Fasti gonzagheschi

ciclo di dipinti di Jacopo Robusti (il Tintoretto)

I Fasti gonzagheschi sono un ciclo di dipinti eseguito dal Tintoretto con ampio apporto della sua bottega. L'opera è volta alla celebrazione dinastica della gesta dei Gonzaga ed in particolare delle imprese militari realizzate tra il XV° e XVI° secolo da vari membri della casata.

Fasti gonzagheschi
Nell'immagine un dettaglio del telero che raffigura Francesco II Gonzaga alla battaglia del Taro
AutoreTintoretto e bottega
Data1578-1580
Tecnicaolio su tela
UbicazioneAlte Pinakothek, Monaco di Baviera

Storia

 
Andrea Vicentino, Battaglia di Lepanto, 1603, Venezia, Palazzo ducale. Questo dipinto del Vicentino sostituì il capolavoro del Tintoretto andato perduto in un incendio nel 1577 e forse presenta qualche eco dalla composizione del Robusti

La serie di dipinti fu commissionata al Tintoretto dal duca di Mantova Guglielmo Gonzaga nel 1578. La commissione al pittore veneziano si articolò in due tranche: vennero dapprima commissionati quattro teleri destinati ad un primo ambiente del Palazzo ducale di Mantova (Sala dei Marchesi), cui seguì una seconda ravvicinata ordinazione, relativa alle altre quattro grandi tele del ciclo, che vennero collocate in un'ulteriore stanza della residenza ducale mantovana (Sala dei Duchi).

Si ritiene che la scelta cadde sul Tintoretto in quanto questi si era dimostrato un abile pittore di battaglie: in particolare nel 1571 il maestro veneziano aveva licenziato per il Palazzo ducale di Venezia una tela raffigurante la Battaglia di Lepanto che aveva riscosso grandissima ammirazione ed è probabile che tale notizia fosse giunta anche alla corte mantovana, sempre attenta alle vicende veneziane.

Il prezzo pattuito per il compenso del Tintoretto fu relativamente a buon mercato per un'impresa di tale portata (le otto tele dei Fasti sono infatti di dimensioni ragguardevoli e sono affollatissime di figure) e la consegna avvenne in tempi piuttosto rapidi - l'intero ciclo risulta messo in opera nel 1580 -; circostanze che spiegano l'ampia partecipazione della bottega del maestro, compreso suo figlio Domenico: il Tintoretto in sostanza si limitò all'ideazione delle composizioni e alla rifinitura dei dipinti, ragione per la quale al grande interesse storico-artistico riconosciuto al ciclo gonzaghesco non corrisponde altrettale apprezzamento stilistico.

I Fasti gonzagheschi rimasero a Mantova fino ad inizio Settecento quando furono portati a Venezia da Ferdinando Carlo di Gonzaga-Nevers durante la sua fuga dalla capitale ducale. Nel 1708 i teleri del Robusti furono acquistati dall'Elettore di Baviera Massimiliano Emanuele prendendo così la volta della capitale bavarese per infine confluire nelle raccolte della Alte Pinakothek.

Descrizione

Fonte di fondamentale importanza per l'individuazione del contenuto delle singole tele del ciclo sono le lettere scambiate tra il conte Teodoro Sangiorgio, alto funzionario della corte mantovana, e Paolo Moro ambasciatore dei Gonzaga a Venezia. In queste missive il Sangiorgio, per conto del duca Guglielmo, impartisce al diplomatico mantovano presso la Serenissima precise istruzioni circa il contenuto dei dipinti che avrebbe dovuto realizzare il Tintoretto. Da questo carteggio si deduce altresì che fu cura della committenza mantovana recapitare al pittore veneziano i ritratti dei marchesi e dei duchi da replicare nei dipinti così come delle riproduzioni dei luoghi in cui ambientare le scene.

Sala dei Marchesi

Nella prima parte dei Fasti sono raffigurate le gesta di alcuni membri della famiglia Gonzaga che esercitarono il potere su Mantova in qualità di marchesi, cioè il titolo rivestito dai Gonzaga (dal 1433) prima di ascendere a dignità ducale nella persona di Federico II Gonzaga. Come si avrà modo di osservare, il Tintoretto si è strettamente attenuto alle istruzioni impartite dal Sangiorgio, in una lettera del 1578, circa il contenuto che i quattro dipinti destinati alla Sala dei Marchesi avrebbero dovuto avere.

Giovanni Francesco Gonzaga nominato marchese di Mantova dall'imperatore Sigismondo

 
Giovanni Francesco Gonzaga nominato marchese di Mantova dall'imperatore Sigismondo

Il primo telero celebra il conseguimento della carica marchionale da parte di Gianfrancesco Gonzaga, il primo della schiatta a conseguire il titolo di marchese di Mantova, del quale fu insignito da Sigismondo di Lussemburgo allorché questi nel 1433 scese in Italia per essere cinto da papa Eugenio IV della corona imperiale. La cerimonia di elevazione al marchesato di Gianfrancesco si svolse a Mantova in piazza san Pietro.

 
Domenico Morone, Cacciata dei Bonacolsi, Mantova, Palazzo ducale

Queste le parole con le quali il conte Sangiorgio descrive minuziosamente il compito affidato al Tintoretto per il primo dipinto del ciclo: «Nel quadro del marchese Giovanni Francesco si pingerà come, essendo Giovanni Francesco Gonzaga signore di Mantova con tittolo di capitano, fu creato marchese da Sigismondo imperatore et n'hebbe il tittolo et le insegne in Mantova su la piazza di San Pietro ove fu fatto un gran catafalco regalmente ornato sopra del quale ascese l'imperatore et, havendo avanti di se stesso Giovanni Francesco con molti suoni di trombe et tamburri, lo creò et lo fece gridare marchese et le diedde un scudo con l'arma delle quattro aquile in campo bianco distinto da una croce rossa. In questo quadro hanno da essere ritratti al naturale il sudetto imperatore Sigismondo et il marchese Giovanni Francesco. Si ha da immitare in qualche parte la prospettiva della piazza di San Pietro acciò che si riconosca il luogo ove fu fatto questa attione. Volendo per ornamento farle qualche insegne se le può fare il stendardo del generalato di Santa Chiesa, quello di vinitiani et quello del duca di Milano. L'impresa sua fu un scoglio in mezo all'onde nelle quali sono molti tronchi di legno che gettano fiamme».

Riconoscibile sullo sfondo è l'antica facciata del duomo di Mantova, dedicato a San Pietro, poi radicalmente modificata nei secoli successivi: la si vede identica nel dipinto di Domenico Morone raffigurante la Cacciata dei Bonacolsi del 1494.

Ludovico II Gonzaga sconfigge i veneziani nella battaglia dell'Adige

 
Ludovico II Gonzaga sconfigge i veneziani nella battaglia dell'Adige

L'evento raffigurato nella seconda tela è relativo ad uno scontro avvenuto nel corso della guerra del 1438-1439 tra il duca di Milano Filippo Maria Visconti e la Repubblica di Venezia per il dominio della Lombardia orientale e del Lago di Garda. Durante questa contesa i Veneziani compirono l'ardimentosa impresa di trasportare via terra una flotta dal fiume Adige al Lago di Garda che non avrebbero potuto raggiungere via acqua per lo sbarramento nemico. Impresa passata alla storia col nome di Galeas per montes.

La battaglia raffigurata nel secondo telero è relativa all'irruzione sull'Adige della flotta dei Gonzaga - schieratisi con i Visconti - che abilmente muovendo da Ostiglia raggiunse il fiume e sconfisse i Veneziani. Con una voluta falsificazione storica l'impresa militare è attribuita a Ludovico II Gonzaga mentre nella realtà storica fu condotta da suo padre Gianfrancesco. Non è chiaro il perché di questa alterazione dei fatti: forse potrebbe essere sintomatica di un certo imbarazzo per il tradimento della Serenissima compiuto da Gianfrancesco che, già capitano delle armi veneziane, nella guerra lombardo-veneta cambiò clamorosamente campo e si schierò con i Visconti.

 
Andrea Mantegna, Ludovico II Gonzaga, particolare degli affreschi della Camera degli Sposi, 1465-1474, Mantova Palazzo ducale

Questa è l'indicazione data da Teodoro Sangiorgio: «Nel quadro del marchese Ludovico si pingerà come, essendosi opposto Andrea Donato et Girolamo Contarini al Picinino che voleva passar l'Adige per andare nel padovano, Ludovico Gonzaga, che favoriva le cose di Filippo Visconte, andò con un'armata di ventotto galleoni ch'egli teneva ad Hostia per le paludi che sono tra l'Adige et il Po et, fatti in puochissimo tempo diversi cavamenti con grossissimo numero di guastatori, si condusse vicino alli argini dell'Adige per la fossa del Panego puoco sopra Legnago che inteso dalli vinitiani fecero distendere longo dell'altra ripa il Melita con otto milla cavalli et quattro mila fanti et similmente le genti del Donato et essendo nel fiume dario Malipiero con trentacinque galleoni et il Molino con molte fuste per impedire ch'egli non traghettasse li suoi galleoni in esso fiume con l'aiutto de quali temevano che passasse le genti all'altra ripa, si misero contro il corso dell'acqua per andare alla detta bocca della fossa del Panego ad impedire l'entrata nel fiume. Ma egli distese molti pezzi d'artiglieria alla detta bocca con quali, quando scuoperse l'armata vinitiana, incominciò a salutarla et affondò et prese un galleone di quelli del Malipiero, da che egli, spaventato, si rittenne di passar più avanti. Il Molino s'affrettò di passare oltre la bocca della fossa colle sue fuste et fu seguito da cinque galleoni di quelli del Malipiero, onde restò l'armata vinitiana divisa in due parti et perciò priva di conseglio et di ardire di combattere. Il che conosciuto da Ludovico entrò animosamente nel fiume et sbaragliò detta armata, la quale fugì parte a segonda, parte contra l'acque, cossì egli pose le genti in terra le quali messero in fuga il Melita et il Donato, onde restato superiore in terra et in acqua, prese subbito Lignago et Porto in mezzo delli quali passa l'Adige. In questo quadro va il ritratto di Ludovico. Lo stendardo del generalato di Santa Chiesa et del duca di Milano. La sua impresa fu un guanto di ferro con il motto "Buena fe no es mutable"».

Sullo stendardo dietro il Gonzaga si vede il guanto di ferro dell'impresa richiesto dal Sangiorgio. Il confronto tra il volto di Ludovico Gonzaga nel telero del Tintoretto e il ritratto dello stesso marchese che si vede nella Camera degli Sposi del Mantegna comprova che per le effigi dei protagonisti dei Fasti vennero fornite al pittore riproduzioni di antichi ritratti gonzagheschi.

Federico I Gonzaga libera Legnano dall'assedio degli svizzeri

 
Federico I Gonzaga libera Legnano dall'assedio degli svizzeri

La descrizione del terzo dipinto: «Nel quadro del marchese Federico si pingerà come, essendo restato il duca di Milano picciolo in governo della madre et raccomandato dal padre al marchese Federico suo capitano generale de gli huomini d'arme, callarono li svizzeri per la via di Como all'assedio di Legnano terra d'esso duca, onde chi haveva di lui governo n'avisò subbito il marchese, il quale posto in essere le sue genti d'arme et molta fanteria, andò a quella volta et fece levare li svizzeri dall'assedio che se ne ritornarono alle loro case. In questo quadro va ritratto il marchese Federico. Le insegne devono essere con l'arme Visconte. La sua impresa fu un crociolo pieno di verghe d'oro posto a fuoco con il motto "Probasti me"».

Il duca di Milano picciolo è Gian Galeazzo Maria Sforza e la madre di cui era in governo è Bona di Savoia.

Francesco II Gonzaga alla battaglia del Taro

 
Francesco II Gonzaga alla battaglia del Taro

Questa è l'indicazione del Sangiorgio per il quarto telero: «Nel quadro del marchese Francesco si pingerà la giornata fatta al Taro o sia Giarolla contro il re Carlo nel modo che la descrive il Giovio. S'ha in questo quadro da ritrar il detto marchese. L'insegne hanno da essere con le arme della lega la quale fu di Papa Alessandro VI. Alfonso re di Napoli, vinitiani, Ludovico Sforza, ma principalmente de vinitiani de' quali era generale. L'impresa sua fu il sole».

L'evento cui fa riferimento il conte Sangiorgio è la Battaglia di Fornovo, scontro che ebbe luogo il 6 luglio 1495 sulle rive del fiume Taro nei pressi del passo della Cisa.

La battaglia vide contrapposte le armate del re di Francia Carlo VIII e le truppe di Venezia, dello Stato della Chiesa e del ducato di Milano riunitesi in una Lega, detta Lega Santa per l'adesione alla stessa del papa Alessandro VI Borgia. Carlo VIII era calato in Italia nel 1494 dirigendosi alla volta di Napoli che conquistò con grande facilità sottraendola alla dinastia Aragonese. Ottenuto questo successo il re di Francia decise di fare ritorno a Nord: fu proprio durante la ritirata francese che la Lega decise di dare battaglia ai transalpini sulle sponde del Taro, fiume che l'esercito di Carlo avrebbe dovuto attraversare per proseguire verso Settentrione. Al comando delle truppe della Lega italiana vi era il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga, capitano dell'armata veneziana.

La battaglia del Taro fu in pratica un nulla di fatto: la Lega non riuscì a fermare la marcia dei francesi né le perdite subite da Carlo VIII compromisero in modo sostanziale la potenza del Valois. Cionondimeno da parte italiana, e in specie veneziana, si cercò di far apparire questo scontro come una vittoria. Non sembra però questo l'intento dell'ultimo telero della Sala dei Marchesi in quanto nell'indicazione data al Tintoretto si fa riferimento ai resoconti scritti su tale evento dallo storico Paolo Giovio che in effetti giudicò Fornovo sostanzialmente come una sconfitta della Lega Santa.

Sala dei Duchi

Nella seconda parte dei Fasti sono inscenate le vicende di membri del casato che si fregiarono del titolo ducale e ben tre dei quattro episodi raffigurati hanno per tema le gesta del primo duca Gonzaga, cioè Federico II, padre del committente Guglielmo Gonzaga. In verità tutte le imprese di Federico II Gonzaga messe su tela dal Tintoretto sono relative a fatti antecedenti alla sua elevazione al rango ducale (avvenuta nel 1530): si tratta in particolare di alcune vittorie conseguite da Federico nell'ambito della cosidetta quarta guerra d'Italia (1521-1526) cui il futuro duca di Mantova partecipò in qualità di comandante generale delle armate pontificie, incarico conferitogli da Leone X. Questa fase delle guerre d'Italia è segnata dalla ripresa delle ostilità nella penisola per iniziativa del re di Spagna ed imperatore Carlo V, cui il papa si alleò, per spodestare i francesi dal ducato di Milano.

Federico II Gonzaga espugna Parma

 
Federico II Gonzaga espugna Parma

Il quale duca Federico, havuto il soditto generalato, andò a campo sotto Parma in compagnia di Prospero Colonna et del marchese di Pescara, generali dell'esercito imperiale, et battendola ne prese la parte posta oltra il fiume verso Piacenza. Onde il primo quadro potrà contenere questa fatione mostrando la città battuta, la presa di essa per la batteria et li francesi posti in fuga che si riducono, nell'altra parte della città posta, oltre il detto fiume

Federico II Gonzaga entra vittorioso a Milano

 
Federico II Gonzaga entra vittorioso a Milano

Andò il medesmo essercito della chiesa con l'imperiale d'indi a puoco alla ricuperatione di Millano et havendo trovato Lotrecco generale dei francesi et Teodoro Trivultio generale de' venetiani che erano coligati insieme sotto le mura della città nel borgo di Porta Romana et li misse in fuga, costringendoli a retirarsi verso il castello, colla quale occasione il duca Federico entrò in Millano per la porta Ticinese insieme con il Colonna. Si potrà dunque descrivere nel terzo quadro questa entrata di Milano et li francesi posti in fuga, la quale cosa sarà di bellissima vista representante una notte piena di fuochi così per il combattere, come per l'abragiar che fecero i francesi dei borghi di quella città

Federico II Gonzaga difende Pavia

 
Federico II Gonzaga difende Pavia
 
Pavia, Ponte Coperto

Morse Papa Leone onde l'essercito della lega fra lui e l'imperatore si disciolse et il duca Federigo restò con parte delle sue genti in Pavia, la quale d'indi a puoco fu assalita da Lotrecco che s'era rinforzato con nuove genti svizzere et la batte in due luoghi ma in vano. Perciò si potrà nel terzo quadro rapresentar la sodetta città battuta et assaltata colla retirata di esso Lotrecco

Ingresso di Filippo II di Spagna a Mantova

 
Ingresso di Filippo II di Spagna a Mantova

L'evento raffigurato è relativo all'ingresso a Mantova, avvenuto il 13 gennaio 1549, di Filippo II d'Asburgo, all'epoca non ancora asceso al trono, quindi in quel momento Infante di Spagna. Mantova fu una delle tappe del viaggio di Filippo che da Valladolid lo portò fino a Bruxelles dove era atteso da suo padre Carlo V e dove avrebbe ricevuto il giuramento di fedeltà delle Province dei Paesi Bassi che Carlo, come in effetti fece con la Prammatica Sanzione del 1549, intendeva unificare in un'unica entità statuale da porre sotto il diretto dominio della corona spagnola.

Solo per quest'ultimo telero del ciclo non ci è giunta l'indicazione della committenza descrittiva della scena che il Tintoretto avrebbe dovuto raffigurare. Cionondimeno questa direttiva al pittore deve comunque essere stata impartita, come per le altre tele dei Fasti, essendo documentato l'invio al Tintoretto di una riproduzione grafica della mantovana piazza Castello, dove Filippo su accolto dal duca Francesco III Gonzaga.

Il dipinto del Robusti trova peraltro significative coincidenze con la descrizione dell'ingresso di Filippo nella capitale ducale lasciata dal biografo del futuro re di Spagna Juan Calvete de Estrella nel suo libro El felicíssimo viaje del muy alto y muy poderoso Príncipe don Phelippe[1] (stampato nel 1552), il che evidentemente comprova che al Tintoretto venne fornita, anche per l'ultimo dipinto del ciclo, una puntuale indicazione dei fatti da mettere in scena.

 
Rubens, Ritratto del duca di Lerma, 1603, Madrid, Prado

Il Calavete de Estrella in particolare annota il fatto che in piazza Castello venne eretta una statua effimera con Ercole che regge due colonne, poggiata su un alto podio ove compariva l’iscrizione: ALCIDES STATUIT, CAESAR SED PROTULIT, AT TU ULTERIUS , SI FAS, PROGREDIRE PATRE. La circostanza testimoniata dal letterato spagnolo trova piena corrispondenza nel quadro del Tintoretto ove compaiono la statua di Ercole tra le colonne con la medesima iscrizione sul piedistallo.

La statua di Ercole chiaramente allude alla celeberrima impresa di Carlo V composta da due colonne (per l'appunto le Colonne d'Ercole) e il motto PLUS ULTRA. L'iscrizione sul piedistallo della statua è dunque un augurio a Filippo di superare in gloria il suo augusto genitore. In sostanza: Ercole pose le colonne che segnavano i confini del mondo, Carlo V (Caesar in quanto imperatore) oltrepassò questo limite (Plus Ultra) e l'auspicio è che Filippo faccia anche di più.

 
Mantova, Piazza Castello

Nel dipinto vediamo al centro l'Infante di Spagna vestito di nero in groppa ad un destriero bianco mentre incede sotto una cortina portata da un gruppo di paggi in raffinata livrea. Immediatamente dietro il principe d'Asburgo cavalcano al suo seguito il cardinale Ercole Gonzaga e il di lui fratello Ferrante, zii del duca in carica Francesco III. Questi è sua volta raffigurato a sinistra, su un cavallo dal manto bruno con ricchi paramenti d'oro, mentre accoglie il corteo principesco. A destra, infine, su un cavallo bianco c'è il giovanissimo fratello di Francesco Guglielmo - suo futuro successore nel titolo di duca di Mantova - committente dei Fasti gonzagheschi.

La raffigurazione di Filippo di Spagna dovette colpire in modo particolare il giovane Rubens che circa un paio di decenni dopo la collocazione dei Fasti nella residenza ducale si trovò a Mantova in qualità di pittore di corte del duca Vincenzo Gonzaga. Il ritratto equestre del duca di Lerma, licenziato da Rubens nel 1603, è sostanzialmente coincidente con l'Infante di Spagna del telero del Tintoretto per la posa del cavaliere e del destriero e per lo scorcio in diagonale in cui è disposto il gruppo equestre.

Note

  1. ^ Diario di viaggio tenuto dal Calvete de Estrella, che faceva parte del seguito di Filippo, particolarmente dettagliato nella descrizione delle trionfali accoglienze riservate al principe nelle città in cui egli fece tappa.