Libro di Tobia
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Il Libro di Tobia (greco Τοβίτ, tobìt; latino Tobit) è un testo contenuto nella Bibbia cristiana (Settanta e Vulgata) ma non accolto nella Bibbia ebraica (Tanakh). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo.
Ci è pervenuto in greco sulla base di un prototesto aramaico perduto redatto in Giudea attorno al 200 a.C.; sono stati trovati dei frammenti in aramaico a Qumran.
È composto da 14 capitoli descriventi la storia dell'ebreo Tobi, ambientata nell'VIII-VII secolo a.C. Deportato dagli Assiri, diventa cieco. Il figlio Tobia (detto anche Tobiolo) compie un viaggio, conosce e sposa Sara, al ritorno guarisce Tobi con l'aiuto di Raffaele.
Caratteristiche
Dichiarato canonico dal concilio di Cartagine nel 397 e confermato nel concilio di Trento (1546). Non è mai stato considerato parte del Tanakh, la bibbia della maggior parte degli Ebrei ortodossi, poiché le versioni conosciute erano in greco; sono stati però scoperti frammenti in lingua originale nella caverna IV a Qumran nel 1955 (v. Manoscritti non biblici di Qumran). Questi frammenti combaciano con il testo greco che ci è giunto. La stesura del libro pare risalire ad un'epoca poco anteriore ai Maccabei, e presuppone tradizioni aramaiche.
Contenuto
Il libro, ambientato nel VII secolo a.C., narra la storia di una famiglia ebraica della tribù di Neftali, deportata a Ninive, composta dal padre, Tobi, dalla madre Anna e dal figlio Tobia. Nella versione latina del testo padre e figlio hanno lo stesso nome, Tobias, per cui nella tradizione italiana il padre era chiamato Tobia e il figlio Tobiolo.
La storia di Tobia
Condotto prigioniero in Assiria nella deportazione delle tribù del regno di Israele nel 722 a.C., Tobi si prodiga ad alleviare le pene dei suoi connazionali in cattività (i primi due capitoli e mezzo sono narrati in prima persona). Nel corso delle varie vicende perde il suo patrimonio, e, in seguito ad un atto di carità, anche la vista. Sentendo approssimarsi la propria fine, decide di mandare il figlio Tobia nella Media presso un parente, Gabael, a riscuotere dieci talenti d'argento lasciatigli in deposito. Prima di fare questo, si raccoglie in preghiera.[1]
La storia di Sara
In contemporanea a questa vicenda viene raccontata la storia di Sara. Questa giovane donna, figlia del parente di Tobi Raguele, abitante di Ecbàtana, era posseduta dal demone Asmodeo che uccideva tutti gli uomini con cui si univa. Un giorno, una serva del padre della giovane, accusa la stessa di essere l'unica responsabile della morte dei mariti avuti. Sara, affranta per quanto accaduto, decide di togliersi la vita impiccandosi. Proprio nell'atto di porre in essere tale proposito medita sul fatto che il suo suicidio comporterebbe un ulteriore dolore per i genitori e desiste. In tale frangente Sara prega affinché Dio la faccia morire al più presto.[2]
Il viaggio
Le preghiere di entrambe queste persone vengono accolte da Dio che invia sulla terra l'arcangelo Raffaele. Questi si presenterà agli occhi di Tobia, sotto mentite spoglie, nella veste di una guida che conosce bene la strada. Ha inizio così il viaggio di Tobia, in cui si imbatterà in alcuni avvenimenti che saranno utili alla guarigione sia di Sara che del padre Tobi. Primo fra tutti è la sosta presso il fiume Tigri, in cui Tobia viene assalito da un pesce. In tale circostanza, l'arcangelo sprona Tobia a non scappare e a afferrare il pesce per la testa. Così facendo il giovane sconfigge l'animale e, sempre su consiglio dell'angelo, estrae dal pesce il fiele, il cuore e il fegato. Giunto ad Ecbatana, sposa Sara, liberandola dal demone grazie alle indicazioni di Raffaele e utilizzando quanto prelevato dal pesce. L'Arcangelo poi provvede, dopo un titanico combattimento, a legare il demone ad una montagna.
Il ritorno
Riscossi i talenti d'argento, Tobia fa ritorno dal padre. Giunto a casa, sempre grazie ad un consiglio di Raffaele, Tobia spalma sugli occhi di Tobi il fiele del pesce pescato durante il viaggio, facendogli così recuperare la vista. Solo alla fine del libro Raffaele mostra la sua vera identità.
Lingua
Il libro è stato probabilmente scritto in aramaico, e pare che la Vulgata di Girolamo si basi proprio sul testo originale.
Il nome del demone Asmodeo deriverebbe da quello di Aeshma Daeva, che nell'antica tradizione iranica era il "dio dell'ira".
Note
Altri progetti
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