Utente:Interminatispazi/Sandbox3
Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio | |
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Stato | ![]() |
Regione | Marche |
Località | Ascoli Piceno |
Religione | Cattolica |
Titolare | Vincenzo di Saragozza ed Anastasio il Persiano [1] |
Diocesi | Diocesi di Ascoli Piceno |
Stile architettonico | Romanico - Gotico |
Inizio costruzione | VIII [2]
- IX secolo [3] |
Completamento | anno 1389 |
La Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio è un luogo di culto cattolico della città di Ascoli Piceno.
Si affaccia con il suo prospetto principale su un lato della Piazza Ventidio Basso, fulcro delle attività commerciali durante tutto il Medioevo.[1] Costruita seguendo i canoni dell'architettura delle chiese romaniche locali [4] é stata, successivamente, connotata da caratteristiche gotiche nel XIV secolo. [5] È nota per essere annoverata tra le costruzioni religiose più antiche ed artisticamente significative della città e di «grande importanza per l'archeologia cristiana». [6]
È dedicata ai santi Vincenzo di Saragozza ed Anastasio il Persiano ed appartiene alla competenza territoriale della parrocchia della chiesa di San Pietro Martire. [7]
Le sue linee architettoniche la distinguono da ogni altro edificio sacro ascolano. Per la caratteristica decorazione a riquadri della facciata è accomunata nello stile al duomo di Assisi, alla chiesa di San Pietro di Spoleto ed a quella di Santa Giusta fuori le mura di Bazzano. [8]
Compare classificata nell'elenco dei monumenti nazionali d'Italia dall'anno 1902. [9]
Storia
Il silenzio delle fonti documentali non consente di individuare ed indicare una precisa data di costruzione e, come ricorda Antonio Salvi, s'ignorano «quasi totalmente le vicende storiche ed artistiche più antiche». [10]
La chiesa, nella sua forma attuale, risulta essere l'esito di opere, restauri ed elaborazioni architettoniche sviluppate ed aggiunte durante il corso di almeno seicento anni [6] e concluse nell'anno 1389. [8]
Alcuni studiosi riconoscono la nascita della fabbrica sulla preesistente presenza di un basso oratorio, semi-sotterraneo, risalente al IV-VI secolo, costruito dai cristiani come luogo di culto per l'amministrazione del battesimo.[4] Cesare Mariotti la descrive «sorta molto umilmente» «nel IX secolo» [3] ed Enrico Cesari ipotizza che potrebbe trattarsi «forse anche dell'VIII». [11] A quel periodo risalgono le modifiche apportate alla cripta cui si volle sovrapporre una piccola e «modesta chiesetta».[11] In seguito furono aggiunti: l'abside, la torre campanaria, il portale con il gruppo scultoreo e le navate laterali. [11]
Nelle sue Memorie Ascolane, Niccolò Marcucci scrive che nel corso del XIII secolo, nell'anno 1275, «la chiesa parrocchiale di Sant'Anastasio fosse Collegiata e che offiziavano per Priore D. Nicola di Nicola con altri sacerdoti cioè D. Bonaventura di Tomaso, D. Pietro di Gualtiero di Ugone, D. Matteo di Angelo. ecc., e vi serviva per chierico Cabalisco di Giovanni.»[12]
Nell'anno 1288, «Bonaventura magistri Thome clerico» con «Nicolao Nicole priore» della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio è menzionato in qualità di partecipante all'atto di inventario dei beni «Iorgutii (Georgutii) Simonicti de Monte Passillo». [13]
Il canonico Pietro Capponi, mentre delinea la figura di Bernardo I, secondo Vescovo-conte di Ascoli, nominato da papa Benedetto IX nel 1036, riferisce che «nello stesso anno venne ingrandita la chiesa dei SS. Vincenzo ed Anastasio in città, e vi fu fatta la facciata come rilevasi dall'iscrizione che si legge intorno al timpano della porta in caratteri gotici.»[14]
Antonio De Santis la annovera tra le 15 parrocchie registrate nella rassegna del catasto ascolano del XIV secolo. Nelle carte è citata con la denominazione di «Ecclesia S. Anastaxi». Al tempo aveva in annessione la chiesa parrocchiale indicata con il nome di «Santa Maria di Poggio da Capo». Sebbene quest'ultima chiesa nei documenti fosse nominata come «Sanctae Mariae de Podio Brietae» ossia «Santa Maria di Poggio di Bretta», l'autore dimostra che non può trattarsi del paese di Poggio di Bretta perché la parrocchiale è dedicata San Giovanni Battista, mentre quella di Poggio da Capo è intitolata all'Assunta. Quest'ultimo storico ritiene che la chiesa dei Santi vincenzo e Anastasio sia stata eretta sulla precedente costruzione di un tempio pagano. [15] In seguito la chiesa conobbe un periodo di «decadenza» ed «abbandono» e la cripta, nata come oratorio, divenne una fossa per le sepolture.[11]
Sebastiano Andreantonelli, vissuto tra il XVI ed il XVII secolo, nel Liber Vnicus Asculanae Ecclesiae o Libro V della Storia di Ascoli, la nomina con l'intitolazione ai santi Anastasio e Silvestro.[16] L'attribuzione a san Silvestro, assegnata da questo storico, potrebbe rappresentare il riferimento al santo cui è dedicata la cripta ipogea.[17] La classifica come la terza chiesa ascolana, custode di molte reliquie, antica Collegiata condotta da un priore e due chiericati,[18] in cui vi era una confraternita della Disciplina di Nostro Signore Gesù Cristo.[19]
Nell'anno 1576, come ricorda Giuseppe Fabiani, le pareti della chiesa non erano intonacate. Venanzo Perfetti di Camerino, priore della chiesa, incariò il maestro Giovanni Angelo di Marco di Bonera per eseguire un lavoro di rivestimento d'intonaco sulle mura pattuendo un «compenso di 4 bolognini e mezzo per ogni passo». Il lavoro del maestro consisteva nel «diligentem scalcinare, implastare seu intondicare ed deinde dealbare ac dare pezzam post intondicationem factam». Fabiani si sofferma sull'atto dello scalcinare e considera che questo intervento potrebbe aver cancellato e rimosso gli affreschi parietali allora presenti. [20]
Dal 1856 fu dimenticata e chiusa al culto a causa delle precarie condizioni statiche in cui versava. Nel 1897 l'Ufficio regionale per la Conservazione dei monumenti, diretto dall'architetto Giuseppe Sacconi, ritenne di disporre l'intervento di urgenti opere risarcitorie per evitare l'intera rovina del fabbricato.[21] La direzione dei lavori fu affidata all'ingegnere ascolano Enrico Cesari che seguì la reintegrazione del tetto, la demolizione dei soffitti diroccati, la rimozione delle ossa dei defunti che occupavano la cripta ed, infine, la captazione dell'acqua sorgiva che provocava l'allagamento degli ambienti sotterranei. [21]
La scarsità documentale pervenuta sulla storia della chiesa rende possibile la sola ricostruzione temporale degli eventi legati allo studio di due epigrafi.
Epigrafia
L'iscrizione più antica
Il testo dell'epigrafe più antica si trova incisa nell'archivolto della lunetta del portale principale e corre su due fasce parallele, racchiuse da tre linee concentriche. [22] I segni grafici mostrano i caratteri dell'alfabeto gotico, [6] [23] prevalentemente maiuscolo e connotato da numerosi tratti ornamentali. [24]
Le lettere si sviluppano in altezze comprese tra 2,5 e 4 cm. [10] Le 5 strofe del componimento sono intervallate da 4 stelle ad otto punte, iscritte in riquadri di cm 11,5 x 10,5 che scandiscono il testo a distanza variabile, ma simmetrica. [10] L'impostazione della grafia mostra delle irregolarità e, seppur lavorata nella stessa bottega, è probabilmente stata incisa da mani diverse, forse cinque, una per ogni strofa. [25]
Il contenuto dell'iscrizione riferisce della realizzazione di un «novum opus», ossia: una «nuova opera», voluta da dal priore Bonaventura, [22] continua con un'invocazione alla Vergine ed ai santi Vincenzo ed Anastasio e si conclude con una preghiera. [24]
Dalla lettura si apprende che l'autore dell'intervento del «novum opus» fu il priore Bonaventura del quale «non è stato possibile reperire altre notizie, per cui l'epigrafe, al momento attuale, [26] resta l'unica fonte sul personaggio e la sua opera» [27]
Il testo:[28]
Milleno ac triceno sexto percurrente anno
Prioris in tempore vocati Bonaventure
Hos condidentis ve s (sic) cumqo orantes dicamus
Eya o mat Virgo tuum Natum deprecando
Cum Sco Vincentio et Martire Anastasio
Ut hi dantes de suis ac vestris absolvat culpis
Q cum hiis det vitam bonam demumque gloriam suam
Omnes et hic sepultos ad deos conducat scos
Legenterque hoc oms benedicat et astantes.»
L'anno di datazione, riportato in questa iscrizione, è stato interpretato in modo diverso dagli studiosi perchè nella traduzione in lingua italiana della strofa: «Milleno ac triceno sexto percurrente anno» alcuni riconoscono nel lemma «triceno» il significato di trenta mentre Antonio Salvi scrive che questa versione, adottata da molti autori,[29][30][31] « correttamente dovrebbe indicare 1036», [32] ma adduce che durante il periodo medievale fosse piuttosto frequente lo scambio delle lettere «i» ed «e» nella scrittura. Da questa osservazione conclude che «triceno» sia un da considerare come un'«incongruenza» grammaticale e debba essere letto come «treceno» che significa trecento.[33] Aggiunge, inoltre, che questo anno di datazione sembra più consono all'analisi delle forme grafiche presenti nei caratteri, ai segni abbrievativi introdotti nel componimento,[34] alla forma in cui sono scritte alcune parole [32] ed allo stile architettonico del sacro edificio. [33]
Nel testo si legge:[35]
milleno ac triceno-sexto p(er)cu(r)e(n)te a(n)no:,
prioris in t(em)p(or)e – vocati Bonaventure:,
hos con (n)dide(n)tis ve(r)s(us) – cu(m) q(u)o orantes dicam(us):,
eya o mat(er) virgo – tuum natum deprecando:,
cum s(an)c(to) Vincentio – et martire Anastaso:,
ut hi(c) da(nt)tes d(e) suis – a cu(n)tis absolvat c(u)lpis:,
ac hiis vita(m) bonam – demu(m)q(ue) glo(ori)a(m) su(m)ma(m):,
om(ne)s et hi(c) sepi(u)ltos – ad d(i)c(t)os co(n)ducat s(an-c(t)os:,lege(n)tesq(ue) hoc o(mne)s – b(e)nedicat et asta(n)tes:,»
«Questa nuova opera fu fatta mentre ricorreva l'anno 1306, al tempo del priore Bonventura, autore di questi versi, insieme al quale innalziamo questa preghiera: o Vergine Madre, supplichiamo tuo Figlio con San Vincenzo e il martire Anastasio, perché conceda ai benefattori di questa chiesa la remissione dei peccati, un'esistenza felice e infine la gloria eterna, perché accordi ai defunti qui sepolti la comunione con questi santi, perché benedica tutti coloro che questa iscrizione leggono ed i presenti.»
L'iscrizione del 1389
La seconda epigrafe in ordine di tempo, datata 1389, [36] è incisa in latino su un blocco di travertino visibile nel tessuto murario esterno della navata destra, messo in opera sul lato sinistro del portale del fianco meridionale. Il supporto lapideo ha una forma quadrata, misura cm 43 x 43, e presenta una scheggiatura nel lato inferiore che non compromette l'integrale lettura del testo scalpellato con l'uso dell'alfabeto gotico maiuscolo con sviluppo verticale delle lettere, [37] che misurano circa cm. 3,5.[38]
Riferisce che nella chiesa è stato eseguito un nuovo intervento architettonico e che a quel tempo era priore Saladino di Matteo. Il nome di quest'ultimo compare il 15 settembre 1395 negli atti dell'Archivio notarile del Comune di Ascoli Piceno conservati presso l'archivio di Stato. Fu il rappresentante di «Nactarella, moglie di Petrus Thomassutii ser Leonardi alias Ferri, il quale in una precedente disposizione testamentearia del 1388 le aveva lasciato parte dell'eredità.» [39]
Le parole dell'iscrizione: [37] [40][41]
«Quest'opera fu fatta al tempo del venerabile signore Saladino di Matteo, priore della chiesa di S. Anastasio nell'anno 1389, al tempo del papa Urbano VI, durante l'XI indizione.»
Antonio Salvi rileva che potrebbe esserci un errore tra l'anno e l'Indizione riportata nel testo. Osserva che nel 1389 correva la XII Indizione e non l'XI, ma si può supporre che il computo sia stato calcolato con sistemi cronologici diversi. L'anno è stato scritto seguendo la datazione romana, mentre il numero dell'indizione potrebbe essere stato individuato con lo stile fiorentino ab incarnatione (25 marzo). Se così fosse il lavoro annunciato in questa epigrafe sarebbe stato concluso entro il 25 marzo del 1389.[42]
Architettura
L'intera consistenza dell'odierno fabbricato religioso si compone della chiesa, della cripta di San Silvestro e del campanile.
Cronistoria delle vicende architettoniche dell'edificio elaborate da Enrico Cesari
La ricostruzione delle vicende architettoniche di questa chiesa trova descrizione nelle parole di Enrico Cesari che illustra e sintetizza le osservazioni che ha rilevato, sul finire del XIX secolo, quando ricoprì l'incarico di curatore e di direttore dei lavori di restauro del fabbricato religioso. Gli interventi volti a rimuovere le cause che compromettevano la stabilità della fabbrica con il conseguente reintegro degli elementi deteriorati, avvenuti nell'anno 1856, compresa la rimozione degli intonaci, consentirono alla muratura di tornare all'aspetto originario e mostrare i particolari delle attività edilizie introdotte al fine di rendere la chiesa più ampia.[21] Dall'esame condotto, Cesari desume e racconta i modi ed i tempi con i quali l'attuale edificio è stato progressivamente modificato ed ampliato.[11]
- IV secolo - A questo periodo risale la costruzione dell'attuale cripta, allora oratorio, che accoglieva le prime comunità religiose cristiane di Ascoli in un luogo stabile per il culto ed idoneo anche all'amministrazione del battesimo.
- XI secolo - Epoca a cui è ascrivibile la struttura di una «chiesetta rettangolare di m. 18,50x5,60 corrispondente alla navata centrale per circa tre quarti della sua lunghezza» [21] edificata sovrapposta allo spazio ipogeo dell'oratorio. Lo stesso spazio indicato da Giambattista Carducci come la parte più antica e «forse anteriore al IX secolo».[43] L'«abside poligonale fu opera aggiunta e per conseguenza posteriore, mentre la torre sorse completamente distinta ed all'esterno della chiesa all'angolo sud-ovest di essa, impostata su 4 pilastri.» [43] come quella della chiesa ascolana dedicata a San Giacomo Apostolo.
- XI secolo - XIV secolo - Alla piccola facciata venne aggiunto il portale maggiore, allora costituito dalla lunetta e dal grupo scultoreo. [43] Non risultano altre opere di cui si possa vedere traccia dopo l'anno 1036 fino alla «completa rifattura, che la portò alle attuali condizioni e che ebbe probabilmente termine nel 1389 », ossia nel XIV secolo.[44]
La facciata ed i fianchi
Le linee architettoniche del prospetto principale la distinguono da ogni altra chiesa ascolana per la sua caratteristica ed originale decorazione. La facciata, di forma rettangolare, rimasta incompleta nella porzione superiore, è ripartita da un reticolo di 64 riquadri. Ognuno di essi è racchiuso da una lineare cornice a rilievo che crea un motivo di intersezioni verticali ed orizzontali ripetuto su tutta la parete. [36]
Il disegno della rete di linee decorative poggia su un sottostante zoccolo che percorre alla base anche i fianchi della chiesa. La superficie interna di ogni riquadratura, nel XV secolo, conteneva pitture a tema religioso.[6] De Santis specifica che si trattava di affreschi che illustravano la storia dei santi Vincenzo e Anastasio,[30] mentre Secondo Balena ipotizza che le rappresentazioni fossero episodi tratti dal «Vecchio e del Nuovo Testamento, nonchè di tradizione popolare»,[45] come una sorta di «Bibbia dei poveri» [46] L'intero prospetto dipinto è stato paragonato ad un grandioso e complesso polittico ormai consunto e divenuto invisibile. [36]
I fianchi delle navate minori mostrano una ripartitura a lesene e sono aperti da un portale gotico ciascuno. [6]
Portale
Al centro del prospetto si apre il portale maggiore della chiesa, ornato da colonnine «con lavori in elice» che «sorreggono superiormente altrettanti costoloni archivoltati e concentrici». I capitelli, di gusto romano-corinzio, mostrano un'elegante lavorazione a «foglie d'acqua».[47] Alla base dell'imposta dell'arco si trovano le sculture di due leoncini scolpite con «rara finezza».[48][6] L'archivolto della lunetta reca la data dell'anno 1036.[48]
All'interno vi sono le statue, scolpite ad altorilievo, della Madonna col Bambino affiancata dai santi Vincenzo e Anastasio, risalenti all'XI secolo, eseguite da un ignoto lapicida.[48] Giambattista Carducci sottolinea come questo gruppo scultoreo abbia similitudini nello stile con altre statue ascolane e uno stile «rimarchevole» che «non sa nè di antico, nè della così detta Greca maniera; ma rassembra un'alba, un oscuro presentimento dell'eleganza piena di dignità e di sentimento, che rese insigne il XIV secolo».[48] Giuseppe Fabiani riferisce che nei secoli bassi, nella città di Ascoli, era attiva una scuola di scultura [49] con maestranze specializzate nella lavorazione e nel taglio del travertino cui appartenevano i «magistri de preta» che, negli Statuti ascolani del 1377, formavano una corporazione a parte insieme ai maestri del legno.[50]
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- ^ a b AA.VV., Le Trame del romanico – Tesori medievali nella Città del travertino, op. cit., pag. 125.
- ^ Chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio, su beniculturali.marche.it. URL consultato il 3 settembre 2018.
- ^ a b C. Mariotti, Ascoli Piceno, op. cit., pag. 46.
- ^ a b Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, su beniculturali.marche.it. URL consultato il 3 settembre 2018.
- ^ Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio (dipinto ad olio su carta di Giulio Gabrielli), su regione.marche.it. URL consultato il 3 settembre 2018.
- ^ a b c d e f A. Rodilossi, Ascoli Piceno città d'arte, op. cit., pag. 143.
- ^ Chiese nel territorio della parrocchia San Pietro Martire di Ascoli Piceno, su diocesiascoli.it. URL consultato il 3 settembre 2018.
- ^ a b Ascoli Piceno, su treccani.it. URL consultato il 3 settembre 2018.
- ^ Elenco degli edifizi Monumentali in Italia, su archive.org, Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, 1902. URL consultato il 3 settembre 2018.
- ^ a b c A. Salvi, Due epigrafi medievali nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno, op. cit, pag. 3.
- ^ a b c d e E. Cesari, La Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio di Ascoli Piceno, op. cit., pag. 14.
- ^ N. Marcucci, Memorie Ascolane, op. cit., pag. 232.
- ^ A. Salvi, Iscrizioni medievali ascolane, op. cit., pag. 140, nota 272.
- ^ P. Capponi, Memorie storiche della Chiesa Ascolana e dei Vescovi che la governarono, op. cit., pag. 42.
- ^ A. De Santis, Ascoli nel Trecento - Vol. II (1350-1400), op. cit., pag. 262.
- ^ S. Andrantonelli, Historiae Asculanae, op. cit., pag. 210. «Tertia Ecclesia SS. Anastasij, & Siluestri, antiquitus item Collegiata, habet priorem, & duos Clericatus. Plures in ea feruantur SS. Reliquae; fuitque ibidem Laicorum Confraternitas vulgo, seu societas, nomine Disciplinae Domini Nostri Iesu Christi.»
- ^ S. Andreantonelli, Storia di Ascoli Traduzione di P. B. Castelli e A. Cettoli, op. cit., Nota 46, pag. 373.
- ^ S. Andreantonelli, Storia di Ascoli Traduzione di P. B. Castelli e A. Cettoli, op. cit., pag. 281.
- ^ S. Andreantonelli, Storia di Ascoli Traduzione di P. B. Castelli e A. Cettoli, op. cit., pag. 282.
- ^ G. Fabiani, Ascoli nel Cinquecento, Vol. II, op. cit., pp. 186-187
- ^ a b c d E. Cesari, La Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio di Ascoli Piceno, op. cit., pag. 4.
- ^ a b A. Salvi, Iscrizioni medievali ascolane, op. cit., pag. 140.
- ^ Giambattista Carducci definisce lo stile dell'epigrafe con «caratteri semilatini». G. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, op. cit., pag. 149.
- ^ a b A. Salvi, Due epigrafi medievali della Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno, op. cit., pag. 5.
- ^ A. Salvi, Due epigrafi medievali nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno, op. cit, pag. 4.
- ^ Il «momento attuale» a cui si riferisce Antonio Salvi è l'anno 1980, ossia l'anno di pubblicazione della sua monografia Due iscrizioni medievali nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio di Ascoli Piceno citata in bibliografia.
- ^ A. Salvi, Due iscrizioni medievali nella Chiesa adei Santi Vincenzo e Anastasio di Ascoli Piceno, op. cit., pag. 8.
- ^ G. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, op. cit., pag. 149.
- ^ G. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, op. cit., pag. 149.
- ^ a b A. De Santis, Ascoli nel Trecento - Vol. II (1350 - 1400), pag. 261.
- ^ C. Mariotti, Ascoli Piceno, op. cit., pag. 47.
- ^ a b A. Salvi, Iscrizioni medievali ascolane, op. cit., pag. 142.
- ^ a b A. Salvi, Due epigrafi medievali nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in ascoli Piceno, op. cit., pag. 6.
- ^ A. Salvi, Due epigrafi medievali nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio di Ascoli Piceno, op. cit., pag. 3, Nota 1.
- ^ A. Salvi, Due epigrafi medievali nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno, op. cit., pp. 4-5.
- ^ a b c G. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, op. cit., pag. 146.
- ^ a b A. Salvi, iscrizioni medievali di Ascoli, op. cit., pag. 143.
- ^ A. Salvi, Due epigrafi medievali nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno, op. cit., pag. 10.
- ^ A. Salvi, Due epigrafi medievali nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno, op. cit., pp. 12-13
- ^ A. Rodilossi, Ascoli Piceno città d'arte, op. cit., pp. 143 - 144.
- ^ A. De Santis, Ascoli nel Trecento, (1350-1400) Vol. II, op. cit., pag. 443.
- ^ A. Salvi, Due epigrafi medievali nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno, op. cit., pag. 12.
- ^ a b c E. Cesari, La Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio di Ascoli Piceno, op. cit., pag. 5.
- ^ Errore nelle note: Errore nell'uso del marcatore
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: non è stato indicato alcun testo per il marcatoreE. Cesari, La Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno, pag. 6
- ^ S. Balena, Ascoli la storia per le strade, op. cit., pag. 95.
- ^ S. Balena, Ascoli nel Piceno - Storia di Ascoli e degli Ascolani, op. cit., pag. 328.
- ^ G. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, op. cit., pag. 147.
- ^ a b c d G. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, op. cit., pag. 148.
- ^ G. Fabiani, Ascoli nel Quattrocento, Vol. II, op. cit., pag. 8.
- ^ G. Fabiani, Ascoli nel Quattrocento, Vol. II, op. cit., pp. 8-10.