Olocausto in Italia

persecuzione nazifascista degli ebrei, 1938–1945

L'Olocausto in Italia si colloca all'interno di un fenomeno di genocidio di ben più vaste proporzioni che negli anni dal 1933 and 1945 portò alla discriminazione e quindi all'eliminazione fisica di 6 milioni di ebrei europei. Nel suo articolarsi l'Olocausto (o Shoah) ha avuto in Italia tratti e sviluppi originali, svolgendosi in due fasi distinte. Il periodo tra il settembre 1938 e il 25 luglio 1943 fu il periodo in cui in Italia si attuò la “persecuzione dei diritti degli ebrei” (e di altre minoranze etniche) sotto il regime fascista, cui segui' la “persecuzione delle vite degli ebrei”, dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, sotto l’occupazione tedesca e la Repubblica sociale italiana.[1] Circa 7.500 ebrei italiani persero la vita; ovvero il 13% dei 58.412 cittadini italiani di "razza ebraica o parzialmente ebraica" censiti nel 1938.[2] Dopo i primi rastrellamenti ad opera dell'esercito tedesco, a partire dal 30 novembre 1943 la responsabilità primaria degli arresti e delle deportazioni ricade sulla polizia repubblichina italiana, che perseguirono questo scopo attraverso controlli di identità e delazioni remunerate, mentre i tedeschi si occuparono della gestione dei trasporti dal Campo di concentramento di Fossoli (o la Risiera di San Sabba) al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, luogo fisico degli eccidi. Gli ebrei perseguitati poterono però contare in Italia su una omertà diffusa e sull'attiva solidarietà non solo di singoli individui ma anche di organizzazioni clandestine di resistenza come la DELASEM e di settori significativi della Chiesa cattolica, solidarietà che si dimostrò capace di offrire una protezione efficace a migliaia di ricercati fino alla Liberazione o di favorire la loro emigrazione clandestina in Svizzera.

L'Olocausto in Italia nel suo contesto europeo

Gli ebrei e l'Unità d'Italia

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia degli ebrei in Italia.
 
Il Tempio Maggiore di Roma, inaugurato nel 1904

Gli ebrei in Italia rappresentano l'esempio di una comunità ben integrata da millenni nel tessuto sociale, economico e culturale. Nel periodo precedente all'Unità d'Italia, le comunità ebraiche italiane fecero esperienze di enormi difficoltà e discriminazioni (espulsioni, ghettizzazione, ecc.), ma non mancarono momenti positivi di incontro e di interazione a livello locale, che in epoca moderna favorirono il radicamento delle comunità in molti centri dell'Italia centrale e settentrionale (tra cui Roma, Torino Venezia, Mantova, Ferrara, Trieste, Firenze, Livorno, e altri).[3]

Gli ebrei italiani sostennero con grande entusiasmo il processo risorgimentale che per loro segnò la conquista della piena emancipazione come cittadini e co-fondatori del nuovo Stato nazionale.[4]

Nel nuovo stato gli ebrei godettero di una situazione di sostanziale parità di diritti, uscirono dai ghetti, costruirono monumentali sinagoghe ed ebbero ruoli importanti nella politica, nella pubblica amministrazione, nella scuola e nell'Universita, riempiendovi i vuoti prodotti dall'atteggiamento di non collaborazione a lungo mantenuto dai cattolici dopo la presa di Roma.[5]

La prima guerra mondiale segnò il momento di maggior identificazione tra l'ebraismo e il nuovo Stato: gli ebrei parteciparono in massa all'esercito e al sostegno dello sforzo bellico, monumenti furono eretti nelle sinagoghe ad onorare i caduti.[6]

Il fervore nazionalistico degli ebrei italiani si mantenne primo nel dopoguerra attraverso il supporto di molti di essi all'impresa di Fiume ed alla stessa costituzione del partito fascista. Appena giunto al potere nel 1922 il regime fascista si mostrò tuttavia più interessato a ricercare un compromesso con la Chiesa cattolica che legittimasse e rafforzasse il suo potere, piuttosto che a perseguire gli ideali risorgimentali di separazione tra Stato e Chiesa.[7]

Patti Lateranensi (1929)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Patti Lateranensi e Fascismo e questione ebraica.
 
La sinagoga di Genova, costruita nel 1935, in epoca fascista

I Patti Lateranensi furono il primo colpo inferto ai diritti conquistati dagli ebrei con il Risorgimento. Il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia ridusse l'ebraismo a culto ammesso, limitandone la libertà religiosa e introducendo nel curriculum scolastico l'insegnamento della religione cattolica.[8] Il regime continuò tuttavia a mantenere un atteggiamento ambivalente e non pregiudizialmente ostile all'ebraismo. La Legge Falco del 1930 instaurava un maggior controllo sulla vita delle comunità ebraiche in Italia, ma introduceva anche necessarie misure di semplificazione e razionalizzazione, che furono accolte con favore dalla maggioranza degli ebrei italiani. Agli ebrei fu concessa una relativa autonomia, un regime di auto-governo ed anche una qualche libertà associativa (principalmente attraverso l"Unione delle comunità israelitiche italiane e l'Associazione donne ebree d'Italia). Nel 1935 si autorizzò la costruzione della monumentale sinagoga di Genova, cosi' come nel 1928 si era fatto per la sinagoga ortodossa di Fiume. Tra i capi del Partito Fascista la presenza di fanatici antisemiti come Achille Starace e Roberto Farinacci era compensata da una forte componente filoebraica (che faceva riferimento a Italo Balbo e poteva contare anche sull'appoggio di Gabriele d'Annunzio). Molti ebrei (e rabbini) continuarono a servire nei ranghi del partito fascista, anche in posizioni di primo piano come il podestà di Ferrara, Renzo Ravenna.[9]

Le persecuzioni razziali fasciste (1938-1939)

  Lo stesso argomento in dettaglio: Leggi razziali fasciste.
 
Le leggi razziali fasciste annunciate dal Corriere della Sera
 
Applicazione dei provvedimenti discriminatori contro gli ebrei italiani

Nel 1938, in seguito alla pubblicazione del Manifesto della razza, in Italia furono emanate le leggi razziali. Presso il Ministero degli Interni fu istituita la Direzione generale Demografia e Razza, con il compito di coordinare le iniziative di discriminazione, le quali implicarono la creazione di istituzioni statali preposte alla loro applicazione. La divulgazione delle politiche razziali fu affidata alla rivista La difesa della razza (1938-1943), rivista stampata dall'Editrice Tumminelli a Roma.[10]

Il fascismo cercò di "sfumare" alcuni aspetti delle leggi razziali per venire incontro a quei settori della Chiesa cattolica che vedevano favorevolmente la perdita dei diritti civili da parte degli ebrei ma non gli "eccessi" del nazismo, che colpivano indiscriminatamente ebrei osservanti e ebrei battezzati. Si considerano ad esempio "ariani" i figli di matrimoni misti, che fossero stati battezzati prima del 1937.[11]

Sia pure con qualche distinguo, le leggi razziali fasciste produssero tuttavia un'effettiva e totalitaria "arianizzazione" delle società italiana, con conseguenze devastanti. Esse colpirono gli ebrei direttamente in quei settori (pubblica amministrazione, esercito, scuola, Università) in cui con più forza ed entusiasmo gli ebrei italiani si erano impegnati nel periodo post-risorgimentale. Le conseguenze non furono minori dal punto di vista psicologico. Per gli ebrei le leggi razziali furono vissute come un tradimento da parte di uno Stato con cui essi si erano identificati e le cui sorti essi avevano lealmente sostenuto fino dalla sua costituzione. Non mancarono casi eclatanti di suicidio per protesta, come quello dell'editore Angelo Fortunato Formiggini.[12]

Da parte ebraica si rispose con la formazione di una rete di agenzie (in primo luogo, scuole ebraiche) in grado di gestire autonomamente quei servizi che lo Stato fascista ora non forniva più. Per molti l'emigrazione si prospettò come l'unica via di uscita. Il fascismo immediatamente revocò il permesso di residenza alla maggior parte degli ebrei stranieri. Circa la metà di essi lasciò il paese.[13] La perdita del lavoro costrinse anche molti ebrei italiani a lasciare l'Italia. Francia, Inghilterra, gli Stati Uniti e il Sudamerica furono le mete preferite di emigrazione, Le limitazioni imposte dagli Stati ospitanti e il tempo ristretto prima dello scoppio della guerra permisero ad un numero consistente ma pur sempre limitato di ebrei (circa 6,000) di lasciare il paese (circa l'8%) ed evitare cosi' le conseguenze più tragiche dell'Olocausto. L'Italia perse alcuni dei suoi intellettuali migliori: Emilio Segrè, Bruno Rossi, Ugo Lombroso, Giorgio Levi Della Vida, Mario Castelnuovo-Tedesco, Ugo Fano, Roberto Fano, Salvatore Luria, Guido Fubini, Franco Modigliani, Arnaldo Momigliano e molti altri. Con loro lasceranno l'Italia anche Enrico Fermi e Luigi Bogliolo, le cui mogli erano ebree.

La seconda guerra mondiale (I): L'Italia alleata della Germania nazista (1940-1943)

 
Uno dei pochi edifici rimasti del Campo di internamento di Ferramonti di Tarsia

La prima conseguenza dell'entrata in guerra dell'Italia nel giugno 1940 al fianco della Germania nazista fu l'istituzione di una fitta rete di campi per l'internamento civile riservati in primo luogo ai profughi ebrei stranieri, ma anche a quegli ebrei italiani ritenuti "pericolosi" perché antifascisti.[14] Per la prima volta si verificarono anche episodi di violenza antiebraica, che a Ferrara (21 settembre 1941) e Trieste (18 luglio 1942) sfociarono nel saccheggio delle locali sinagoghe. La maggior parte dei campi di internamento (e tra loro i più grandi, quelli di Campagna e di Ferramonti di Tarsia) furono situati nel Sud Italia, un elemento questo che nel seguito della guerra si mostrerà decisivo per la salvezza di molti degli internati.

La funzione e organizzazione dei campi per l'internamento civile nell'Italia fascista, operanti tra il 10 giugno 1940 e l'8 settembre 1943, vanno nettamente distinte da quello che alcuni di essi poi diventeranno dopo l'8 settembre 1943, quando divennero parte dalla macchina di morte dell'Olocausto. La vita nei campi prima dell'8 settembre 1943 fu difficile, ma il modello adottato fu piuttosto quello dei campi di confino; agli internati era concessa una certa libertà di movimento e autonomia organizzativa, e la possibilità di ricevere aiuti e assistenza dall'esterno. Il trattamento fu simile a quello di una prigionia, e non fu affiancato da violenze antisemite fisiche o morali aggiuntive. Gli ebrei internati soprattutto non erano soggetti a deportazione nei campi di sterminio.

Gli ebrei italiani si mobilitarono a favore dei loro correligionari internati attraverso la DELASEM (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei), una società di assistenza per i profughi che era stata creata dall'Unione delle comunità israelitiche in Italia il 1º dicembre 1939 con l'assenso del regime.[15] Durante tutto il primo periodo bellico fino all'8 settembre del 1943 la DELASEM poté svolgere legalmente un'opera fondamentale nell'assistenza dei profughi ebrei, rendendo meno dure le condizioni di vita nei campi, favorendo l'emigrazione di migliaia di internati e quindi sottraendoli di fatto allo sterminio. Le rete di rapporti stabiliti dalla DELASEM, specialmente con vescovi e ambienti cattolici, sarà decisiva per la continuazione delle sue attività in una condizione di clandestinità dopo l'8 settembre 1943.

Per tutto il primo periodo bellico il regime fascista e l'esercito italiano si attennero alle politiche discriminatorie messe in atto con le leggi razziali, le quali non contemplavano lo sterminio fisico degli ebrei sotto giurisdizione italiana o la loro consegna all'alleato tedesco, favorendo piuttosto soluzioni alternative quali l'emigrazione in paesi neutrali.[16] Così nel 1942 il comandante militare italiano in Croazia si rifiutò di consegnare gli ebrei della sua zona ai nazisti. A Salonicco il console Guelfo Zamboni si adoperò a salvare circa 350 ebrei italiani (o di discendenza italiana) dalla deportazione.[17] Nel gennaio del 1943 gli italiani rifiutarono di collaborare con i nazisti nel rastrellare gli ebrei che vivevano nella zona occupata della Francia sotto il loro controllo, e nel marzo impedirono ai nazisti di deportare gli ebrei dalla loro zona. Il Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop presentò un esposto a Benito Mussolini protestando che "i circoli militari italiani ... mancano di una corretta comprensione della questione ebraica".

Le zone occupate dagli Italiani rimasero quindi relativamente sicure per gli ebrei, tanto che tra il 1941 e il 1943, migliaia di ebrei fuggirono dai territori occupati dai Tedeschi in quelli occupati dagli Italiani in Francia, Grecia e Jugoslavia. Qui furono trasferite nei campi di internamento. Tra di loro anche gruppi di orfani che furono ospitati dalla DELASEM a Villa Emma (Nonantola).

La seconda guerra mondiale (II): L'occupazione tedesca e la Repubblica Sociale Italiana (1943-1945)

 
Lapidi in memoria delle vittime del rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943

Il collasso del fronte africano e lo sbarco degli Alleati in Sicilia portarono il 25 luglio 1943 alla caduta di Mussolini e alla sua sostituzione con Badoglio sotto il patrocinio della monarchia. Il nuovo governo negoziò in segreto un armistizio con gli Alleati. Per evitare la resa, l'8 settembre le forze tedesche invasero rapidamente le zone centrali e settentrionali del paese, Ponendo Mussolini a capo della Repubblica Sociale Italiana (RSI) con sede a Salò. Il re e il suo governo si rifugiarono al sud, ora saldamente in mano agli alleati.

Con il paese spaccato in due, la nuova situazione significò l'immediata liberazione di quegli ebrei (in massima parte stranieri) che erano confinati nei campi d'internamento del Sud, ma un subitaneo e drammatico cambiamento per i circa 43.000 ebrei (35.000 italiani e 8.000 stranieri) che vivevano ora sotto occupazione nazista e soggetti ad immediata deportazione.[18]

La macchina di morte dell'Olocausto si mise in moto con effetto immediato, con l'intento di applicare la "soluzione finale" all'intera popolazione ebraica in Italia. Non mancarono gli eccidi e le stragi in loco (episodi brutali come l'Olocausto del Lago Maggiore), ma secondo una prassi ormai consolidata nei paesi dell'Europa occidentale, lo sterminio si realizza in modo più discreto attraverso l'arresto e la deportazione degli ebrei verso i campi di sterminio dell'Europa centrale dove potevano essere compiuti lontani da occhi indiscreti. Dai campi di internamento fascisti si passa ad un sistema integrato di campi di concentramento e transito finalizzato all'organizzazione di trasporti ferroviari verso i campi di sterminio, in primo luogo Auschwitz. Si richiede anche un'azione capillare di polizia per la ricerca e la cattura dei fuggitivi. A tale opera si dedicano dapprima speciali reparti delle SS, al comando di Theodor Dannecker, un veterano della soluzione finale, gia' attivo in Francia e Bulgaria.[19] Si compirono le prime grandi retate: il 9 ottobre a Trieste e poi il 16 ottobre il rastrellamento del ghetto di Roma. Quindi tra fine ottobre e inizio novembre si procedette ad arresti di massa, in Toscana, Bologna e nel triangolo Milano-Torino-Genova. Per non suscitare proteste e tensioni, all'inizio alcune nazionalità (ungherese, inglese) furono escluse dalle deportazioni, cosi' come furono esentati dalla cattura gli ebrei con genitore o coniuge "ariano".

Una svolta decisiva si ebbe il 14 novembre 1943 quando a Verona nel Manifesto programmatico del nuovo partito fascista repubblicano si affermò che “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. Il 30 novembre le autorità di polizia e le milizie della Repubblica Sociale Italiana furono mobilitate per l'arresto di tutti gli ebrei e il loro internamento e la confisca dei loro beni. Con il coinvolgimento delle forze repubblichine diminui' l'impegno diretto delle forze tedesche e nel gennaio 1944 Theodor Dannecker pote' lasciare l'Italia per andare a occuparsi delle deportazioni degli ebrei ungheresi.[20] Dai campi di internamento provinciali gli ebrei arrestati erano concentrati nel campo di concentramento di Fossoli vicino a carpi in Emilia [21] o alla Risiera di San Sabba a Trieste,[22] dove venivano presi in consegna dai tedeschi e condotti ad Auschwitz.

In tutto i Tedeschi deportarono 8.564 Ebrei dall’Italia e dalle zone occupate dagli Italiani in Francia e nelle isole di Rodi e di Kos, la maggior parte ad Auschwitz; degli oltre ottomila deportati, solo 1.009 fecero ritorno.[23]

Oltre 300 ebrei furono uccisi in Italia, in atti di violenza, o al momento della cattura o durante il trasporto a Fossoli. La più grande strage avvenne il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine dove prigionieri ebrei furono inclusi tra i civili e politici uccisi come rappresaglia per l'attentato compiuto dalle forze di resistenza a Roma contro soldati tedeschi. Almeno 75 tra le 323 vittime furono ebrei.

La resistenza all'Olocausto

  Lo stesso argomento in dettaglio: Resistenza ebraica, DELASEM, Giusti tra le nazioni e Brigata ebraica.

Dietro a ogni ebreo catturato vi fu la delazione di italiani attratti dalla ricompensa offerta e lo zelo di funzionari di polizia italiani. Gli ebrei d'altro lato furono aiutati da una vasta rete di solidarietà, che fu favorita in primo luogo dalla fitta rete di contatti familiari e sociali che gli ebrei italiani avevano con non-ebrei. La DELASEM prosegue la sua opera nella clandestinità forte del supporto decisivo di non-ebrei che ne tengono in vita le centrali operative a Genova e Roma.[24] Per tutta la durata del conflitto La DELASEM garanti' un flusso ininterrotto di denaro che dalle organizzazioni ebraiche mondiali giungeva a Genova tramite il nunzio apostolico svizzero e da Genova era distribuito in tutta l'Italia, per aiutare le necessità (per cibo, alloggio, documenti falsi) di coloro che dovevano nascondersi. Tra gli ebrei italiani direttamente impegnati nell'organizzazione si ricordano in particolare: Lelio Vittorio Valobra e Massimo Teglio a Genova, Giorgio Nissim a Lucca, Mario Finzi a Bologna, Nathan Cassuto, Raffaele Cantoni e Matilde Cassin a Firenze, Dante Almansi, Settimio Sorani e Giuseppe Levi a Roma, Salvatore Jona in Piemonte.

Privati cittadini, ma anche istituti religiosi, orfanotrofi, parrocchie aprirono le loro porte ai fuggitivi. La geografia dei luoghi di rifugio offre una mappa impressionante delle dimensioni del fenomeno. Grazie anche alle risorse e alle complicità offerte da questa rete di solidarietà. Oltre 5.500 ebrei attraversarono clandestinamente il confine con la Svizzera. Circa 500 ebrei riuscirono ad attraversare il fronte e a raggiungere i territori in mano alleata nel sud Italia. Ma, cosa ancora più importante, 29.000 ebrei (compresi donne, bambini e anziani) sopravvissero nascosti nei territori sotto controllo nazista, vivendo protette da altri perseguitati e da non ebrei. A quasi 700 italiani l'Istituto Yad Vashem ha ufficialmente riconosciuto il titolo di giusti fra le nazioni per aver salvato ebrei durante l'Olocausto.[25]

Numerosissimi (circa 2000) furono gli ebrei che parteciparono attivamente alla Resistenza (1000 inquadrati come partigiani e 1000 in veste di "patrioti"), con la massima concentrazione (circa 700) in Piemonte.[26] La percentuale, pari al 4 per cento della popolazione ebraica italiana, è di gran lunga superiore a quella degli italiani nel loro complesso. Circa 100 ebrei caddero in combattimento o, arrestati, furono uccisi nella penisola o in deportazione; otto furono insigniti di medaglia d'oro alla memoria (Eugenio Colorni, Eugenio Curiel, Eugenio Calò, Mario Jacchia, Rita Rosani, Sergio Forti, Ildebrando Vivanti, Sergio Kasman).[27] Tra gli esponenti ebrei di maggior rilievo della Resistenza si annoverano: Enzo Sereni, Emilio Sereni, Vittorio Foa, Carlo Levi, Primo Levi, Umberto Terracini, Leo Valiani, e Elio Toaff. Fra i caduti, vanno ricordati il bolognese Franco Cesana, il più giovane partigiano d'Italia, i torinesi Emanuele Artom e Ferruccio Valobra, i triestini Eugenio Curiel e Rita Rosani, il milanese Eugenio Colorni, il toscano Eugenio Calò, gli emiliani Mario Finzi e Mario Jacchia, e l'intellettuale Leone Ginzburg.[28] Di cruciale importanza fu infine la presenza della Brigata ebraica che nel 1944-45 operò sul fronte italiano al seguito delle truppe alleate e alla quale si unirono ebrei italiani dalla Palestina o dalle zone liberate.

Vittime e sopravvissuti

 
Primo Levi, interprete e testimone autorevole dell'Olocausto in Italia
  Lo stesso argomento in dettaglio: Libri di memorie sull'Olocausto.

Il Centro di documentazione ebraica contemporanea ha fatto enormi sforzi per dare un nome e un volto a tutti i deportati italiani e a preservarne la memoria individuale, oltre che la storia collettiva. I loro nomi e dati biografici essenziali sono oggi nel reperibili ne Il libro della memoria: gli ebrei deportati dall'Italia, 1943-1945, pubblicato a cura di Liliana Picciotto Fargion.[29]

Tra le vittime dell'Olocausto ci sono personalità di rilievo della cultura italiana: scienziati (Leone Maurizio Padoa, Ciro Ravenna, Enrica Calabresi), economisti (Renzo Fubini, Riccardo Dalla Volta), rabbini (Nathan Cassuto, Riccardo Pacifici), militari (Augusto Capon), sportivi (Leone Efrati, Raffaele Jaffe), musicisti (Mario Finzi, Leone Sinigaglia).

Tra i sopravvissuti dai campi di sterminio alcuni si sono distinti come autori di importanti libri di memorie o per il loro impegno pubblico come testimoni, a cominciare da Primo Levi e Liana Millu. In anni più recenti l'interesse è cresciuto anche riguardo all'esperienza degli ebrei rimasti nascosti in Italia durante il periodo delle persecuzioni, nonche' delle vicende delle persone che li hanno protetti e aiutati.

Il dopoguerra

  Lo stesso argomento in dettaglio: Brigata ebraica e Bambini di Selvino.
 
Sciesopoli ebraica, la colonia per i bambini ebrei orfani, sopravvissuti all'Olocausto

Un'azione importante nel corso della guerra di liberazione italiana e nelle fasi immediatamente successive fu compiuta dalla Brigata ebraica operante sul fronte italiano.[30] La Brigata svolse un'opera fondamentale nei ricongiungimenti familiari e nella ricostruzione delle tessuto organizzativo delle comunità ebraiche, finanche nell'individuazione dei reposnsabili delle operazioni antiebraiche. Ben presto gli uffici comunitari e le sinagoghe furono riaperte. Al tempo stesso, per la sua posizione geografica l'Italia divenne un importante luogo di raccolta per molti ebrei sopravvissuti dall'est europeo (tra cui numerosi bambini rimasti orfani) che vi fecero tappa prima del loro trasferimento in Israele. Diverse migliaia di ebrei in viaggio verso la Palestina trovarono accoglienza nel campo profughi ebrei di Santa Maria al Bagno in Puglia. A Selvino nel bergamasco la Casa Alpina "Sciesopoli" ospitò tra il 1945 e 1948 più di 800 bambini ebrei orfani (i cosiddetti Bambini di Selvino).

Con la partecipazione ebraica alla nascita della Repubblica Italiana e alla stesura della nuova Costituzione si ricostrui' almeno in parte quel rapporto privilegiato che il Risorgimento aveva stabilito tra l'ebraismo e la società italiana. Pur riconoscendo i Patti Lateranensi, la nuova Costituzione Italiana ristabili' sostanziale libertà di culto e protezione per i culti ammessi.

Nonostante le vaste responsabilità di italiani nella caccia agli ebrei, nell'opinione pubblica prevale un atteggiamento di auto-assoluzione che attribuisce l'Olocausto ad un crimine nazista imposto dagli occupanti "stranieri" di cui l'intera popolazione italiana era stata vittima, e a cui anzi si era eroicamente ribellata. Poco o niente si fece per punire coloro che in Italia si erano fatti complici dell'Olocausto e far piena luce su questa pagina oscura della storia italiana. La restituzione dei beni confiscati e il reintegro nel lavoro per coloro che lo avevano perso con le leggi razziali procedette a rilento. Anche i rapporti con la Chiesa cattolica si mantennero difficili, segnati dal caso Zolli (con la conversione dell'ex-rabbino capo di Roma al cattolicesimo sotto la personale egida di Pio XII).

L'esperienza della DELASEM tuttavia lascia un profondo segno con la fondazione anche in Italia, a Firenze, dell'Amicizia Ebraico-Cristiana che per impulso di Giorgio La Pira spinge per una profonda revisione dei rapporti tra ebraismo e Chiesa cattolica. L'elezione di papa Giovanni XXIII segue un primo importante punto di svolta. Come nunzio apostolico in Turchia e quindi nel dopoguerra in Francia Giovanni Roncalli si era dimostrato particolarmente sensibile alle sofferenze del popolo ebraico. Nel 1965 il suo successore Paolo VI, durante la guerra segretario di Stato vaticano e uno dei maggiori referenti nelle operazioni di salvataggio degli ebrei, si adopero' in primo persona perche' la dichiarazione conciliare Nostra Aetate contenesse una chiara ed inequivoca condanna dell'antisemitismo. Nel 1987 si svolse la prima visita di un Papa, Giovanni Paolo II, al Tempio Maggiore di Roma, accolto anche da un gruppo di ex-deportati.

La memoria dell'Olocausto in Italia

 
Il campo di Fossoli, oggi
 
La Risiera di San Sabba, oggi
 
Mausoleo alle vittime delle Fosse Ardeatine
 
Memoriale del campo di transito di Bolzano

Il monumento alle vittime dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine fu inaugurato il 24 marzo 1949. L'eccidio tuttavia non fu collegato dall'opinione pubblica all'Olocausto, quanto alla Resistenza al nazi-fascismo.

Il 23 ottobre 1964 una lapide fu apposta al ghetto di Roma in memoria del rastrellamento del 16 ottobre 1943

Con il D.P.R. n. 510 del 15 aprile 1965, il Presidente Giuseppe Saragat dichiarò la Risiera di San Sabba Monumento Nazionale, quale "unico esempio di lager nazista in Italia".[31]

Solo nel 1984 grazie ad una legge speciale, l'area dell'ex campo di Fossoli venne concessa a titolo gratuito al Comune di Carpi che, dopo l'apertura nel 1973 del Museo - monumento al deportato, ne aveva fatto richiesta all'Intendenza di finanza. Il campo di Fossoli aveva continuato ad essere usato nel dopoguerra come campo profughi e orfanotrofio. Se ne riscopriva ora il ruolo di centro principale per le deportazioni. Fino al gennaio 2001 la gestione del Museo e dell'ex campo rimase a cura del Comune di Carpi, che da quella data in poi l'affidò alla Fondazione Fossoli.

Nel 1997 lo straordinario successo del film La vita è bella di Roberto Benigni riaccese l'interesse in Italia sull'Olocausto e sui suoi sviluppi italiani.

Nel 2000 fu istituito anche in Italia il Giorno della Memoria, che è divenuto occasione di numerose iniziative in memoria dell'Olocausto.

Il Italia non esiste ancora un Museo dell'Olocausto per quanto con l'unanimità dei gruppi parlamentari, il 17 aprile 2003 sia stato approvata l'istituzione con la legge n.91/2003 del "Museo Nazionale della Shoah" con sedi a Roma e Ferrara. A Roma esiste fin dal 2006 un Comitato promotore, che dà vita nel luglio 2008 alla Fondazione Museo della Shoah.[32], con lo scopo di promuovere iniziative a supporto del progetto. L'apertura della sede museale a Roma è pero' ancora (2017) in fase di progettazione. Il 13 dicembre 2017 e' invece prevista l'inaugurazione della prima sezione del parallelo progetto di Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah (MEIS) a Ferrara, riutilizzando gli edifici e l'area dell'ex-carcere della citta'. Il museo ferrarese tuttavia dovrebbe concentrarsi piu' sulla storia e sul contributo generale dato dall'ebraismo negli oltre duemila anni della sua presenza in Italia.[33]

Le vicende dell'Olocausto italiano sono ancora oggi scarsamente conosciute a livello internazionale, nonostante alcune pubblicazioni, il rilievo internazionale della figura e dell'opera di Primo Levi e l'apertura del Centro Primo Levi a New York.[34] Lo spazio dedicato all'esperienza italiana è marginale nei grandi musei dell'Olocausto a Gerusalemme e Washington.

Nella cultura popolare

Filmografia

Note

  1. ^ Michele Sarfatti, "La persecuzione degli ebrei in Italia".
  2. ^ Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria: gli ebrei deportati dall'Italia, 1943-1945. Milano: Mursia, 2011.
  3. ^ Riccardo Calimani, Storia degli ebrei italiani, Mondadori, 2013. ISBN 978-88-04-62704-3
  4. ^ A.A. Mola, Isacco Artom e gli ebrei italiani dai risorgimenti al fascismo, Bastogi Editrice Italiana, 2002. ISBN 978-88-8185-460-8
  5. ^ Ferrara degli Uberti, Carlotta, Fare gli ebrei italiani. Autorappresentazioni di una minoranza (1861-1918), Il Mulino, Bologna, 2010.
  6. ^ Caterina Quereni e Vincenza Maugeri (a cura di), Gli ebrei italiani nella Grande Guerra (1915-1918), Firenze: Giuntina, 2017.
  7. ^ Michele Sarfatti, Gli ebrei nell'Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, 2007. ISBN 978-88-06-17041-7
  8. ^ Giulio Disegni, Ebraismo e libertà religiosa in Italia, Torino: Einaudi, 1983.
  9. ^ Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino: Einaudi, 1993 (IV ed.). ISBN 88-06-13257-1
  10. ^ Valentina Pisanty, La difesa della razza, Milano, Bompiani, 2006 ISBN 978-88-452-1419-6
  11. ^ Susan Zuccotti, Il Vaticano e l'Olocausto, Milano: Mondadori, 2001.
  12. ^ Nunzia Manicardi, Formiggini: l'editore ebreo che si suicidò per restare italiano, Modena: Guaraldi, 2001.
  13. ^ Sarfatti, p.2.
  14. ^ Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L'internamento civile nell'Italia fascista, 1940-1943 (Einaudi: Torino, 2004)
  15. ^ S. Sorani, L'assistenza ai profughi ebrei in Italia (1933-1947). Contributo alla storia della DELASEM (Carocci: Roma 1983); Sandro Antonimi, DELASEM: Storia della più grande organizzazione ebraica di soccorso durante la seconda guerra mondiale (De Ferrari: Genova, 2000).
  16. ^ Michele Sarfatti, The Jews in Mussolini's Italy: From Equality to Persecution, 2006, loc. cit.; Ilaria Pavan, Tra indifferenza e oblio. Le conseguenze economiche delle leggi razziali in Italia 1938-1970, 2004.
  17. ^ Mordechai Paldiel, Diplomat Heroes of the Holocaust, Jersey City: KTAV, 2007.
  18. ^ Susan Zuccotti, L’olocausto in Italia, Tea storica ,1995; Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 1972.
  19. ^ Claudia Steur, Theodor Dannecker: ein Funktionär der "Endlösung", Essen: Klartext, 1997.
  20. ^ Steur, Theodor Dannecker, 1997.
  21. ^ Liliana Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento: gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944, Milano: Mondadori, 2010.
  22. ^ Tristano Matta, Il Lager di San Sabba. Dall'occupazione nazista al processo di Trieste, Trieste: Beit casa editrice, 2013, ISBN 978-88-95324-30-2.
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Voci correlate

Collegamenti esterni

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