Giuseppe Serembe
Giuseppe Serembe, noto in albanese come Zef Serembe (San Cosmo Albanese, 6 marzo 1844 – San Paolo, 1901), è stato un poeta italiano di etnia arbëreshë.


Biografia
modificaNacque il 6 marzo 1844 a San Cosmo Albanese (in albanese Strigari), nel Regno delle Due Sicilie, in un'agiata famiglia arbëreshë; alcune fonti riportano genericamente ed erroneamente come anno di nascita il 1843.[1][2][3] Il fratello, Francesco Maria, sarebbe nato nel 1846 a Santa Sofia d'Epiro.[3] Il padre Michelangelo si espose nella rivolta antiborbonica del 1848 e assunse il ruolo di capo della guardia civica, venendo condannato a morte e costretto alla latitanza per diversi anni.[4]
Il giovane Giuseppe studiò presso il Collegio Sant'Adriano a San Demetrio Corone, dove ebbe come maestro lo scrittore Girolamo De Rada, con cui strinse una profonda amicizia. Fu probabilmente la povertà della famiglia a costringerlo ad abbandonare gli studi e fare ritorno nel paese natale, soprattutto in seguito alla morte del padre nel 1860 e all'omicidio dello zio materno, Vincenzo Vinacci, nel 1862. Non sentendosi portato per i lavori manuali, si impegnò nell'amministrazione comunale e si dedicò allo studio in ambito linguistico, filologico e filosofico. A San Cosmo avrebbe conosciuto una giovane ragazza di cui si innamorò perdutamente; la giovane tuttavia si trasferì col resto della famiglia in Brasile e vi morì poco dopo il suo arrivo.[4]
Nel 1874 salpò verso il Brasile: secondo il nipote Cosmo il viaggio sarebbe stato motivato soprattutto dalla speranza di trovare quantomeno la tomba dell'amata ma è plausibile che vi siano state anche ragioni di carattere economico. Per intercessione della scrittrice e nobildonna Dora d'Istria, che cercò tuttavia di dissuaderlo sostenendo che il Brasile "avesse bisogno più di agricoltori che di poeti", fu ricevuto a corte dall'imperatore Pietro II. Dopo una breve relazione e deluso dalla vita di corte, fece presto ritorno in Europa nel 1875, venendo richiamato probabilmente anche dalla notizia, rivelatasi poi falsa, del matricidio perpetrato dal fratello. Al suo ritorno passò per la Francia, dove subì un furto nei pressi di Marsiglia o Nizza, che lo costrinse a tornare in Italia a piedi; giunto a Livorno, il conterraneo Demetrio Camarda gli comprò un biglietto ferroviario per fargli raggiungere Cosenza.
In questo periodo fu accompagnato da un profondo malessere emotivo, caratterizzato da una crescente sensazione di solitudine che lo portò a reputare la Calabria, e in seguito l'Italia, come una terra straniera, pur avvicinandosi sensibilmente alle tradizioni e ai costumi tipici degli arbëreshë. Nel 1887 si recò a Roma, dove fu arrestato e detenuto in carcere per 27 giorni prima di essere rimpatriato; tentò quindi di recarsi nuovamente verso le Americhe ma fu arrestato a Ventimiglia nel corso dell'anno successivo poiché sprovvisto di passaporto e condotto in carcere a Napoli, dove fu rinchiuso in manicomio dal settembre 1888 all'ottobre 1889. Vagò tra Cosenza e Acireale, venendo nuovamente ricoverato al manicomio dei Porrazzi presso la Real Casa dei Matti di Palermo e uscendone su garanzia di alcuni amici.[4]
Giunse a Napoli nel 1893, conducendo una vita morigerata prima di ripartire alla volta degli Stati Uniti d'America intorno al 1895; emigrò nuovamente in America meridionale nel 1897, recandosi a Buenos Aires ma, ammalatosi gravemente, morì nel 1901 a San Paolo in Brasile.[4]
Diversi suoi componimenti furono raccolti e pubblicati dal nipote Cosmo nel 1926[2] con alcune interpolazioni[5] mentre i manoscritti di nove poesie, conservati nella Biblioteca reale di Copenaghen, furono pubblicati nel 1982 da Giuseppe Gradilone.[1] Sono invece perduti gli scritti Storia dell'Albania e la traduzione dei Salmi.[5]
In occasione dell'80º anniversario dalla sua morte il comune di San Cosmo Albanese lo ha ricordato con una targa posta presso la sua abitazione, dedicandogli inoltre una strada. La Biblioteca nazionale d'Albania ha accolto almeno due mostre a lui dedicate: la prima nel 2021 per commemorare il 120º anniversario dalla sua morte[6] e la seconda nel 2024 per celebrare il 180º anniversario dalla sua nascita.[7]
Opere
modifica- Poesie italiane e canti originali tradotti dall'albanese, Cosenza, 1883.
- Il reduce soldato, ballata lirica, New York, 1893.
- Giuseppe Serembe, Vjersha, a cura di Cosmo Serembe, Milano, 1926.
Note
modifica- ^ a b Serèmbe, Giuseppe, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 27 settembre 2025.
- ^ a b Gaetano Petrotta, SEREMBE, Giuseppe, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. URL consultato il 27 settembre 2025.
- ^ a b Giuseppe Serembe è uno dei più noti poeti popolari arberesh, su rtsh.al, Radio Televizioni Shqiptar. URL consultato il 27 settembre 2025.
- ^ a b c d Vincenzo Belmonte, Giuseppe Serembe e la Chiesa spirituale giovannea (PDF), su dimarcomezzojuso.it. URL consultato il 27 settembre 2025.
- ^ a b Giuseppe Serembe, Canti (PDF), traduzione di Vincenzo Belmonte, 2018.
- ^ (SQ) "Zef Serembe (1844-1901)" në Bibliotekën Kombëtare, në 120 vjetorin e ndarjes nga jeta të poetit, in Sot, 13 novembre 2021. URL consultato il 27 settembre 2025.
- ^ (SQ) Ekspozitë kushtuar 180-vjetorit të lindjes së poetit të njohur, Zef Serembe, in Observer Kult, 30 maggio 2024. URL consultato il 27 settembre 2025.
Altri progetti
modifica- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giuseppe Serembe
Collegamenti esterni
modifica- Giuseppe Serembe, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
- Gaetano Petrotta, SEREMBE, Giuseppe, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936.
- Serèmbe, Giusèppe, su sapere.it, De Agostini.
- (EN) Opere di Giuseppe Serembe, su Open Library, Internet Archive.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 18828564 · ISNI (EN) 0000 0000 4026 9101 · SBN CFIV025691 · Europeana agent/base/82466 · LCCN (EN) n89632370 · GND (DE) 1082050865 |
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