Chiesa e convento di San Matteo
La chiesa e convento di San Matteo si trovano in Piazza San Matteo in Soarta a Pisa.
| Museo Nazionale di San Matteo | |
|---|---|
| Ubicazione | |
| Stato | |
| Località | Pisa |
| Indirizzo | piazza San Matteo in Soarta, 1 |
| Coordinate | 43°42′52.32″N 10°24′27.41″E |
| Caratteristiche | |
| Tipo | arte |
| Intitolato a | Matteo |
| Direttore | Dario Matteoni |
Con la fondazione del monastero di monache benedettine nel 1027, la chiesa fu riedificata sopra una precedente chiesetta a tre absidi.
Fu ampliata nel XII (resti a lato della facciata, sul fianco e campanile) e nel XIII secolo (nel Museo, resti di una zona presbiteriale a tre navate), mentre il monastero ingloba edifici precedentemente separati in un complesso quadrilatero intorno a un cortile.
L'attuale aula unica fu risistemata nel Seicento; la facciata è del 1610. Nel Settecento fu decorato l'interno per opera di Giuseppe e Francesco Melani con ricchi affreschi barocchi con la Gloria di San Matteo nella volta (trompe-l'œil) e Storie della vita di San Matteo di Sebastiano Conca, Francesco Trevisani, Jacopo Zoboli.
Sull'altare, Crocifisso su tavola del XIII secolo.
La fondazione
Gli atti di fondazione
Furono i coniugi Ildeberto degli Albizi e la moglie Donna Teuta del fu Omicio a volere l’istituzione di un complesso monastico dedicato a San Matteo, tramite la convalidazione di due atti separati, uno del 1027 e uno del 1028.
L’atto del 18 maggio 1027 venne disposto da Donna Teuta che, con il consenso del marito, dispose l'edificazione di un monastero benedettino femminile, in un terreno di sua proprietà, intitolato all'apostolo ed evangelista San Matteo. L'atto prevedeva anche la concessione di altri terreni per una superficie totale di trentadue staiora ed altri appezzamenti di terra.
Il luogo scelto per il cenobio fu Soarta, località in prossimità dell’Arno che comprendeva una zona posta sulla riva destra del fiume e che aveva i suoi capi alla chiesa di San Silvestro, a quella di Santa Viviana e alla chiesa di Sant’Andrea.
Più tardi, agì il marito di Teuta, Ildeberto, che nel 19 gennaio 1028 donò al monastero gli stessi beni concessi dalla moglie, più altre proprietà, specificando i nomi dei santi a cui l'edificio sarebbe stato dedicato: Matteo, Benedetto, Cosimo, Damiano e Lucia, dediche successivamente decadute.
Entrambi i documenti riportano le disposizioni da seguire per l’elezione della badessa, che avrebbe dovuto essere investita dai fondatori del complesso, dai loro eredi e proeredi. Nel caso in cui, invece, non fosse stato possibile designarla all’interno del monastero, si sarebbe scelta fuori dal cenobio, eletta dalle monache, dai fondatori e dagli eredi.
I due atti di fondazione differiscono per alcuni punti:
- Ildeberto dichiara nel documento di aver disposto della costruzione del monumento, non solo per assolvere i propri peccati e quelli della moglie, ma anche per “pro anima beate memorie Henrici imperatoris seo pro remedio donni Cuhonradus imperator”, dichiarazione che sottolinea l'interesse di voler rimanere in buoni rapporti con la figura imperiale
- Al momento della stesura del primo atto di fondazione, quello eseguito nel 1027 da Teuta, chi guidava il monastero era l’abate Bono. Importante organizzatore della vita monastica pisana e primo abate del monastero di san Michele in Borgo, Bono venne incaricato di occuparsi dell'organizzazione del monastero di San Matteo per un periodo temporaneo, fino a che i fondatori e la congregazione delle monache fossero stati in grado di eleggere regolarmente una badessa. Invece, nel periodo in cui fu redatto il secondo atto di fondazione, quello firmato da Ildeberto del 1028, era a capo del cenobio Ermengarda, la badessa verosimilmente figlia dei fondatori
- L'atto di fondazione firmato da Ildeberto venne dedicato al defunto imperatore Enrico II e al suo successore, Corrado II.
Il documento di fondazione, scritto a mano dallo stesso Ildeberto, fa supporre che egli fosse stato un notaio o un funzionario imperiale e che, anche per questo motivo, considerasse importante mantenere un rapporto, già iniziato con l' imperatore Enrico II, anche con il successore Corrado il Salico, così da ottenere la conferma dei beni posseduti. [1]
I coniugi fondatori
Ildeberto degli Albizi fu il capostipite di una progenie, quella dei de domo Petri, poi Casapieri, che raggiunse i vertici della società cittadina pisana.
Si hanno notizie di Ildeberto Albizio, figlio di Ermingarda, solo per il periodo compreso tra il 1016 e il 1028, ed il suo nome fu sempre legato agli atti relativi al monastero.
Nel 1030 probabilmente era già morto poiché veniva nominato in un documento dell’anno un certo Giovanni, figlio della buona memoria di Ildeberto.
Ildeberto veniva soprannominato quasi sempre con il matronimico, cosa che accadeva generalmente per i figli di ecclesiastici concubinari. Infatti, alcuni documenti lo riportano come figlio di Pietro detto Albizio, prete nel 1011 e arciprete tra il 1012 e il 1014.
La famiglia di questi fondatori era una delle più importanti della città, ed era in stretti rapporti con l’imperatore Enrico II.
Anche i discendenti continuarono ad avere buoni rapporti con il potere e riuscirono ad ottenere da Enrico IV la concessione di alcune terre pubbliche.
Nella genealogia della famiglia ricorre molto frequentemente il nome Pietro, per perpetuare nei posteri il ricordo di Pietro III, eroe della guerra nella Spedizione delle Baleari del 1114-1115. L’intera casata prese così il nome de domo Petri, diffusosi con il volgare come Casapieri. [2]
I motivi della fondazione
La fondazione di un monastero da parte di una famiglia assicurava la salvezza delle loro anime ma aveva anche delle finalità economico-sociali e politico-signorili.
Dal punto di vista religioso il monastero diventava un centro spirituale per la famiglia: ecco perché l’elezione della badessa o dell’abate era un compito che spettava ai fondatori, che in questo modo si sarebbero assicurati la salvezza delle anime dell'intera famiglia mentre i religiosi, in cambio, avrebbero ottenuto beni materiali.
L’affermazione della famiglia nel tessuto cittadino era uno degli aspetti economico-sociali perché, con la costruzione di un monastero, la famiglia si sarebbe elevata sopra le altre casate. Inoltre, economicamente, i terreni che costituivano il centro monastico, permisero alla zona di diventare un centro agrario con attività da gestire per mezzo di molte famiglie “vassalle” che divennero suddite dell’ente.
Uno degli aspetti politico-signorili della fondazione di un monastero, poteva essere la volontà dei fondatori di non disperdere il proprio patrimonio fondiario tra i discendenti e far gestire tutte le terre ad un unico ente. [3]
Il territorio
Dai due atti di fondazione dei coniugi Donna Tetuta e Idelberto degli Albizi, è possibile ricostruire la fisionomia del luogo com’era allora, un territorio caratterizzato da frutteti, orti e terre laboratorie. Le strade vicine, che costeggiavano le mura, furono importanti per l’espansione futura dell’ente: la via che costeggiava il fiume Arno segnava due confini contigui di una stessa terra appartenente al monastero, mentre la Via Calcesana, chiamata così perchè portava a Calci, provvedeva al collegamento delle zone dell’entroterra. Inizialmente rurale quindi, il territorio subì molte trasformazioni dovute all’incremento edilizio iniziato con la costruzione del monastero. Inizialmente denominata con il fitotoponimo Spina Alba, in breve tempo prese anche la denominazione di Fossabandi, per indicare il luogo dei primi acquisti terreni del cenobio. [4]
Il monastero
La prima badessa du Ermingarda, forse figlia di Ildeberto Albizo e Teuta, mentre la seconda fu Teuta II, probabilmente nipote dei fondatori. La cronologia delle madri superiori si può evincere dai documenti sulle attività del patrimonio fondiario del monastero. A Teuta succedette Mingarda, attestata in un documento del 1116: è a lei che Papa Pasquale II indirizzò il diritto di sepoltura concesso al monastero. Nei secoli XI-XIV il patrimonio del monastero aumentò molto, grazie ai lasciti dei coniugi fondatori e alle donazioni di privati, che erano per lo più terreni. Le badesse, tramite il compra e vendita, cercavano di accentrare i loro bene terrieri nella zona intorno al monastero. Pietro, prete della chiesa del del monastero di San Matteo dal 1111 al 1120, effettuò i primi acquisti da parte del monastero. Le badesse erano affiancate nella gestione economica da laici, chiamati gastaldi. Il gastaldo veniva eletto dalla badessa, con la presenza dei gudici pubblici, di un console di giustizia e delle monache. La principale fonte di sostentamento del monastero si doveva ai prodotti coltivati nei terreni, quindi vino, olio e frutta. Il pesce non mancava, vista la vicinanza delle proprietà ai fiumi principali: Arno, Serchio ed Era. Presto le monache riuscirono ad acquistare sempre più terreni intorno al cenobio, cedendo quelle più lontane e difficilmente controllabili. Così venne a costituirsi il monastero di San Matteo. [5]
Il complesso edilizio
La storia di tutto il complesso ci testimonia come l’aspetto originario del complesso edilizio del San Matteo sia cambiato con il tempo a causa delle frequenti modifiche, dei restauri e anche di qualche incidente. Nel 1607, un terribile incendio distrusse gran parte della chiesa e del monastero.
Dopo questo avvenimento, la chiesa venne ricostruita e modificata per volere di Cosimo III de' Medici. In questa occasione l’aula unica venne preferita rispetto alla soluzione dell’impianto a tre navate che la chiesa aveva originariamente. Gli interventi finirono nel 1610, come testimonia l’iscrizione posta sulla facciata dell’edificio: «MIDCX COSMO II MAGNO HETR DUCE IV IMP.TE EUGENIA ARNIA MERIT.TAABB.A ASMDCX».
Numerosi cambiamenti intervennero intorno alla metà del XIX secolo, quando il monastero fu soppresso e trasformato in carcere. Particolare è la storia che riguarda l’edificio del XVI secolo denominato Chiesa della Madonna o Chiesa delle monache di San Matteo, costruito dietro al campanile e andato completamente distrutto a causa dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Attualmente, il complesso prevede, oltre alla chiesa e al campanile, l’edificio in cui ha sede il Museo Nazionale di San Matteo e quello che costituisce il Dipartimento di Storia delle Arti dell’Università di Pisa.[6]
La chiesa
La chiesa dedicata a San Matteo a Pisa, venne originariamente costruita in stile romanico e situata fuori dalla città. Sin dall’inizio, la chiesa ebbe un ruolo importante nella gestione della vita cattolica dei luoghi limitrofi. Questo lo dimostra una bolla pontificia datata 1115, nella quale Papa Adriano IV affida la giurisdizione delle chiese dei quartieri vicini e la guida spirituale dei loro fedeli alla parrocchia di San Matteo. Questo aumentò gli obblighi del parroco della suddetta chiesa ed anche le sue ricchezze. La chiesa ricevette inoltre molti lasciti da parte di chi voleva essere ricordato durante le funzioni religiose e in questo modo assicurarsi il salvamento dell’anima. Da un libro denominato “debitori e creditori”, che riportava le voci di Dare e Avere, si capisce che giravano intorno alla chiesa moltissimi artigiani che assicuravano con il loro operato il mantenimento della struttura. Altre fonti sono documentate dalle descrizioni fatte durante le visite pastorali. Dopo il Concilio di Trento infatti, venne stabilito che il vescovo della città scrivesse una descrizione di tutti gli edifici sacri che facevano parte della sua diocesi e anche un inventario dei beni di ogni edificio. Una testimonianza in tal senso è un documento degli anni 1856-1867 dell’arcivescovo Cosimo Corsi, dal quale si sa che la chiesa antica aveva tre navate e che la volta che copriva la superficie interna fu affrescata dai fratelli Melani, mentre l’intera struttura era ricoperta di marmo. Tre finestre illuminavano gli ornamenti di stucco dorato della chiesa. Due inginocchiatoi erano posti vicino alla porta principale, muniti di bussola a quattro sportelli. In una cantoria a balaustra si trovava un organo, mentre nella zona dell’altare maggiore c’erano due porte, una che portava nel retro della chiesa delle monache (o chiesa della Madonna) e una che portava la sagrestia, una stanza stretta ed umida che si allagava spesso. I lavori di restauro, le spese ordinarie e straordinarie erano a spese del sacerdote, che riceveva tre rate ogni quattro mesi dalla Real Depositoria.
Altra descrizione dettagliata è quella che l’ingegnere Corrado Puccioni esegue verso la metà del 1800. Qui si narra di un coretto delle monache posto all’ingresso della struttura, che si ergeva su quattro colonne, due in granito dell’Elba, con capitelli di ordine corinzio che sostenevano una volta a crociera. Il pavimento era ricoperto di marmi colorati mentre pilastri con dorature sostenevano la volta affrescata dai fratelli Melani. Il tetto era a doppia falda e gli altari erano, a quel tempo, tre: uno maggiore e due, laterali, rifiniti di cibori di marmo. Vicino al coretto, sui muri laterali, stavano due confessionali con le acque santiere, sostenute da statue marmoree raffiguranti angeli.
Nel 1892 Don Lodovico Orlandini propose la costruzione di un nuovo coretto destinato ad accogliere l’organo, che andava restaurato, come anche una stanza collegata alla volta che, ormai chiusa da vent’anni, aveva subito danni per colpa dell’umidità e dell’infiltrazione dell’acqua. Nello stesso anno, venne eseguita una perizia redatta dall’Ufficio del Genio Civile che prevedeva il restauro dell’angolo meridionale dell’orchestra della chiesa nel quale si erano aperte delle crepe. La chiesa subì alcuni furti nel 1905, tra i qual un quadro del XVI secolo attribuito a Pierino del Vaga con predella realizzata da Raffaellino del Garbo, successivamente ritrovato. Dalla visita riportata dal cardinale Pietro Maffi, negli anni 1904-1907, si desume la pessima condizione degli arredi interni e osservazioni negative sulle reliquie che, conservate in un armadio, non venivano ritenute autentiche: erano in numero elevato, costituite da pezzi di ossa, di vesti o sangue. Le più importanti erano il braccio di San Matteo e la mascella di San Massimiliano.
Dal 1870 al 1871, con l’escavazione della foglia sul Lungarno, la chiesa risentì molto della ristrettezza della strada che si era venuta a creare e la volta rimase danneggiata, per peggiorare con i terremoti del 1914 e del 1920. Si ritenne di dover eseguire quindi dei lavori di miglioramento che modificarono ulteriormente la struttura, ad esempio con la demolizione e la nuova edificazione della volta. Terminate le opere di sistemazione, venne realizzato un impianto elettrico.
Quando le carceri furono ormai trasferite, nel 1935, si pensò che quella parte di edificio potesse tornare a far parte del complesso del San Matteo. L’ultimo anno di guerra, il 1944, riporta descrizioni delle opere da realizzarsi presso la chiesa, con forte preoccupazione per la facciata posteriore. Dei numerosi lavori che l’edificio richiedeva però, nel 1950 furono portati a termine soltanto la copertura del tetto e la sistemazione degli affreschi. La stima dei danni di guerra eseguita tra il 1953 e il 1954 riporta la necessità di ricostruire elementi esterni ed interni in pietra lavorata a scalpello e la sistemazione dell’altare maggiore e delle corniciature interne.[7]
La canonica
Dell’edificio che fu la canonica, abbiamo informazioni grazie ad una descrizione di metà XIX secolo. Questo piccolo edificio si trovava dietro la chiesa e si costituiva di tre piani, mentre l'ingresso era situato dalla parte del Lungarno.
Un corridoio lungo attraversava tutta la struttura, portando direttamente all’orto sul retro. Su questo corridoio si aprivano varie stanze: una stanza dove veniva sistemato il carbone, una cantina, una dispensa ed un deposito legna. Dall’altro lato si trovavano una cucina ed una stanza che riceveva l’acqua dal giardino.
Una scala di pietra situata nell’ingresso portava al primo piano, riservato alle camere da letto, ai salotti dove si pranzava e ad uno spogliatoio. Qui, una botola con una scala segreta, permetteva di scendere al piano terreno, precisamente nello scrittoio.
Un altro passaggio situato nel guardaroba portava invece alla cucina sottostante. Il primo piano aveva inoltre una terrazza e una sala lavanderia.
Altre scale portavano al secondo piano, composto da un salotto che si affacciava sul Lungarno, tre camere, un guardaroba ed una nuova cucina con altre stanze destinate alla conservazione della legna.
La chiesa si divideva dalla canonica per un edificio che era invece usato dalle monache. Per facilitare l’accesso del parroco alla chiesa si cercò quindi di costruire un corridoio che, partendo dal secondo piano della canonica, si unisse al campanile, in modo da avere l’accesso diretto alla sagrestia semplicemente scendendo le scale.
I bombardamenti della seconda guerra mondiale distrussero completamente l’edificio della canonica.
La Soprintendenza decise che la nuova abitazione del parroco avrebbe dovuto essere edificata su parte del terreno di proprietà della famiglia Venturi, cioè tra il retro della chiesa romanica e quella di San Matteo. La nuova canonica fu costruita sulle vecchie case distrutte dalla guerra ed il progetto architettonico fu curato da Mario Paniconi e Giulio Pediconi.[8]
Il campanile
La fondazione del campanile della chiesa di San Matteo risaliva al XIV secolo. Dalla base quadrata s’innalzavano quattro pilastri che arrivavano fino al tetto a padiglione.
Originariamente si trovava a contatto con la clausura e, nel lato meridionale, con il Lungarno.
Durante gli anni la struttura campanaria ha subito molte modifiche: la dominazione fiorentina fece abbassare il campanile a causa della costruzione di una fortezza vicino a questa struttura ed i bombardamenti della guerra lo danneggiarono in maniera irreversibile .
La situazione si aggravò ulteriormente con il furto di alcuni sostegni di legno e le infiltrazioni di acqua dovute ad una copertura problematica.
I lavori di ristrutturazione furono approvati dalla Soprintendenza e l’impresa di Emilio Pacini ottenne l’appalto a cottimo fiduciario per occuparsene.
Un’altra ristrutturazione fu necessaria nel 2000, per ripristinare la gronda, sostituita con una in rame, e la copertura.[9]
Il chiostro
Del chiostro si sa che fu costruito intorno al XIII secolo e che è l’unica costruzione, sebbene modificata, che fa parte della struttura originaria.
Il chiostro, che limitava un giardino interno, si componeva di un loggiato a colonne di granito con finestre in stile gotico. In alto invece era rifinito da un cornicione molto lavorato.
Fu la fase carceraria del San Matteo a portare più cambiamenti alla struttura del chiostro. Le arcate vennero chiuse per diventare stanze destinate ai detenuti ed il cortile diviso in due parti per dare spazio all’ora d’aria dei detenuti. Per motivi di sicurezza venne costruita anche una garetta.
I bombardamenti della seconda guerra mondiale danneggiarono anche questo edificio.
I lavori di ristrutturazione successivi, tra le altre cose, decisero per la riapertura del loggiato e portarono la struttura all’antico splendore.[10]
La chiesa della Madonna
La chiesa della Madonna, o chiesa delle monache, venne fatta costruire per la storia del dipinto della vergine, posta su quello che era il cimitero delle monache.
Si diceva infatti che l’icona avesse fatto miracoli: una monaca guarì dalla paralisi, cechi riacquistarono la vista ed anche sordi ripresero l’udito.
Monsignor Antonio dei Preti concesse dunque la venerazione dell’immagine e, grazie alle offerte dei fedeli, venne costruito un oratorio nel 1578.
L’edificio fu affrescato da Andrea Boscoli nel 1595 e nello stesso anno si aggiunse un altare tutto pagato dalla badessa Donna Febronia Upezzinghi.
L’immagine venne spostata nella chiesa principale nel 1787 e l’altare fu profanato ma l’edificio non perse la sua importanza, dimostrata dai testamenti, dalle donazioni, beni mobili e immobili e dalle offerte documentate e conservate negli archivi delle monache.
Dopo la profanazione del 1787 probabilmente la chiesa venne abolita perché si parla del “soppresso oratorio della madonna”.
Le notizie della chiesa si perdono fino ai primi del Novecento per poi riapparire a riguardo di una disputa tra il carcere e Venturi, che aveva acquistato l’antica chiesa utilizzandola come magazzino di terre cotte affittandola ad Ettore Landucci, che nel 1920 chiese di installare un garage attiguo alla chiesa di San Matteo.
Sul finire degli anni trenta del Novecento l’edificio era divenuto uno stabile dove si fabbricavano Gassose San Pellegrino.
Negli anni a venire lo storico edificio divenne addirittura deposito per i pozzi neri, fino ad essere completamente distrutto durante i bombardamenti della guerra. [11]
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Veduta dal lungarno
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Il lato sul lungarno, nel tipico stile del romanico pisano
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Interno della chiesa di San Matteo
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Volta affrescata
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Il chiostro
Gennai Loriano, organista dal 1983 al 1997. Gennai Giovanni, organista dal 1983 al 1997.
Note
- ^ A. Vagelli, Il monastero di San Matteo, Ceccarelli Lemut, tesi di laurea Università di Pisa, 1992-1993, pag. 2,3.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007 pag. 35, 37, 38.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007 pag. 39, 40.
- ^ C. Violante, Economia, società, istituzioni a Pisa nel medioevo: saggi e ricerche, Edizioni Dedalo, Bari, 1980, pp.26-27.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007 pag. 41-44.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007, pag. 51, 53.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007 pag. 53-67.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007, pag. 75-77.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007 pag. 79,80.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007 pag.82, 86, 87.
- ^ O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007 pag. 87-89.
Bibliografia
- O. Niglio, M. Alessio, Il convento di San Matteo in Pisa. Storia e restauri. Edizioni Plus - Università di Pisa, Pisa, 2007
- C. Violante, Economia, società, istituzioni a Pisa nel medioevo: saggi e ricerche, Edizioni Dedalo, Bari, 1980
- A. Vagelli. . Il monastero di San Matteo, Ceccarelli Lemut, tesi di laurea Università di Pisa, 1992-1993
Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni
- Fonte: scheda nei "Luoghi della Fede", Regione Toscana, su web.rete.toscana.it.