Rosa Atti (Maccaretolo, 25 agosto 1916Maccaretolo, 6 giugno 1945) è stata una [[]] italiana, presidente della Gioventù Femminile della locale sezione dell'Azione Cattolica[1].

Biografia

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Rosa Atti, chiamata da tutti Rosina, nasce da Alfonso Atti e Scolastica Dovesi, mezzadri. Rosina aveva altri 9 tra fratelli e sorelle, e tutta la famiglia aveva una profonda fede cristiana, che si esprimeva nel corso della giornata con preghiere comuni e la recita del rosario tutte le sere.

Rosina, in particolare, amava accudire agli zingari e diseredati che capitavano a Maccaretolo. Li lavava, li vestiva e dava loro da mangiare, riservando loro lo “stanziolo” (deposito per il foraggio del bestiame). Tale era l’impegno profuso da Rosina, che tutti i bisognosi che arrivavano in paese venivano indirizzati presso la famiglia Atti.

La devozione a Cristo di Rosina era totale, al punto che iniziò ad indossare il cilizio, per avvicinarsi alle sofferenze del Signore ed espiare le colpe degli uomini per le violenze della guerra.

Un giorno, sentendo dei giovani del paese bestemmiare, li riprese duramente. Non è escluso che anche questo episodio abbia avuto un ruolo nella sua successiva tragica fine.

Dopo l’8 settembre 1945 anche a Maccaretolo il clima si fece incandescente. Un genero della famiglia Atti, Baraldi, diventò il Reggente di San Pietro in Casale, e scampò in maniera fortunosa ad un attentato dei partigiani.

Un fratello di Rosina, Antonio, ritornò in paese dopo aver ricoperto il ruolo di rappresentante dei contadini alla Camera delle Corporazioni, carica che gli era stata offerta a riconoscimento della serietà e dedizione della famiglia Atti nella conduzione dell’agricoltura. E’ possibile che questi eventi abbiano poi fatto identificare ai partigiani la famiglia Atti come vicina al regime fascista, ma sono solo ipotesi, perché non vi è nessun documento o testimonianza che vada in questa direzione.

Ad ogni buon conto, la furia partigiana si scatenò poi contro la casa degli Atti, che una notte fu incendiata. La famiglia trovò rifugio presso amici nelle vicinanze. Le violenze in paese furono numerose; fu assassinato anche il medico Ioppolo, e successivamente la sua infermiera Elsa Bergami insieme alla maestra elementare Elide Varotti, entrambe associate all’Azione Cattolica e amiche di Rosina.

Nonostante la situazione drammatica e gli evidenti rischi che ciò comportava, Rosina portava avanti l’attività dell’Azione Cattolica, nella sua qualità di Presidente della Gioventù Femminile.

Il 22 aprile 1945, alle ore 22, gli alleati entrarono a Maccaretolo. Ma se per qualcuno questo significò la liberazione, per altri ebbe inizio la tragedia.

Rosina, insieme ad altre ragazze, subì da parte dei partigiani la violenza della “tosatura”, ovvero il taglio dei capelli a zero e la gogna nella pubblica piazza del paese. Solo l’intervento di un capo partigiano, che conosceva bene Rosina, la salvò, seppur momentaneamente: “Ragazzi, portate subito a casa la Rosina!

Come in tantissimi altri casi in tutto il nord Italia, in quelle settimane seguenti al 25 aprile 1945, Rosina pensò che la rabbia e la voglia di vendetta dei partigiani si fosse esaurita con quel gesto (seppur incomprensibile nei suoi confronti). Come gli altri, Rosina si sbagliava.

La tragica fine

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Arrivò il 6 maggio, una domenica.

Rosina partecipò alla prima messa della giornata, si confessò e accolse l’eucarestia, dopodiché torno a casa.

Ritornò alla messa delle ore 11, in quanto animatrice del coro; trovò i partigiani, schierati e in divisa, lungo la corsia centrale della chiesa.

Rosina tornerà una terza volta, quel giorno, in chiesa, per la funzione pomeridiana. C’erano le ragazze dell’Azione Cattolica che l'aspettavano. Finita la funzione si prostrò per lungo tempo davanti all'Immagine della Madonna, immobile, col capo velato.

Uscendo dalla Chiesa raccolse un ramoscello di glicine, che portò davanti alla Madonna di casa sua. Una ragazza dell'associazione la accompagnò per un lungo tratto: fu l'ultimo incontro di Rosina con la sua Chiesa, non vi tornerà nemmeno da morta.

Quella sera la famiglia Atti si chiuse presto in casa, ben consapevole delle violenze che i partigiani stavano scatenando in paese; la domenica precedente, di sera, i partigiani avevano fatto uscire di casa Enrico Varotti, presidente dell'Amministrazione Parrocchiale e priore della Compagnia del Santissimo, e lo avevano assassinato con un colpo alla nuca.

Anche l’ora dell’ascesa al cielo di Rosina si avvicina. A tarda sera, i partigiani batterono violentemente alla porta di casa Atti.

Aprì Giovanni, l'unico fratello rimasto in famiglia perché menomato ad un occhio. Capì subito cosa stava succedendo. Giovanni disse: "Prendete me!", ma gli risposero che volevano Rosina. Salirono al piano superiore, dove trovarono Rosina e sua sorella Maria, la quale li implorò di lasciarla stare. Ma quegli uomini la rassicurarono, "Non siamo assassini. Tra poco la rivedrai a casa."

Rosina si vestì e si strinse in un lungo abbraccio silenzioso con la sorella Maria. "In quell'abbraccio silenzioso, ci dicemmo tutto" dirà poi Maria. Infine, partì con loro, senza piangere, senza reagire, come un agnellino che va al mattatoio.

Dopo circa una ventina di minuti, si sentì una scarica di armi in lontananza.  Rosina morì così, probabilmente senza nemmeno sapere esattamente il motivo. Aveva 28 anni.[2]

Con lei fu ucciso anche Paolo Buggini, appena eletto Presidente della cooperativa muratori, ma inviso al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che per quell’incarico aveva indicato un altro nome. Anche lui era stato prelevato quella sera da casa sua, strappandolo dalle braccia della moglie e dei cinque figli disperati.

Rosina e Buggini furono sepolti insieme in un campo. Una gamba di Rosina, però, spuntava ancora dal terreno, quindi il corpo fu fatto sparire.

Nel 1950 Paolo Buggini venne esumato e fu celebrato il suo funerale. Nella sua fossa fu trovata una fibbia della cintura di Rosina. Un'ordinanza della Prefettura di Bologna dispose, nel 1960, di inumare i resti di una presunta Rosa Atti nell'ossario del cimitero di S. Pietro in Casale. Ma, di fatto, ancora oggi dei resti della povera Rosina non si sa nulla.

Il delitto venne coperto dal silenzio. Solo successivamente qualche protagonista di quella notte maledetta cominciò a parlare, sopraffatto dal rimorso.

Secondo queste testimonianze, Rosina prima di morire disse: “Questa mattina mi sono comunicata, fate quello che volete: so dove vado!”

Un altro carnefice, piangendo, confesserà poi alla propria madre: "Io sparai. Lei mi guardava con occhi così aperti che mi spaventarono, allora scappai via."

Un altro ancora, in un luogo aperto al pubblico, si spegneva le sigarette sulla pelle, dicendo: "È niente, in confronto a quello che ho fatto alla Rosina."

Infine, un ultimo assassino disse: "Rosina, pur crivellata di colpi, non cadeva a terra: dovemmo rovesciarla!"

Non ci fu mai nessun processo per quei delitti e nessun colpevole, che peraltro avrebbero fruito dell’ “Amnistia Togliatti” di pochi anni dopo. E nessuno spiegò mai perché venne uccisa.

Si possono fare solo ipotesi[1], ma non suffragate da alcun elemento:

1.    Rosina potrebbe essere stata giudicata dai partigiani troppo vicina al regime fascista, ma è un’ipotesi talmente improbabile (non esistono né testimonianze, né documenti che possano in qualche modo anche solo lontanamente andare in questa direzione) da renderla oggettivamente non verosimile, non potendo ragionevolmente considerare come causa il ruolo del cognato Baraldi come reggente di San Pietro in Casale;

2.    Il suo ruolo nell’Azione Cattolica potrebbe essere stato visto come un ostacolo alla rivoluzione comunista che molti partigiani, in quei mesi, speravano di poter portare avanti sulla scia di quanto avvenuto in Russia. In tal senso anche l’omicidio di Enrico Varotti (vedi sopra) potrebbe essere inquadrato in queste dinamiche;

3.    Rosina potrebbe essere stata vittima di una ritorsione personale, forse per un ragazzo del paese appartenente alle bande partigiane da lei rifiutato. Ma anche questa ipotesi appare, tutto sommato, poco verosimile.

La verità è che non sapremo mai il motivo della sua morte, che tanti iniziano a chiamare con un altro nome: martirio.

Il Cardinal Biffi, nella lettera ai parrocchiani di Maccaretolo, dopo la visita Pastorale del 22 Novembre 1992, così si espresse:

"L'esempio fulgente di Rosina Atti, morta per la fede e per la sua passione ecclesiale, sia in mezzo a voi una scuola permanente di coerenza cristiana e di dedizione totale alla causa del vangelo.Tenetene vivo il ricordo: i discepoli di Gesù dimenticano i persecutori, ma non si dimenticano mai dei loro martiri".[1]

  1. ^ a b Ricordando Rosina Atti (don Bruno Salsini, parroco in Sant’Andrea a Maccaretolo, 1995, biblioteca Persicetana).
  2. ^ Sconosciuto 1945 (G. Pansa, 2005, Sperling&Kupfer Editori).
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