Codici di Madrid
I codici di Madrid sono due codici di Leonardo da Vinci conservati presso la Biblioteca nazionale di Spagna.

Storia
modificaUn numero di codici imprecisato venne ereditato da Francesco Melzi per volere di Leonardo da Vinci. Nel 1523 il Melzi tornò a Milano portando con sé le carte.
Alla morte di Francesco Melzi, i manoscritti conservati nella villa di Vaprio d'Adda furono affidati al figlio Orazio e successivamente presero strade diverse a causa di sottrazioni e cessioni.
Pompeo Leoni
modificaGrazie a una breve cronaca lasciata da Giovanni Ambrogio Mazenta, è possibile ricostruire, anche se in modo vago, le vicende di parte dei testi. La famiglia Melzi aveva come insegnante Lelio Gavardi d'Asola, che attorno al 1587 sottrasse 13 libri di Leonardo per portarli a Firenze al granduca Francesco.[2] Essendo però morto il granduca, il Gavardì si trasferì a Pisa insieme ad Aldo Manuzio il Giovane, suo parente; qui incontrò il Mazenta, al quale lasciò i libri affinché li restituisse alla famiglia Melzi. Il Mazenta li riportò a Orazio Melzi, che però non si interessò del furto e gli donò i libri; il Mazenta li consegno al fratello.[3]
Lo scultore Pompeo Leoni, informato della presenza di manoscritti di Leonardo, li chiese a Orazio Melzi per il re Filippo II;[4] ottenne la restituzione anche di sette volumi dai Mazenta, ai quali ne rimasero sei. Di questi sei, tre furono da loro donati rispettivamente all'arcivescovo Federico Borromeo (oggi Manoscritto C di Francia), al pittore Ambrogio Figino e a Carlo Emanuele I di Savoia, mentre gli altri tre in seguito furono ottenuti da Pompeo Leoni, che entrò così in possesso di un numero imprecisato di manoscritti e carte.[5]
Il Leoni negli anni successivi organizzò i codici in suo possesso, riportando una sigla su ognuno di essi; sulla base di queste segnature, si è calcolato che fosse in possesso di almeno 46 manoscritti diversi.[6] Nel 1589, impegnato in lavori al monastero dell'Escorial, si trasferì in Spagna;[7] qui utilizzò il materiale di Leonardo in suo possesso (probabilmente smembrando anche codici già rilegati) per formare nuove raccolte[5] come il Codice Atlantico e la Raccolta Windsor. Diversi manoscritti furono poi riportati in Italia, forse da Leoni nel 1604.[8]
Il Leoni morì nel 1608 e furono suoi eredi i due figli maschi, Michelangelo († 1611) e Giovanni Battista († 1615), morti pochi anni dopo.[9]
Juan de Espina
modificaParte dell'eredità rimase in Spagna e venne venduta; due codici vennero apparentemente acquistati da Juan de Espina.
«Assicuro che possiede cose assai singolari e degne di essere viste [...] Lì vidi due libri disegnati e scritti di mano del grande Leonardo da Vinci, di particolare curiosità e dottrina; il principe di Galles avrebbe dato qualsiasi cosa per poterli avere quando si trovava in questa Corte, ma [de Espina] li considerò degni di passare dopo la sua morte solo al Re, nostro signore, come ogni altra cosa curiosa e squisita che avrebbe potuto acquistare nel corso della sua vita, così come ha sempre affermato.»
Questo interessamento del re Carlo I d'Inghilterra è probabilmente da porre in relazione con alcune lettere che mostrano come attorno al 1630 a più riprese lord Arundel avesse cercato inutilmente di acquistare i codici dal de Espina.
«Il gentiluomo che possiede il libro di mano di Leonardo da Vinci recentemente è stato tratto dalla sua casa per ordine dell'inquisizione; dopo un po' di confinamento a Toledo, gli fu permesso di andare a Siviglia dove si trova ora. Tutta la diligenza a mia disposizione è finalizzata ad essere avvisato quando o per sua morte o in altro modo i suoi beni saranno venduti; e in ciò sarò vigile.»
Alla sua morte Juan de Espina lasciò in eredità i codici a Filippo IV di Spagna e furono probabilmente conservati nel Real Alcázar di Madrid.
La Biblioteca Reale
modificaIn seguito i codici passarono alla Biblioteca nazionale di Spagna, ma per un errore di catalogazione nell'Ottocento se ne erano perse le tracce (i codici avevano segnatura "Aa 119" e "Aa 120", ma vennero erroneamente indicati nell'inventario come "Aa 19-20") e si temeva fossero scomparsi.[12]
Nuove ricerche furono eseguite su richiesta di vari studiosi, in particolare di André Corbeau, e i codici furono ritrovati nel 1965, ma la notizia venne tenuta riservata. Il 13 febbraio 1967 in una conferenza stampa Jules Piccus (1920-1997), docente di lingue romanze all'Università del Massachusetts, si attribuì il merito del ritrovamento, ma la sua ricostruzione fu in seguito smentita.
Note
modifica- ^ Beltrami 1919, pp. 159-160.
- ^ Gramatica, p. 35.
- ^ Gramatica, p. 37.
- ^ Gramatica, pp. 37-39.
- ^ a b Gramatica, p. 39.
- ^ (FR) A. Corbeau, Les manuscrits de Léonard de Vinci I: examen critique et historique de leurs éléments externes, 1968, pp. 126-127.
- ^ Beltrami 1895, pp. 25-26.
- ^ Beltrami 1895, p. 26.
- ^ Gramatica, p. 63.
- ^ (ES) V. Carducho, Dialogos de la pintura, 1633, p. 156.
- ^ Hervey, p. 300.
- ^ Un manoscritto sconosciuto di Leonardo da Vinci, in Raccolta Vinciana, 1906, pp. 89-90.
Bibliografia
modifica- L. Beltrami, La Biblioteca Ambrosiana. Cenni storici e descrittivi, Milano, [1895].
- L. Beltrami, Documenti e memorie riguardanti la vita e le opere di Leonardo da Vinci in ordine cronologico, Milano, 1919.
- L. Gramatica, Le memorie su Leonardo da Vinci di don Ambrogio Mazenta, Milano, 1919.
- M. Hervey, The Life, Correspondence & Collections of Thomas Howard, Earl of Arundel, 1921.
Voci correlate
modificaAltri progetti
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