Campo per le famiglie di Terezín a Auschwitz-Birkenau

L'ingresso al campo per le famiglie di Terezin a Birkenau

Il campo per le famiglie di Terezín a Auschwitz-Birkenau fu operativo dal settembre 1943 al luglio 1944. In quesi mesi, per motivi propagandistici, le autorità naziste decisero di duplicare temporaneamente nel campo di sterminio di Birkenau (sezione BIIb) le condizioni del "ghetto-modello" di Theresienstadt (Terezín),[1] deportandovi circa 17.500 ebrei che vi erano rinchiuse (in gran parte provenienti dalla Boemia e Moravia, ma anche da Germania, Austria e Paesi Bassi). La maggior parte dei residenti furono uccisi nelle camere a gas in due riprese, l'8 marzo 1944 e quindi tra il 10 e il 12 luglio 1944, quando il campo per famiglie fu definitivamente chiuso. Solo 1.167 persone sopravvissero.

La vicenda

Il primo trasporto di prigionieri da Terezín al campo di sterminio di Birkenau fu effettuato il 26 ottobre 1942. Altri 5 trasporti giunsero nel gennaio-febbraio 1943. Circa 9.000 persone giunsero cosi' ad Auschwitz da Terezin tra il 1942 e il 1943. I prigionieri (malati, anziani, donne e bambini) erano di regola avviati alle camere a gas eccetto una minoranza di uomini e donne abili selezionati per il lavoro coatto.

I 5.000 prigionieri ebrei cechi che giunsero ad Auschwitz da Terezín in due trasporti l'8 settembre 1943 furono invece avviati ad un campo per famiglie appositamente predisposto all'interno di Birkenau. I deportati ricevettero dei "privilegi" inusuali: all'arrivo al campo non ebbero da subire la selezione, ne' furono sottoposti al rituale umiliante della rasatura e, pur abitando in baracche distinte per sesso, le famiglie non furono divise nelle varie sezioni del campo. Eguale trattamento ricevettero i due altri trasporti del dicembre 1943 con i quali altri 5000 ebrei giunsero nel campo per famiglie. I primi trasporti erano composti in massima parte da persone giovani, in massima parte da Boemia e Moravia. I 7.500 prigionieri che giunsero in tre trasporti nel maggio 1944 erano invece persone anziane, malate, disabili che furono deportati da Terezin nell'imminenza della visita della Croce Rossa il 23 giugno 1944, perche' il campo risultasse meno affollato e i residenti sembrassero essere tutti in buona salute. Di questi trasporti facevano parte ebrei dalla Cecoslovacchia (2.453) ma anche da Germania (3.125) Austria (1.276) e Paesi Bassi (559). In totale circa 17.500 ebrei arrivarono al campo per le famiglie di Terezin a Birkenau (5.000 nel settembre 1943, 5000 nel dicembre 1943, e 7.500 nel maggio 1944). Nel periodo considerato un solo altro trasporto giunse da Terezin a Birkenau, nell'ottobre 1943. Si trattava di un convoglio speciale di 1.196 bambini provenienti dalla liquidazione del ghetto di Bialistok, i quali avevano fatto sosta per qualche mese a Terezin. Giungevano adesso a Birkenau accompagnati dai 53 volontari che si erano presi cura di loro a Terezin. Furono tutti immediatamente condotti alle camere a gas.

Nel campo per le famiglie, denominato sezione BIIb a Birkenau, i detenuti dovevano vivere in una serie di baracche collocate in una stretta e fangosa striscia di terra lunga 600m e larga 160m, circondata da una recinzione elettrificata. Le condizioni di vita era durissime. A capo della sezione era Arno Böhm, un criminale tedesco, considerato uno dei Kapo' piu' spietati di Auschwitz.[2] I prigioniero soffrirono per la fame, il freddo, la fatica, le malattie, la disciplina e la scarsa igiene. Il tasso di mortalità non era più basso che nel resto di Auschwitz (superando il 20%). I bambini erano alloggiati nelle baracche con gli adulti, furono tuttavia autorizzati a trascorrere la giornata in una loro baracca, dove i loro insegnanti guidati dal carismatico Fredy Hirsch li impegnavano in lezioni improvvisate e giochi.

In realtà i prigionieri scoprirono ben presto che il trattamento "privilegiato" era a termine, per soli 6 mesi. Nel marzo 1944 ai 5.000 prigioneiri giunti nel settembre 1943 fu detto che sarebbero stati trasferiti al "campo di lavoro di Heydebreck". In realtà, nella notte dell'8 marzo 1944, i camion si diressero alle camere a gas di Auschwitz. Fredy Hirsch si era suicidato e fu condotto privo di sensi alle camere a gas. Da quel momento, i rimanenti prigionieri del campo per famiglie vissero nella consapevolezza che avrebbero presto incontrato lo stesso destino.

Anche se non sono del tutto chiare le circostanze che portarono alla creazione del campo per famiglie di Terezín con i suoi "privilegi" insoliti, l'iniziativa fu legata ai tentativi dei nazisti di nascondere il genocidio degli ebrei al mondo esterno e alla visita del Comitato internazionale della Croce Rossa a Terezín il 23 giugno 1944. Ai prigionieri del campo per famiglie fu ordinato a scrivere cartoline dal "campo di lavoro" di Birkenau ai loro parenti e amici di Terezín, perché acquisissero la falsa idea, davanti ai commissari della Croce Rossa, che i loro genitori, figli e fratelli di Birkenau stavano tutti bene ed erano soprattutto vivi.

Effettuatasi la visita della Croce Rossa a Terezin, il campo non era più necessario e si procedette all'inizio di luglio 1944 alla sua liquidazione. Questa volta ci furono delle selezioni: i prigionieri "abili" di età superiore ai 14 anni furono mandati al lavoro coatto, mentre un gruppo di 89 adolescenti fu personalmente selezionato da Josef Mengele. I circa 6-7.000 prigionieri rimasti nel campo per famiglie furono uccisi nel corso di due notti, tra il 10 e il 12 luglio 1944. Dei 17.500 prigionieri di Terezín inviati al campo di famiglia di Birkenau, solo 1.167 sopravvissero all'Olocausto, tra cui un centinaio di bambini e adolescenti. La liquidazione del campo familiare l'8 marzo e il 10 e il 12 luglio 1944 fu il maggiore omicidio di massa dei cittadini cecoslovacchi durante la seconda guerra mondiale.

Note

Bibliografia

  • Miroslav Kárný. "Das Theresienstädter Familienlager (Bllb) in Birkenau (September 1943–Juli 1944)", in: Hefte von Auschwitz 20 (1997) 133–237.

Voci correlate

Collegamenti esterni




Il nome di Fredy Hirsch è inseparabilmente legato all'educazione dei bambini e dei giovani nel ghetto di Terezín, e infine nel "campo-famiglia" di Birkenau. In particolare, il "blocco dei bambini", fondato sull'iniziativa di Hirsch nella sezione BIIb del campo Birkenau, è stato un notevole tentativo di creare una piccola oasi all'interno del campo di morte. Il suo scopo principale era assicurare che i minori prigionieri di Auschwitz avessero, almeno per breve tempo, un ambiente più tollerabile in cui sarebbero stati isolati dalla tragica realtà che li circondava.


I forti legami di Hirsch con gli scouting e gli ideali sionisti cominciarono a formarsi nella sua infanzia in Aachen. Come figli, lui e suo fratello Paul, due anni più anziani, erano attivi nella direzione del Jüdischer Pfadfinderbund Deutschland (JPD), che era vicino all'organizzazione sportiva ebraica Maccabi Hatzair.

Dopo che Hitler è venuto al potere, la famiglia Hirsch andava in modi diversi. Il fratello di Fredy e la madre Olga insieme al nuovo marito (il padre di Fredy era morto nel 1926) andarono in Bolivia, mentre Fredy, un sionista ardente, rimase in Germania. Era solo disposto a cercare una nuova casa se fosse in Palestina. Nel 1933 lasciò Aachen, lavorando per qualche tempo come capo della JPD a Düsseldorf. L'anno successivo si trasferì a Francoforte sul Meno, e poi nel 1935 emigrò a Praga, come molti altri ebrei tedeschi.

Coloro che conobbero Fredy Hirsch lo ricordano come può anche essere visto nelle sue foto: un giovane uomo ben costruito e attraente con la posizione corretta di un atleta, i capelli ricresciuti in modo elegante. Arrivato in Cecoslovacchia vive prima a Ostrava, poi a Brno e dal 1939 a Praga. Si dedicò a lavorare con i giovani, alla formazione sportiva e alla preparazione di halutzim (pionieri in ceco) per aliya (collegamento in ceco) alla "Terra Promessa". Fino al 1940 organizzava campi di scout estivi nei pressi del villaggio di Bezpráví sulle Orlice fiume. A Praga, Hirsch ha guidato un gruppo di ragazzi di età compresa tra 12 e 14 anni, chiamati Havlaga. Nell'ottobre 1939, all'ultimo minuto, il gruppo è riuscito a partire per la Danimarca, un anno dopo si trasferisce in Palestina.

Il nome di Hirsch è collegato anche al parco giochi Hagibor nel quartiere Strašnice di Praga. Dopo un certo numero di decreti e divieti anti-ebrei emessi sotto il protettorato, il campo da giuoco è diventato uno dei pochi luoghi dove i bambini ebrei erano ancora autorizzati a giocare all'aperto e fare sport. Hirsch ha organizzato sport, competizioni, campi e produzioni teatrali per centinaia di bambini lì, diffondendo tra loro gli ideali di lavoro di squadra, responsabilità e abilità fisiche.

Fredy Hirsch è arrivato a Terezín il 4 dicembre 1941 come parte di una squadra chiamata Aufbaukommando II, composta da Hirsch e da altri 22 dipendenti della comunità ebraica che avevano il compito di organizzare la vita nel ghetto appena creato. Fin dall'inizio dell'esistenza del ghetto, sono state create speciali camere per i bambini, che vivevano separati dai loro genitori. Più tardi sono stati trasformati in "heims" - circa undici case per bambini dove un certo numero di assistenti e insegnanti si dedicavano all'educazione semi-legale dei bambini. Fredy Hirsch, Egon Redlich e Bedřich Prager erano responsabili della cura dei giovani. Hirsch e gli altri assistenti hanno cercato di migliorare le condizioni di vita dei bambini nel ghetto in qualsiasi modo possibile. Hirsch ha insistito che i bambini devono esercitare ogni giorno e prestare attenzione all'igiene personale per mantenere la loro condizione psicologica e fisica, perché in questa posizione la loro unica speranza di sopravvivenza. Il fatto che Hirsch venisse dalla Germania, e la sua sicurezza, significava che alcuni membri della SS avevano un certo grado di rispetto per lui. È riuscito così a guadagnare spazio per un parco giochi, dove nel maggio del 1943 si sono svolti i Giochi di Maestri di Terezín. Hirsch ha anche acquisito la capacità di portare gli individui dai trasporti previsti a est, e spesso hanno fatto uso di questo per beneficiare dei bambini.

Nell'estate del 1943 è arrivato a Terezín un trasporto di 1.200 bambini ebrei del ghetto liquidato a Białystok. Sono stati tenuti isolati dagli altri ebrei di Terezín, ed è stato annunciato un rigoroso divieto di comunicazione con loro. Tuttavia, Fredy Hirsch è riuscito a contattare il proprio assistente. È stato catturato e come punizione è stato incluso nel trasporto che è andato per il campo di famiglia a Auschwitz-Birkenau il 6 settembre con 5.000 prigionieri.

I 5.000 deportati, prevalentemente ebrei ceche, hanno incluso circa 300 bambini di età compresa tra 15 e sotto. Era molto insolito che ci fossero bambini a Birkenau in quel momento, poiché la maggior parte di loro furono uccisi appena arrivò il trasporto. Oltre al campo di famiglia di Terezín, però, c'erano anche bambini nel campo zingaro. Grazie alla capacità di Hirsch di negoziare con i comandanti nazisti (ha sempre curato di apparire ben presentati e di stivali puliti) è riuscito a riservare uno degli edifici in legno nel campo di famiglia per il "blocco dei bambini".

Ha poi rinunciato alla sua posizione vantaggiosa come lagerkapo e divenne il capo del blocco dei bambini. Il blocco fu arredato in modo diverso dalla maggior parte degli altri edifici prigionieri di Birkenau. Invece di letti a castello a tre piani aveva tavoli da tavola ai quali erano seduti i bambini - poiché i bambini passavano solo la giornata qui, tornando alle loro famiglie di notte. Le pareti all'interno dell'edificio erano decorate con immagini di Biancaneve e dei Sette Nani, eschechi, fiori e personaggi da favola. I bambini passavano la maggior parte del giorno nel blocco 31. Qui mangiarono, e oltre alla zuppa, furono ottenuti altri alimenti da pacchi che erano arrivati ​​al campo ma i cui destinatari erano già morti. Anche se i bambini hanno naturalmente sofferto di fame, nessuno di loro è morto di malnutrizione prima che i prigionieri del trasporto di settembre siano stati uccisi in marzo. I bambini furono protetti anche dal regno del terrore altrimenti omnicomprensivo dei funzionari SS. Altre caratteristiche positive del blocco dei bambini erano che le chiamate giornaliere erano brevi e si sono svolte all'interno dell'edificio stesso, piuttosto che avvenire all'esterno e durare diverse ore - particolarmente crudele nel gelo e nella pioggia - come era il caso dei detenuti adulti. I bambini nel blocco hanno lezioni segrete e improvvisate, insegnate in piccoli gruppi in base all'età. Se si avvicinava una pattuglia di SS, le lezioni si trasformarono rapidamente in giochi, o i bambini cominciarono a cantare canzoni tedesche, che erano permesse. Anche per i custodi, lavorando nel blocco dei bambini avevano un certo vantaggio: un ambiente intellettuale e sotto il tetto, il che rendeva più facile per loro di mantenersi in condizioni psicologiche e fisiche relativamente buone. Gli insegnanti avrebbero comunicato ai bambini il contenuto dei libri che si ricordavano. Insegnavano loro la geografia, la storia, giocavano con loro e cantarono con loro. Alla fine del 1943 e all'inizio del 1944 i bambini hanno anche provato e realizzato una produzione di Snow White e dei sette nani. Erano presenti degli uomini SS, incluso il dottor Mengele, che applaudiva i bambini con entusiasmo, li aveva seduti sul ginocchio e chiese loro di chiamarlo zio. Dopo l'arrivo dei trasporti di dicembre c'erano circa 500 bambini nel blocco e Hirsch riuscì ad ottenere un ulteriore edificio per i bambini. Poiché il trasporto di settembre si avvicinò alla fine del suo periodo di quarantena di sei mesi verso la fine di febbraio 1944, i membri del movimento di resistenza del campo hanno contattato Fredy Hirsch. Sapevano che la parola "Sonderbehandlung", scritta sulla carta d'identità di ogni prigioniero nel campo familiare, significava veramente la morte nella camera a gas. In Fredy Hirsch, che godeva di autorità naturale tra i prigionieri, vide un potenziale leader della rivolta prevista. Hirsch si è trovata ad affrontare una decisione difficile: una ribellione significherebbe la possibilità di uccidere diversi uomini SS e di una minima possibilità di fuga per una manciata di prigionieri, ma anche una certa morte per la grande maggioranza dei prigionieri nel campo della famiglia e senza dubbio, una certa morte per tutti i bambini. La mattina dell'8 marzo ha ripreso la questione con Rudolf Vrba, collegato al movimento di resistenza di Auschwitz. Vrba lo visitò e gli disse che non c'era dubbio che l'intero trasporto stava dirigendo verso le camere a gas. Hirsch chiese un'ora per decidere. Un'ora dopo, Vrba lo trovò incosciente. Un medico ha dichiarato di aver preso un sovradosaggio di tranquillanti. Quella sera il corpo di Fredy Hirsch è stato bruciato nel crematorio di Birkenau, insieme ai resti dei 3.792 prigionieri assassinati del campo familiare di Terezín. Ancora una speculazione su quanto è accaduto nei minuti finali della sua vita. Non è del tutto chiaro come sia riuscito a ottenere una dose fatale della medicina, né se fosse veramente un suicidio. Prima della sua morte, Hirsch ha nominato i suoi successori come capo del blocco dei bambini - Seppl Lichtenstern e Jan Brammer.


Alfred (Fredy) Hirsch was born in Aachen, Germany in 1916.[1] Hirsch was a Jewish teacher and sportsman,[2] notable for helping and supporting thousands of Jewish children during the German occupation of Czechoslovakia in Prague, the Theresienstadt ghetto and then, in the Auschwitz concentration camp. He was given several opportunities to leave occupied Europe but would not leave the children alone. He was taken unconscious to the gas chambers and murdered together with almost all the children under his supervision on March 1944.[1]

 
Stolperstein (stumbling stone) for Fredy Hirsch near his childhood residence in 7 Richardstrasse in Aachen.[3]

Homosexuality

Fredy's homosexuality was known to many people in Theresienstadt and in Auschwitz, and was notable considering the prejudice towards homosexuals at that time.[4]

Note

  1. ^ a b Nux s.r.o. (www.nux.cz), Alfred (Fredy) Hirsch - Holocaust, su holocaust.cz.
  2. ^ Brod Toman, Fredy Hirsch, su kampocesku.cz.
  3. ^ Theresa, Hirsch, Alfred (Fredy), su wgdv.de.
  4. ^ Educator who saved Holocaust youth commemorated in his native Aachen, su jpost.com.

Bibliografia





Bambini di Mengele

 
Bambini sopravvissuti ad Auschwitz

I bambini di Mengele sono un gruppo di bambini (specialmente gemelli) selezionati ad Auschwitz tra il maggio 1943 e il gennaio 1945 come cavie per gli esperimenti medici di Josef Mengele. Circa 3000 bambini furono selezionati a vivere e morire nel blocco 10 del campo, ne sopravvissero 200.

La vicenda

Dal maggio 1943 Josef Mengele, assieme al altri medici nazisti, lavorava a Birkenau per la selezione dei prigionieri in arrivo al campo. Era lui a decidere chi (anziani, malati, bambini con le loro mamme) dovesse incamminarsi direttamente per le camere a gas o chi fosse adatto al lavoro coatto.

Mengele però era ad Auschwitz prima di tutto per perseguire i suoi interessi di ricerca pseudo-scientifici sulla "razza". Era convinto che la genetica potesse dare un contributo decisivo all'identificazione dei tratti dominanti della "razza ariana", al mantenimento della sua "purezza" e alla riproduzione di essa.[1]

Mengele aveva lavorato per il professor Otmar Freiherr von Verschuer, un biologo pioniere nello studio dei gemelli. Credeva che nei gemelli si trovassero i segreti dell'ereditarietà. Scoprirli, significava per lui garantire il futuro e l'eternità della "razza ariana".[2]

Lavorando ad Auschwitz, gli si offriva la possibilità di selezionare un gran numero di "cavie umane" da destinare alle sue ricerche, cavie che potevano essere usate a suo piacimento senza alcuna limitazione ed essere sostituite altrettanto facilmente in caso di morte.[3]

Così sulla rampa di arrivo a Auschwitz-Birkenau, anche quando non fosse il suo turno come selettore, Mengele era quasi sempre presente, continuamente alla ricerca di bambini (gemelli identici, ma anche fratelli che sembrassero tali) adatti ai suoi esperimenti. Era anche interessato a persone affette da nanismo o gigantismo o ogni tipo di carattere o malattia ereditaria, dei quali era convinto che si potesse tracciare un'origine genetica "razziale".[4]

Almeno 3.000 gemelli furono selezionati. Essi venivano di regola sottratti ai loro genitori; soltanto in casi di bambini neonati, talora fu concesso alla madre di seguirli.

Una speciale baracca (la numero 10) era riservata ai bambini di Mengele. Essi erano trattati a tutti gli effetti come animali da laboratorio. Dopo la doccia, era loro tatuato un numero secondo una sequenza speciale. I loro capelli non venivano immediatamente rasati né era imposto loro l'uniforme del campo. Mengele si preoccupava che essi fossero in buona salute. Ricevevano buone razioni alimentari e le condizioni di vita nella baracca erano migliori che altrove. Espletata al mattino il rituale dell'appello all'aperto, ai bambini era concesso giocare e non era imposto loro alcun lavoro. Mengele stesso si fermava con loro a scherzare, spesso donando loro delle caramelle.[5]

Ogni giorno però i bambini erano sottoposti ad esperimenti. Ogni dettaglio della loro anatomia era accuratamente esaminato, studiato e misurato. Continui prelievi del sangue o iniezioni di farmaci erano parte della routine quotidiana. Questi esami spesso causavano dolori gravi e infezioni. Talora, si procedeva a interventi chirurgici, eseguiti senza anestesia, che potevano includere la rimozione di organi, o l'amputatione di parti del corpo. Quando un gemello moriva, l'altro veniva ucciso con un'iniezione al cuore di fenolo, per esaminare e confrontare gli effetti della malattia.[6]

Tutti i morti erano soggetti ad autopsia che veniva effettuata dal dott. Miklos Nyiszli, un medico patologo prigioniero ad Auschwitz, che per ognuno doveva stendere un accurato rapporto.[7] Alcuni organi, occhi, campioni di sangue e tessuti venivano inviati a Verschuer all'Istituto di ricerca biologico-razziale di Berlino, dove venivano analizzati, con lo scopo di riuscire a trovare una differenza sostanziale tra il sangue degli ariani e quello dei non-ariani.

Un altro campo al centro delle attenzioni di Mengele erano le anomalie dell'apparato visivo e, in particolare, la eterocromia, che consiste nello scolorimento dell'iride di un occhio che quindi risulta di colore diverso dall'altro. Lo scopo che spingeva Mengele a perseguire questo genere di studi era quello di poter influire sulla colorazione degli occhi, trasformando quelli scuri e facendoli diventare azzurri. La pratica comportava l'iniezione di metilene blu direttamente nell'iride. Data la mancanza di ogni base scientifica, l'esperimento risultava del tutto inutile con l'unico risultato di produrre sofferenze e cecità.[8]

Mengele era anche interessato allo studio di una malattia chiamata "Noma" (una cancrena che aggredisce il viso). Quando si accorse che i bambini rom ne venivano particolarmente colpiti se ne interessò immediatamente, considerandola di origine genetica. Credeva che questa particolare esposizione alla malattia fosse la prova di una loro predisposizione "razziale". In realtà, la malattia era dovuta alle precarie condizioni alimentari, e questo spiegava il motivo per il quale i deportati contraevano questa particolare patologia nel campo. I bambini rom oggetto delle attenzioni di Mengele non erano curati, bensì si aspettava il progredire della malattia per studiarla, finché i malati, consumati dalla malattia, venivano avviati alle camere a gas.[9]

Talora Mengele metteva a disposizione le proprie "cavie" anche per altri laboratori di ricerca come nel caso dei 20 bambini inviati al campo di concentramento di Neuengamme presso Amburgo per essere sottoposti agli esperimenti sulla tubercolosi del dottor Kurt Heissmeyer. In essi trovò la morte anche il piccolo Sergio De Simone.[10]

Gli studi di Mengele sono passati alla storia per la crudeltà con cui venivano eseguiti, e per la completa inutilità a fini scientifici. Solo 200 dei bambini di Mengele erano ancora vivi nel gennaio 1945 quando il campo di Auschwitz-Birkenau fu liberato dalle truppe sovietiche, tra cui anche le piccole Andra e Tatiana Bucci. Ci sono anch'essi tra i bambini spesso ritratti nelle foto di quei giorni dietro il filo spinato, rappresentando essi la maggioranza (anche se non la totalità) delle poche centinaia di bambini presenti a Auschwitz al momento della Liberazione. [11]

Note

  1. ^ Paul Weindling, Victims and Survivors of Nazi Human Experiments: Science and Suffering in the Holocaust, London : Bloomsbury, 2015.
  2. ^ Mengele's Children: The Twins of Auschwitz.
  3. ^ The Twins of Auschwitz, BBC News (28 gennaio 2015).
  4. ^ The Twins of Auschwitz, BBC News (28 gennaio 2015).
  5. ^ Eva Mozes Kor, Surviving the Angel of Death: The True Story of a Mengele Twin in Auschwitz, Terre Haute: Tanglewood, 2012.
  6. ^ Josef Mengele, in Jewish Virtual Library
  7. ^ Miklós Nyiszli, Medico ad Auschwitz, Milano: Sugar, 1962.
  8. ^ L'infanzia negata.
  9. ^ L'infanzia negata.
  10. ^ Maria Pia Bernicchia, I 20 bambini di Bullenhauser Damm, Milano: Proedi, 2004; Idem, Chi vuol vedere la mamma faccia un passo avanti, Milano: Proedi, 2007.
  11. ^ Josef Mengele, in Jewish Virtual Library.

Bibliografia

Testimonianze

  • Miklós Nyiszli, Medico ad Auschwitz, Milano: Sugar, 1962.
  • Eva Mozes Kor, Surviving the Angel of Death: The True Story of a Mengele Twin in Auschwitz, Terre Haute: Tanglewood, 2012.
  • Titti Marrone, Meglio non sapere, Roma: Laterza, 2003. <Testimonianza di Andra e Tatiana Bucci>

Studi, monografie

  • Robert Jay Lifton. I medici nazisti, Milano: Rizzoli, 1988 (rist. 2016).
  • Paul Weindling, Victims and Survivors of Nazi Human Experiments: Science and Suffering in the Holocaust, London : Bloomsbury, 2015.

Filmografia

Voci correlate

Connessioni esterne



I RAGAZZI DI VILLA EMMA

I ragazzi di Villa Emma sono un gruppo di orfani ebrei che dalla Germania e dall'Europa dell'Est trovarono rifugio in Italia dall'Olocausto in una struttura gestita dalla DELASEM, situata alla periferia di Nonantola, in provincia di Modena, tra il 1942 e il 1943. Dopo l'8 settembre 1943, grazie all'aiuto ricevuto dsl sacerdote don Arrigo Beccari e dal medico Giuseppe Moreali il gruppo riusci a sfuggire alle deportazioni e a rifugiarsi in territorio svizzero.

Storia

La vicenda storica di quelli che sono conosciuti come "i ragazzi di Villa Emma" ha inizio nel 1940, quando l'organizzazione sionista di Recha Freier condusse gruppi di giovani ebrei dalla Germania alla Palestina attraverso la Jugoslavia e la Turchia. L'occupazione tedesca della Jugoslavia nell'aprile 1941 blocco' la strada e costrinse un gruppo di loro a cercare rifugio in Italia. Per qualche tempo il gruppo si fermo' in Slovenia nei territori annessi all'Italia, fino a quando l'organizzazione ebraica italiana di assistenza ai rifugiati DELASEM riesci' ad ottenere il permesso perché essi potessero essere accolti in Italia.

Il delegato bolognese della DELASEM, Mario Finzi, prese in affitto una villa di campagna, [[Villa Emma (Nonantola) per dare una sistemazione al gruppo. I fuggiaschi arrivarono a Nonantola il 17 luglio 1942 in un edificio da anni abbandonato, privi di tutto. Don Beccari, con l'aiuto dell'amico medico Giuseppe Moreali e di don Ennio Tardini, si presero cura delle loro necessità, dalle brandine prelevate dai locali del seminario ai libri per la scuola.

I locali erano ampi e dal dicembre 1942 si prese in considerazione la possibilita' di accogliere altri rifugiati.

Nell'aprile del 1943 giunse cosi' a Nonantola un secondo gruppo di 33 orfani che dalla Bosnia e Croazia si erano rifugiati a Spalato (allora territorio italiano), attraversando clandestinamente la frontiera.

Per un anno i ragazzi poterono condurre a Nonantola un'esistenza relativamente tranquilla dedicandosi alla cura della casa, a lavori agricoli, di falegnameria e di cucito e alle lezioni scolastiche, impartite dai loro accompagnatori, tra i quali Josef Indig, Marco Shoky e il pianista Boris Jochvedson. Nonostante i divieti e il controllo della Questura, la popolazione locale familiazzo' con gli orfaniArmando Moreno,

Con l'8 settembre e l'occupazione nazista dell'Italia, la situazione cambio' radicalmente. I ragazzi di Villa Emma sono ora in imminente pericolo di vita. In meno di 36 ore, don Arrigo Beccari e Giuseppe Moreali li affidano a famiglie locali o li nascondono nei locali del seminario.

Ricorda don Beccari:

«La situazione era molto pericolosa. I ragazzi non potevano restare alla villa. Pensammo di accoglierne una parte, circa 30, in seminario. Il rettore, mons. Ottaviano Pelati, ed io chiamammo i seminaristi maggiorenni e chiedemmo se erano d'accordo ad ospitare i ragazzi della villa su all'ultimo piano, che era vuoto. Parlammo anche del rischio che si correva, ma loro non esitarono e ci dissero di sì. Allo stesso modo risposero anche le famiglie di Nonantola presso cui si rifugiarono altri ragazzi e ragazze. Alcuni furono accolti anche nell'asilo delle suore. Rimasero nascosti una decina di giorni, vestiti da seminaristi.»

In tutto, le famiglie che accolsero i ragazzi furono circa trenta, oltre ai sacerdoti del seminario e alle suore ospedaliere.

Si provvide quindi a fornire ai ragazzi documenti falsi per l'espatrio in Svizzera che con l'aiuto della DELASEM avvenne a piccoli gruppi tra il 6 e il 17 ottobre 1943, guadando di notte il fiume Tresa. Uno soltanto tra i piccoli ospiti di Villa Emma, Salomon Papo, che malato dovette essere affidato a un ospedale, perirà ad Auschwitz. Salvi anche tutti gli accompagnatori, con l'eccezione di Goffredo Pacifici, il bidello di Villa Emma, che sarà arrestato e deportato una settimana dopo mentre portava in Svizzera altri ebrei. Tra coloro che avevano contribuito alla loro salvezza anche Mario Finzi sara' deportato e morira' ad Auschwitz. Don Beccari continuo' ad operare nella Resistenza e nella operazioni clandestine a sostegno agli ebrei perseguitati in Italia. Arrestato nel settembre 1944, non confessò mai la sua attività. Rimase sette mesi nel carcere bolognese di San Giovanni in Monte fino alla Liberazione.

Nel frattempo in Svizzera le associazioni sioniste alloggiarono i ragazzi d Villa Emma in un istituto a Bex nella valle del Rodano, da dove la maggior parte di loro pote' finalmente giungere in Palestina al termine della guerra, nel maggio del 1945.




Nel frattempo la parrocchia di Rubbiara è divenuta una centrale importante della Resistenza emiliana: si stampano nel solaio documenti falsi e materiale di propaganda antifascista, e si dà rifugio a partigiani ed ebrei perseguitati, ebrei ferraresi e modenesi che furono sistemati nelle campagne circostanti, ma anche ebrei mandati da don Leto Casini e dalla curia fiorentina.

Arrestato il 16 settembre 1944 per una delazione assieme a don Ennio Tardini, don Beccari fu interrogato ma non confessò mai la sua attività. Rimase sette mesi nel carcere bolognese di San Giovanni in Monte fino alla Liberazione.

Onorificenze

Nel dopoguerra Beccari ha continuato la sua attività di parroco e Moreali quella di medico. Il 18 febbraio 1964 lo Stato d'Israele li ha inseriti tra i giusti tra le nazioni a Yad Vashem a Gerusalemme.

Dagli anni novanta i "ragazzi di Villa Emma" si ritrovano periodicamente a Nonantola, e il 9 settembre 2001 a Haifa in Israele hanno dedicato un parco, Gan Nonantola, con un monumento creato da Tilla Offenberger, un'artista tra i "ragazzi di Villa Emma", con un'iscrizione in ebraico e italiano a ricordo di don Arrigo Beccari, Giuseppe Moreali e di coloro che li hanno protetti e salvati.

Villa Emma oggi

Villa Emma, che per anni ha versato in uno stato di abbandono, oggi, riportata agli antichi splendori, è proprietà privata.

A Nonantola, nel marzo 2004 è stata costituita la "Fondazione Villa Emma - Ragazzi ebrei salvati", che ha tra i soci fondatori il Comune di Nonantola e la Provincia di Modena.

Filmografia

Ai ragazzi di Villa Emma la RAI ha dedicato nel 2004 la miniserie televisiva La fuga degli innocenti e il film-documentario con testimonianze degli ex ragazzi di Villa Emma I ragazzi di Villa Emma. Giovani ebrei in fuga, prodotto da Rai Educational e La storia siamo noi. Già prima era stato prodotto I giorni di Villa Emma. Una mini-troupe di ragazzi e i loro genitori realizzano un film sulla Resistenza. Anno scolastico 1977-78, Classe 3 D, Classe 4 A Scuola elementare, Editore Poligrafico Artioli, Nonantola 1978, ora su DVD.

Die Kinder der Villa Emma, film tedesco uscito nel 2016[1] e uscito in francese su M6 in novembre 2016

Canzoni su Villa Emma

Nel 2005 è stata composta una canzone su Villa Emma[2] dalla band Gasparazzo; il brano omonimo viene pubblicato nel cd "Rosso Albero" (progetto ideato e prodotto dal Comune di Nonantola e dall'associazione "Materiale Resistente" di Correggio), ed è contenuto anche nel cd dei Gasparazzo "Esiste chi resiste"[3] del 2014.

Note

Bibliografia

  • Josef Indig Ithai, Anni di fuga. I ragazzi di Villa Emma a Nonantola, a cura di Klaus Vogt, Giunti, Firenze 2004
  • Klaus Voigt, Villa Emma: Ragazzi ebrei in fuga, 1940-1945, La Nuova Italia, Firenze 2002
  • Dalla parte giusta. Lettere dal carcere di don Arrigo Beccari, a cura di Enrico Ferri, Giuntina, Firenze 2007
  • Enrico Ferri, La vita libera: Biografia di don Arrigo Beccari, Mucchi, Modena 1997
  • Israel Gutman, Bracha Rivlin e Liliana Picciotto, I giusti d'Italia: i non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-45 Mondadori, Milano 2006, pp. 40–43.
  • Maria Laura Marescalchi, Anna Maria Ori, Nonantola e i salvati di Villa Emma. Luglio 1942 - Ottobre 1943. Una guida per la scuola e per i visitatori, Fondazione Villa Emma, Nonantola 2007
  • Villa Emma. I luoghi e le persone, a cura dell'Amministrazione Comunale e del Comitato per le celebrazioni del 50. della guerra di liberazione, Nonantola 1993
  • Ilva Vaccari, Villa Emma. Un episodio agli albori della Resistenza modenese nel quadro delle persecuzioni razziali, Istituto storico della Resistenza, Modena 1960
  • Tutti salvi. La vicenda dei ragazzi ebrei di Villa Emma. Nonantola, 1942-1943, Monica Debbia, Marzia Luppi, Artestampa, Modena 2002
  • I ragazzi di Villa Emma. Giovani ebrei in fuga. Strumenti per l'approfondimento, a cura di Maria Laura Marescalchi e Anna Maria Ori, Fondazione Villa Emma, Modena 2009
  • Ragazzi ebrei a Villa Emma. Nonantola 1942-1943. Una storia di solidarieta, [S. l. : s. n., dopo il 2005]
  • Nonantola e i salvati di Villa Emma. Una guida per la scuola e per i visitatori, a cura di Maria Laura Marescalchi e Anna Maria Ori, Quid, Nonantola 2007

Mostra fotografica - Cataloghi

  • I ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola. Fotografie di una mostra, a cura di Ombretta Piccinini, Klaus Voigt, traduzioni Annette Antignac et al., Nonantola : Comune, Archivio storico - Izieu : Maison d'Izieu, [2004]
  • I ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola. Milano, Museo di storia contemporanea. 29 gennaio-13 marzo 2005. Mostra fotografica, a cura di Ombretta Piccinini, Klaus Voigt, Comune, Archivio storico, Nonantola 2005
  • Voigt, Klaus, Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga 1940-1945, trad. di Loredana Melissari, La nuova Italia, Scandicci 2002
  • I ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola. Fotografie di una mostra, a cura di Ombretta Piccinini, Klaus Voigt; trad.: Loredana Melissari, Comune di Nonantola, Archivio storico, Nonantola 2002

Narrativa

  • Pederiali, Giuseppe, I ragazzi di villa Emma, B. Mondadori, Milano 1989

Collegamenti esterni



Bambini di Mengele

I bambini di Mengele sono un gruppo di bambini (specialmente gemelli) selezionati ad Auschwitz come cavie per gli esperimenti medici di Josef Mengele.


per questo Mengele il 30 maggio 1943 si presentò al campo di concentramento di Aushwitz, pronto a prendervi servizio. I bambini venivano selezionati al momento dell'arrivo al campo, e venivano marchiati a fuoco come tutti gli altri prigionieri, ma con un codice speciale. Da subito, erano esaminati e misurati dalla testa alla punta dei piedi. Una caratteristica che li distingueva dagli altri deportati, era il fatto che trascorrevano alcuni giorni prima che i gemelli venissero rasati. Per prima cosa erano sottoposti ad un'accurata misurazione della testa, e ad un successivo esame completo ai raggi X, a cui seguiva l'applicazione di una cannula al naso che insufflava nei polmoni una sostanza che provocava una violenta tosse. Nei giorni successivi i bambini venivano immersi in continuazione in tini di acqua calda e poi legati a delle tavole. A questo punto i medici strappavano loro i capelli in modo da estrarne anche la radice; l'operazione veniva ripetuta finchè la quantità di capelli raccolta era considerata sufficiente. Erano così rasati, depilati e nuovamente fotografati. I bambini venivano sottoposti ad altri innumerevoli esperimenti senza alcuna anestesia. Per questo motivo molti di loro morivano a causa dei dolori e delle pratiche sperimentate sul loro corpo. Quando i medici ritenevano che gli studi erano terminati, facevano ai gemelli un'iniezione al cuore che ne provocava il decesso immediato; i cadaveri venivano dissezionati e gli organi interni prelevati e inviati all'Istituto di ricerca biologico-razziale di Berlino, dove venivano analizzati, con lo scopo di riuscire a trovare una differenza sostanziale tra il sangue degli ariani e quello degli ebrei. Mengele seguiva anche degli studi personali, di cui ricordiamo quello delle anomalie dell'apparato visivo e, in particolare, della eterocromia, che consiste nello scolorimento dell'iride a causa di un'anomalia, e comporta la colorazione chiara dell'iride di un solo occhio. Lo scopo che lo spingeva a seguire questo genere di studi era quello di poter influire sulla colorazione degli occhi, trasformando quelli scuri e facendoli diventare azzurri. La pratica comportava l'iniezione di metilene blu direttamente nell'iride. Ovviamente, data la mancanza di una base scientifica, l'esperimento era del tutto inutile e l'unico risultato erano sofferenze e cecità.

Gli esperimenti erano condotti da Josef Mengele, ad Auschwitz e Birkenau. Le ricerche partivano da misurazioni meticolose e assolutamente precise di comparazione fra i gemelli (che erano di ogni nazionalità, ma soprattutto ungheresi, senza distinzione di sesso, età o altro dato genetico se non l'essere gemelli). Dopo aver misurato e indagato ogni singolo centimetro del corpo dei gemelli, appurate le eventuali differenze fra fratelli, i soggetti venivano addormentati con un'iniezione di Evipan sul braccio e poi uccisi con un'iniezione di cloroformio fatta personalmente da Mengele direttamente nel cuore. I corpi venivano a questo punto sezionati e studiati dall'interno. Pare che il 15% dei gemelli esaminati sia stato ucciso in questo modo o durante qualche operazione chirurgica.


Il Blocco 10 era la baracca degli esperimenti medici ad Auschwitz e Birkenau ed è quiche il dottor Mengele conduceva i suoi esperimenti. Particolarmente affascinato dai gemelli, selezionava quelli che arrivavano ad Auschwitz da tutta Europa (sono stati calcolati 3000 gemelli in 2 anni), appena scesi dai treni.


BLOCCO 10 AD AUSCHWITZ




Mengele in persona si aggirava lungo le fila dei prigionieri gridando "Zwillinge heraus!" ("Fuori i gemelli"). Ai gemelli venivano chieste informazioni sulla propria provenienza, riportate in fascicoli e inviate al professor Verschuer. Dopo tre settimane di esami di ogni tipo, essi venivano uccisi simultaneamente con un'iniezione al cuore; i cadaveri venivano dissezionati e gli organi interni inviati al professor Verschuer, all'Istituto di ricerca biologico-razziale di Berlino. Mengele si interessava particolarmente alla eterocromia nei gemelli, una patologia che comporta una colorazione dell'iride chiara, ad un solo occhio. Il suo obiettivo era trovare il modo di influire sul colore degli occhi, trasformandoli da scuri ad azzurri e per far questo iniettava nell'iride metilene blu. Il risultato erano atroci sofferenze, cecità e nessun cambiamento. Dopo l'eliminazione dei gemelli, i loro occhi venivano espiantati e inviati a Berlino, alla dottoressa Karin Magnussen. La maggioranza di gemelli “usati” da Mengele erano ebrei deportati dall'Ungheria.

eSPERIMENTI SUI GEMELLI


A disposizione di Mengele vi erano anche 400 persone contemporaneamente, su cui conduceva svariati esperimenti : trasfusioni incrociate di sangue di tipo differente tra i gemelli, esperimenti sul midollo osseo e altri orribili, quanto inutili, studi pseudo-scientifici.


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Mengele era anche interessato allo studio di una malattia chiamata "Noma" (una cancrena che aggredisce il viso). Quando si accorse che i bambini zingari ne venivano particolarmente colpiti se ne interessò immediatamente. Credeva che questa particolare esposizione alla malattia fosse dovuta a predisposizione razziale. In realtà, ciò era dovuto alle precarie condizioni alimentari, e questo spiegava il motivo per il quale i deportati contraevano questa particolare patologia nel campo. I bambini sottoposti all'attenzione di Mengele non erano curati, bensì si aspettava il progredire della malattia per studiarla, finche' i malati, consumati dalla malattia, venivano avviati alle camere a gas. Gli studi di Mengele sono passati alla storia proprio per la crudeltà con cui venivano eseguiti, e per l'inutilità a fini scientifici.

Altra "passione" di Mengele era lo studio di una malattia chiamata "Noma" (una cancrena che aggredisce il viso). Quando si accorse che i bambini zingari venivano particolarmente colpiti se ne interessò immediatamente. Credeva che questa particolare esposizione alla malattia fosse dovuta a predisposizione razziale. Il Noma colpisce particolarmente soggetti in precarie condizioni di alimentazione e, quindi, era chiaro che l'insorgere della malattia era dovuto alle condizioni del campo. Il dottore non curava la malattia, bensì aspettava il suo progredire per studiarla, dopodichè faceva uccidere i fanciulli nelle camere a gas.


ALCUNI BAMBINI ZINGARI VITTIME DI MENGELE





A Berlino Verschuer ed il suo assistente, il biochimico Gunther Hillmann, si interessavano allo studio delle proteine del sangue e inseguivano il sogno di riuscire a trovare una differenza sostanziale tra il sangue degli ebrei e quello degli ariani. Per questo Mengele si impegnava nell'operare prelievi di sangue da inviare a Berlino. Spesso il prelievo di sangue era totale e terminava soltanto con la morte del bambino.

bambini usati da Mengele

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Gli esperimenti sulle malattie infettive

Per alcune malattie, come la dissenteria, la malaria, la tubercolosi e la febbre gialla,bambini sottoposti ad esperimenti che venivano contratte dai soldati tedeschi durante le battaglie e che in alcuni casi si erano mostrate fatali, era necessario trovare una cura rapida che potesse far guarire in pochi giorni le persone che ne erano affette. Mengele utilizzava la vivisezione per studiare le malattie infettive e le lesioni interne che procuravano.





I BAMBINI DI BUCHNWALD

 
Bambini e ragazzi sopravvissuti a Buchenwald, scortati fuori del campo dai soldati americani

I bambini di Buchenwald sono un gruppo di 904 bambini e adolescenti sopravvissuti al campo di concentramento di Buchenwald. La maggior parte di loro si salvarono grazie alla solidarietà di alcuni prigionieri più anziani che si organizzarono per la loro salvezza, riuscendo a proteggerli fino alla Liberazione. Tra i bambini sopravvissuti c'erano anche Elie Wiesel, Yisrael Meir Lau, Thomas Geve e Gert Schramm, unico prigioniero di colore del campo.

La sopravvivenza a Buchenwald

Quando l'11 aprile 1945 giunsero a Buchenwald le truppe di liberazione americane, fra i 21.000 sopravvissuti c'erano 904 giovanissimi prigionieri (in maggioranza ebrei). Si trattava principalmente di adolescenti tra i 13 e i 17 anni, ma tra loro erano anche bambini fra i 6 e i 12 anni. I due più piccoli avevano 4 anni. Fu di gran lunga il gruppo di bambini sopravvissuti più numeroso scoperto nei territori dell'Olocausto. A rendere il caso ancora più eccezionale è che ciò sia avvenuto in un campo di lavoro nel cuore della Germania dove non si sarebbero dovuti trovare ebrei e tantomeno bambini inabili al lavoro. Inoltre, i bambini liberati erano tutti veterani dei campi di concentramento, già segnati da anni di privazioni.[1]

Il caso, unico in tutta la storia dei campi di concentramento nazisti, aveva le sue ragioni.

La maggior parte degli adolescenti erano alloggiati nella baracca 66, i più piccoli vivevano nascosti nella 8, altri nelle 23 e 49. Queste baracche erano diventate zone off limits per le stesse SS che non si azzardavano minimamente ad ispezionarle. Girava la voce, infatti che esse fossero infestati dal tifo. A proteggere questi bambini in quelle baracche, furono alcuni coraggiosi detenuti, spesso di soli pochi anni più grandi di loro. Molti dei Kapo di Buchenwald erano stato reclutati tra i prigionieri politici comunisti e questo aiutò a formare una resistenza attiva all'interno del campo, capace di orientare la "moralità" del campo e creare le condizioni perche' molti dei bambini di Buchenwald fossero protetti dallo sterminio, dal lavoro coatto e dal trasferimento ad altri campi di concentramento.

 
Alcuni dei più piccoli tra i bambini di Buchelwald dopo la liberazione

A presiedere la baracca 66 (dove dal gennaio 1945 la resistenza del campo riusci' a concentrarvi la maggior parte dei ragazzi) erano Antonin Kalina, un comunista di Praga, e il suo vice Gustav Schiller, un comunista ebreo polacco originario di Lvov.[2] Alla baracca 8 c'erano Franz Leitner, comunista austriaco di Vienna, e Wilhelm Hammann, comunista tedesco di Hesse.[3] Altri prigionieri direttamente coinvolti nel salvataggio dei bambini furono Willi Bleicher e Robert Siewert.[4] Grazie alla protezione loro offerta dai prigionieri "anziani", i ragazzi erano esentati dagli sfibranti appelli mattutini e dal lavoro coatto (se non per occasionali missioni di rimozione delle macerie causate dai bombardamenti nella vicina città di Weimar, dove si sapeva che i ragazzi avrebbero potuto anche trovarvi del cibo). L'organizzazione riusci' anche a far pervenire ai ragazzi del vestiario e delle razioni extra di cibo da altre zone del campo, persino a creare per loro alcuni programmi di istruzione. Nelle ultime settimane di vita del campo la preoccupazione maggiore fu quella di resistere all'ordine di sopprimere tutti i prigionieri ebrei e prevenire che le baracche fossero evacuate verso altri campi di concentramento. Ai bambini ebrei fu detto di rimuovere la stella di David, mentre i Kapo falsificarono i documenti, dichiarando di non avere prigionieri ebrei. Il 10 aprile sembrò che tutti gli sforzi fossero inutili quando i ragazzi della baracca 66 furono allineati dalle guardie naziste davanti ai cancelli per abbandonare il campo ma grazie ad un provvidenziale allarme aereo Kalina potè ordinare il loro immediato ritorno nella baracca, dove essi rimasero fino alla liberazione il giorno successivo.

Non tutti i ragazzi che giunsero a Buchenwald poterono essere protetti dall'organizzazione. Migliaia di bambini e adolescenti (ebrei, rom, russi o polacchi) furono trasferiti da Buchenwald ad Auschwitz a morirvi perche' "inabili al lavoro". 1600 furono quelli che perirono tra le 55.000 vittime di Buchenwald per fame, malattia, o in conseguenza di percosse o uccisi dalle guardie. Di altri adolescenti non si potè impedire che rimanessero assegnati a squadre di lavoro coatto o che fossero trasferiti ad altri campi prima dell'arrivo degli americani. E' il caso di Imre Kertész, futuro premio Nobel per le letteratura nel 2002, che descrisse la sua esperienza nel romanzo Essere senza destino (1975).

Dopo la liberazione

 
Un gruppo di bambini sopravvissuti in viaggio per la Francia

La maggior parte dei bambini di Buchenwald erano orfani, e non avevano alcuna memoria o esperienza di cosa fosse una vita "normale". Circa la metà di loro fu inizialmente inviata in Francia dalla Croce Rossa e da altre agenzie mentre due altri gruppo andarono in Svizzera e in Inghilterra. Nel 2000 Judith Hemmendinger, che fu l'educatrice di molti di loro in Francia, ricorderà il loro difficile cammino di ritorno alla "normalità".[5]

Mentre alcuni rimasero in Europa, molti partirono per gli Stati Uniti, il Canada o Israele. Un gruppo di 65 di loro raggiunse l'Australia, dove tutti gli anni hanno continuato a riunirsi con i loro figli e nipoti.[6]

La memoria

Già nel 1958 il romanzo di Bruno Apitz, Nackt unter Wölfen (Nudo fra i lupi), basato sulla sua personale esperienza a Buchenwald, attirò l'attenzione sul caso di un bambino sopravvissuto nelle baracche nascosto dal padre e da altri detenuti.[7] La storia non era frutto di fantasia e l'identità del bambino fu presto rivelata essere quella di Stefan Jerzy Zweig.

L'interesse per i bambini di Buchenwald e progressivamente cresciuto. Alla loro vicenda sono stati dedicati libri e documentari. Alcuni di loro hanno pubblicato libri di memorie e ci è ricordati anche dei loro salvatori al campo. Wilhelm Hammann (1897-1955) nel 1984, Fyodor Michajlitschenko nel 2009 e Antonin Kalina (1902-1990) nel 2012 sono tra i non-ebrei che sono stati riconosciuti dall'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme come "giusti fra le nazioni" per la loro azione in favore dei bambini di Buchenwald.

Note

  1. ^ Saving Children at Buchenwald.
  2. ^ Jewish Virtual Library.
  3. ^ La Repubblica (27 gennaio 2009).
  4. ^ Saving Childrend in Buchenwald.
  5. ^ Judith Hemmendinger and Robert Krell. The Children of Buchenwald: Child Survivors of the Holocaust and Their Post-War Lives. Jerusalem: Gefen, 2000.
  6. ^ The Tablet (20 aprile 2015).
  7. ^ Bruno Apitz, Nudo tra i lupi, Milano: Longanesi, 2013.

Bibliografia

Libri di memorie

Studi, monografie

  • Judith Hemmendinger and Robert Krell. The Children of Buchenwald: Child Survivors of the Holocaust and Their Post-War Lives. Jerusalem: Gefen, 2000.
  • Bill Niven, The Buchenwald Child: Truth, Fiction, and Propaganda. Camden House (2007). ISBN 978-1-57113-339-7.

Filmografia

Voci correlate

Collegamenti esterni

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Romanzi

  • Eva Weaver, The Puppet Boy of Warsaw (ed. it. Il piccolo burattinaio

di Varsavia, Milano: Mondadori, 2013)



OLOCAUSTO IN ITALIA

L'Olocausto in Italia si colloca all'interno di un fenomeno di genocidio di ben più vaste proporzioni che negli anni dal 1933 and 1945 portò alla discriminazione e quindi all'eliminazione fisica di 6 milioni di ebrei europei. Nel suo articolarsi l'Olocausto (o Shoah) ha avuto in Italia tratti e sviluppi originali, svolgendosi in due fasi distinte. Il periodo tra il settembre 1938 e il 25 luglio 1943 fu il periodo in cui in Italia si attuò la “persecuzione dei diritti degli ebrei” (e di altre minoranze etniche) sotto il regime fascista, cui segui' la “persecuzione delle vite degli ebrei”, dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, sotto l’occupazione tedesca e la Repubblica sociale italiana.[1] Circa 7.500 ebrei italiani persero la vita; ovvero il 13% dei 58.412 cittadini italiani di "razza ebraica o parzialmente ebraica" censiti nel 1938.[2] Dopo i primi rastrellamenti ad opera dell'esercito tedesco, a partire dal 30 novembre 1943 la responsabilita' primaria degli arresti e delle deportazioni ricade sulla polizia repubblichina italiana, che perseguirono questo scopo attraverso controlli di identita' e delazioni remunerate, mentre i tedeschi si occuparono della gestione dei trasporti dal Campo di concentramento di Fossoli (o la Risiera di San Sabba) al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, luogo fisico degli eccidi. Gli ebrei perseguitati poterono però contare in Italia su una omerta' diffusa e sull'attiva solidarieta' non solo di singoli individui ma anche di organizzazioni clandestine di resistenza come la DELASEM e di settori significativi della Chiesa cattolica, solidarieta' che si dimostrò capace di offrire una protezione efficace a migliaia di ricercati fino alla Liberazione.

Gli ebrei e l'Unita' d'Italia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia degli ebrei in Italia.

Gli ebrei in Italia rappresentano l'esempio di una comunita' ben integrata da millenni nel tessuto sociale, economico e culturale. Nel periodo precedente all'Unita' d'Italia, le comunita' ebraiche italiane fecero esperienze di enormi difficolta' e discriminazioni (espulsioni, ghettizzazione, ecc.), ma non mancarono momenti positivi di incontro e di interazione a livello locale, che in epoca moderna favorirono il radicamento delle comunita' in molti centri dell'Italia centrale e settentrionale (tra cui Roma, Torino Venezia, Mantova, Ferrara, Trieste, Firenze, Livorno, e altri)

Gli ebrei italiani sostennero con grande entusiasmo il processo risorgimentale che per loro segnò la conquista della piena emancipazione come cittadini e co-fondatori del nuovo Stato nazionale.

Nel nuovo stato gli ebrei godettero di una situazione di sostanziale parita' di diritti, uscirono dai ghetti, costruirono monumentali sinagoghe ed ebbero ruoli importanti nella politica, nella pubblica amministrazione, nella scuola e nell'Universita, riempiendovi i vuoti prodotti dall'atteggiamento di non collaborazione a lungo mantenuto dai cattolici dopo la presa di Roma.

La prima guerra mondiale segnò il momento di maggior identificazione tra l'ebraismo e il nuovo Stato: gli ebrei parteciparono in massa all'esercito e al sostegno dello sforzo bellico, monumenti furono eretti nelle sinagoghe ad onorare i caduti.

Il fervore nazionalistico degli ebrei italiani si mantenne primo nel dopoguerra attraverso il supporto di molti di essi all'impresa di Fiume ed alla stessa costituzione del partito fascista. Appena giunto al potere nel 1922 il regime fascista si mostrò tuttavia più interessato a ricercare un compromesso con la Chiesa cattolica che legittimasse e rafforzasse il suo potere.

Patti Lateranensi (1929)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Patti Lateranensi.

I Patti Lateranensi furono il primo colpo inferto ai diritti conquistati dagli ebrei con il Risorgimento. Il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia ridusse l'ebraismo a culto ammesso, limitandone la libertà religiosa e introducendo nel curriculum scolastico. Il regime continuò tuttavia a mantenere un atteggiamento ambivalente e non pregiudizialmente ostile all'ebraismo. La Legge Falco del 1930 instaurava un maggior controllo sulla vita delle comunità ebraiche in Italia, ma introduceva anche necessarie misure di semplificazione e razionalizzazione, che furono accolte con favore dalla maggioranza degli ebrei italiani. Agli ebrei fu concessa una relativa autonomia, un regime di auto-governo ed anche una qualche liberta' associativa (principalmente attraverso l"Unione delle comunità israelitiche italiane e l'Associazione donne ebree d'Italia). Nel 1935 si autorizzò la costruzione della monumentale sinagoga di Genova, cosi' come nel 1928 si era fatto per la sinagoga ortodossa di Fiume. Tra i capi del Partito Fascista la presenza di fanatici antisemiti come Achille Starace e Roberto Farinacci era compensata da una forte componente filoebraica (che faceva riferimento a Italo Balbo e poteva contare anche sull'appoggio di Gabriele d'Annunzio). Molti ebrei (e rabbini) continuarono a servire nei ranghi del partito fascista, anche in posizioni di primo piano come il podesta' di Ferrara, Renzo Ravenna.

Le persecuzioni razziali fasciste (1938-1939)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Leggi razziali fasciste.

Nel 1938, in seguito alla pubblicazione del Manifesto della razza, in Italia furono emanate le leggi razziali. Presso il Ministero degli Interni fu istituita la Direzione generale Demografia e Razza, con il compito di coordinare le iniziative di discriminazione. le quali implicarono la creazione di istituzioni statali preposte alla loro applicazione. La divulgazione delle politiche razziali fu affidata alla rivista La difesa della razza (1938-1943), rivista stampata dall'Editrice Tumminelli a Roma.

Il fascismo cercò di "sfumare" alcuni aspetti delle leggi razziali per venire incontro a quei settori della Chiesa cattolica che vedevano favorevolmente la perdita dei diritti civili da parte degli ebrei ma non gli "eccessi" del nazismo, che colpivano indiscriminatamente ebrei osservanti e ebrei battezzati.

Sia pure con qualche distinguo, le leggi razziali fasciste produssero tuttavia un'effettiva e totalitaria "arianizzazione" delle societa' italiana, con conseguenze devastanti. Esse colpirono gli ebrei direttamente in quei settori (pubblica amministrazione, esercito, scuola, Universita') in cui con più forza ed entusiasmo gli ebrei italiani si erano impegnati nel periodo post-risorgimentale. Le conseguenze non furono minori dal punto di vista psicologico. Per gli ebrei le leggi razziali furono vissute come un tradimento da parte di uno Stato con cui essi si erano identificati e le cui sorti essi avevano lealmente sostenuto fino dalla sua costituzione. Non mancarono casi eclatanti di suicidio per protesta, come quello dell'editore Angelo Fortunato Formiggini.

Da parte ebraica si rispose con la formazione di una rete di agenzie (in primo luogo, scuole ebraiche) in grado di gestire autonomamente quei servizi che lo Stato fascista ora non forniva più. Per molti l'emigrazione si prospettò come l'unica via di uscita. Il fascismo immediatamente revocò il permesso di residenza alla maggior parte degli ebrei stranieri. Circa la meta' di essi lasciò il paese.[3] La perdita del lavoro costrinse anche molti ebrei italiani a lasciare l'Italia. Francia, Inghilterra, gli Stati Uniti e il Sudamerica furono le mete preferite di emigrazione, Le limitazioni imposte dagli Stati ospitanti e il tempo ristretto prima dello scoppio della guerra permisero ad un numero consistente ma pur sempre limitato di ebrei (circa 6,000) di lasciare il paese (circa l'8%) ed evitare cosi' le conseguenze più tragiche dell'Olocausto. L'Italia perse alcuni dei suoi intellettuali migliori: Emilio Segrè, Bruno Rossi, Ugo Lombroso, Giorgio Levi Della Vida, Mario Castelnuovo-Tedesco, Ugo Fano, Roberto Fano, Salvatore Luria, Guido Fubini, Franco Modigliani, Arnaldo Momigliano e molti altri. Con loro lasceranno l'Italia anche Enrico Fermi e Luigi Bogliolo, le cui mogli erano ebree.

La seconda guerra mondiale (I): L'Italia alleata della Germania nazista (1940-1943)

La prima conseguenza dell'entrata in guerra dell'Italia nel giugno 1940 al fianco della Germania nazista fu l'istituzione di una fitta rete di campi di internamento riservati in primo luogo ai profughi ebrei stranieri, ma anche a quegli ebrei italiani ritenuti "pericolosi" perché antifascisti.[4] Per la prima volta si verificarono anche episodi di violenza antiebraica, che a Ferrara (21 settembre 1941) e Trieste (18 luglio 1942) sfociarono nel saccheggio delle locali sinagoghe. La maggior parte dei campi di internamento (e tra loro i più grandi, quelli di Campagna e di Ferramonti di Tarsia) furono situati nel Sud Italia, un elemento questo che nel seguito della guerra si mostrerà decisivo per la salvezza degli internati. La vita nei campi fu difficile, ma il modello adottato fu piuttosto quello dei campi di confino; agli internati era concessa una certa libertà di movimento e autonomia organizzativa, e la possibilità di ricevere aiuti e assistenza dall'esterno. Il trattamento fu simile a quello di una prigionia, e non fu affiancato da violenze antisemite fisiche o morali aggiuntive.

Da parte ebraica si rispose con l'istituzione della DELASEM (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei), una società di assistenza per i profughi creata dall'Unione delle comunità israelitiche in Italia il 1º dicembre 1939 con l'assenso del regime.[5] Durante tutto il primo periodo bellico fino all'8 settembre del 1943 la DELASEM poté svolgere legalmente un'opera fondamentale nell'assistenza dei profughi ebrei, rendendo meno dure le condizioni di vita nei campi, favorendo l'emigrazione di migliaia di internati e quindi sottraendoli di fatto allo sterminio. Le rete di rapporti stabiliti dalla DELASEM, specialmente con vescovi e ambienti cattolici, sarà decisiva per la continuazione delle sue attività in una condizione di clandestinità dopo l'8 settembre 1943.

Per tutto il primo periodo bellico il regime fascista e l'esercito italiano si attennero alle politiche discriminatorie messe in atto con le leggi razziali, le quali non contemplavano lo sterminio fisico degli ebrei sotto giurisdizione italiana o la loro consegna all'alleato tedesco, favorendo piuttosto soluzioni alternative quali l'emigrazione in paesi neutrali.[6] Così nel 1942 il comandante militare italiano in Croazia si rifiutò di consegnare gli ebrei della sua zona ai nazisti. Nel gennaio del 1943 gli italiani rifiutarono di collaborare con i nazisti nel rastrellare gli ebrei che vivevano nella zona occupata della Francia sotto il loro controllo, e nel marzo impedirono ai nazisti di deportare gli ebrei dalla loro zona. Il Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop presentò un esposto a Benito Mussolini protestando che "i circoli militari italiani ... mancano di una corretta comprensione della questione ebraica".

Le zone occupate dagli Italiani rimasero quindi relativamente sicure per gli ebrei, tanto che tra il 1941 e il 1943, migliaia di ebrei fuggirono dai territori occupati dai Tedeschi in quelli occupati dagli Italiani in Francia, Grecia e Jugoslavia. Qui furono trasferite nei campi di internamento.

L'occupazione tedesca e la Repubblica Sociale Italiana (1943-1945)

Il collasso del fronte africano e lo sbarco degli Alleati in Sicilia portarono il 25 luglio 1943 alla caduta di Mussolini e alla sua sostituzione con Badoglio sotto il patrocinio della monarchia. Il nuovo governo negoziò in segreto un armistizio con gli Alleati. Per evitare la resa, l'8 settembre le forze tedesche invasero rapidamente le zone centrali e settentrionali del paese, Ponendo Mussolini a capo della Repubblica Sociale Italiana (RSI) con sede a Salò. Il re e il suo governo si rifugiarono al sud, ora saldamente in mano agli alleati. , Con il paese spaccato in due, la nuova situazione significò l'immediata liberazione di quegli ebrei (in massima parte stranieri) che erano confinati nei campi d'internamento del Sud, ma un subitaneo e drammatico cambiamento per i circa 43.000 ebrei (35.000 italiani e 8.000 stranieri) che vivevano ora sotto occupazione nazista e soggetti ad immediata deportazione.[7]

La macchina di morte dell'Olocausto si mise in moto con effetto immediato, con l'intento di applicare la "soluzione finale" all'intera popolazione ebraica in Italia.

Le azioni antiebraici e gli eccidi cominciarono subito nel Nord Italia Non mancano gli eccidi e le stragi in loco, ma secondo una prassi ormai consolidata nei paesi dell:europa occidentale, lo sterminio si realizza in modo più discreto attraverso l'arresto e la deportazione degli ebrei verso i campi di sterminio dell'Europa centrale dove potevano essere compiuti lontani da occhi indiscreti. Dai campi di internamento fascisti si passa ad un sistema integrato di campi di concentramento e transito finalizzato all'organizzazione di trasporti ferroviari verso i campi di sterminio, in primo luogo Auschwitz. Si richiede anche un'azione capillare di polizia per la ricerca e la cattura dei fuggitivi. A tale opera si dedicano dapprima le truppe di occupazione tedesca che compirono le prime retate il 9 ottobre a Trieste e poi il 16 ottobre a Roma. Quindi tra fine ottobre e inizio m=novembre si procedè ad arresti di massa, in Toscana, Bologna e nel triangolo Milano-Torino-Genova. Per non suscitare proteste e tensioni, all'inizio alcune nazionalita' (ungherese, inglese) furono escluse dalle deportazioni, cosi' come furono esentati dalla cattura gli ebrei con genitore o coniuge "ariano".

Una svolta decisiva si ebbe il 14 novembre 1943 quando a Verona nel Manifesto programmatico del nuovo partito fascista repubblicano si affermò che “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. Il 30 novembre le autorità di polizia e le milizie della Repubblica Sociale Italiana furono mobilitate per l'arresto di tutti gli ebrei e il loro internamento e la confisca dei loro beni. Con il coinvolgimento delle forze repubblichine diminui' l'impegno diretto delle forze tedesche. Dai campi di internamento provinciali gli ebrei arrestati erano concentrati nel campo di concentramento di Fossoli[8] (o alla Risiera di San Sabba), dove venivano presi in consegna dai tedeschi e condotti ad Auschwitz.

In tutto i Tedeschi deportarono 8.564 Ebrei dall’Italia e dalle zone occupate dagli Italiani in Francia e nelle isole di Rodi e di Kos, la maggior parte ad Auschwitz; degli oltre ottomila deportati, solo 1.009 fecero ritorno.[9]

3?? ebrei furono uccisi in Italia, in atti di violenza, o al momento della cattura o durante il trasporto a Fossoli. La più grande strage avvenne il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine dove civili e politici furono uccisi come rappresaglia per un attentato compiuto dalle forze di resistenza a Roma contro soldati tedeschi. Almeno 75 tra le 323 vittime furono ebrei.

Dietro a ogni ebreo catturato vi fu la delazione di italiani attratti dalla ricompensa offerta e lo zelo di funzionari di polizia italiani. Gli ebrei d'altro lato furono aiutati da una vasta rete di solidarietà, che fu favorita in primo luogo dalla fitta rete di contatti familiari e sociali che gli ebrei italiani avevano con non-ebrei. La DELASEM prosegue la sua opera nella clandestinità forte del supporto decisivo di non-ebrei che ne tengono in vita le centrali operative a Genova e Roma. Per tutta la durata del conflitto La DELASEM garanti' un flusso ininterrotto di denaro che dalle organizzazioni ebraiche mondiali giungeva a Genova tramite il nunzio apostolico svizzero e da Genova era distribuito in tutta l'Italia, per aiutare le necessita' (per cibo, alloggio, documenti falsi) di coloro che dovevano nascondersi. Privati cittadini, ma anche istituti religiosi, orfanotrofi, parrocchie aprirono le loro porte ai fuggitivi. La geografia dei luoghi di rifugio offre una mappa impressionante delle dimensioni del fenomeno. Grazie anche alle risorse e alle complicita' offerte da questa rete di solidarieta'. oltre 5.500 ebrei attraversarono clandestinamente il confine con la Svizzera. Circa 500 ebrei riuscirono ad attraversare il fronte e a raggiungere i territori in mano alleata nel sud Italia. Ma, cosa ancora più importante, 29.000 ebrei sopravvissero nascosti nei territori sotto controllo nazista, un migliaio unendosi alle formazioni partigiane, il resto (compresi donne, bambini e anziani) vivendo protette da altri perseguitati e da non ebrei.

Il dopoguerra e la memoria dell'Olocausto

Un'azione importante nelle fasi immediatamente successive alla Liberazione fu compiuta dalla Brigata ebraica operante sul fronte italiano. La Brigata svolse un'opera fondamentale nei ricongiungimenti familiari e nella ricostruzione delle tessuto organizzativo delle comunita' ebraiche, finanche nell'individuazione dei reposnsabili delle operazioni antiebraiche. Ben presto gli uffici comunitari e le sinagoghe furono riaperte. Al tempo stesso, per la sua posizione geografica l'Italia divenne un importante luogo di raccolta per molti ebrei sopravvissuti dall'est europeo (tra cui numerosi bambini rimasti orfani) che vi fecero tappa prima del loro trasferimento in Israele.

Con la partecipazione ebraica alla nascita della Repubblica Italiana e alla stesura della nuova Costituzione si ricostrui' almeno in parte quel rapporto privilegiato che il Risorgimento aveva stabilito tra l'ebraismo e la societa' italiana. Pur riconoscendo i Patti Lateranensi, la nuova Costituzione Italiana ristabili' sostanziale liberta' di culto e protezione per i culti ammessi.

Nonostante le vaste responsabilita' di italiani nella caccia agli ebrei, l'opinione pubblica prevale u atteggianmenti di auto-assoluzione che attribuisce l'Olocausto ad un crimine nazista imposto dagli occupanti "stranieri" di cui l'intera popolazione italiana era stata vittima, e a cui anzi si era eroicamente ribellata. Poco o niente si fece per punire coloro che in Italia si erano fatti complici dell'Olocausto e far piena luce su questa pagina oscura della storia italiana. La restituzione dei beni confiscati e il reintegro nel lavoro per coloro che lo avevano perso con le leggi razziali procedette a rilento. Anche i rapporti con la Chiesa cattolica si mantennero difficili, segnati dal caso Zolli (con la conversione dell'ex-rabbino capo di Roma al cattolicesimo sotto la personale egida di Pio XII).

L'esperienza della DELASEM tuttavia lascia un profondo segno con la fondazione anche in Italia, a Firenze, dell'Amicizia Ebraico-Cristiana che per impulso di Giorgio La Pira spinge per una profonda revisione dei rapporti tra ebraismo e Chiesa cattolica. L'elezione di papa Roncalli segue un primo importante punto di svolta. Come nunzio apostolico in Turchia e quindi nel dopoguerra in Francia Giovanni Roncalli era . Nel 1965 il suo successore [[Paolo VI) durante a guerra segretario di Stato vaticano e uno die maggiori referenti nelle operazioni di salvataggio degli ebrei. Nel 1987 i giunse alla visita di papa Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma, segnato anche dalla sua personale amicizia con il rabbino capo di Roma Elio Toaff

La memoria dell'Olocausto

Il monumento alle vittime dell'Eccidio delle Fosse Ardeatinefu inaugurato il 24 marzo 1949

Con il D.P.R. n. 510 del 15 aprile 1965, il Presidente Giuseppe Saragat dichiarò la risiera di san Sabba Monumento Nazionale, quale "unico esempio di lager nazista in Italia".

Il campo di Fossoli continuò ad essere usato nel dopoguerra come campo profughi. orfanotrofio, Nel 1984 grazie ad una legge speciale, l'area dell'ex campo di Fossoli venne concessa a titolo gratuito al Comune di Carpi che, dopo l'apertura nel 1973 del Museo - monumento al deportato, ne aveva fatto richiesta all'Intendenza di finanza. Fino al gennaio 2001 la gestione del Museo e dell'ex campo fu a cura del Comune di Carpi, che da quella data in poi l'affidò alla Fondazione Fossoli.


e quindi il film di Benigni che

Il Giorno della memoria e la giornata dell cultura ebraica Dell;Olocausto italiano si sa ancora pochissimo a livello internazionale.

Ci sono progetto\i per la costruzione di un Museo dell'Olocausto

La delusione dell'ebraismo per il tradimento perpetrato nei loro confrnti dalla societa' italiana non si è mai totalmente sueato. Solo a partire dagli anni novanta, grazie anch

<useo dell"olocausto

Nella cultura popolare

Filmografia

Note

  1. ^ Michele Sarfatti, "La persecuzione degli ebrei in Italia".
  2. ^ Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria: gli ebrei deportati dall'Italia, 1943-1945. Milano: Mursia, 2011.
  3. ^ Sarfatti, p.2.
  4. ^ Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L'internamento civile nell'Italia fascista, 1940-1943 (Einaudi: Torino, 2004)
  5. ^ S. Sorani, L'assistenza ai profughi ebrei in Italia (1933-1947). Contributo alla storia della DELASEM (Carocci: Roma 1983); Sandro Antonimi, DELASEM: Storia della più grande organizzazione ebraica di soccorso durante la seconda guerra mondiale (De Ferrari: Genova, 2000).
  6. ^ Michele Sarfatti, The Jews in Mussolini's Italy: From Equality to Persecution, 2006, loc. cit.; Ilaria Pavan, Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze economiche delle leggi razziali in Italia 1938-1970, 2004.
  7. ^ Susan Zuccotti, L’olocausto in Italia, Tea storica ,1995; Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 1972.
  8. ^ Liliana Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento: gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944, Milano: Mondadori, 2010.
  9. ^ "L'Italia", Enciclopedia dell'Olocausto.

Bibliografia

  • Luciano Morpurgo. Caccia all'uomo. Vita sofferenze e beffe. Pagine di diario 1938-1944. Roma: Casa Editrice Dalmatia S.A. di Luciano Morpurgo, 1946.
  • Leto Casini. Ricordi di un vecchio prete. Firenze: La Giuntina, 1986.
  • Salim Diamand. Dottore!: Internment in Italy, 1940-1945. Oakville, Ont.: Mosaic Press; New York: Riverrun Press, 1987.
  • Lia Levi. Una bambina e basta. Roma: e/o, 1994.
  • Chiara Bricarelli (a cura di). Una gioventù offesa. Ebrei genovesi ricordano. Firenze, Giuntina, 1995, ISBN 88-8057-021-8
  • Donatella Levi. Vuole sapere il nome vero o il nome falso?. Padova: Il Lichene Edizioni, 1995.
  • Aldo Zargani. Per violino solo. La mia infanzia nell’Aldiqua, 1938-1945. Bologna: Il Mulino, 1995.
  • Luigi Fleischmann. Un ragazzo ebreo nelle retrovie. Firenze: Giuntina, 1999.
  • Giorgio Nissim. Memorie di un ebreo toscano, 1938-1948. Roma: Carocci, 2005
  • Louis Goldman. Friends for Life: The Story of a Holocaust Survivor and His Rescuers. New York: Paulist Press, 2008.
  • Marcello Pezzetti (a cura di), Il libro della shoah italiana: i racconti di chi è sopravvissuto, Torino: Einaudi, 2009.

Studi, libri

  • Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Milano: Mondadori, 1977.
  • Meir Michaelis. Mussolini and the Jews: German-Italian relations and the Jewish question in Italy, 1922-1945. Oxford: Oxford University Press, 1978 (ed. it. Mussolini e la questione ebraica. Milano : Edizioni di Comunità, 1982).
  • Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria: gli ebrei deportati dall'Italia (1943-1945). Milano: Mursia, 1991.
  • Alexander Stille, Benevolence and Betrayal: Five Italian Jewish families under Fascism, New York: Summit Books, 1991.
  • Daniel Carpi. Between Mussolini and Hitler: The Jews and the Italian authorities in France and Tunisia. Hanover : University Press of New England, 1994.
  • Susan Zuccotti, L'Olocausto in Italia, TEA, 1995 (ed. originale: The Italians and the Holocaust: persecution, rescue, and survival. New York: Basic Books, 1987)
  • Thomas P. DiNapoli, ed. The Italian Jewish Experience. Stony Brook, NY : Forum Italicum, 2000.
  • Maria Ornella Marotti (a cura di). Italian women writers from the Renaissance to the present. University Park, Pa. : Pennsylvania State University Press, 1996.
  • Susan Zuccotti, Il Vaticano e l'Olocausto in Italia, Milano: Mondadori, 2001 (ed. originale: Under His Very Windows: The Vatican and the Holocaust in Italy. New Haven: Yale University Press, 2000).
  • Stanislao G. Pugliese. The Most Ancient of Minorities: The Jews of Italy. Westport, CT: Greenwood Press, 2002.
  • Joshua D. Zimmerman, Jews in Italy under Fascist and Nazi Rule, 1922-1945. Cambridge: Cambridge University Press, 2005.
  • Michele Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista: vicende, identità, persecuzione. Torino: G. Einaudi, 2000 (ed. inglese: The Jews in Mussolini's Italy: From Equality to Persecution. Madison: University of Wisconsin Press, 2006.
  • Israel Gutman; Liliana Picciotto. Giusti d'Italia: i non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-1945. Milano: Mondadori, 2006.
  • Charles T O'Reilly. The Jews of Italy, 1938-1945: An Analysis of Revisionist Histories. Jefferson, NC: McFarland & Co., 2007.
  • Elisabeth Bettina, It Happened in Italy: Untold Stories of How the People of Italy Defied the Horrors of the Holocaust. Nashville : Thomas Nelson, 2009.
  • Liliana Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento: gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944, Milano: Mondadori, 2010.
  • Emiliano Perra, Conflicts of Memory: The Reception of Holocaust Films and TV Programmes in Italy, 1945 to the Present. Oxford & New York: Peter Lang, 2010.
  • Mario Avagliano; Marco Palmieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-45, Einaudi, Torino 2011 (introduzione di Michele Sarfatti)
  • Rebecca Clifford. Commemorating the Holocaust: The Dilemmas of Remembrance in France and Italy. Oxford : Oxford University Press, 2013.
  • Robert S C Gordon, The Holocaust in Italian Culture, 1944-2010. Stanford, CA: Stanford University Press, 2014.
  • Alexis Herr, The Holocaust and Compensated Compliance in Italy: Fossoli di Carpi, 1942-1952. Houndmills, Basingstoke, Hampshire; New York, NY: Palgrave Macmillan, 2016.

Voci correlate

Collegamenti esterni

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Honza Treichlinger (Plzeň, 1930Birkenau, 16 ottobre 1944) è stato un giovane cantante e attore ebreo ceco, protagonista dell'opera Brundibár di Hans Krása, rappresentata per la prima volta all'orfanotrofio ebraico di Praga nel 1941 e quindi nel 1943-44 nel campo di concentramento di Theresienstadt (Terezín). Deportato ad Auschwitz-Birkenau vi trova la morte nelle camere a gas al suo arrivo il 16 ottobre 1944.

Biografia

Honza Treichlinger nasce nel 1930 a Plzeň (Pilsen) in Cecoslovacchia.[1] Poco si sa della sua infanzia o di ciò che sia avvenuto ai suoi genitori, Ernest e Ida. Nel 1941 lo troviamo all'Orfanotrofio ebraico nella Praga occupata da nazisti, dove è un membro del suo coro. Quell'anno, il compositore ceco Hans Krása aveva donato all'orfanotrofio la partitura della sua opera per bambini Brundibár, poco prima di essere deportato a Terezín. L'opera, scritta nel 1938 non era stata ancora rappresentata. Tra tutti i componenti del coro, Treichlinger ne è scelto come il protagonista. L'orfanotrofio organizza nell'inverno 1942 tre rappresentazioni, clandestinamente, finché la Gestapo arresta gli adulti coinvolti nella produzione.

Tra l'aprile e il luglio 1943 tutti i ragazzi e il personale dell'orfanotrofio praghese sono trasferiti a Terezín e li' ritrovano il compositore il quale ricostruire a memoria la musica di "Brundibár", adattandola ai strumenti musicale e agli strumentisti presenti nel campo. Treichlinger riprende il suo ruolo, nella prima del 23 settembre 1943 e in tutte le 55 rappresentazioni dell'opera avvenute tra il settembre 1943 e il settembre 1944 a Terezín. L'opera è l'evento musicale di maggior importanza nella storia del campo.[2] Treichlinger era pienamente consapevole del fatto che il personaggio "cattivo" di Brundibár, da lui interpretato, era una parodia di Adolf Hitler, ma fu capace di renderlo al tempo stesso umano, comico e brillante, immediatamente riconoscibile dai grandi baffi incollati sulla sua faccia.

Le eccezionali qualità di cantante e attore del piccolo interprete lo rendono una celebrità a Terezín.[3] Tra i bambini di Terezín è con Petr Ginz, direttore della rivista Vadem, quello che ha il maggior impatto nella vita sociale e culturale del ghetto. Di lui ricorderà Rudolf Freudenfeld, che diresse l'orchestra sia al conservatorio di Praga che a Terezin:

[Treichlinger] era veramente divenuto una celebrità. Era famoso e venerato. Ovunque andasse, si alzava il grido, Brundibár, Brundibár. Istintivamente Honza ha rappresentato la figura di Brundibár con tale umanità, che nonostante interpretasse il ruolo del cattivo, è divenuto il favorito non solo dei bambini, ma anche del resto del pubblico. Ha imparato a muovere i baffi incollati sotto il suo naso, a recitare così brillantemente e solo al momento perfetto che tutte le tensioni del pubblico svanivano e spesso potevamo davvero sentire i bambini sollevare un sospiro di sollievo. Dal momento in cui ha creato per primo il personaggio ha preso parte a tutte le rappresentazioni dell'opera senza un sostituto. Nessuno avrebbe potuto sostituirlo."[4]

Le autorità naziste tollerarono le rappresentazioni dell'opera ed anzi cercarono di sfruttarne il successo a fini propagandistici. Lo spettacolo fu offerto ai rappresentanti della Croce Rossa che visitarono il campo il 23 giugno 1944. Il finale dell'opera è catturato nel film di propaganda nazista "The Fuhrer presenta una città agli ebrei" (1944), girato ai primi di settembre dello stesso anno. Nel filmato Treichlinger canta assieme al coro dei piccoli interpreti. È l'unico documento visivo che si abbia di lui.

Il mese successivo, Trechlinger, il compositore e numerosi membri del cast sono deportati e uccisi a Auschwitz. Dice ancora Rudolf Freudenfeld:

"Che cosa sarebbe potuto diventare? Attore o ingegnere? Di sicuro avrebbe modellato la propria vita cosi' come aveva fatto con il suo ruolo! Il fatto di essere piuttosto basso di statura si rivelo' fatale. Aveva 14 anni. Ad Auschwitz fu mandato con i vecchi e i bambini piccoli direttamente nelle camere a gas".[5]

Non avendo superato la selezione, Trechlinger è ucciso il 16 ottobre 1944, il giorno stesso del suo arrivo a Auschwitz, cosi' come era avvenuto un paio di settimane prima a Petr Ginz. Oggi il suo ruolo di Brundibár è interpretato da giovani cantanti e attori di tutto il mondo.

Filmografia

Note

  1. ^ Fifty-Five Dress Rehearsals for Death.
  2. ^ Joža Karas. Music in Terezin 1941-1945. 2nd ed. Hillsdale: Pendragon, 2008.
  3. ^ Hannelore Brenner, The Girls of Room 28, New York: Schocken Books, 2009, p.139.
  4. ^ Joža Karas, “Operatic Performances in Terezín: Krása’s Brundibár”.
  5. ^ Joža Karas, “Operatic Performances in Terezín: Krása’s Brundibár”.

Bibliografia

  • Joža Karas, “Operatic Performances in Terezín: Krása’s Brundibár,” in Theatrical Performance during the Holocaust, eds. Rebecca Rovit and Alvin Goldfarb, (Baltimore: Johns Hopkins University Press: 1999).
  • Karas, Joža. Music in Terezin 1941-1945. 2nd ed. Hillsdale: Pendragon, 2008.
  • Brenner, Hannelore. The Girls of Room 28: Friendship, Hope, and Survival in Theresienstadt. Translated by John E. Woods and Shelly Frisch. New York: Schocken Books, 2009.
  • Anna Catherine Greer, Brundibár: Confronting the Misrepresentation of Resistance in Theresienstadt. Master's Thesis, University of Tennessee, 2013 [1]

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