Lo stemma degli Altavilla è l'arma con cui viene rappresentata la dinastia siculo-normanna degli Altavilla, fondatrice del Regno di Sicilia e protagonista delle vicende storiche dell'Italia meridionale nel corso dell'XI e XII secolo.

Stemma degli Altavilla
Dextera Domini fecit virtutem,
Dextera Domini exaltavit me.
Blasonatura
D'azzurro alla banda scaccata a due tessere di rosso e d'argento.

Storia

Secondo alcuni studi più recenti, poiché non vi sarebbero prove storiche di un suo utilizzo durante l'esistenza dei monarchi siculo-normanni, quello degli Altavilla sarebbe uno stemma "attribuito" alla dinastia in epoca posteriore.[1] A questa tesi però si contrappongono le ricostruzioni di alcuni storici vissuti nei secoli scorsi, come Giovanni Antonio Summonte, Agostino Inveges e Giuseppe Sancetta.

Secondo il napoletano Summonte, Ruggero II, primo re di Sicilia, «portò per insegna una duplicata banda, ripartita in cinque parti, cioè cinque rosse, e cinque d'argento, la qual cala dalla parte destra alla parte sinistra per traverso, posta in campo azzurro, come portarono tutti i Normanni suoi predecessori». A parere dello storico napoletano questo simbolo significherebbe «un animo invitto in acquistar dominio».[2]

 
Gli stemmi del Ducato di Normandia e della Dinastia Altavilla raffigurati negli Annali della felice città di Palermo di Agostino Inveges (1651).

Una tesi simile ma più articolata fu avanzata dallo storico siciliano Agostino Inveges nel terzo volume dei suoi Annali della felice città di Palermo, prima sedia, corona del Re, e Capo del Regno di Sicilia. Nella visione di Inveges, che riprese la tesi di Giuseppe Sancetta, gli Altavilla adottarono il nuovo stemma abbandonando quello con i due leoni del Ducato di Normandia. I monarchi si sarebbero dotati di uno stemma «con due bande, ò come dice Sancetta: con due sbarre, scaccheggiate d'argento, e rosso in campo azurro: si come si vede in tre antichissime targhe di legno appese nel Domo di Palermo sopra i Regij tumili di porfido del Rè Roggiero, e dell'Imperatrice Constanza sua figlia».[3]

Meno chiara, a parere di Inveges, è l'individuazione dell'artefice dell'adozione del nuovo stemma. Al pari del già citato Summonte, lo storico siciliano avanza l'ipotesi che il blasone sia stato introdotto al tempo di Ruggero II, in concomitanza con l'incoronazione del sovrano. A fondamento della propria posizione, Inveges fa ricorso ad un complesso ragionamento araldico:

«la Banda di questa Arma è insegna di guerra, & ornamento di Soldato; da cui pende la spada o il torcasso: come cantò Virgilio. I Colori degli Scacchi sono Argento, e Rosso; nell'Argento si significa la ricchezza del Regno, e del Re: di cui favellò Orderico. Nel Rosso vien dimostrata la Purpura Reale; e nel Color azurro del campo vien accennata la fatica dell'armi, e 'l travaglio della guerra. Onde forse il re Rugiero nel dì della sua coronazione in Palermo s'armò d'una banda o fascia scaccheggiata d'argento, e rosso in campo azurro: per significare, ch'egli il Titolo di Rè, e le ricchezze del suo Regno Siciliano se l'havea guadagnato colla fatica della guerra, e col valore della spada; si come testifica l'Abbate Telesino.[3]»
 
Mantello di Ruggero II, Vienna.

Tuttavia, al di là della questione relativa alla blasonatura «d'azzurro alla banda scaccata a due tessere di rosso e d'argento», alcune testimonianze materiali dell'epoca siculo-normanna certificano che l'utilizzo dell'antico simbolo del leone, derivato dai normanni di Francia, non cadde affatto in disuso. Tra queste testimonianze materiali la più celebre è il Mantello di Ruggero II, poi entrato a far parte delle cosiddette Insegne del Sacro Romano Impero, nel quale due leoni (simbolo dei normanni) sovrastano due cammelli (simbolo dei saraceni).[4] I leoni raffigurati nel pregevole mantello realizzato dalle Nobiles Officinae palermitane, però, appaiono diversi dal blasone utilizzato precedentemente dal padre del primo re siciliano, il conte Ruggero I. Mentre lo stemma di quest'ultimo, infatti, era «d'oro al leone rampante di nero», nel mantello del figlio resta l'oro, ma c'è anche la porpora, tipico colore imperiale.[5]

Motto

 
Ruggero I di Sicilia alla battaglia di Cerami (1063).

Ai blasoni gli Altavilla accompagnarono anche dei motti. Il più celebre e in uso tra essi fu di derivazione biblica: «Dextera Domini fecit virtutem, Dextera Domini exaltavit me.» (La destra del Signore ha fatto meraviglie, la destra del Signore mi ha esaltato.), ricavato dal Salmo 118. Il primo ad utilizzarlo fu il devotissimo Ruggero I dopo la vittoriosa battaglia di Cerami del 1063. Da quel momento egli lo fece scolpire nei suoi scudi e nelle sue spade.[6]

Il medesimo motto fu poi adottato da Ruggero II, probabilmente a partire dal 1136, nei documenti in lingua latina.[7] La stabilità di questa formula è confermata dall'uso fattone dal successore di Ruggero II, il figlio Guglielmo I, che la fece incidere sul sigillo reale con il quale venne suggellato il trattato di Benevento del 1156.[8]

A questo motto di derivazione biblica, Ruggero II ne unì uno più prettamente politico, scolpito sulla propria spada: «Apulus et Calaber, Siculus mihi servit et Afer» (L'apulo, il calabro, il siculo e l'africano sono miei sudditi).[9]

Note

Bibliografia

Voci correlate

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