Gabriello Chiabrera

poeta e drammaturgo italiano (1552-1638)

Gabriello Chiabrera (Savona, 18 giugno 1552Savona, 14 ottobre 1638) è stato un poeta e drammaturgo italiano del Seicento.

Gabriello Chiabrera in una stampa antica

Di famiglia aristocratica, visse a stretto contatto con la nobiltà del suo tempo e scrisse numerose opere in versi entrate a far parte del patrimonio letterario classico italiano. Cantore della grecità (sebbene non conoscesse il greco) e di quello che verrà poi definito come classicismo barocco, fu spesso contrapposto al poeta coevo Giambattista Marino. Questa contrapposizione, tuttavia, è puramente scolastica, visto che il Chiabrera nacque nove anni dopo il Tasso, morì molto dopo il Marino, e iniziò prima di questi il suo tirocinio poetico, anche se poi gran parte dell'attività di entrambi si svolse nel Seicento. Trascorse la vecchiaia prevalentemente nella villa del borgo rurale savonese di Légino, il Musarum opibus, dove erano le sue ville, fra cui la famosa Siracusa ricordata nel dialogo Forzano. Il suo sepolcro si trova all'interno della chiesa di San Giacomo a Savona. A Chiabrera sono intitolati oggi il Liceo Classico e Linguistico "Gabriello Chiabrera" di Savona, il teatro Gabriello Chiabrera, e una scuola primaria inaugurata nel 1873 nella località di Fassolo a Genova (cantata nel poemetto Galatea o le grotte di Fassolo del 1622, ospite dei Giustiniani).

Biografia

Nato a Savona da genitori benestanti, Gabriello riceve lo stesso nome del padre morto pochi giorni prima della sua nascita. Dalla madre, Geronima Murasana, andata a seconde nozze, viene ben presto affidato alla tutela degli zii paterni. Per volere di questi, dal 1561 studia al Collegio Romano. Poi, sempre a Roma, presso la casa di Paolo Manuzio conosce lo scrittore e critico aristotelico Sperone Speroni (intento alla correzione della Gerusalemme liberata) e il grecista francese Marc-Antoine Muret che lo indirizzano verso il gusto della poesia classica, specie greca, e verso un ideale linguistico lontano dal bembismo e dal purismo fiorentino. Sempre in quegli anni incontra anche il vecchio Torquato Tasso, venuto a Roma per revisionare il suo poema assieme allo Speroni e intento alla composizione del Mondo creato.

Dopo questi anni di formazione, il poeta torna a Savona dove allaccia i rapporti coi poeti Angelo Grillo e Ansaldo Cebà, con la pittrice Sofonisba Anguissola e col pittore Bernardo Castello, caro amico del giovane Giovan Battista Marino. Il Chiabrera, da quanto pare dalle lettere, ebbe scambi epistolari e forse conobbe il poeta napoletano. Sempre a Savona anima, assieme allo storico Giovanni Vincenzo Verzellino, l'Accademia degli Accesi che si riunisce in casa di Ambrosio Salinero e che si spense con la morte di questi, nel 1613.

Intanto si mette in contatto con la corte di Torino, nella persona di Carlo Emanuele I di Savoia, cui dedica nel 1582 il poema Delle guerre de' Goti (piu' noto come Gotiade, la sua prima opera stampata), la tragedia Ippodamia (forse del 1590) e il famoso poema Amedeide (iniziato nel 1590 ma stampato nel 1620 dopo 4 stesure diverse). In questi anni conosce anche Emanuele Tesauro.

Poi entra nella corte dei Medici di Firenze, che lo stipendieranno tutta la vita senza obbligo di residenza a corte. A Firenze entra in contatto col pittore Agnolo Bronzino e con Giovan Battista Strozzi, animatore dell'Accademia degli Alterati e carissimo amico del poeta. Inoltre, assieme a Jacopo Peri e a Ottavio Rinuccini fonda il genere del melodramma con l'opera Il rapimento di Cefalo rappresentata nel 1600 alle nozze di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia. Alla casata, il Chiabrera dedica anche componimenti lirici, teatrali, poemetti: si ricordi almeno il poema in ottave Firenze (1610-1615), che verrà ripubblicato, ma rifatto in selve e ampliato, nel 1628.


Sempre ai primi del Seicento, il Chiabrera si lega alla corte dei Gonzaga di Mantova, e anche qui verrà stipendiato tutta la vita senza obbligo di residenza. Per essa il poeta comporrà molti drammi fra cui si ricordano gli intermezzi per l'Idropica di Battista Guarini (1605). Qui collabora anche con Alessandro Striggio (figlio) e Claudio Monteverdi in varie pièces, e compone la tragedia Angelica in Ebuda (1615) di ispirazione ariostesca.

Come risulta dall'epistolario, nel 1615 forse Chiabrera conosce Galileo Galilei (grazie alla mediazione di Buonarroti il Giovane, nipote del famoso Michelangelo e scrittore anche egli) e, intanto, interrompe malamente i rapporti col ricco nobile genovese Giovanni Vincenzo Imperiale, autore del poema in selve Lo stato rustico (3 edizioni, 1606, 1611, 1613) che all'epoca riscosse vasto successo ed era stato additato dal Chiabrera stesso come modello metrico perfetto per un poema moderno nel dialogo Vecchietti. Inutile rilevare la forte influenza che l'Imperiale deve aver comunque esercitato sulla scelta di rifare in selve le ottave del Firenze, ma cio' non stupisce visto che l'Imperiale era stato additato anche dal Marino, in apertura de L'Adone, come fonte primaria dell'Adone stesso; il che, conoscendo.la grande competitività del Marino specie per quel che riguarda primati, furti e plagi, suona come il riconoscimento a un caposcuola riconosciuto come tale anche dal Chiabrera evidentemente.


Ma il vero apice della carriera del Chiabrera viene toccato dopo il 1623 con l'elezione al soglio pontificio del vecchio amico di studi Maffeo Barberi, Papa Urbano VIII. Il quale, intento a dare al papato una nuova linea culturale, per prima cosa pone all'Indice l'Adone, lasciando cosi' sgombro il campo ad intellettuali di formazione gesuitica e classica come appunto Chiabrera, Fulvio Testi, Agostino Mascardi, Famiano Strada, Virginio Cesarini, Giovanni Ciampoli, Pietro Sforza Pallavicino, Virgilio Malvezzi, oltre che Urbano VIII stesso, autore di poesie di gusto classico venate di stoicismo. Questa linea culturale, fastosa e severa, verrà riconfermata nel 1632-33 con l'abiura del Galilei e l'allontanamento del Ciàmpoli dalla corte romana. In questi anni vicini all'Urbe e alla cultura ecclesiastica, il Chiabrera compone sicuramente i due dialoghi Orzalesi e Geri (ambientati intorno al Giubileo del 1625), le Canzoni per Urbano VIII e Le feste dell'anno cristiano del 1628.

Dopo i lavori del 1628 (con la pubblicazione delle Canzoni per Urbano VIII, delle Feste, del secondo Firenze e dell'edizione in 4 tomi dei propri versi), il poeta si ritira dalle scene e torna in Liguria, dove ristringe rapporti col Verzellino (dedicatario del dialogo Forzano, 1626) ed entra nell'Accademia degli Addormentati di Genova, già frequentata dagli anni in cui era animata dal Cebà (1591-1593) e dal Mascardi (1621-1623). Qui funge da protettore a Pier Giuseppe Giustiniani, poeta, e ad Anton Giulio Brignole Sale, principi dell'accademia nel 1630 e nel 1636. A loro il poeta dedicava poesie ed opere fin dall'adolescenza: al Giustiniani la favola pastorale Alcippo del 1614 e il poemetto in ottave Scio nel 1621, e al Brignole Sale il poemetto lI Diaspro del 1619, la tragedia Erminia del 1622, e il poemetto perduto Romulo del '26. In questi anni, inoltre, il Chiabrera legge all'Accademia sette Discorsi (1628), e compone ancora molte opere, anche esse tutte stampate post mortem: il poema in sciolti Ruggiero e il poemetto Foresto (1653), le liriche bacchiche e sperimentali dei Sollazzi (1635-36), molti poemetti, la famosa Vita (1633-38), nonché numerose prose dedicate al patriziato genovese e stampate intorno agli anni Trenta; accorcia, inoltre, l'Amedeide riportandola alle dimensioni della prima stesura (detta Amedeide minor) e accorcia il secondo Firenze, che rivedrà la luce un'altra volta.

Dalla descrizione che egli stesso diede di sé nella Vita apprendiamo che era di media statura, "di pelo castagno", affetto da lieve miopia ("vedea poco da lunge, ma altri non se n'avvedeva"), frugale nell'alimentazione e poco propenso a perdere ore di sonno (ritratto di perfetto stile oraziano...). Sempre nella Vita, dopo aver ricordato il suo tirocinio romano presso Speroni e Muret, dichiara di avere avuto come maestri Omero Virgilio Dante Alighieri e Lodovico Ariosto, e ammette di trovare la poesia italiana povera e di aver avuto come massimo obiettivo di arricchirla, come un Galileo Galilei o un Cristoforo Colombo, di nuove strutture ritmiche e musicali. Tali strutture metriche, a loro volta, non sono nuove in senso assoluto, ma imitano i metri di tradizione classica, soprattutto greca, sicché la novità non è altro che un ritorno al classicismo antico dopo quello moderno del Rinascimento, cioè il Petrarca. In sostanza: per rinnovare l'ormai stanco classicismo rinascimentale, il poeta non lo dissolve (come spesso accade nella poesia mariniana), ma si richiama a un altro classicismo, d'antica foggia, che permette di rinnovare la tradizione moderna attraverso quella antica, e non il contrario, e di non uscire mai in questo modo dall'alveo della tradizione, appunto.

Il corpus letterario

 
Delle opere di Gabriello Chiabrera, 1757

L'esordio letterario di Chiabrera avvenne quando questi aveva trent'anni, nel 1582, col poema Delle guerre de' Goti (o Gotiade) dedicato a Carlo Emanuele I di Savoia. Il corpus poetico è vasto e comprende generi differenti:

Lirica e poemetti

  • Circa 500 poesie, tra liriche varie e odi, nei metri più vari (si ricordino le famosissime Belle rose porporine, Vaghi rai, Viva perla dei fiumi, A Cristoforo Colombo), per lo più orientate a imitare schemi della poesia greca, spesso come testi per musica. Su questi schemi metrici si fonderà la poesia dell'Accademia dell'Arcadia romana nel XVIII secolo che, infatti, lo riterrà suo maestro.
  • Accanto alle liriche, vi è una vasta produzione di Poemetti, una trentina, un genere nuovo nel panorama letterario. Sono brevi componimenti in genere in selve o in endecasillabi sciolti che si ispirano alle ecloghe cinquecentesche di Bernardo Tasso e del Rota. Il genere minore delle ecloghe, tuttavia, ora viene concentrato dal Chiabrera su argomenti 'alti' come l'eroismo biblico (Il leone di David, Il diluvio, La liberazione di S. Pietro, o la Giuditta, in terzine, ma poi rifatta in selve etc...) o martirologico (S. Margherita, S. Agnese, Il Battista in ottave etc...), il tema astronomico (Urania, Il presagio dei giorni, Le meteore, Le feste dell'anno cristiano etc...), venatorio (La caccia dell'astore, La caccia delle fere etc...), boschereccio (Il vivaio di Boboli, Galatea o Le grotte di Fassolo etc...), allegorico (Il Diaspro, Il Verno, Ametisto, Le perle etc...), mitologico (Il ratto di Proserpina etc...) o sacro ed encomiastico (Il secol d'oro, Scio in ottave). Fra i Poemetti si annoverano anche i tre famosi sequel della Gerusalemme liberata e dell' Orlando furioso (Erminia, Alcina prigioniera, La conquista di Rabicano) che sono tra le composizioni piu' riuscite e piu' note del poeta.

Teatro

  • Melodrammi, una quindicina. Sono brevi favolette in endecasillabi e settenari di soggetto mitologico. Si ricordino almeno Il Rapimento di Cefalo per le nozze Medici a Firenze del 1600, e gli intermezzi per l'Idropica di Giovan Battista Guarini a Mantova;
  • Tragedie, tre: l'inedita Ippodamia (forse del 1590) dedicata a Carlo Emanuele di Savoia; Angelica in Ebuda del 1615, tratta dal Furioso, e dedicata al nobile genovese Francesco Marini; Erminia del 1622 (una versione ampliata del poemetto omonimo) dedicata al giovane Anton Giulio Brignole Sale.
  • Drammi pastorali, tre: Gelopea (1604), Meganira (1608); Alcippo (1614, e dedicata a Pier Giuseppe Giustiniani)

Poemi epici

  • Delle guerre de Goti (Gotiade) in XV canti in ottave (1582, per Carlo Emanuele I di Savoia);
  • Firenze (prima versione) in IX canti in ottave (1615, per Ferdinando II de' Medici, il poema era stato iniziato nel 1610);
  • Amedeide (prima versione o maior), in XXIII canti in ottave (1620, ancora per il Savoia; il poema era stato iniziato nel 1590 e aveva avuto quattro diverse stesure, tutte rifiutate dal principe che aveva richiesto al poeta l'aggiunta di episodi romanzeschi);
  • Firenze (seconda versione), in XV canti in selve (1628, sempre per il Medici; il testo è preceduto da una prefazione in cui il poeta discorre sul verso sciolto);
  • Firenze (terza versione) in X canti ancora in selve (1637);
  • Il Ruggiero, in X canti in endecasillabi sciolti, stampato postumo col poemetto Foresto nel volume Poemi Eroici Postumi (1653); entrambi sono dedicati a Francesco I d'Este, duca di Modena, lo stesso immortalato in un celebre ritratto di Diego Velázquez;
  • Amedeide (seconda versione o minor), sempre in ottave: è la prima delle quattro stesure, la più breve, del poema stampato nel 1620. Verrà alla luce postuma nel 1654.

Sermoni (editi postumi)

  • Trenta Sermoni di gusto oraziano in endecasillabi sciolti (idea originale rispetto alla tipica terzina di Lodovico Ariosto o di Francesco Berni), composti, sembra, partire dal 1624, e completati in età avanzata e dedicati ad esponenti di spicco della corte romana e del panorama genovese. Tranne uno (A Ferdinando Medici nel 1626), furono pubblicati tutti postumi;

Prose (tutte forse risalenti intorno agli anni '30 del Seicento e edite quasi tutte postume)

  • La Vita, che risale a dopo il 1633 visto che il poeta dice di avere ottant'anni;
  • Dialoghi sull'arte poetica, di datazione incerta: sono cinque cioè Il Vecchietti (precedente il 1619, anno della morte del Vecchietti), L'Orzalesi, Il Geri (forse risalenti agli anni 1625-1632), Il Bamberini, e Il Forzano (l'unico ad essere stato pubblicato in vita , nel 1626). Sono testi centrali della riforma metrica approntata dal Chiabrera alla tradizione italiana (vedi il paragrafo sottostante) e offrono un vasto spaccato della cultura del classicismo barocco. In essi il poeta, con grande bravura esegetica, approva le infrazioni alle forme poetiche tradizionali attraverso esempi tratti dalla tradizione stessa. In questo modo egli riesce a dimostrare la liceità di un poema narrativo non in ottave ma in versi sciolti o in selve (nel Vecchietti, ispirandosi al poema Lo Stato Rustico), l'uso nella poesia lirica di rime tronche e sdrucciole, di versi non rimati o di nuove forme strofiche di ispirazione greca (nell'Orzalesi e nel Geri, sul modello del Trissino, dell'Alamanni e della poesia per musica della corte romana), e di creare, sul modello delle lingue classiche, neologismi lessicali come i famosi composti alla greca come lungochiomato o armipotente (nel Bamberini). Il Forzano (l'unico dialogo che sia ambientato a Savona e non in Toscana, e che ha per protagonisti due savonesi, Forzano e Verzellino, e non due fiorentini, in genere) è invece una lungo discorso sul tema del'amore dietro l'analisi del sonetto petrarchesco Se lamentar augelli o verdi fronde. A parte il Forzano, tutti i quattro testi erano, al momento della morte del poeta, nelle mani del Verzellino;
  • Sette Discorsi recitati agli Addormentati (1628). Cinque sono di carattere morale (Discorso I. Intorno alla debolezza della Prudenza umana; Discorso II. Intorno alla virtù della Fortezza; Discorso III. Intorno alla Intemperanza; Discorso IV. Intorno alla virtù della Magnificenza; Discorso V. Come si passi e come si quieti l’Ira e passa alle lodi della Rettorica) e verranno stampati postumi nel 1670. Gli altri due (Intorno al quarto libro dell’Eneade e Intorno all’episodio d’Omero e di Virgilio là dove armano Acchille et Enea), invece, sono di argomento letterario e sono dedicati a Pier Giuseppe Giustiniani, principe dell'Accademia del 1630. Furono stampati solo nel 1889 da Achille Neri.
  • Otto Elogi, brevi prose dedicate a personaggi di spicco, specie della cultura fiorentina e romana: Virginio Cesarini, Giovanni Ciàmpoli, Giovan Battista Strozzi, Ottavio Rinuccini, il Marino, Galilei, lo Speroni, Torquato Tasso. La datazione potrebbe essere compresa fra il 1610 (anno probabile dell'elogio al Galilei che quell'anno pubblicava il Nuncius Sidereus) e il 1632 (anno della cacciata del Ciàmpoli da Roma).
  • Vari discorsi dedicati all'élite genovese: Nella incoronazione del Serenissimo Andrea Spinola (incoronato nel 1629), Lodi di Santa Apollonia, dedicato a Maria Giovanna Giustiniani (stampato nel 1630), l’Elogio del poeta dialettale Cavalli (stampato nella Cittara Zeneize, Genova, Pavoni, 1635). A questi si aggiungano alcune prose più brevi (raccolte nel volume Alcune prose inedite, Genova, Pagano, 1836) e altre orazioni scritte a nome dei cittadini savonesi e da recitarsi presso il Senato di Genova nel 1636, come chiaro dall' epistolario.
  • Un ricco Epistolario stampato di recente (vd. Bibliografia) dove è testimoniata una fitta corrispondenza con molti dei personaggi succitati e che è una grande spaccato della cultura di un letterato secentesco di fama. I due nuclei principali dell'epistolario sono costituiti dalle lettere a Bernardo Castello e Pier Giuseppe Giustiniani, le piu numerose, rispettivamente nella prima e nella seconda parte della vita del poeta.

La riforma metrica della poesia italiana

Gran parte dell'attività poetica del Chiabrera nasce, come specificato nella Vita, dalla volontà di arricchire la poesia italiana di metri e di forme nuove rispetto al canone bembesco del Cinquecento: la formazione del Chiabrera, infatti, si è sviluppata nelle mani di Sperone Speroni e di Marcantonio Muret, due tipici esponenti della cultura antibembesca del primo Cinquecento assieme a Gian Giorgio Trissino, Bernardo Tasso (padre di Torquato) e Luigi Alamanni. I quali sostenevano di voler imitare nella metrica la poesia classica greca e latina, e nella lingua un 'volgare illustre' non strettamente toscano, di matrice dantesca. Il Chiabrera riprende in pieno questo insegnamento portandolo alle sue estreme conseguenze, ed è proprio in questa libertà, sempre sorvegliata dai modelli classici antichi e moderni, che il poeta si rivela intimamente barocco. Le forme inventate da lui saranno infatti imprescindibili per gli sviluppi della futura poesia italiana e, affiancandosi a quelle già consacrate dal Rinascimento (l'ottava nel romanzo e nell'epica; il sonetto e la canzone nella lirica), saranno riprese dall'Accademia dell'Arcadia romana, da Pietro Metastasio, nelle Odi di Giuseppe Parini, negli Inni di Alessandro Manzoni, nel Risorgimento di Giacomo Leopardi o nell'Artiere di Giosuè Carducci.

1) Gran parte della ''rivoluzione metrica classicista'' operata del Chiabrera, come noto, discende a sua volta dalla Poetica del Trissino (1529) che fornisce delle pezze d'appoggio. Essa, infatti, viene citata in maniera testuale in alcuni dei principali ''manifesti'' che il poeta dissemina nelle proprie prose teoriche; questo soprattutto per quel che riguarda l'endecasillabo sciolto, un metro inventato dal Trissino per emulare l'esametro classico e destinato a divenire uno dei metri principi della tradizione italiana anche grazie al lavoro di 'raffinamento' compiuto dal Chiabrera. L'invenzione del Trissino, infatti, all'uscita, era stata accolta freddamente dal panorama cinquecentesco e considerata stilisticamente sciatta; come tale era stata relegata o al teatro, dove si adattava a riprodurre il parlato, o ai generi minori, come le ecloghe pastorali, i poemetti georgici, gli epilli o le traduzioni (come quella celebre di Annibale Caro). Il Chiabrera, invece, si impegna grandemente nel processo di nobilitazione del verso sciolto che ormai, dopo il poema sacro del Mondo creato del Tasso, era assurto anche ai generi alti. Come detto in una lettera, infatti, è proprio questo lo scopo della composizione dei Poemetti, cioè innalzare il verso sciolto, il che conferma l'origine sperimentale dei Poemetti anche sul piano delle forme metriche.

I principali 'manifesti' del poeta sul verso sciolto sono tre: la dedica dei Poemetti del 1606 indirizzata a Giovan Vincenzo Imperiale (che quello stesso anno stampava lo Stato rustico), nella quale lo sciolto viene preferito alla terzina e all'ottava perché piu capace della ''continuità della materia e di poter particolareggiare le descrizioni'', come già detto dal Trissino. Il secondo è il celebre dialogo Vecchietti (ante 1619) nel quale il poeta si appoggia ancora all'autorità del Trissino, e dell'Alamanni, del Rota, del Baldi, di Bernardo Tasso, del Mondo creato e, in ultimo, del poema in selve Stato rustico dell'Imperiale, in quel momento all'apice della fama, definito come un poema moderno di genere ''idillico''. Il terzo è la Prefazione che apre il rifacimento in selve del secondo Firenze (1628), dove prima cita quanto già detto nei Poemetti del 1606, e poi si appella all'Italia liberata del Trissino, all' Eneide del Caro, alle Coltivazioni dell'Alamanni e al Mondo Creato, oltre che alle opinioni del De Nores, del Piccolomini, del Castelvetro (tutti teorici aristotelici, si noti, dello studio padovano, come Speroni, Cebà, Galilei, Ambrosio Salinero). La scomparsa dell'Imperiale fra le autorità di riferimento sul verso sciolto (il Vecchietti rimase inedito fino al 1800) va trribuita al al fatto ch ormai Lo Stato rustico, dopo l'uscita dell'Adone, poteva dirsi un poema oscurato nel dibattito letterario, o al fatto che l'amicizia fra i due poeti fini' bruscamente nel 1615, come si è accennato prima, per la question di un debito contratto dal Chiabrera.

Emblematico del difficoltoso processo con cui il Chiabrera si è affrancato dall'ottava rinascimentale (e dalla rima, alla quale era sempre stato insofferente, come si legge nella Vita) per passare alla libertà totale dello sciolto, è il percorso del Chiabrera nel genere epico, nettamente diviso in due fasi: una prima che comprende i poemi in ottave (Gotiade, Firenze, Amedeide), e una seconda che comprende i due rifacimenti in selve del Firenze e gli sciolti del Ruggiero.

2) Anche il genere lirico, la canzone e l'ode, furono sottoposti dal Chiabrera a un restyling totale sulle forme metriche greche e latine, fin dal primo libro di poesie, stampato nel 1583, vivente ancora il Tasso, nel quale è già chiaro il modello classico (l'evocazione di un mito antico al centro dell'ode come negli epinici pindarici, ad esempio). Questi circa 500 componimenti hanno, inoltre, quasi tutti un metro diverso, il che testimonia una capacità inventiva sbalorditiva e una conoscenza raffinata del profilo ritmico-musicale della poesia e della lingua italiane. Anche qui l'appoggio a tali sperimentazioni è trovato nella Poetica del Trissino, citata nella dedica di Lorenzo Fabri alle famose Maniere de' versi toscani, e verrà ribadita piu tardi nei dialoghi dell'Orzalesi e del Geri, dove le teorie del Chiabrera sul genere della canzone sono illustrate ampiamente. Oltre il Trissino e i modelli primo cinquecenteschi, l'altro punto di riferimento essenziale è Pierre de Ronsard, che il Chiabrera non cita mai ma che ben conosceva, visto che il Muret era stato un famoso commentatore dei suoi Amours. Come noto, d'altronde, almeno nella prima fase della produzione, il Chiabrera traduce di peso spesso Ronsard, la cui influenza sarà forte anche nei Poemetti tardi.

La poesia del Chiabrera si puo dividere in tre grandi aree per argomenti: la poesia bacchica ed erotica, le canzonette, le odi.

- La poesia di argomento erotico e bacchico, che tanto piacerà all'Arcadia, si ispira ai lirici greci dell'età arcaica (quali Saffo, Anacreonte, Bacchilide, Stesicoro, Catullo) e ai lirici latini (Orazio, Properzio, Ovidio) dai quali spesso riprende l'idea di brevi componimenti, usando versi molto brevi (settenari, senari, quaternari) e dalle rime molto vicine, di assoluta cantabilità, quasi dei madrigali ma di gusto alessandrino. Fra i temi ricorrenti vi sono quelli del brindisi e del vino (come le celebri Vendemmie di Parnaso che anticipano già il Ditirambo del Redi e la poesia bacchica toscana del secondo Seicento), o quello galante ed erotico, o ancora quello ecfrastico, come nella descrizione di coppe e gioielli.

- Le canzonette meliche, invece, sono sicuramente la parte piu nota dell'intera produzione chiabreresca. Sono testi lunghi e composti per il canto: il poeta ordina lunghe sequenze di strofette brevi, sempre con versi brevi e rime ravvicinate, che rimandano ad Anacreonte e ad Orazio. Fra di esse ci sono le famosissime Belle rose porporine o Vaghi rai. Sono proprio queste canzonette fatte per diporto della nobiltà salottiera ad essere destinate a fortuna secolare per riapparire, come detto, ma stavolta su temi civili o sacri, nel Parini o nel Manzoni e oltre.

- Nelle odi o nelle canzoni celebrative il Chiabrera si mostra ancora piu classico che nelle canzonette, sia nel lessico, sia nella libertà d'invenzione metrica, sia nella sintassi, sia nell'impianto. Egli giunge infatti a ristrutturare daccapo la canzone italiana sul modello di Pindaro e di Orazio, dividendola (come avevano già fatto Trissino e Alamanni) in una sequenza ripetuta di tre strofe: due (strofe e antistofe) con uno stesso metro, e una (epodo) con un metro diverso. La migliore espressione di questa parte della lirica chiabreresca possono essere considerate le Canzoni per Urbano VIII, in cui le forme metriche di Pindaro cantano, invece di un mito classico, un episodio dei testi sacri, buon esempio del classicismo barocco romano.

3) Anche nel lessico il poeta si mostra un innovatore, dietro le teorie dello Speroni e dell'Accademia degli Alterati esposte nel dialogo Bamberini. Partendo dal Petrarca, ormai grammatica della lingua italiana, e quindi fedele nel nucleo alla tradizione cinquecentesca, il poeta si apre non solo all'inserimento di molti dantismi (anguinaia, lustra) e ai neologismi (giannizzerare 'circoncidere'), ma anche a molti classicismi greci e latini (ippocrenio, acinoso) fino a creare dei composti sul modello della lingua greca (frondichiomoso, orichiomato). E questo sempre fin dalle prime liriche del 1599. Lo stesso si dica per la sintassi, che il poeta modella da vicino su quella latina, giocando sull'ordine delle frasi, sui chiasmi, gli enjambements e, soprattutto, sugli ''scompigli'' cioè gli iperbati (come detto nella Vita), venendo a creare uno stile molto raffinato, prezioso, elegante, che rinnova profondamente la struttura interna dei vari generi poetici italiani.

4) Per quel che riguarda il metaforismo, che in genere contraddistingue la poesia secentesca, il Chiabrera si mostra molto parco. Egli amplia ovviamente il campionario delle metafore tradizionali e, oltre al Petrarca, segue Ariosto, Tasso e la tradizione quattrocentesca (specie nelle descrizioni delle bellezze muliebri), ma in genere è lontano dagli eccessi ed è concentrato ad ottenere la meraviglia con strumenti diversi, cioè la novità dei ritmi, della sintassi, delle rime rare, della parola preziosa e peregrina.

Bibliografia

Sull'autore in generale, almeno:

  • AA: VV.: La scelta della misura: Gabriello Chiabrera, l'altro fuoco del barocco italiano, Atti del Convegno di Savona, Genova, Costa e Nolan, 2013.
  • AA: VV: La letteratura ligure: repubblica aristocratica (1528-1797), Genova, Costa e Nolan, 1992 (con un capitolo dedicato al Chiabrera).
  • P. Cerisola, L'arte dello stile. Poesia e letterarietà in Gabriello Chiabrera, Franco Angeli, 1990.
  • P. Fabbri, Il secolo cantante. Per una storia del libretto d'opera in Italia nel Seicento, Roma, Bulzoni, 2003.
  • N. Merola, Chiabrera, Gabriello, in Dizionario biografico degli italiani, vol. xxiv, 1984.
  • G. Getto, Il Barocco in prosa e in poesia, Milano, Mondadori, 1969 (con un capitolo dedicato al Chiabrera).
  • N. Merola, CHIABRERA, Gabriello, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 24, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1980. URL consultato il 2 settembre 2015.

Sui testi poetici, almeno:

  • Opera poetica, a cura di A. Donnini, Milano, Res, 2006, in cinque volumi (che contiene tutta la produzione poetica).
  • Chiabrera e lirici del classicismo barocco, a cura di Marcello Turchi, Torino, Utet, 1984 (dove si rileggono i Dialoghi e la Vita).
  • Maniere, scherzi e canzonette morali (sulla prima edizione 1599), Guanda, 1995 (ed. ben commentata).
  • Poemetti sacri (1627-1628), a cura di L. Beltrami, Venezia, Marsilio (ed. ben commentata).
  • Lettere (1585-1638), a cura di S. Morando, Leo S. Olschki, Firenze, 2003 (che raccoglie tutte le lettere, oltre cinquecento, indispensabili per conoscere il poeta).
  • I principali melodrammi e la tragedia Angelica in Ebuda, si rileggono nella storica edizione del volume Gli albori del melodramma, a cura di Angelo Solerti, Milano, Sandron, 1903.
  • Tutto il resto della produzione si rilegge in stampe dell'epoca, o nelle ristampe sette-ottocentesche del Salvioni e del Geremia (vd. voci sottostanti).
  • Gabriello Chiabrera, [Opere]. 1, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all'insegna della Minerva, 1757.
  • Gabriello Chiabrera, [Opere]. 2, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all'insegna della Minerva, 1757.
  • Gabriello Chiabrera, [Opere]. 3, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all'insegna della Minerva, 1757.
  • Gabriello Chiabrera, [Opere]. 4, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all'insegna della Minerva, 1757.
  • Gabriello Chiabrera, [Opere]. 5, In Venezia, presso Angiolo Geremia in Merceria all'insegna della Minerva, 1757.

Note


Altri progetti

Collegamenti esterni

Controllo di autoritàVIAF (EN19755522 · ISNI (EN0000 0001 2123 1148 · SBN LO1V089446 · BAV 495/74234 · CERL cnp01232979 · LCCN (ENn84160363 · GND (DE118669222 · BNE (ESXX1186912 (data) · BNF (FRcb123640098 (data) · J9U (ENHE987007259635305171 · NSK (HR000076643 · CONOR.SI (SL127626595