Incendio del Reichstag
L'incendio del Reichstag (in tedesco Reichstagsbrand) fu un incendio doloso al palazzo del Reichstag a Berlino avvenuto il 27 febbraio 1933, esattamente quattro settimane dopo che Adolf Hitler aveva prestato giuramento come cancelliere del Reich. Marinus van der Lubbe, un marxista consiliarista, fu indicato come il responsabile; i nazisti attribuirono l’incendio a un gruppo di agitatori comunisti, lo utilizzarono come pretesto per sostenere che i comunisti stessero complottando contro il governo tedesco e convinsero il presidente Paul von Hindenburg a emanare il decreto dell'incendio del Reichstag, sospendendo le libertà civili e avviando una "repressione senza pietà" contro i comunisti.[1] L'evento è considerato cruciale per l'affermazione del nazionalsocialismo in Germania.
Incendio del Reichstag incendio | |
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Data | 27 febbraio 1933 |
Infrastruttura | Palazzo del Reichstag |
Stato | ![]() |
Comune | Berlino |
Coordinate | 52°31′07″N 13°22′34″E |
Il primo allarme per l’incendio arrivò poco dopo le 21:00, quando una stazione dei vigili del fuoco di Berlino ricevette una chiamata di emergenza. Al loro arrivo, polizia e pompieri trovarono l’edificio completamente avvolto dalle fiamme. La polizia effettuò una perquisizione approfondita all’interno e arrestò Van der Lubbe.
Dopo l’emanazione del decreto, la polizia, ora controllata dalla NSDAP di Hitler, effettuò arresti di massa di comunisti, inclusi tutti i delegati comunisti del Reichstag. Ciò limitò gravemente la partecipazione comunista alle elezioni parlamentari del 1933. Dopo le elezioni del 5 marzo 1933, l’assenza dei comunisti permise al Partito Nazista di ampliare la propria pluralità nel Reichstag, agevolando notevolmente la presa del potere assoluto da parte dei nazisti. Il 9 marzo 1933, la polizia prussiana arrestò i bulgari Georgi Dimitrov, Vasil Tanev e Blagoy Popov, noti operativi del Comintern (anche se la polizia non lo sapeva, Dimitrov era all’epoca a capo di tutte le operazioni del Comintern nell’Europa occidentale). Ernst Torgler, capo del Partito Comunista, si era consegnato alla polizia il 28 febbraio.
Van der Lubbe e i quattro comunisti furono imputati in un processo iniziato nel settembre 1933. Il procedimento si concluse con l’assoluzione dei quattro comunisti e la condanna di Van der Lubbe, che fu poi giustiziato. Nel 2008 la Germania concesse a Van der Lubbe la grazia postuma, sulla base di una legge del 1998 volta ad annullare i verdetti ingiusti dell’era nazista. La responsabilità dell’incendio del Reichstag rimane un tema dibattuto: sebbene Van der Lubbe sia stato giudicato colpevole, non è chiaro se abbia agito da solo.[2][3] La maggior parte degli storici concorda sul fatto che l’incendio fu appiccato da Van der Lubbe;[4] altri ritengono che possa essere stato parte di un complotto nazista, che lo storico inglese Richard J. Evans definisce una teoria del complotto.[5][6]
Antefatti
modificaDopo le elezioni parlamentari del novembre del 1932, il Partito Nazionalsocialista ottenne una pluralità, ma non la maggioranza, mentre i comunisti registrarono un avanzamento.[7] Adolf Hitler prestò giuramento come cancelliere e capo del governo di coalizione il 30 gennaio 1933.[8] In qualità di cancelliere, Hitler chiese al presidente Paul von Hindenburg di sciogliere il Reichstag e di indire nuove elezioni parlamentari, fissate per il 5 marzo 1933.[9]
Hitler sperava di abolire la democrazia in una forma quasi legale, attraverso l’approvazione della legge dei pieni poteri. Tale legge speciale conferiva al cancelliere l’autorità di emanare decreti con forza di legge, senza il coinvolgimento del Reichstag. Questi poteri straordinari sarebbero rimasti in vigore per quattro anni, con possibilità di rinnovo. Secondo la Costituzione di Weimar, il presidente poteva governare per decreto in situazioni di emergenza ricorrendo all’articolo 48.[10]
Durante la campagna elettorale, i nazisti sostennero che la Germania fosse sull’orlo di una rivoluzione comunista e che l’unico modo per fermare i comunisti fosse garantire ai nazionalsocialisti un solido controllo del potere. Il messaggio della campagna era semplice: aumentare il numero dei seggi del partito.[11]
Incendio
modificaAlle 21:14 della sera del 27 febbraio 1933 una stazione dei pompieri di Berlino ricevette l'allarme che il palazzo del Reichstag, sede del Parlamento tedesco, stava bruciando.[12] L'incendio sembrò essersi originato in diversi punti, e quando arrivarono la polizia ed i pompieri, una grossa esplosione aveva mandato in fiamme l'aula dei deputati. Alla ricerca di indizi, la polizia trovò Marinus van der Lubbe, mezzo nudo, che si nascondeva dietro l'edificio.[13] Alle 23:30 l’incendio era stato domato. I vigili del fuoco e la polizia ispezionarono le rovine e trovarono venti fasci di materiale infiammabile (accendifuoco) non bruciati sparsi sul posto.
Al momento in cui l’incendio fu segnalato, Hitler stava cenando con Joseph Goebbels nell’appartamento di quest’ultimo a Berlino. Quando Goebbels ricevette una telefonata urgente che lo informava del fuoco, inizialmente la considerò una “storia inverosimile” e riattaccò. Solo dopo la seconda chiamata comunicò la notizia a Hitler.[14] Entrambi lasciarono l’appartamento di Goebbels e giunsero in automobile al Reichstag proprio mentre l’incendio veniva spento. Sul posto furono accolti da Hermann Göring, ministro degli Interni della Prussia, che disse a Hitler: «Si tratta di un oltraggio comunista! Uno dei colpevoli comunisti è stato arrestato». Hitler definì l’incendio un “segno di Dio” e affermò che fosse un segnale destinato a marcare l’inizio di una rivolta comunista. Il giorno seguente, Hitler dichiarò che “questo atto di incendio doloso è il più mostruoso atto di terrorismo compiuto dal bolscevismo in Germania”. Il quotidiano Vossische Zeitung avvertì i suoi lettori che “il governo ritiene che la situazione sia tale per cui un pericolo per lo Stato e per la nazione esisteva ed esiste tuttora”.[15]
Walter Gempp era a capo del corpo dei vigili del fuoco di Berlino al momento dell’incendio del Reichstag, il 27 febbraio 1933, dirigendo personalmente le operazioni sul posto.[16] Il 25 marzo fu destituito per aver presentato prove che suggerivano un coinvolgimento nazista nell’incendio.[17] Gempp affermò che vi era stato un ritardo nell’avviso alla squadra dei vigili del fuoco e che gli era stato proibito di impiegare pienamente le risorse a sua disposizione. Nel 1937 Gempp fu arrestato per abuso d’ufficio. Nonostante il ricorso, fu incarcerato e il 2 maggio 1939 venne strangolato e ucciso in prigione.[18]
Conseguenze politiche
modificaIl giorno successivo all’incendio, su richiesta di Hitler, il presidente Hindenburg firmò il Decreto dell’incendio del Reichstag avvalendosi dell’articolo 48 della Costituzione di Weimar. Il decreto sospese la maggior parte delle libertà civili in Germania, tra cui l’habeas corpus, la libertà di espressione, la libertà di stampa, la libertà di associazione e di assemblea, nonché la segretezza della corrispondenza postale e delle comunicazioni telefoniche.[19] Questi diritti non furono mai ripristinati durante il regime nazista. Il decreto fu utilizzato dai nazisti per vietare le pubblicazioni ritenute non favorevoli alla loro causa. Nonostante Marinus van der Lubbe avesse affermato di aver agito da solo nell’incendio del Reichstag, Hitler, dopo aver ottenuto i poteri d’emergenza, annunciò che si trattava dell’inizio di un più ampio tentativo comunista di prendere il controllo della Germania. I giornali del Partito Nazionalsocialista pubblicarono quindi questa versione artefatta dei fatti.[19] Ciò provocò il panico nella popolazione tedesca e isolò ulteriormente i comunisti dal resto dei civili; inoltre, migliaia di comunisti furono incarcerati nei giorni successivi all’incendio (tra cui dirigenti del Partito Comunista) con l’accusa che il partito stesse preparando un colpo di Stato. Parlando con Rudolf Diels dei comunisti durante l’incendio del Reichstag, Hitler affermò: "Questi subumani non comprendono come il popolo sia al nostro fianco. Nelle loro tane, da cui ora vogliono uscire, naturalmente non odono nulla degli applausi delle masse."[20] Con la partecipazione elettorale dei comunisti ulteriormente soppressa (i comunisti avevano precedentemente ottenuto il 17% dei voti), i nazisti riuscirono ad aumentare la loro quota di voti nelle elezioni del Reichstag del 5 marzo 1933 dal 33% al 44%.[21] Ciò diede ai nazisti e ai loro alleati, il Partito Popolare Nazionale Tedesco (che ottenne l’8% dei voti), una maggioranza del 52% nel Reichstag.[21]
Sebbene i nazisti ottennero una maggioranza, non raggiunsero l’obiettivo prefissato, che era di ottenere tra il 50% e il 55% dei voti quell’anno.[21] I nazisti temevano che ciò avrebbe reso difficile conseguire il loro successivo obiettivo, l’approvazione della legge dei pieni poteri, che conferiva a Hitler il diritto di governare per decreto, ma richiedeva una maggioranza di due terzi.[21] Tuttavia, diversi fattori importanti giocarono a favore dei nazisti, principalmente la continua soppressione del Partito Comunista e la capacità dei nazisti di sfruttare le preoccupazioni per la sicurezza nazionale. Inoltre, alcuni deputati del Partito Socialdemocratico (l’unico partito che avrebbe votato contro la legge dei pieni poteri) furono impediti di prendere posto al Reichstag a causa di arresti e intimidazioni da parte della Sturmabteilung. Di conseguenza, l'SPD risultò sottorappresentato nel conteggio finale dei voti. La legge dei pieni poteri fu approvata agevolmente il 23 marzo 1933, con il sostegno del Partito Popolare Nazionale, del Partito di Centro e di diversi partiti borghesi frammentati. La misura entrò in vigore il 24 marzo, conferendo di fatto a Hitler il ruolo di dittatore della Germania.[22]
Il Teatro Kroll, situato di fronte alla Königsplatz rispetto all’edificio del Reichstag bruciato, funse da sede del Reichstag per i restanti dodici anni dell’esistenza del Terzo Reich.[23]
Processo di Lipsia
modificaProcedimenti giudiziari
modificaNel luglio 1933, Marinus van der Lubbe, Ernst Torgler, Georgi Dimitrov, Blagoy Popov e Vasil Tanev furono incriminati con l’accusa di aver appiccato l’incendio del Reichstag. Il processo a loro carico si svolse dinanzi al quarto senato penale della Corte di giustizia del Reich a Lipsia, dal 21 settembre al 23 dicembre 1933.
Il processo, noto come Processo di Lipsia, si svolse sotto la presidenza di giudici della Corte Suprema tedesca (Reichsgericht), il più alto tribunale del paese. Il giudice presidente era Wilhelm Bünger, della quarta sezione penale della Corte Suprema.[24] L’accusa era rappresentata dal procuratore del Reich Karl Werner e dal suo assistente Felix Parrisius.[25] Gli imputati furono incriminati per incendio doloso e per tentativo di rovesciamento del governo.[26]
Sebbene l’apertura e la chiusura del processo si siano svolte a Lipsia, le udienze furono trasferite sul luogo stesso del crimine. Lo spostamento a Berlino consentì di condurre in maniera più efficiente gli interrogatori dei testimoni e l’esame delle prove direttamente nell’edificio del Reichstag. Nell’ultimo mese, dal 23 novembre al 23 dicembre, il tribunale fece ritorno a Lipsia.[27]
L’apertura del processo
modificaIl processo ebbe inizio alle 8:45 del mattino del 21 settembre, con la deposizione di Marinus van der Lubbe. La sua testimonianza risultò di difficile comprensione, poiché egli parlò della perdita della vista a un occhio, del suo vagabondare attraverso l’Europa e della sua militanza nel Partito Comunista d’Olanda, dal quale si era dimesso nel 1931, pur continuando a considerarsi comunista.
Risonanza mediatica
modificaIl Processo di Lipsia ricevette ampia risonanza mediatica e fu trasmesso alla radio.[28] Si prevedeva che il tribunale avrebbe dichiarato i comunisti colpevoli di tutti i capi d’accusa.
Secondo la stampa tedesca, il governo nazista intendeva utilizzare il processo di Lipsia per diffondere il proprio messaggio a livello internazionale. Il Ministero del Reich per l'istruzione pubblica e la propaganda, diretto da Goebbels, aveva inviato numerosi funzionari per controllare il flusso di informazioni verso la stampa estera.[29] Alla sessione inaugurale del tribunale erano presenti non meno di ottanta corrispondenti stranieri, insieme a quaranta colleghi tedeschi.[29]
L’atmosfera all’apertura del processo di Lipsia fu raccontata da Otto D. Tolischus per il The New York Times, come emerge dalla sua descrizione riportata di seguito:[30]
La testimonianza di Dimitrov
modificaGeorgi Dimitrov iniziò la sua testimonianza il terzo giorno del processo. Rinunciò al diritto a un avvocato d’ufficio e si difese con successo. Quando il giudice Bünger lo ammonì a mantenere un comportamento consono in aula, Dimitrov dichiarò: "Signor Presidente, se lei fosse un uomo innocente come me e avesse trascorso sette mesi in prigione, di cui cinque incatenato giorno e notte, capirebbe se uno forse diventa un po’ teso". Nel corso della sua difesa, Dimitrov sostenne che gli organizzatori dell’incendio fossero alti esponenti del Partito Nazionalsocialista e si scontrò verbalmente in più occasioni con Göring durante il processo. Il momento culminante del dibattimento si ebbe il 4 novembre 1933, quando Göring fu chiamato a testimoniare e venne controinterrogato da Dimitrov.[31] Göring e Dimitrov al processo durante il loro dibattito:[32]
Göring: La polizia perquisisce tutti i criminali comuni e mi riporta i risultati.
Dimitrov: I tre funzionari che arrestarono ed esaminarono Van der Lubbe furono concordi nell’affermare che non fu trovata alcuna tessera del Partito Comunista in suo possesso. Vorrei sapere da dove provenisse dunque la notizia che una tessera fosse stata rinvenuta.
Göring: Mi fu riferito da un funzionario. Le informazioni che mi vennero comunicate la notte dell’incendio non potevano essere verificate o provate. La segnalazione mi fu fatta da un funzionario responsabile e fu accettata come fatto, e poiché non poteva essere verificata immediatamente fu annunciata come tale. Quando rilasciai il primo rapporto alla stampa la mattina successiva all’incendio, l’interrogatorio di Van der Lubbe non era ancora stato concluso. In ogni caso non vedo motivo di lamentarsi, dal momento che questo processo sembra dimostrare che Van der Lubbe non avesse alcuna tessera con sé.
Dimitrov: Vorrei chiedere al Ministro dell’Interno quali misure adottò per assicurarsi che fossero indagate dalla polizia la via percorsa da Van der Lubbe verso Hennigsdorf, la sua permanenza e i suoi incontri con altre persone, al fine di rintracciare eventuali suoi complici.
Göring: Poiché non sono un funzionario, ma un ministro responsabile, non era importante che mi occupassi di simili questioni di scarsa rilevanza. Il mio compito era smascherare il Partito e la mentalità che erano responsabili del crimine.
Dimitrov: Il Reichsminister è consapevole del fatto che coloro i quali possiedono questa presunta mentalità criminale controllano oggi il destino di un sesto del mondo, ossia l’Unione Sovietica?
Göring: Non mi importa di ciò che accade in Russia! So che i russi pagano con cambiali, e preferirei sapere che quelle cambiali vengano saldate! Ciò che mi interessa è il Partito Comunista qui in Germania e i delinquenti comunisti che vengono qui per incendiare il Reichstag!
Dimitrov: Questa mentalità criminale governa l’Unione Sovietica, il più grande e migliore paese del mondo. Il signor Primo Ministro ne è consapevole?
Göring: Le dirò ciò che il popolo tedesco già sa. Sa che lei si sta comportando in maniera vergognosa! Sa che lei è un delinquente comunista venuto in Germania per incendiare il Reichstag! Ai miei occhi non è altro che una canaglia, un criminale che merita la forca!»
L'autodifesa di Dimitrov, intanto, veniva tradotta e diffusa in tutto il mondo (si veda il libro Il processo di Lipsia, Editori Riuniti), mentre in vari paesi inchieste indipendenti dimostravano che tutta la vicenda costituiva una montatura dei nazisti finalizzata a mettere fuori legge il Partito Comunista e perseguitarne i militanti. In effetti, nelle settimane successive, furono oltre quattromila i quadri del partito ad essere arrestati.
Nel 1963, Hannah Arendt pubblica il suo saggio La banalità del male, dove riporta come Dimitrov, messo a confronto con Göring, riuscì a farsi scagionare per l'ottima dialettica che gli permise di dominare il dibattimento e di scagionare tutti gli imputati tranne van der Lubbe.[33]
Verdetto
modificaNella sentenza annunciata il 23 dicembre, il giudice Bünger sottolineò la sua convinzione che vi fosse effettivamente stata una cospirazione comunista per incendiare il Reichstag, ma dichiarò che, con l’eccezione di Van der Lubbe, non vi erano prove sufficienti per collegare gli imputati all’incendio o alla presunta cospirazione. I bulgari furono assolti ed espulsi in Unione Sovietica.[26] Solo Van der Lubbe fu riconosciuto come colpevole e condannato a morte.[34] Torgler fu anch’egli assolto e sopravvisse alla guerra.[26]
Altri esiti
modificaL’esito di questo processo spinse Hitler a rimuovere i procedimenti per tradimento dai tribunali ordinari. Stabilì che, da quel momento in poi, i reati di tradimento, insieme a molti altri, sarebbero stati giudicati esclusivamente da un nuovo tribunale speciale, il Volksgerichtshof (Tribunale del Popolo).[26][35] Quest’ultimo divenne in seguito tristemente noto per l’alto numero di condanne a morte emesse, tra cui quelle successive al fallito attentato contro Hitler del 1944, presiedute dal presidente del tribunale Roland Freisler.[36]
Reazioni artistiche al processo
modificaUna settimana prima dell’inizio del processo, il 14 settembre 1933, l’artista tedesco John Heartfield pubblicò un fotomontaggio sull’Arbeiter-Illustrierte-Zeitung, che intitolò "Goering, der Henker des Dritten Reiches" (Goering, il boia del Terzo Reich). Sullo sfondo vi si scorge il Reichstag in fiamme.[37]
Esecuzione di Van der Lubbe
modificaAl processo, Van der Lubbe fu riconosciuto colpevole e condannato a morte. Venne decapitato mediante ghigliottina, la forma di esecuzione consueta in Sassonia all’epoca, il 10 gennaio 1934, tre giorni prima del suo venticinquesimo compleanno. I nazisti sostennero che Van der Lubbe facesse parte di una cospirazione comunista volta a incendiare il Reichstag e a prendere il potere, mentre i comunisti affermarono che egli fosse parte di una cospirazione nazista per attribuire loro il crimine. Van der Lubbe, dal canto suo, mantenne di aver agito da solo per protestare contro le condizioni della classe operaia tedesca.[38]
Riconoscimento postumo
modificaNel 1967, un tribunale di Berlino Ovest confermò la condanna del 1933, ma annullò la pena di morte e modificò postumo la sentenza di Van der Lubbe in otto anni di reclusione. Nel 1980, un altro tribunale annullò il verdetto, ma fu successivamente smentito. Nel 1981, un tribunale della Germania Ovest annullò postumo la condanna del 1933 e dichiarò Van der Lubbe non colpevole per infermità mentale. Tale decisione fu successivamente annullata. Tuttavia, nel gennaio 2008, egli fu graziato ai sensi di una legge del 1998 per il reato, sulla base del principio che chiunque fosse stato condannato sotto la Germania nazista è ufficialmente considerato non colpevole. La legge prevede la possibilità di concedere la grazia a persone condannate per crimini commessi sotto il regime nazista, sulla base dell’idea che le leggi della Germania nazista "andavano contro i principi fondamentali della giustizia".[34][39]
Analisi storica
modificaDibattito storiografico sul ruolo di Van der Lubbe
modificaLe opinioni riguardo al fatto se Van der Lubbe avesse agito da solo oppure fosse stato utilizzato come pedina o capro espiatorio in una cospirazione nazista si sono alternate nel corso degli anni. Gli storici generalmente concordano che Van der Lubbe, talvolta descritto come un mezzo matto o un provocatore, fu in qualche modo coinvolto nell'incendio del Reichstag. Tuttavia, l'estensione del danno rende molto improbabile che costui avesse agito da solo (qualora fosse stato coinvolto). Considerando la velocità con cui il fuoco invase l'edificio, è quasi certo che una sola persona non avrebbe potuto appiccare un incendio di così vaste proporzioni, e così repentinamente letale, tanto da essere stato certamente pianificato in anticipo; la reputazione di Van der Lubbe di essere uno sciocco assetato di fama ed i commenti oscuri di alcuni ufficiali nazisti, oltre a numerosi altri fatti, fanno dunque ritenere alla grande maggioranza degli studiosi che la gerarchia nazista fosse coinvolta nella vicenda, al fine di ottenerne quel guadagno politico che avrebbe cambiato il destino dell'Europa, e che in effetti ottennero.[40]
Testimone dell'incendio fu il giornalista statunitense William Shirer che in un suo libro sosterrà la tesi che neppure il processo di Norimberga è riuscito a svelare i mandanti e gli esecutori del tragico gesto. Gli storici Klaus Hildebrand e Michael Burleigh affermano che i nazisti favorirono certamente l'operazione dell'incendio. L'altro storico Joachim Fest condivise le conclusioni dello scrittore Fritz Tobias[41] (1912-2011) che nel 1959-60 sullo Spiegel trattò la materia dell'incendio giungendo alla conclusione che l'olandese Lubbe fu senza dubbio l'unico responsabile.[42][43][44]
Il giornalista britannico Sefton Delmer, criticato all’epoca per essere un simpatizzante nazista, fu testimone degli eventi di quella notte. Riportò che Hitler, giunto al Reichstag, appariva incerto sull’origine dell’incendio e preoccupato che fosse imminente un colpo di Stato comunista. Delmer considerava Van der Lubbe l’unico responsabile, ma riteneva che i nazisti avessero cercato di far sembrare che fosse stata una "banda comunista" ad appiccare il fuoco. Dall’altro lato, i comunisti cercarono di far sembrare che Van der Lubbe stesse lavorando per i nazisti, così entrambe le parti costruirono una teoria del complotto in cui l’avversario ricopriva il ruolo di colpevole.[45] Secondo quanto riportato nelle conversazioni di Hitler a tavola, il Führer disse in privato a proposito del presidente del Partito Comunista Ernst Torgler: "Sono convinto che sia lui il responsabile dell’incendio del Reichstag, anche se non posso dimostrarlo".[46]
Nei giorni successivi all’incendio, i principali quotidiani statunitensi e londinesi si mostrarono scettici riguardo alla fortuna dei nazisti nel trovare un capro espiatorio comunista.[47][48] John Gunther, che seguì il processo a Van der Lubbe, lo descrisse come "una vittima evidente di psicosi maniaco-depressiva" e affermò che i nazisti non avrebbero mai scelto "un agente tanto inetto e sprovveduto". Citando una lettera che sarebbe stata scritta da Karl Ernst prima della sua morte durante la notte dei lunghi coltelli, Gunther sostenne che i nazisti, dopo aver sentito Van der Lubbe vantarsi di voler attaccare il Reichstag, avessero appiccato un secondo incendio simultaneo per poi attribuirgliene la colpa.[49] William L. Shirer giunse a una conclusione simile, vedendo in Van der Lubbe un capro espiatorio:[50]
Nel 1960 Fritz Tobias, funzionario pubblico dell’SPD della Germania Ovest e storico dilettante, pubblicò una serie di articoli su Der Spiegel, in seguito raccolti in un libro, nei quali sosteneva che Van der Lubbe avesse agito da solo.[5][51] Tobias dimostrò che Van der Lubbe era un piromane, con una lunga storia di incendi dolosi o tentativi di incendio di edifici, e accertò che nei giorni precedenti al 27 febbraio aveva compiuto diversi attacchi incendiari contro edifici.
Nel 1973 Walter Hofer, storico svizzero, organizzò una conferenza con l’intento di confutare le tesi sostenute da Tobias. Durante la conferenza, Hofer sostenne di aver trovato prove secondo cui alcuni degli investigatori che avevano esaminato l’incendio erano affiliati al partito nazista. Hans Mommsen commentò le affermazioni di Hofer osservando: "La dichiarazione piuttosto inetta del professor Hofer secondo la quale gli eventuali complici di Van der Lubbe 'potrebbero essere stati solo nazisti' costituisce un tacito riconoscimento del fatto che il comitato non ottenne effettivamente alcuna prova positiva riguardo all’identità dei presunti complici". Mommsen elaborò inoltre una teoria a sostegno di Hofer, poi soppressa per ragioni politiche, un atto che egli stesso ammise essere una grave violazione dell’etica.[52] Mommsen concluse che la leadership nazista si trovava in uno stato di panico la notte dell’incendio del Reichstag e sembrava considerare l’incendio come conferma che una rivoluzione comunista fosse imminente, come avevano sostenuto.[53]
Nel 1998 Ian Kershaw, storico britannico, sostenne che quasi tutti gli storici concordassero sul fatto che Van der Lubbe avesse appiccato l’incendio al Reichstag, che avesse agito da solo e che l’episodio rappresentasse soltanto un colpo di fortuna per i nazisti.[5][54]
Nel 2014 lo storico Benjamin Carter Hett si lamentò del fatto che "oggi il consenso prevalente tra gli storici specializzati nella Germania nazista rimane che Marinus van der Lubbe abbia incendiato il Reichstag da solo".[55] Hett ha sostenuto che l’analisi di Tobias sia fondamentalmente errata. Tobias intraprese il suo studio quando gli fu affidato il compito di difendere funzionari della polizia della Germania Ovest, che avevano indagato sull’incendio iniziale come membri delle SS. In tal modo, Tobias ignorò qualsiasi informazione proveniente da persone prese di mira dal regime nazista, considerandola di parte, mentre accettava le testimonianze di ex membri delle SS come obiettive, nonostante queste ultime siano chiaramente contraddette dai documenti del 1933. Inoltre, Hett dimostrò che Tobias utilizzò l’accesso ad archivi segreti per esercitare pressioni sugli storici con opinioni contrarie, minacciando di rivelare informazioni personali compromettenti. Hett sostiene che le prove più recenti indicano chiaramente che l’incendio non avrebbe potuto essere opera di un singolo individuo e che vi siano molte più prove di una collaborazione nazista che di un complotto comunista.[56] Lo storico Richard J. Evans ha criticato le affermazioni di Hett, pubblicando una recensione negativa del suo libro sull’argomento.[5]
Nel 2019, l'emittente pubblica tedesca Deutsche Welle (DW) riportò che, secondo la testimonianza giurata del membro delle SA Hans-Martin Lennings resa nel 1955 e recentemente riemersa, Van der Lubbe non avrebbe potuto appiccare l’incendio poiché il Reichstag era già in fiamme al suo arrivo insieme a Van der Lubbe, confermando così nuovi studi che hanno riesaminato l’episodio.[39][57][58]
Controprocesso del Partito Comunista in esilio
modificaAd estate 1933, a Londra venne organizzato un controprocesso simbolico da un gruppo di avvocati, democratici e altri oppositori del nazismo, sotto l’egida degli emigrati comunisti tedeschi. Presidente del processo fittizio fu il barrister del Partito Laburista britannico Denis N. Pritt, mentre il principale organizzatore fu Willi Münzenberg, responsabile della propaganda del KPD in Germania. Gli altri “giudici” furono Piet Vermeylen dal Belgio, George Branting dalla Svezia, Vincent de Moro-Giafferi e Gaston Bergery dalla Francia, Betsy Bakker-Nort, avvocata e parlamentare olandese del partito liberale progressista Lega Libero-Democratica, Vald Hvidt dalla Danimarca e Arthur Garfield Hays dagli Stati Uniti.[59]
Il controprocesso ebbe inizio il 21 settembre 1933. Durò una settimana e si concluse con la dichiarazione di innocenza degli imputati e con l’affermazione che i veri responsabili dell’incendio andavano ricercati tra i vertici del Partito Nazista. L’iniziativa ricevette grande attenzione mediatica e il discorso inaugurale fu pronunciato da Stafford Cripps. Göring fu dichiarato colpevole, ma il processo fungeva in realtà da laboratorio in cui venivano testati tutti i possibili scenari, con arringhe già preparate per gli imputati. La maggior parte dei “giudici”, tra cui Hays e Moro-Giafferi, si lamentarono del fatto che l’atmosfera fosse più simile a un processo farsa: Münzenberg esercitava pressioni dietro le quinte perché venisse emesso il “giusto” verdetto, senza alcuna attenzione per la verità. Uno dei “testimoni”, un presunto membro delle SA, si presentò in aula mascherato sostenendo che fossero state proprio le SA ad appiccare l’incendio. In realtà, l’“uomo delle SA” era Albert Norden, redattore del quotidiano comunista tedesco Die Rote Fahne. Un altro testimone mascherato, che Hays definì “poco affidabile”, dichiarò che Van der Lubbe fosse tossicodipendente e omosessuale, amante di Ernst Röhm e strumento dei nazisti. Quando l’avvocato di Ernst Torgler chiese agli organizzatori del controprocesso di consegnare le “prove” che avrebbero scagionato il suo cliente, Münzenberg rifiutò: in realtà non possedeva alcuna prova né per assolvere né per condannare qualcuno del crimine.[60]
Il controprocesso fu un clamoroso successo propagandistico per i comunisti tedeschi. Münzenberg ne cavalcò l’onda e scrisse un libro intitolato "Il libro marrone sull'incendio del Reichstag e il terrore di Hitler", un’inchiesta che denunciava quella che egli sosteneva fosse la cospirazione nazista per incendiare il Reichstag e attribuirne la colpa ai comunisti. (Come per tutte le altre opere firmate da Münzenberg, il vero autore era in realtà uno dei suoi collaboratori: in questo caso, il comunista cecoslovacco Otto Katz).[61] Al successo del "Libro marrone" ne seguì un altro, pubblicato nel 1934, dedicato al processo stesso.[62]
Presunto commento di Göring
modificaNel libro Storia del Terzo Reich, William L. Shirer scrisse che, durante il processo di Norimberga, il generale Franz Halder dichiarò in un affidavit che Hermann Göring si era vantato di aver appiccato l’incendio: "Nel corso di un pranzo per il compleanno del Führer, nel 1943, i presenti parlarono del Reichstag e del suo valore artistico. Udii con le mie stesse orecchie Göring interrompere la conversazione e gridare: 'L’unico che conosce davvero il Reichstag sono io, perché l’ho incendiato io'. E, dicendo ciò, si batté una mano sulla coscia".[50] Sottoposto a controinterrogatorio durante il processo di Norimberga nel 1945 e 1946, l’affidavit di Halder fu letto a Göring, che negò qualsiasi coinvolgimento nell’incendio.[63]
Testimonianza di Hans-Martin Lennings
modificaA luglio 2019, a più di ottant’anni dall’evento, l’Hannoversche Allgemeine Zeitung e il RedaktionsNetzwerk Deutschland pubblicarono una dichiarazione giurata del 1955, rinvenuta tra alcuni documenti di Fritz Tobias conservati negli archivi dell’Amtsgericht (tribunale) di Hannover. L’affidavit, firmato da Martin Lennings, un ex membro dell’unità paramilitare nazista SA, affermava che la notte dell’incendio lui e il suo gruppo delle SA avevano trasportato Van der Lubbe da un’infermeria al Reichstag, dove notarono "uno strano odore di bruciato e nuvole di fumo che si diffondevano nelle stanze". La dichiarazione suggerisce che l’incendio fosse già iniziato al loro arrivo e che le SA avessero avuto un ruolo nell’attentato.[57]
Lennings dichiarò inoltre nel suo resoconto che lui e altri membri della sua squadra avevano protestato contro l’arresto di Van der Lubbe, "perché eravamo convinti che Van der Lubbe non potesse in alcun modo essere l’incendiario, dato che, secondo le nostre osservazioni, il Reichstag stava già bruciando quando lo lasciammo lì". Aggiunse che lui e gli altri testimoni erano stati trattenuti e costretti a firmare un documento in cui negavano qualsiasi conoscenza dell’episodio. In seguito, quasi tutti coloro che possedevano informazioni sull’incendio del Reichstag furono giustiziati. Lennings raccontò di essere stato avvertito e di essere riuscito a fuggire in Cecoslovacchia.[64]
Lennings aveva richiesto che il suo resoconto fosse certificato nel 1955, nel caso in cui il processo per l’incendio del Reichstag fosse mai stato riaperto.[65][66][67][68]
La scoperta della dichiarazione giurata di Lennings portò alla speculazione che Tobias l’avesse ignorata per proteggere la sua teoria dell’autore unico dell’incendio e per salvaguardare la carriera postbellica di ex nazisti.[69] Generò inoltre ipotesi più caute sul fatto che documenti sconosciuti o dimenticati potessero essere ancora nascosti negli archivi tedeschi e che potessero costituire fonti storiche preziose e rivelatrici, in particolare sul regime nazista.[70]
Nella cultura di massa
modificaNel 1957 in Bulgaria fu prodotto il film La lezione della storia, diretto da Borislav Sharaliev. La pellicola ricostruisce il processo di Lipsia, ponendo al centro la figura di Georgi Dimitrov e il suo confronto con Hermann Göring. L’opera, realizzata nell’ambito del cinema socialista bulgaro in funzione propagandistica, rifletteva la prospettiva ufficiale dell’epoca, presentando Dimitrov come protagonista della resistenza al nazismo e interpretando l’incendio del Reichstag come parte di una montatura giudiziaria orchestrata dal regime nazionalsocialista.[71]
Note
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Bibliografia
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Voci correlate
modificaAltri progetti
modifica- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su incendio del Reichstag
Collegamenti esterni
modifica- Paolo Soldini, L'incendio del Reichstag (MP3), su Wikiradio - Rai Radio 3, Rai, 27 febbraio 2012.
- Sefton Delmer: The Reichstag Fire, su seftondelmer.co.uk (archiviato dall'url originale il 2 dicembre 2008).
- Il processo di Lipsia, su Biblioteca Multimediale Marxista. URL consultato il 30 giugno 2010.
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