Bozza:Rivoluzione kirghisa del 2010

Rivoluzione kirghisa del 2010
Veicolo dell'opposizione in fiamme vicino al Parlamento durante le proteste a Biškek, il 7 aprile 2010. Visibili guardie accanto al fumo.
Data6-15 aprile 2010
LuogoKirghizistan
Causa
EsitoDemocratizzazione del Kirghizistan
Schieramenti
Effettivi
5 000 persone circa
Perdite
118 morti, 400 feriti
Voci di rivoluzioni presenti su Wikipedia

La rivoluzione kirghisa del 2010, nota anche come Seconda rivoluzione kirghisa, Rivoluzione del melone,[1][2][3] Eventi di aprile (in kirghiso Апрель окуясы?, Aprel okuyasy)[4] o, ufficialmente, Rivoluzione popolare d'aprile,[5] ebbe inizio nell'aprile 2010 con la destituzione del presidente kirghiso Kurmanbek Salieviç Bakiev nella capitale Biškek. A questa fase seguì un'escalation di tensioni etniche tra kirghisi e uzbechi nel sud del Paese, culminata in violenze diffuse nel giugno 2010. Tali eventi portarono infine al consolidamento di un nuovo sistema parlamentare in Kirghizistan.

Nel caos generale, membri della minoranza uzbeca in esilio riferirono di essere stati aggrediti e costretti a fuggire in Uzbekistan, mentre circa 400 000 cittadini kirghisi risultarono sfollati interni.[6] Le testimonianze raccolte da media e operatori umanitari riportano casi di uccisioni di massa, stupri di gruppo e torture.[7] L'allora capo del governo ad interim, Roza Otunbaeva, dichiarò che il bilancio delle vittime era dieci volte superiore a quanto inizialmente comunicato, portando il numero dei morti a circa 2 000 persone.

Contesto

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Politica interna

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Durante l'inverno tra il 2009 e il 2010, il Kirghizistan fu interessato da interruzioni programmate dell'energia elettrica e da frequenti blackout, in un contesto caratterizzato da un progressivo aumento dei costi energetici.[8]

Nel gennaio 2010, il Kirghizistan inviò una delegazione in Cina per discutere un rafforzamento delle relazioni economiche.[9] La compagnia elettrica nazionale kirghisa, Natsionalnaya electricheskaya syet, e l'azienda cinese Tebian Electric firmarono un contratto da 342 milioni di dollari per la costruzione della linea di trasmissione Datka-Kemin da 500 kV. Il progetto mirava a ridurre la dipendenza del Kirghizistan dai sistemi energetici dell'Asia centrale e la dipendenza dalla Russia. La delegazione era guidata dal figlio dell'allora presidente Bakiev.[9]

Nel febbraio 2010, il governo kirghiso propose un aumento delle tariffe energetiche. I costi del riscaldamento avrebbero dovuto aumentare del 400%, e quelli dell'elettricità del 170%.[10] In Kirghizistan cresceva da tempo il malcontento per la percepita corruzione e il clientelismo dell'amministrazione Bakiev, oltre che per la difficile situazione economica e il recente aumento delle tariffe energetiche.[11][12]

Le proteste, sporadiche e caotiche, colsero di sorpresa sia la popolazione locale sia la comunità internazionale. Il quotidiano britannico The Guardian pubblicò un articolo l'8 aprile suggerendo che la rivolta potesse essere soprannominata "Rivoluzione dell'abete" (in inglese Fir Tree Revolution), in riferimento agli arbusti sradicati dai saccheggiatori nel giardino dell'abitazione del presidente Bakiev.[13]

Il 3 aprile 2010, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, giunse in Kirghizistan per una visita ufficiale. In tale occasione, un gruppo di manifestanti si radunò davanti alla sede delle Nazioni Unite nella capitale, Biškek, con l'intento di richiamare l'attenzione sulla situazione della stampa e dei media nel Paese.[14] Un piccolo gruppo si spostò poi verso il centro cittadino, ma fu fermato dalla polizia.[14]

Politica estera

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Alcuni esponenti dei media hanno suggerito che le rivolte nel Paese e le affermazioni dell'opposizione di aver preso il controllo del governo fossero paragonabili alla Rivoluzione dei Tulipani del 2005.[15]

La presenza militare statunitense in Kirghizistan continua a costituire un tema di discussione a livello nazionale, suscitando dibattiti sia in ambito politico che nell’opinione pubblica.[16]

Fino al marzo 2010, la Federazione Russa aveva sostenuto il governo del presidente Kurmanbek Bakiev.

Tuttavia, secondo quanto riportato dall'Eurasian Daily Monitor il 1º aprile 2010, nelle due settimane precedenti Mosca avrebbe avviato una campagna mediatica ostile nei confronti di Bakiev, facendo leva su emittenti e organi di stampa russi, sui quali esercita una notevole influenza anche all'interno del Kirghizistan.[17] La campagna mediatica mirava ad associare il presidente e suo figlio, Maxim Bakiev, a un imprenditore accusato di corruzione, la cui azienda era coinvolta in un progetto governativo. Secondo le stesse fonti, agli inizi di marzo un giudice italiano, Aldo Morgigni, avrebbe emesso un mandato di arresto nei confronti di Eugene Gourevitch, cittadino con doppia nazionalità kirghisa e statunitense, accusato di aver truffato la società Telecom Italia.[18] All'epoca, Eugene Gourevitch ricopriva l'incarico di direttore generale di un'agenzia di consulenza che prestava servizi al Fondo per lo Sviluppo del Kirghizistan, un ente statale la cui gestione era affidata all'Agenzia Centrale, diretta da Maxim Bakiev. Quest'ultima struttura rappresentava uno degli strumenti principali attraverso cui il figlio del presidente esercitava una significativa influenza sulle risorseeconomiche e sugli investimenti strategici del Paese.[19]

In seguito alla diffusione delle notizie relative al caso Gourevitch, il governo avviò una serie di misure repressive nei confronti dei media indipendenti che avevano riportato la vicenda. Il 18 marzo 2010, due quotidiani furono chiusi per ordine delle autorità. Poco dopo, Radio Azattyk, il servizio in lingua kirghisa di RFE/RL, fu costretta a interrompere le trasmissioni. Il 31 marzo fu sospesa anche la pubblicazione del quotidiano d'opposizione Forum, mentre il 1º aprile le attrezzature del sito di informazione indipendente Stan.tv vennero sequestrate dalle forze di sicurezza.[20]

La campagna mediatica ostile da parte della Russia coincise con un progressivo deterioramento delle relazioni bilaterali, dovuto in particolare al mancato rispetto, da parte del presidente Bakiev, di una serie di impegni assunti nei confronti di Mosca. Tra le questioni più rilevanti figurava la gestione delle basi militari presenti sul territorio kirghiso, rispetto alla quale il governo di Biškek si era mostrato ambiguo, non dando seguito ad alcune delle richieste avanzate dalla Federazione Russa.[17]

Il 1º aprile 2010, la Federazione Russa introdusse dazi sulle esportazioni di energia verso il Kirghizistan, giustificando la misura con la recente istituzione dell'unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan. L'imposizione dei dazi ebbe effetti immediati sull'economia kirghisa, determinando un rapido aumento dei prezzi del carburante e dei trasporti. Tali rincari contribuirono a intensificare il malcontento popolare e, secondo diverse fonti, furono tra i fattori scatenanti della massiccia protesta che ebbe luogo a Talas il 6 aprile 2010.[21]

Svolgimento

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6 aprile

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Biškek
Talas
Naryn
Tokmok
Localizzazione dei principali disordini in Kirghizistan nell'aprile 2010

Nella città occidentale di Talas, circa 1 000 manifestanti hanno preso d'assalto la sede del governo, prendendo brevemente in ostaggio alcuni dipendenti pubblici. Le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo dell'edificio nel tardo pomeriggio, ma sono state rapidamente respinte dai manifestanti.[22][23]

Due importanti leader dell'opposizione, Omurbek Tekebayev e Almazbek Atambaev, sono stati arrestati dalle autorità. A Biškek, una folla di circa 500 manifestanti ha iniziato a radunarsi nei pressi di una fermata dell'autobus in una zona industriale, dove diversi oratori hanno tenuto discorsi sugli eventi di Talas.

La polizia antisommossa, armata di manganelli, scudi e cani poliziotto, si è mossa verso la folla in una formazione a rettangolo. Gli agenti hanno circondato i manifestanti e li hanno spinti verso gli autobus. Un ampio gruppo di manifestanti ha poi sfondato le linee della polizia, ha attraversato la strada, raccolto delle pietre e attaccato gli agenti, dando luogo a una violenta colluttazione durante la quale alcuni poliziotti hanno perso caschi e manganelli.[24]

7 aprile

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La mattina del 7 aprile 2010, un piccolo gruppo di manifestanti fu arrestato di fronte alla sede del Partito Socialdemocratico a Biškek. In risposta, centinaia di persone si radunarono nella città e, nel corso della giornata, le proteste assunsero carattere violento anche in altre località del Paese.[22][23] Le forze di polizia, nel tentativo di contenere i disordini, furono sopraffatte. Alcuni civili riuscirono a impossessarsi di due veicoli blindati e di numerose armi automatiche sottratte agli agenti. Il gruppo di manifestanti, ormai cresciuto fino a tra i tremila e i cinquemila partecipanti, si diresse verso il centro cittadino e occupò Piazza Ala-Too, dove circondarono la Casa Bianca, ossia il palazzo del Governo.[25][26] Nella piazza si udivano colpi d'arma da fuoco e granate stordenti, mentre alcuni manifestanti venivano visti fuggire. La polizia reagì con l'uso di gas lacrimogeni, proiettili di gomma e granate stordenti nel tentativo di disperdere la folla.[27]

 
La sede della procura a Biškek, andata a fuoco durante le manifestazioni

8 aprile

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Il presidente Bakiev, che secondo quanto confermato dal Ministero della difesa kirghizo si trovava nella sua residenza a ,[28], ha ammesso di non avere al momento alcun potere per influenzare gli eventi nel Paese, pur rifiutandosi di rassegnare le dimissioni.[29]

Nonostante l'opposizione si fosse dichiarata al controllo delle forze di polizia e dell'esercito,[29] i residenti di Biškek iniziarono a formare milizie volontarie per difendersi dai saccheggiatori.


Michael McFaul, alto consigliere statunitense della Casa Bianca per gli affari russi, dichiarò a Praga che la presa del potere da parte dell'opposizione in Kirghizistan non aveva carattere anti-statunitense, né costituiva un colpo di Stato orchestrato o sostenuto dalla Federazione Russa.[30] Tuttavia, Omurbek Tekebayev, responsabile per le questioni costituzionali nel nuovo governo, disse: «La Russia ha avuto un ruolo nella cacciata di Bakiyev. Avete visto la gioia della Russia quando Bakiyev è stato rimosso.» Inoltre, il Primo Ministro russo Vladimir Putin fu il primo leader straniero a riconoscere Roza Otunbayeva come nuova leader del Kirghizistan e la chiamò subito dopo che lei annunciò di essere al comando, mentre il vicecapo del governo provvisorio, Almazbek Atambayev, volò a Mosca il 9 aprile per consultazioni con funzionari russi non specificati, secondo quanto riportato dall'agenzia ITAR-Tass.[31]

Il vicepresidente della Duma di Stato della Federazione Russa, Vladimir Žirinovskij, dichiarò che gli Stati Uniti sarebbero stati coinvolti negli eventi in Kirghizistan con l'obiettivo di ottenere il controllo della base aerea di Manas, strategicamente rilevante per le operazioni militari nella regione.[32]

Il governo provvisorio annunciò che avrebbe mantenuto il potere per sei mesi, fino alla convocazione delle elezioni presidenziali.[33]

Dal 9 al 14 aprile

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Alcuni giorni dopo, Bakiev dichiarò dalla sua città natale, Oš, che non avrebbe rassegnato le dimissioni e chiese alle Nazioni Unite di inviare truppe nel Paese per ristabilire l'ordine pubblico.[senza fonte] Una manifestazione a suo sostegno tenutasi nella sua città natale fu seguita da un'altra ancora più partecipata, che ne riaffermava il sostegno nel tentativo di tornare alla guida del governo.[senza fonte] In risposta, il ministro degli interni del governo provvisorio annunciò che sarebbe stato emesso un mandato di arresto nei suoi confronti e che la sua immunità sarebbe stata revocata.[34]

Il 13 aprile, Bakiev dichiarò che si sarebbe dimesso solo qualora fossero state garantite la sua sicurezza personale e quella della sua famiglia e del suo entourage. A tal proposito affermò: «In quale caso mi dimetterei? Prima di tutto, dovrebbero garantire che in Kirghizistan non vi siano più persone armate per strada, né sequestri o redistribuzioni di proprietà. Inoltre, devo sapere che la mia sicurezza e quella dei membri della mia famiglia e dei miei collaboratori sarà assicurata.»[35]

Il governo provvisorio replicò che avrebbe potuto garantirne la sicurezza solo nel caso in cui Bakiev si fosse dimesso e avesse lasciato il Paese.[senza fonte] La tensione aumentò ulteriormente quando il governo annunciò l'intenzione di «dare la caccia» a Bakiev, pur offrendogli al contempo un'esile possibilità di andare in esilio. Bakiev rispose dichiarando: «Che provino a catturarmi. Che provino a uccidermi. Credo che ciò porterà a un tale spargimento di sangue che nessuno potrà giustificare».[36]

Durante un vertice sul nucleare tenutosi a Washington, il presidente russo Dmitrij Medvedev affermò che il Kirghizistan stava attraversando una situazione assimilabile a una guerra civile, e che, qualora lo stallo politico non fosse stato risolto, il Paese rischiava di trasformarsi in un «secondo Afghanistan». Sottolineò inoltre come «il rischio che il Kirghizistan si divida – tra sud e nord – [fosse] reale».[35]

Il 14 aprile 2010, la leader ad interim Roza Otunbaeva annunciò che il presidente Bakiev, il suo ministro della difesa, diversi parenti presenti nelle istituzioni e alleati politici sarebbero stati processati per la morte dei manifestanti. Un tribunale kirghiso emise un mandato di arresto nei confronti del fratello di Bakiev, Janybek Bakiev, del figlio maggiore Marat Bakiev e dell'ex primo ministro Daniyar Üsönov.[37]

15 aprile: dimissioni di Bakiev

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Lettera di dimissioni di Bakiev

Il 15 aprile 2010, durante un comizio tenuto da Bakiev a di fronte a circa un migliaio di sostenitori, si udirono colpi d'arma da fuoco. Secondo alcune testimonianze, gli spari sarebbero stati esplosi dalle stesse guardie del corpo del presidente al fine di prevenire eventuali disordini e scongiurare uno scontro diretto con gruppi di oppositori presenti nei pressi dell'evento.[38] Nello stesso giorno, Bakiev rassegnò formalmente le dimissioni attraverso una lettera e lasciò il Paese.[39]

Successivamente alla sua fuga, il presidente deposto Bakiev si rifugiò nella città di Taraz, in Kazakistan, dichiarando l'intenzione di avviare dall'esilio un dialogo con il governo provvisorio guidato da Roza Otunbaeva, al fine di trovare una soluzione pacifica alla crisi politica. Tuttavia, il governo ad interim respinse tale proposta, citando la lettera di dimissioni firmata da Bakiev, con cui egli rinunciava formalmente al potere. Tale documento fu utilizzato per legittimare l'autorità dell'esecutivo provvisorio anche di fronte alla comunità internazionale, che in larga parte ne riconobbe la legittimità. Il governo provvisorio richiese inoltre l'estradizione di Bakiev, con l'obiettivo di avviare nei suoi confronti una procedura di impeachment, ma tale richiesta fu respinta. Sia il governo della Federazione Russa, presieduto da Dmitrij Medvedev, sia l'amministrazione statunitense di Barack Obama, espressero il proprio sostegno al nuovo governo ad interim.[40]

Il 20 aprile 2010, Bakiev lasciò il Kazakistan per trasferirsi definitivamente in Bielorussia, dove il presidente Aljaksandr Lukašėnka gli concesse formalmente asilo politico.[41]

Il giorno seguente, il 21 aprile, Bakiev rilasciò una dichiarazione da Minsk, nella quale affermava di considerarsi ancora il legittimo presidente del Kirghizistan e si impegnava a "fare tutto il possibile" per riportare il Paese "nella sua sfera costituzionale".[42] Contestò inoltre la validità delle proprie dimissioni, sostenendo che fossero state rilasciate sotto costrizione, e invitò la comunità internazionale a revocare il riconoscimento accordato al governo provvisorio.[43] Il governo russo respinse le sue affermazioni, ribadendo che le dimissioni erano state presentate in modo formale e volontario, e che «tale documento non può essere annullato con una dichiarazione orale».[44] In risposta, Bakiev accusò la Russia di aver orchestrato un colpo di Stato contro di lui, sostenendo che ciò fosse dovuto al suo rifiuto di interrompere la cooperazione militare con gli Stati Uniti, in particolare per quanto riguardava l’uso delle basi kirghise nei rifornimenti alla missione in Afghanistan.[45]

Reazione internazionale

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Vari Stati della regione e non solo hanno espresso preoccupazione per la situazione in Kirghizistan e hanno lanciato appelli alla stabilità del Paese. Organizzazioni internazionali come l'Organizzazione delle Nazioni Unite, l'Unione europea e l'OSCE hanno rivolto analoghi inviti alla calma e al rispetto dell'ordine costituito.

Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha espresso profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria nel sud del Kirghizistan, invitando le autorità kirghise a fare tutto il possibile per proteggere la popolazione civile, ristabilire l'ordine e garantire il rispetto dello stato di diritto.[46][47]

Stati e organizzazioni internazionali

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  Nazioni Unite
Un portavoce del Segretario generale Ban Ki-moon ha dichiarato che la partenza di Bakiev rappresentava "un passo importante verso uno sviluppo pacifico, stabile, prospero e democratico del Paese e verso una buona governance."[48]
  Unione europea
L'8 aprile, l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton, ha invitato «tutte le parti a mostrare moderazione e a riprendere il dialogo», sottolineando che «un rapido ripristino dell'ordine pubblico è essenziale per evitare ulteriori perdite». Ha inoltre offerto assistenza umanitaria da parte dell'UE per contribuire alla stabilizzazione del Paese.[49] Il 9 aprile, Ashton ha annunciato l'invio in Kirghizistan di un inviato speciale dell'Unione Europea, Pierre Morel, con l'incarico di valutare la situazione e identificare le modalità attraverso le quali l'UE, in cooperazione con i partner internazionali, potesse agevolare una risoluzione pacifica della crisi. Ha infine rivolto le condoglianze alle famiglie delle vittime.[50]
  Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE)
Sotto la presidenza del Kazakistan, l'OSCE ha invitato alla calma e si è dichiarata disponibile a facilitare negoziati. Ha riconosciuto che «le vere cause dei disordini risiedono in questioni politiche, economiche e sociali, che devono essere affrontate tramite un ampio dialogo politico».[51] L'8 aprile, l'OSCE ha nominato Zanybek Karibzhanov come proprio inviato speciale in Kirghizistan.
  Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO)
La CSTO ha dichiarato di monitorare attentamente la situazione in Kirghizistan, pur precisando di non avere intenzione di intervenire nel conflitto interno di uno Stato membro.
Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO)
La SCO ha espresso preoccupazione per gli eventi in Kirghizistan, che hanno causato vittime, e ha trasmesso le proprie condoglianze alle famiglie colpite. L'organizzazione ha sottolineato che pace, sicurezza e stabilità politica in Kirghizistan, Stato membro della SCO, sono di importanza prioritaria per l'intera regione, auspicando un rapido ritorno all'ordine e alla legalità.[52]
  Bielorussia
Il presidente Aljaksandr Lukašėnka ha dichiarato che avrebbe concesso asilo a Bakiev sotto la protezione dello Stato, dopo che l'ex presidente kirghiso aveva rivolto un appello accorato affinché fosse accolta almeno la sua famiglia, se non lui stesso.[53]
Il portavoce del Ministero degli Esteri bielorusso ha manifestato preoccupazione, affermando che «le proteste di piazza non possono costituire un metodo per risolvere le controversie», e ha esortato tutte le parti ad astenersi dalla violenza, promuovendo una risoluzione legale della crisi.
  Cina
Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese ha espresso «profonda preoccupazione» per la situazione in Kirghizistan, augurandosi un ritorno all’ordine nel più breve tempo possibile.
  India
Le autorità indiane hanno manifestato preoccupazione per gli sviluppi in Kirghizistan, esprimendo la speranza in una rapida soluzione della crisi e nel ripristino della pace e della stabilità.
  Iran
Il Ministero degli Esteri iraniano ha sollecitato una normalizzazione quanto più rapida della situazione in Kirghizistan, chiedendo l'immediata cessazione delle violenze.
  Giappone
In un comunicato del Ministero degli Affari Esteri del Giappone, il portavoce e direttore generale per la stampa e le relazioni pubbliche ha affermato: "Il Governo del Giappone auspica che questo accordo favorisca la normalizzazione della situazione nella Repubblica del Kirghizistan ed esprime il proprio apprezzamento per gli sforzi dei Paesi coinvolti, tra cui Stati Uniti d'America, Russia e Kazakistan, nonché delle organizzazioni internazionali interessate come l'OSCE."[54]
  Kazakistan
Dopo l'espatrio di Bakiev in Kazakistan, era previsto un incontro con il presidente Nursultan Nazarbaev. Il governo kazako ha confermato la partenza dell'ex presidente kirghiso, definendola un passo importante per prevenire una guerra civile. Tale misura è stata frutto degli sforzi congiunti tra le autorità kirghise, il Kazakistan, il presidente russo Dmitrij Medvedev e il presidente statunitense Barack Obama.[55]
  Russia
Il presidente Dmitrij Medvedev ha dichiarato che il regime di Bakiev è crollato a causa della corruzione, dei legami clientelari e dell'incapacità di affrontare i problemi sociali. Il primo ministro Vladimir Putin ha inoltre promesso al membro del governo provvisorio, Almazbek Atambaev, un sostegno economico pari a 50 milioni di dollari in aiuti e prestiti, oltre a 25 000 tonnellate di carburante per sostenere la stagione agricola primaverile.[48]
  Turchia
Il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan ha esortato il Kirghizistan a porre fine alla violenza e a ristabilire la stabilità nazionale. La Turchia, legata al Kirghizistan da affinità culturali turche, ha dichiarato il proprio pieno sostegno al governo provvisorio kirghiso.[senza fonte]
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  53. ^ Deposed Kyrgyz leader in Belarus, su english.aljazeera.net.
  54. ^ Statement by Press Secretary on the Situation in the Kyrgyz Republic, Ministry of Foreign Affairs of Japan, 16 April 2010.
  55. ^ Ousted leader leaves Kyrgyzstan, su english.aljazeera.net.

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