 La bandiera della Repubblica Cisalpina

Pochi mesi dopo, il 29 giugno 1797, con l'unione tra le repubbliche Cispadana e Transpadana, si costituì la Repubblica Cisalpina, un organismo statale filonapoleonico di vaste dimensioni con capitale Milano[26][72].

Alla celebrazione formale della nascita nella neonata repubblica, che avvenne il 9 luglio nel capoluogo meneghino, parteciparono 300.000 persone (secondo altre fonti, molto meno: 25.000 persone[71]), tra comuni cittadini, militari francesi e i rappresentanti dei maggiori comuni della repubblica[26]. Secondo Francesco Melzi d'Eril, testimone oculare dell'evento, i cittadini milanesi che parteciparono spontaneamente alla celebrazione furono un migliaio, la restante parte era costituita da militari[71].

La manifestazione, che ebbe luogo al Lazzaretto di Milano, fu caratterizzata da un tripudio di bandiere e coccarde tricolori[73]. Nell'occasione Napoleone diede solennemente ai reparti militari della neonata repubblica, dopo averli passati in rassegna, i loro vessilli tricolori[71].

Originariamente i colori della bandiera della Repubblica Cisalpina erano disposti orizzontalmente, con il verde collocato in alto[73], ma l'11 maggio 1798, il Gran Consiglio del neonato Stato scelse, come vessillo nazionale, un tricolore italiano con i colori disposti verticalmente[51][74][75]:

«[...] la Bandiera della Nazione Cisalpina è formata di tre bande parallele all'asta, verde, la successiva bianca, la terza rossa. L'Asta è similmente tricolorata a spirale, colla punta bianca [...]»

In questo periodo nacque l'attaccamento della popolazione nei confronti della bandiera italiana, che iniziò a entrare nell'immaginario collettivo come simbolo del Paese[76]. Questa notorietà popolare era per ora limitata al Nord Italia: in precedenza la Repubblica Romana aveva infatti adottato una bandiera nazionale nera, bianca e rossa, mentre la Repubblica Napoletana aveva, come vessillo nazionale, una bandiera blu, gialla e rossa[77].

Ciò valeva soprattutto nell'esercito, dove il vessillo militare tricolore era difeso a tutti i costi dalla cattura del nemico. Significativo fu un episodio che accadde il 16 gennaio 1801, durante la seconda Repubblica Cisalpina[78]: l'ufficiale napoleonico Teodoro Lechi, durante uno scontro con gli austriaci dove era conteso un ponte sull'Adige a Trento, ebbe la peggio, ma prima di arrendersi decise di bruciare le bandiere tricolori del reparto militare per evitare che finissero nelle mani del nemico[76].

La bandiera nazionale della Repubblica Italiana e quella del Regno d'Italia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Italiana (1802-1805) e Regno d'Italia (1805-1814).
 
  Bandiera della Repubblica Italiana (1802-1805)

Con la trasformazione della Repubblica Cisalpina in Repubblica Italiana (1802-1805), anch'essa direttamente dipendente dalla Francia napoleonica, la disposizione dei colori sulla bandiera mutò in una composizione formata da un quadrato verde inserito in un quadrato bianco[79], a sua volta incluso in un quadrato rosso: da questa bandiera trasse ispirazione l'attuale stendardo presidenziale italiano in uso dal 14 ottobre 2000. Il decreto di adozione di questa bandiera, che è datato 20 agosto 1802, recita[80]:

«[...] [la bandiera della Repubblica Italiana è formata da] un quadrato a fondo rosso, in cui è inserito un rombo a fondo bianco, contenente un altro quadrato a fondo verde [...]»

Il vicepresidente della Repubblica Francesco Melzi d'Eril avrebbe voluto eliminare il verde dal vessillo ma, a causa dell'opposizione di Napoleone e delle «pressioni di forze morali massoniche democratiche», il colore venne mantenuto[81][N 2]. Con la trasformazione della Repubblica Italiana in Regno d'Italia (1805-1814) la bandiera non subì modifiche formali[81].

Con la trasformazione della repubblica in regno, la spinta rivoluzionaria napoleonica subì un mutamento, assumendo tinte più reazionarie. Venne abolito, ad esempio, il calendario rivoluzionario francese, che fu sostituito dall'antico calendario pre-rivoluzionario, e molti miti della Rivoluzione francese, come la presa della Bastiglia, passarono in secondo piano[82].

Questo vento di cambiamento si ripercosse anche sull'uso delle bandiere e delle coccarde: il tricolore italiano fu sempre più sostituito da quello francese, con il blu della bandiera d'oltralpe che prese il posto del verde del vessillo italiano[79]. Questo cambiamento fu anche ufficiale: le fasce dei sindaci ora richiamavano il tricolore francese e non più quello italiano[79].

Nonostante queste limitazioni il tricolore verde, bianco e rosso continuò a entrare sempre di più nell'immaginario collettivo degli italiani diventando, a tutti gli effetti, un simbolo inequivocabile di italianità[83][77]. In poco meno di vent'anni, la bandiera italiana, da semplice vessillo derivato da quello francese, aveva acquisito una sua peculiarità, divenendo assai celebre e conosciuta[83].

Il Risorgimento e l'Unità d'Italia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Risorgimento.

Dai moti del 1821 alle rivolte del 1848

File:Cittadella Militare.jpg
La Cittadella di Alessandria

Con la caduta di Napoleone e la Restaurazione dei regimi monarchici assolutistici, il tricolore italiano entrò in clandestinità, diventando simbolo dei fermenti patriottici che iniziarono a percorrere l'Italia, la cui stagione è conosciuta come Risorgimento[37][83].

L'11 marzo 1821, durante i moti piemontesi, il tricolore italiano sventolò per la prima volta nella storia risorgimentale alla Cittadella di Alessandria dopo l'oblio causato dalla Restaurazione[84][85]. All'episodio Giosuè Carducci dedicò questi versi[86]:

«Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,
quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria
diè a l'aure per primo il tricolore, Santorre
di Santarosa
»

Non tutte le fonti sono però concordi; alcune di esse documentano che la bandiera che garriva ad Alessandria sia stata in realtà costituita da altri colori: il vessillo del Regno di Sardegna oppure il tricolore nero, rosso e blu della carboneria[87].

 
 Bandiera della Giovine Italia

La bandiera verde, bianca e rossa riapparve nel corso dei moti del 1830-1831[84], soprattutto grazie a Ciro Menotti, il patriota che diede inizio alla ribellione in Italia[88][89]. Il 5 febbraio 1831, durante i moti di Forlì, la patriota Teresa Cattani si avvolse nel tricolore durante l'assalto del palazzo sede della Legazione di Romagna sfidando gli spari dei soldati pontifici[84].

Nel 1831 il tricolore venne scelto da Giuseppe Mazzini come emblema della Giovine Italia[90][91][92] con queste parole[84]:

«[...] I colori della Giovine Italia sono: il bianco, il rosso e il verde. La bandiera della Giovine Italia porta su quei colori, scritte da un lato le parole: Libertà, Uguaglianza, Indipendenza. [...]»

Altri motti della Giovine Italia erano anche «Unione, forza e libertà» e «Dio e popolo»[93][94]. A partire dal 1833-1834, grazie all'opera di Mazzini, il simbolismo del tricolore si diffuse sempre di più[95] ad iniziare dal Nord e dal Centro Italia[84]. Nel 1834 venne adottato dai rivoltosi che tentarono di invadere la Savoia[92][96], mentre un vessillo tricolore della Giovane Italia fu portato nel 1835 in America Meridionale da Giuseppe Garibaldi durante il suo esilio[97]. La bandiera italiana si diffuse anche tra gli esiliati politici, diventando il simbolo della lotta per l'indipendenza e della pretesa di avere costituzioni più liberali[97].

 
Goffredo Mameli

Il tricolore italiano fu sventolato anche durante le insurrezioni del 1837 in Sicilia, del 1841 in Abruzzo e del 1843 in Romagna[84][98].Nel 1844 un tricolore della Giovine Italia accompagnò i fratelli Bandiera nel fallito tentativo di sollevare le popolazioni del Regno delle Due Sicilie[98][95][96].

Tricolori italiani sventolarono, sfidando le autorità, che ne avevano decretato il divieto, anche in occasione della commemorazione della rivolta del quartiere genovese di Portoria contro gli occupanti asburgici durante la guerra di successione austriaca. Nel corso di tale manifestazione, che avvenne il 10 dicembre 1847 a Genova sul piazzale del santuario della Nostra Signora di Loreto del quartiere di Oregina, debuttò, eseguito dalla Filarmonica Sestrese, Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e Michele Novaro, inno nazionale italiano dal 1946[96][99]. Il Canto degli Italiani, in una strofa, cita la bandiera italiana:

«Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme:
di fonderci insieme,
già l'ora suonò.»

Questo passaggio, che si legge nella seconda strofa, richiama alla speranza ("la speme") che l'Italia, ancora divisa negli stati preunitari, si fonda finalmente in un'unica nazione raccogliendosi sotto una sola bandiera: il tricolore[99].

I moti del 1848 e la prima guerra d'indipendenza

 
Piazza Cinque Giornate a Milano in una foto anteriore al 1960. Al centro si distingue il monumento realizzato da Giuseppe Grandi in commemorazione dei moti milanesi del 1848, mentre sulla destra è riconoscibile il piccolo edificio ottocentesco che ospitava i caselli daziari di Porta Vittoria

La prima fase del pontificato di papa Pio IX fu caratterizzata da una progressiva apertura alle richieste liberali della popolazione[100]: all'inizio del 1848, in questo contesto, il Sommo Pontefice concesse l'utilizzo di cravatte tricolori annodate sui vessilli militari dell'esercito pontificio[101]. La bandiera italiana fu poi protagonista dei moti del 1848; sventolò, ad esempio, il 12 gennaio nel corso della rivolta di Palermo contro il regno delle Due Sicilie, durante la quale i patrioti solevano dire, in lingua siciliana, "lù dudici innaru cu la bannera tricculurata" (ovvero "il dodici gennaio con la bandiera tricolore")[101][102][103].

Dal 18 al 22 marzo 1848 le cinque giornate di Milano furono caratterizzate da una profusione di bandiere e coccarde tricolori[104][105]. Il 20 marzo, durante i furiosi combattimenti, con gli austriaci asserragliati nel Castello Sforzesco e all'interno dei sistemi difensivi delle mura cittadine, i patrioti Luigi Torelli e Scipione Bagaggia riuscirono a salire sul tetto del Duomo e a issare il tricolore italiano sulla guglia più alta della cattedrale milanese, quella su cui svetta la Madonnina[106]. Prima di salire, la bandiera fu benedetta dal parroco don Felice Lavelli-de Capitani[107]. Al momento della comparsa del tricolore sulla guglia della Madonnina, la folla sottostante salutò l'evento con una serie di entusiasti "Evviva!"[107].

Il patriota Luciano Manara riuscì a issare il tricolore, tra i colpi d'artiglieria degli austriaci, sulla sommità di Porta Tosa[107], la prima delle porte milanesi ad essere poi conquistata: per ricordare l'evento, nel 1861, a Unità d'Italia avvenuta, essa mutò il nome in Porta Vittoria; dell'antica porta rimangono solo però i caselli daziari, il resto venne demolito[108]. Per lo stesso motivo, la piazza su cui sorge la porta, venne in seguito ribattezzata "piazza Cinque Giornate"[109]; in questo spiazzo fu poi realizzato, in ricordo ai moti milanesi, un grande monumento opera di Giuseppe Grandi che venne inaugurato il 18 marzo 1895 e che ha alla sua base l'ossario dei caduti durante la rivolta[110]. Anche le manifestazioni di giubilo susseguenti all'approvazione dello Statuto Albertino, che venne promulgato il 4 marzo 1848, furono caratterizzato dalla profusione di bandiere, coccarde, sciarpe e nastri tricolori che ornavano i vestiti della popolazione[111].

 
 La bandiera adottata da Carlo Alberto di Savoia nel 1848

Alle cinque giornate di Milano partecipò anche il clero cittadino[107]. Il diplomatico e scrittore austriaco Joseph Alexander Hübner, a tal proposito, osservò che durante le cinque giornate di Milano[107]:

«[...] preti molti, col cappello a larga tesa, fregiati di una coccarda tricolore, ed una spada od una sciabola in mano. [...]»

Il processo di trasformazione della bandiera d'Italia in uno dei simboli patri italiani venne completato, consolidandosi definitivamente, durante i moti milanesi[96]. Un tricolore di fortuna formato da camicie rosse, mostre verdi e un lenzuolo bianco, fu issato sul pennone della nave che riportava Giuseppe Garibaldi in Italia dall'America meridionale poco dopo lo scoppio della prima guerra d'indipendenza[112]. I patrioti che si erano ritrovati al porto di Genova per accogliere il suo ritorno, diedero ad Anita Garibaldi, davanti a 3.000 persone, un tricolore da consegnare all'Eroe dei due Mondi affinché la piantasse sul suolo lombardo[113].

Il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia, quando scoppiò la prima guerra d'indipendenza (23 marzo 1848, ovvero all'indomani della cacciata degli austriaci da Milano), assicurò al governo provvisorio lombardo che le sue truppe, pronte a venirgli in aiuto, avrebbero utilizzato come bandiera militare un tricolore con lo stemma sabaudo sovrapposto sul bianco[114][115]. In particolare, il proclama del re del 23 marzo 1848 ai lombardi e ai veneti recitava:

«[...] e per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana, vogliamo che le nostre truppe, entrando nel territorio della Lombardia e della Venezia, portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla bandiera tricolore italiana [...]»
 
 La bandiera adottata dal Regno di Sicilia dal 1848 al 1849

La notte del 23 marzo 1848 Carlo Alberto, dal balcone della sua Reggia, comunicò al popolo la decisione di venire in aiuto ai patrioti lombardi e ai veneti insorti contro gli austriaci, dando il via alla prima guerra di indipendenza, sventolando una fascia tricolore[107]. È di questo periodo l'ufficializzazione della lingua italiana come idioma del Regno di Sardegna: venne infatti introdotto l'articolo 62 dello Statuto Albertino, da poco approvato, che prescriveva l'obbligo dell'utilizzo dell'italiano nelle due camere, fermo restando la deroga per i parlamentari francofoni, che potevano parlare in lingua francese[107]. La lingua italiana era stata introdotta nel Ducato di Savoia, come lingua co-ufficiale, nel 1562, quando si affiancò al latino e al francese: contestualmente Emanuele Filiberto di Savoia, duca sabaudo dal 1553 al 1580, spostò la capitale del ducato da Chambéry a Torino[117].

L'11 aprile 1848 il tricolore italiano divenne ufficialmente, tramite regio decreto, unica bandiera utilizzata sulle navi da guerra e sulla flotta mercantile del Regno di Sardegna, mentre il 28 aprile 1848, con analogo provvedimento, il vessillo verde, bianco e rosso diventò insegna ufficiale delle milizie comunali dello Stato sardo[118]. L'8 maggio 1848 il vessillo tricolore completò l'iter istituzionale, diventando bandiera nazionale ufficiale del Regno di Sardegna, quando fu innalzato per la prima volta su Palazzo Madama a Torino, sede del Senato Subalpino[119]. In un discorso pronunciato davanti al Parlamento subalpino il 9 giugno 1848, re Carlo Alberto dichiarò:

«[...] La bandiera tricolore fu e sarà benedetta da Dio, perché simbolo di una nazionalità dalla sua potenza creatrice stabilita [...]»

Il Granduca di Toscana, inizialmente, non cambiò il vessillo nazionale, ma concesse alle milizie toscane l'utilizzo di una sciarpa tricolore accanto ai simboli del Granducato[120], e così fece anche il re delle Due Sicilie (1848)[121]. Il vessillo tricolore venne poi adottato dalle milizie toscane[112][122], borboniche e papali spedite come rinforzo ai piemontesi[111]. In seguito il Granduca e il re delle Due Sicilie adottarono la bandiera italiana anche come vessillo di Stato; questa svolta durò però fino alla fine della prima guerra d'indipendenza (1849), che causò la sconfitta dell'esercito di Carlo Alberto di Savoia, dopo la quale vennero ripristinate le antiche bandiere[123]. Solo il Regno di Sardegna confermò il tricolore italiano come bandiera nazionale di Stato anche a conflitto risorgimentale terminato[123].

 
 La bandiera adottata dallla Repubblica di San Marco dal 1848 al 1849

Il 12 febbraio 1849 la bandiera verde, bianca e rossa con un'aquila repubblicana sulla punta dell'asta venne adottata dalla Repubblica Romana (1849)[103][124][125], mentre il tricolore della Repubblica di San Marco (1848-1849) era caratterizzato da un Leone Alato[126][127] collocato in alto a sinistra[128]:

«[...] La bandiera della Repubblica veneta è composta dei tre colori, verde, bianco e rosso. Il verde al bastone, il bianco nel mezzo, il rosso pendente. In alto, in campo bianco fasciato dai tre colori, il Leone giallo. Coi tre colori comuni a tutte le bandiere odierne d'Italia, si professa la comunione italiana. Il Leone è il simbolo speciale di una delle famiglie italiane. [...]»

Regno di Sicilia (1848-1849) aveva invece come bandiera nazionale un vessillo verde, bianco e rosso con una trinacria al centro[128][129]. Durante l'assedio di Messina, evento parte della rivoluzione siciliana del 1848, gli ultimi patrioti che resistevano all'attacco dei borbonici all'interno di un convento, piuttosto che consegnarsi, scelsero di gettarsi in un pozzo portando con sé le loro bandiere tricolori[111].

Il tricolore sventolò anche sulle barricate delle dieci giornate di Brescia[130] e in molti altri centri come Varese, Gallarate, Como, Melegnano, Cremona, Monza, Udine, Trento, Verona, Rovigo, Vicenza, Belluno e Padova[131].

Questa diffusione lungo tutta la Penisola fu la dimostrazione che la bandiera italiana aveva ormai assunto un simbolismo consolidato e valido su tutto il territorio nazionale[132]. In precedenza erano comuni, tra i patrioti, anche i colori della carboneria, ovvero il rosso, l'azzurro e il nero, ma dal 1848 il ruolo di simbolo identificativo della lotta per l'indipendenza fu assunto univocamente dal tricolore verde, bianco e rosso[133]. L'iconografia del tricolore iniziò poi a diffondersi, oltre che in ambito vessillologico e militare, anche in alcuni oggetti quotidiani come sciarpe e tessuti per abiti[134].

Dalla guerra di Crimea all'Unità d'Italia

 
 Il tricolore con lo stemma sabaudo, prima bandiera dell'Italia unita

Il 14 aprile 1855, prima della partenza per la guerra di Crimea, le bandiere tricolori italiane vennero affidate solennemente ai soldati da re Vittorio Emanuele II con la seguente frase di commiato "[...] Difendetele e riportatele coronate di nuova gloria [...]"[135][136][137]. Nel 1857 una bandiera italiana con l'asta sormontata da un berretto frigio e con archipendolo, simbolo di equilibrio sociale, fu protagonista del fallito tentativo di rivolta perpetrato nel 1857 da Carlo Pisacane ai danni del Regno delle Due Sicilie[128][138]; Pisacane, per non farsi catturare, si suicidò - secondo la leggenda - fasciato con una bandiera tricolore[139][140].

Il 10 gennaio 1859 re Vittorio Emanuele II di Savoia, succeduto nel 1849 al padre Carlo Alberto, davanti ai membri del Parlamento subalpino, annunciò l'entrata in guerra del Regno di Sardegna contro l'Impero austriaco con queste parole[132].

«[...] movete dunque fidenti nella vittoria, e di novelli allori fregiate la Vostra bandiera, quella bandiera coi tre colori e colla eletta gioventù qui da ogni parte d'Italia convenuta e sotto a lei raccolta, vi addita che avete compito vostro l'indipendenza d'Italia, questa giusta e santa impresa che sarà il vostro grido di guerra. [...]»

Durante la seconda guerra d'indipendenza le città che man mano venivano conquistate dal re eletto Vittorio Emanuele II e Napoleone III salutavano i due sovrani come liberatori in un tripudio di bandiere e coccarde tricolori; anche i centri in procinto di chiedere l'annessione al Regno di Sardegna tramite plebisciti sottolineavano la loro volontà di far parte di un'Italia unita con lo sventolio del tricolore[141]. La bandiera italiana garriva infatti in Toscana, in Emilia, nelle Marche e in Umbria, ma anche in città che avrebbero dovuto aspettare qualche tempo prima di essere annesse, come Roma e Napoli[142][143].

 
 Bandiera del Regno delle Due Sicilie dal 1860 al 1861

È di questi anni il grande entusiasmo della popolazione nei confronti del tricolore: oltre che dall'esercito del Regno di Sardegna e dalle truppe di volontari che parteciparono alla seconda guerra d'indipendenza[132], la bandiera verde, bianca e rossa si diffuse capillarmente nelle regioni appena conquistate o annesse tramite plebiscito, comparendo sulle finestre delle case, nelle vetrine dei negozi e all'interno dei locali pubblici come alberghi, taverne, osterie, ecc.[144]

Il tricolore accompagnò, sebbene non ufficialmente[145], anche i volontari della spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi[146]; l'Eroe dei due Mondi, in particolare, aveva una deferenza e un ossequio assoluto nei confronti della bandiera italiana[147]. Dopo un'iniziale prudenza[148], man mano che Garibaldi conquistava le città dell'Italia meridionale durante la sua risalita lungo la Penisola, l'entusiasmo patriottico cresceva sempre di più, con le bandiere tricolori che sventolavano ovunque[149][150].

A Palermo i cantastorie cantavano in lingua siciliana "Li tri colura spinci pr'ogni via", ovvero "alza il tricolore in ogni via"[151]. Poco dopo la perdita della Sicilia, il 25 giugno 1860, re Francesco II di Borbone, tentando di limitare i danni vista la crescente partecipazione della popolazione all'impresa di Garibaldi, decretò che la bandiera verde, bianca e rossa fosse anche il vessillo ufficiale del suo Regno, con lo stemma borbonico sovrapposto sul bianco[152][153]. Per ironia della sorte, nella fase finale della spedizione dei Mille, il tricolore del Regno delle Due Sicilie garrì in antagonismo alla bandiera tricolore del Regno di Sardegna[154][N 3].

Quando il 17 marzo 1861 venne proclamato il Regno d'Italia, il tricolore continuò a esserne la bandiera nazionale, sebbene non ufficialmente riconosciuto da una legge specifica[155][156], ma regolamentato, per quanto riguarda la foggia dei vessilli militari, da un regio decreto del 25 marzo 1860 che rimase in vigore fino alla nascita della Repubblica Italiana (1946)[157][158][159]. Il tricolore, in questo contesto, aveva un significato universale che era condiviso dai monarchici come dai repubblicani, dai progressisti e dai conservatori e dai guelfi come dai ghibellini: fu scelto come bandiera dell'Italia unita per tale motivo[152].

Dalla terza guerra d'indipendenza alla presa di Roma

File:Vicenza bandiera.jpg
 Il gonfalone comunale della città di Vicenza

Durante la battaglia di Custoza (24 giugno 1866), scontro facente parte della terza guerra di indipendenza italiana, i militari del 44º reggimento della brigata "Forlì" salvarono una bandiera tricolore dalla cattura delle truppe austriache. Per non consegnare al nemico il loro stendardo militare, stracciarono il drappo della bandiera tricolore in tredici pezzi, suddivisi tra i presenti, e nascosero quei brandelli di stoffa sotto la giubba. Terminata la guerra fu possibile recuperare undici delle tredici porzioni del drappo e ricostruire così la bandiera, che passò alla storia con il nome di "Tricolore di Oliosi"[28].

Con la terza guerra d'indipendenza il Veneto fu annesso al Regno d'Italia; l'ingresso delle truppe italiane a Venezia, avvenuto il 19 ottobre 1866, fu salutato da un'invasione di bandiere tricolori[160][161]. La città di Vicenza adottò, tramite una delibera di Consiglio comunale datata 5 novembre 1866, come gonfalone civico, la bandiera tricolore caricata dello stemma del comune[162]. La città veneta decise di cambiare patriotticamente il proprio vessillo in seguito a una visita di re Vittorio Emanuele II, nella quale il sovrano aveva appuntato al gonfalone civico la medaglia d'oro al valor militare, guadagnata dalla municipalità veneta con la battaglia di Monte Berico combattuta il 10 giugno 1848 nei dintorni della città.

Bandiere tricolori salutarono poi l'esercito italiano durante la marcia verso Roma, che si concluse con la breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 e con l'annessione del Lazio al Regno d'Italia[156][163][164]. Roma divenne ufficialmente capitale d'Italia il 1º gennaio 1871, mentre l'insediamento della corte reale e del governo ebbe luogo il 6 luglio dello stesso anno: da questa data il tricolore italiano sventola dal pennone più alto del Palazzo del Quirinale[165].

Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale

Dopo l'Unità d'Italia l'uso del tricolore si diffuse sempre di più tra la popolazione[166]: la bandiera, o i suoi colori, cominciarono a essere riportati sulle etichette dei prodotti commerciali, sui quaderni scolastici, sulle prime automobili, sulle confezioni di sigari, ecc.[166] Anche tra gli aristocratici ebbe successo: le famiglie più importanti facevano sovente installare sulla facciata principale dei loro palazzi signorili un portabandiera dove collocavano il tricolore italiano[166]. Iniziò poi a comparire fuori dagli edifici pubblici, dalle scuole, dagli uffici giudiziari e dagli uffici postali[166]. È di questo periodo l'introduzione dell'uso della fascia tricolore per i sindaci e per i giurati delle corti di assise[166].

 
Cartolina dei Carabinieri Reali spedita dalla colonia eritrea nel 1907 e raffigurante un'aquila che porta in volo una bandiera italiana

L'unica città dove l'attaccamento alla bandiera non era sentito da tutta la popolazione era Roma: nella capitale era infatti presente un buon numero di cittadini ancora fedele al papato[167]. A Roma il clero era ostile al neonato stato italiano in modo molto marcato, tanto da rifiutarsi di benedire il tricolore e da impedire alle bandiere italiane di entrare nelle chiese anche in occasione di funerali o di cerimonie pubbliche[168][169]. La bandiera italiana era tollerata solo a seguito dei cortei funebri[169].

È del 1882 la fondazione della prima colonia italiana, la baia di Assab, che diventò il primigenio avamposto della futura Eritrea italiana: per la prima volta, il tricolore sventolò in un possedimento italiano in Africa[170]. Non tutti erano favorevoli all'avventura coloniale: il deputato socialista Andrea Costa dichiarò che il tricolore non doveva garrire in una terra lontana, ma solo in Italia, "[...] nelle imprese civili che fanno risalire sempre più la nazione verso le altezze dell'ideale [...]"[171]. I detrattori dell'impresa coloniale sostenevano infatti che non andava fatta confusione tra patriottismo e colonialismo[171].

Nel 1885 venne introdotta la maglia tricolore per il ciclista che si laurea, ancora oggi, campione d'Italia[172]. Concettualmente, questo riconoscimento tangibile è simile al collocamento di uno scudetto tricolore sulle maglie della squadra campione d'Italia nel calcio, nel rugby, nella pallavolo, nella pallacanestro, ecc.[172]; l'idea di apporre uno scudetto sulle maglie delle squadre sportive vincitrici dei rispettivi campionati nazionali fu di Gabriele D'Annunzio[173]. Nel calcio, primo sport a farne uso, venne introdotto nel 1924[173].

 
Festeggiamenti alla Little Italy di New York per la vittoria della Nazionale italiana di calcio ai campionati mondiali del 2006

Nel 1887, dopo la sconfitta nella battaglia di Dogali, scontro avvenuto durante la guerra d'Eritrea, Francesco Crispi dichiarò[174]:

«[...] Dov'è la bandiera tricolore là è l'Italia. Quindi bisogna fare in modo che questa bandiera sia rispettata anche dai selvaggi. [...]»

Aggiungendo, in un'altra occasione[169]:

«[...] E ora vendichiamo la bandiera. Perché purtroppo i paesi non vivono soltanto di pane e di benefici materiali. I popoli vivono anche di onore. [...]»

Nel 1889, in ambito culinario, fu inventata la pizza Margherita, chiamata così in onore della regina Margherita di Savoia, i cui ingredienti principali richiamano la bandiera tricolore: verde per il basilico, bianco per la mozzarella e rosso per la salsa di pomodoro[167][N 4].

Nel 1897 la bandiera italiana compì cent'anni. La celebrazione fu molto sentita dalla popolazione, tant'è che l'Italia venne invasa da tricolori; la manifestazione più importante avvenne a Reggio nell'Emilia, dove il 7 gennaio di cento anni prima era nato il tricolore[175]. Nel giorno della celebrazione nella città emiliana Giosuè Carducci definì la bandiera "benedetta" e la baciò alla fine del discorso[65][175][176]. Uno stralcio del discorso del Carducci recita[176][177]:

«[...] Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo; ma i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all'Etna; le nevi delle Alpi, l'aprile delle valli, le fiamme dei vulcani. E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e sì augusta; il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l'anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de' poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi. [...]»
 
Un'immagine della spedizione di Umberto Cagni nella Terra di Francesco Giuseppe

Di questi anni è l'inizio dell'emigrazione italiana, soprattutto verso il continente americano: il tricolore, spesso portato nelle valigie dei migranti, iniziò a sventolare al di fuori dei confini nazionali, soprattutto nelle Little Italy che stavano formandosi nel mondo[178]. Molte altre volte il sentimento di italianità e il legame con i suoi simboli - tricolore compreso - nacque o si rinforzò solo dopo che i migranti ebbero lasciato l'Italia[179]. Questo legame con la terra d'origine non si sbiadiva con il passare delle generazioni: molto spesso era ancora vivo nella terza o quarta generazione[179]. Qualche anno prima, nel 1861, il presidente Abraham Lincoln passò in rassegna alcuni reparti militari che stavano partecipando alla guerra di secessione americana: tra essi c'era una Garibaldi Guard, formata da immigrati italiani, che aveva come vessillo militare la bandiera tricolore della Giovine Italia[178].

Con le prime lotte sindacali di fine XIX secolo la bandiera italiana iniziò a sventolare tra le mani dei manifestanti durante gli scioperi[180]. Anche durante le lotte perpetrate dai fasci siciliani tra il 1892 e il 1894 ci fu una profusione di bandiere italiane[181]: a esse erano contrapposti i tricolori delle forze dell'ordine mandate dal governo a sedare le rivolte sindacali[180].

Il 25 aprile 1900 il tricolore italiano sventolò nella Terra di Francesco Giuseppe, un arcipelago situato a nord dell'Impero russo tra il mar Glaciale Artico e il mare di Kara[182][183]: fu portato in una spedizione organizzata nelle zone artiche e capitanata dall'esploratore Umberto Cagni[182].

A cavallo tra il XIX e il XX secolo il patriottismo iniziò gradualmente a trasformarsi in nazionalismo; dal fervore patriottico ottocentesco che propugnava il voto popolare e la libertà, si passò a un acceso nazionalismo che avrebbe poi portato, qualche decennio dopo, alla nascita di movimenti politici come il fascismo di Benito Mussolini[184]; quest'ultimo, tuttavia, all'inizio della sua carriera politica nelle file del socialismo rivoluzionario, aveva una forte avversione nei confronti del tricolore, tanto che lo definì, in occasione della guerra italo-turca del 1911, "uno straccio da piantare su un mucchio di letame"[185]. Questo indirizzamento verso il nazionalismo si ripercosse anche sui simboli dell'Italia: per quanto riguarda la bandiera, significative sono alcune cartoline illustrate che iniziarono a diffondersi all'epoca e che riportano alcuni versi di Francesco Dall'Ongaro: "[...] E gli dirò che il verde, il rosso e il bianco / gli stanno bene colla spada al fianco [...]"[184].

Le due guerre mondiali e il periodo interbellico

Nel 1915 l'Italia entrò nella prima guerra mondiale: per gli storiografi questo conflitto corrisponde alla quarta guerra d'indipendenza italiana, dato che lo scopo era quello di completare l'unità nazionale con l'annessione delle ultime terre irredente[186]. A questo obiettivo mancavano il Trentino-Alto Adige e la Venezia Giulia, tant'è che lo slogan più diffuso all'epoca era "W Trento e Trieste italiane!"[186].

 
Bandiera italiana risalente alla prima guerra mondiale

Protagonista assoluta, sia nelle trincee e che in ambito civile, fu la bandiera tricolore[187]. I colori verde, bianco e rosso vennero utilizzati diffusamente come stimolo alla mobilitazione generale e al sostentamento morale della popolazione civile, che si stava inerpicando in un percorso che l'avrebbe portata in una situazione assai difficile, caratterizzata da moltissime privazioni[186]. In altre parole, nelle trincee il tricolore era un simbolo fondamentale per spronare i soldati, mentre nel fronte interno era importantissimo per compattare e corroborare la società civile[186]. A questo scopo, re Vittorio Emanuele III comparve su una copertina della Domenica del Corriere affacciato sul balcone del Palazzo del Quirinale mentre sventolava il tricolore gridando "Viva l'Italia"[186]. Il re fece poi un proclama ufficiale, poco prima di partire per il fronte di guerra, che recitava:

«Soldati di terra e di mare! L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio Grande Avo[N 5], assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire. Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell'arte, egli vi opporrà tenace resistenza, ma il vostro indomabile slancio saprà di certo superarla. Soldati! A voi la gloria di piantare il Tricolore d'Italia su i termini sacri che natura pose a confine della Patria nostra, a voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri.»
 
Volantino lanciato su Vienna da Gabriele D'Annunzio durante la prima guerra mondiale

Uno degli episodi più famosi che coinvolsero la bandiera italiana nella prima guerra mondiale fu il volo su Vienna, un volantinaggio aereo che Gabriele D'Annunzio fece sui cieli della capitale asburgica: il 9 agosto 1918 il Vate lanciò su Vienna dei volantini tricolori con cui esortava il nemico ad arrendersi e a porre fine alla guerra[191][192]. Le truppe italiane entrarono poi a Trieste nel novembre del 1918 in seguito alla vittoria nella battaglia di Vittorio Veneto, che concluse il conflitto con la ritirata del nemico: il tricolore che fu issato sul campanile della cattedrale di San Giusto proveniva dal cacciatorpediniere Audace, che era ancorato nel porto di Trieste[193]. La bandiera italiana fu anche protagonista dell'impresa di Fiume, capitanata sempre da D'Annunzio, al grido: "alzate la bandiera: sventolate il tricolore!"[194].

Nel 1919 don Luigi Sturzo, che aveva da poco fondato il Partito Popolare, in riferimento ai festeggiamenti del 20 settembre, che avrebbero festeggiato la ricorrenza della presa di Roma, definì polemicamente la bandiera italiana, che sarebbe stata sventolata a profusione, visto l'importanza dell'evento, "cencio tricolore"[183]. Durante la Reggenza italiana del Carnaro (1919-1920), entità statuale che amministrava la città di Fiume, Gabriele D'Annunzio definì la bandiera italiana "la veste della nazione eterna" ed esortò gli italiani a ribellarsi ai responsabili della disfatta di Caporetto sventolando il "tricolore in tutto il cielo"[195].

Con la marcia su Roma e l'instaurarsi della dittatura fascista la bandiera italiana perse la sua unicità simbolica venendo in parte oscurata dall'iconografia di regime[196][197]. Quando veniva utilizzata, come all'interno del simbolo del Partito Nazionale Fascista, ne era snaturata la storia, dato che il tricolore nacque come simbolo di libertà e di diritti civili[191], mentre nelle cerimonie ufficiali iniziò a essere accostato ai vessilli neri fascisti, perdendo il ruolo di protagonista assoluto[198].

Nonostante questo ruolo da comprimario, con regio decreto n° 2072 del 24 settembre 1923 e successivamente con la legge n°2264 del 24 dicembre 1925, il tricolore diventò ufficialmente bandiera nazionale del Regno d'Italia[194][195]:

«La bandiera nazionale, è formata da un drappo di forma rettangolare interzato in palo, di verde, di bianco e di rosso, col bianco coronato dallo stemma Reale bordato d'azzurro. Il drappo deve essere alto due terzi della sua lunghezza, e i tre colori vanno distribuiti nell'ordine anzidetto e in parti eguali, in guisa che il verde sia aderente all'inferitura. La bandiera di Stato, da usarsi nelle residenze dei Sovrani e della Reale Famiglia, nelle sedi del Parlamento, delle rappresentanze diplomatiche e consolari all'estero e degli uffici governativi, ha lo stemma sormontato dalla corona Reale. [...]»
 
 Bandiera del Comitato di Liberazione Nazionale
 
 Bandiera di guerra della Repubblica Sociale Italiana

Il 31 gennaio 1923 fu istituito dal Ministero della Pubblica Istruzione il saluto alla bandiera da parte degli studenti delle scuole italiane. Ogni sabato mattina, al termine delle lezioni, gli studenti dovevano omaggiare la bandiera con il saluto romano e con l'esecuzioni di brani musicali patriottici[195]. L'Azione Cattolica, nel 1931, fece del tricolore italiano il proprio gonfalone[195]. Inoltre l'associazione cattolica raggruppava i bambini della propria organizzazione dedicata ai fanciulli in tre categorie, che erano basate sulla fascia d'età e che avevano un nome che era legato ai colori della bandiera italiana: "fiamme verdi", "fiamme bianche" e "fiamme rosse"[195].

Durante questo periodo la bandiera italiana fu anche protagonista di alcuni eventi molto importanti, come le prime due vittorie della Nazionale di calcio dell'Italia ai campionati mondiali del 1934 e del 1938, che furono celebrate da un tripudio di vessilli tricolori[198]. Fu anche salutato dallo sventolio di bandiere tricolori l'arrivo a New York, nell'agosto del 1933, del transatlantico italiano Rex, che aveva appena vinto il Nastro Azzurro stabilendo il record di traversata oceanica atlantica in minor tempo (quattro giorni)[198].

Dagli anni venti il tricolore iniziò a comparire sui primi aeroplani civili[198]. Tricolori salutarono Italo Balbo nelle sue traversate oceaniche con idrovolanti, così come una bandiera italiana fu gettata nel 1927 sul Polo Nord dal dirigibile Italia durante la sfortunata spedizione capitanata da Umberto Nobile[199]. Treni rivestiti di bandiere tricolori portarono i coloni nelle nuove città fondate dopo la bonifica dell'Agro Pontino, mentre il 5 maggio 1936 ci fu il solenne alzabandiera ad Addis Abeba, in Etiopia, che salutò la fondazione dell'Impero coloniale italiano[200].

La bandiera ad Addis Abeba fu poi ammainata nel novembre del 1941 alla fine della campagna dell'Africa Orientale Italiana, che venne combattuta durante la seconda guerra mondiale[201]. L'Italia entrò nel secondo conflitto mondiale il 10 giugno 1940 con il celebre discorso di Benito Mussolini proferito dal balcone principale di Palazzo Venezia a Roma; il clima era però molto differente da quello che caratterizzò l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale[202]: il re non si presentò sul balcone del Palazzo del Quirinale sventolando la bandiera così come avvenne nel 1915; inoltre l'Italia non era attraversata da quel garrire di bandiere tricolori che aveva salutato l'entrata del Paese nella prima guerra mondiale - ancorché opera di una minoranza[202].

 
Il Canto degli Italiani ricordato insieme al Risorgimento su un manifesto propagandistico della Repubblica Sociale Italiana. Sullo sfondo, sventola un tricolore

Il tricolore tornò prepotentemente sugli scudi dopo l'armistizio di Cassibile dell'8 settembre 1943, dove venne preso come simbolo dalle due parti che si affrontarono nella guerra civile italiana[195][203] nel tentativo di richiamare il Risorgimento e il suo bagaglio culturale[204]. In particolare, era utilizzato dai partigiani in quanto simbolo di lotta contro i tiranni ed emblema del sogno di un'Italia libera[203]: anche le brigate partigiane comuniste, che avevano come vessillo ufficiale la bandiera rossa, sventolavano sovente il tricolore italiano[205].

Bandiere tricolori erano anche i vessilli ufficiali delle Repubbliche partigiane e del Comitato di Liberazione Nazionale, così come dei loro antagonisti, i repubblichini[205]. Il tricolore fu infatti scelto come bandiera nazionale anche dalla Repubblica Sociale Italiana[206][207][208]: il vessillo civile della repubblica di Benito Mussolini era identico al tricolore dell'odierna Repubblica Italiana, mentre sulla bandiera di guerra era collocata centralmente un'aquila imperiale romana che regge un fascio repubblicano con l'aggiunta, in base alla forza armata che la esibiva, di una granata o di un'àncora[209]. Il tricolore italiano venne usato anche per propaganda: la Repubblica Sociale, ad esempio, lo utilizzò su un celebre manifesto raffigurante Goffredo Mameli con la spada sguainata e con un tricolore alle spalle, mentre si lancia verso un assalto[207]. Su questo manifesto erano riportate la scritte: "Fratelli d'Italia / L'Italia se desta!" e "1849-1944 Lo spirito di Goffredo Mameli / Difenderà la Repubblica Sociale"[207].

Con la Liberazione il tricolore comparve sulle torri dei municipi, sui campanili delle chiese, nelle fabbriche, ecc.[207]. A tal proposito Francesco Cossiga, all'epoca Presidente del Senato della Repubblica, in un discorso proferito il 28 giugno 1984 disse[207]:

«[...] E il tricolore fu l'unica bandiera del movimento patriottico nazionale della Resistenza, dalle formazioni partigiane all'esercito nazionale dello Stato. E quando la libertà fu riconquistata, mille e mille tricolori fiorirono sul territorio redento, sui campanili delle chiese, sulle torri dei comuni, sulle ciminiere delle fabbriche difese dagli operai, sulle torrette dei campi di concentramento e di sterminio, le cui catene venivano spezzate: a significare che l'Italia era, per opera degli italiani, libera. dietro il tricolore d'Italia combatterono, lottarono, vinsero e furono sconfitti - ma sempre con onore - caddero e morirono molti giovani, talvolta tragicamente su trincee opposte per colpe non loro; con il tricolore d'Italia risorse la Patria e si affermò la democrazia repubblicana che oggi unisce pacificamente gli italiani tutti. [...]»

La Repubblica Italiana

 
 La bandiera adottata dalla Repubblica Italiana

Con la nascita della Repubblica Italiana, grazie al decreto presidenziale del 19 giugno del 1946, la bandiera italiana venne cambiata; rispetto al vessillo monarchico fu eliminato lo stemma sabaudo[211][212][213]. Questa decisione fu in seguito confermata nella seduta del 24 marzo del 1947 dall'Assemblea Costituente, che decretò l'inserimento dell'articolo 12 della Costituzione della Repubblica Italiana, successivamente ratificato dal Parlamento, che recita[212][214][215]:

«La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.»

L'articolo venne approvato dall'Assemblea Costituente senza discussioni o polemiche di sorta[217]. I membri dell'Assemblea Costituente vennero colti da profonda emozione quando approvarono questo articolo: in segno giubilo e di rispetto, poco dopo l'approvazione, si alzarono in piedi e applaudirono lungamente[212]. Il tricolore repubblicano venne poi consegnato ufficialmente e solennemente alle forze armate italiane il 4 novembre 1947 in occasione della Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate[218].

 
 Lo stendardo presidenziale italiano

Poco prima dell'ufficializzazione della bandiera nella costituzione, il 7 gennaio 1947, il tricolore compì 150 anni[219]: il ruolo da cerimoniere che cinquant'anni prima fu di Giosuè Carducci venne preso da Luigi Salvatorelli, il cui discorso, proferito durante i festeggiamenti ufficiali di Reggio nell'Emilia alla presenza di Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato, alluse alla fase delicata che stava attraversando l'Italia postbellica[219] con particolare riferimento alle umiliazioni subite dal Paese nella seconda guerra mondiale[220][221]:

«[...] Il tricolore non è abbassato, non sarà abbassato. Esso è stato ribenedetto, riconsacrato dalla insurrezione dei patrioti, dal sangue dei partigiani e dei soldati d'Italia combattenti contro il nazi-fascismo nella nuova lotta di liberazione. [...]»

Dalla bandiera italiana è poi derivato lo stendardo presidenziale italiano, la cui ultima versione richiama, come già accennato, il vessillo della Repubblica Italiana del 1802-1805, con l'aggiunta di una bordatura di colore blu Savoia.

Nell'Italia repubblicana il tricolore salutò avvenimenti importanti della storia italiana. Fu protagonista della vittoria di Gino Bartali al Tour de France 1948 grazie a un berretto tricolore portato dal celebre ciclista: questo copricapo fu così descritto da Orio Vergani dalle colonne del Corriere della Sera:

 
L'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi durante il messaggio per la Festa del Tricolore del 7 gennaio 2003
«[...] un berretto bianco, rosso e verde che per tante tappe gli era parso "una cosa triste, segno di sconfitta, bandiera da ripiegare", ma che un giorno rappresentò uno scatto d'orgoglio [...]»

Dopo al vittoria di Bartali il tricolore sventolò in tutta Italia e anche all'estero dagli emigrati italiani[212]. Orio Vergani descrisse così quei momenti:

«[...] i tricolori, i vessilli delle società di mutuo soccorso fra gli operai, i festoni di carta levati come stendardi dagli emigrati che salutavano in Bartali un loro fratello [...]»

Venne poi piantato a 8.621 metri sulla vetta del K2 durante la spedizione italiana del 1954, impresa alpinistica patrocinata dal Club Alpino Italiano, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall'Istituto Geografico Militare e dallo Stato italiano, e guidata da Ardito Desio[212]. La via seguita fu lo Sperone Abruzzi e i due alpinisti che raggiunsero la vetta furono Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, con il supporto dell'intero gruppo[212]. La spedizione italiana riuscì ad anticipare un'analoga spedizione statunitense[212].

 
L'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi rende gli onori al primo tricolore durante la Festa del 7 gennaio 2004 a Reggio nell'Emilia

In ambito sportivo il tricolore fu protagonista dei Giochi della XVII Olimpiade del 1960 a Roma, salutò le altre due vittorie ai campionati mondiali di calcio del 1982 e del 2006, che vennero festeggiate in tutta Italia con un tripudio di bandiere tricolori, e fu portato sulla Stazione Spaziale Internazionale dall'astronauta Roberto Vittori nel 2011 in occasione del 150º anniversario dell'Unità d'Italia[212][222]. Il tricolore continua poi a rappresentare l'Italia in tutte le missioni di pace a cui partecipa l'Esercito Italiano[223][224].

Il 31 dicembre 1996, con la medesima legge che istituiva la Festa del Tricolore, celebrazione che si tiene il 7 gennaio di ogni anno in ricordo dell'adozione della bandiera rossa, bianca e verde da parte della Repubblica Cispadana (7 gennaio 1797), venne costituito un comitato nazionale di venti membri che avrebbe avuto l'obiettivo di organizzare la prima commemorazione solenne della nascita della bandiera italiana, che l'anno successivo avrebbe compiuto duecento anni[225]. Il comitato era composto da personalità istituzionali, tra cui i presidenti delle camere, e da membri provenienti dalla società civile, particolarmente dall'ambito storico e culturale[225]. All'epoca fu anche proposto di non festeggiare la data, se non addirittura di modificare la bandiera stessa, ipotesi scarsamente accolte dai membri del Parlamento[226]. L'articolo 1 della legge che ha istituito la Festa del Tricolore recita:

«[...] Il giorno 7 gennaio, anniversario del primo tricolore d'Italia, è dichiarato giornata nazionale della bandiera [...]»

La legge n°222 del 23 novembre 2012, avente per oggetto "Norme sull'acquisizione di conoscenze e competenze in materia di «Cittadinanza e Costituzione» e sull'insegnamento dell'inno di Mameli nelle scuole", prescrive lo studio nelle scuole della bandiera italiana e degli altri simboli patri italiani[228][229].

Note

Esplicative

  1. ^ Archivio di Stato di Bologna, Archivio napoleonico, I, Senato provvisorio, Atti dell'Assunteria di magistrati, b. 5, c. 542 “Bandiera coi colori nazionali” e sgg., 10 maggio 1796 - 30 ottobre 1796.
  2. ^ Il verde è infatti anche il colore della massoneria.
  3. ^ Il tricolore con lo stemma dei Borbone fu utilizzato dall'esercito di Francesco II anche durante l'assedio di Gaeta. In seguito, nel periodo del brigantaggio, Fulco Salvatore Ruffo di Calabria, IX principe di Scilla, uno dei membri della corte di Francesco II in esilio, in una lettera raccomandò al generale spagnolo José Borjes, inviato nell'Italia meridionale per guadagnare alla causa legittimista i briganti, l'uso della bandiera tricolore:
    «La questione della bandiera è anche assai delicata. Gaeta si è resa immortale colla bandiera tricolore, in mezzo a cui vi era lo scudo dei Borboni. È questa la bandiera adottata dal re ed a cui egli prestò giuramento.

    Se la bandiera bianca ha maggiore influenza sulle masse, voi potrete adottarla, mettendovi i nastri tricolori. Voi sapete che magnifica missione avrà Francesco II di risollevare la vera Italia, e di essere per eccellenza il re italiano e liberale nel buon senso.

    I colori italiani furono insozzati dalla rivoluzione. Francesco II li purificherà forse»

    Cfr. Emidio Cardinali, I briganti e la corte pontificia, Livorno, 1862, p. 118.

  4. ^ Quella che oggi è chiamata pizza Margherita era tuttavia già stata preparata nel 1866, prima della dedica alla regina d'Italia, come attesta Francesco De Bourcard in: Usi e costumi di Napoli, riedizione in copia anastatica, tiratura limitata a 999 copie, Napoli, Alberto Marotta, 1965 [1866] p.124.
  5. ^ "Grande Avo", ovvero Vittorio Emanuele II di Savoia.

Bibliografiche

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  8. ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore <ref>: non è stato indicato alcun testo per il marcatore Cita|Ferorelli|p. 668
  9. ^ Nicola Ferorelli, La vera origine del tricolore italiano, in Rassegna storica del Risorgimento, vol. XII, fasc. III, 1925, p. 662.
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Voci correlate

Collegamenti esterni