Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata

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Il monastero esarchico di Santa Maria di Grottaferrata è un'abbazia cattolica italiana, situata nel comune di Grottaferrata.

Monastero di Santa Maria di Grottaferrata
La chiesa abbaziale.
StatoItalia (bandiera) Italia
RegioneLazio
LocalitàGrottaferrata
IndirizzoCorso del Popolo n. 128
Coordinate41°47′11.17″N 12°39′59.9″E
Religionecattolica di bizantino
TitolareMaria
OrdineOrdine basiliano italiano di Grottaferrata
DiocesiAbbazia territoriale di Santa Maria di Grottaferrata
Consacrazione17 dicembre 1024[1][2]
FondatoreNilo da Rossano
Stile architettonicoromanico
Inizio costruzione1004
Completamento1930
Sito webwww.abbaziasannilo.org

Il monastero, fondato nel 1004 per iniziativa di Nilo da Rossano (per questo è noto anche come abbazia di San Nilo), appartiene alla Chiesa bizantina cattolica in Italia e vi si praticano liturgia e tradizione secondo il rito bizantino. È la sede dell'Ordine basiliano italiano di Grottaferrata (O.S.B.I.) e costituisce un unicum in quanto, fondato cinquanta anni prima dello Grande scisma che portò alla separazione delle Chiese latina e greche, è sempre rimasto in comunione con il Vescovo di Roma, pur conservando il rito bizantino-greco e la tradizione monastica orientale delle origini.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia dei Castelli Romani.

Dalla villa romana al monastero

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Il criptoportico romano.

In epoca antica il territorio faceva parte dell'ager Tusculanus, il territorio della città di Tuscolo, sede di un grande numero di ville suburbane dell'aristocrazia romana. Anche nel sito dell'abbazia sorgeva una villa romana, collegata da un diverticolo alla via Latina, composta da due ampie terrazze rettangolari disposte su due livelli. La terrazza superiore, che doveva ospitare la parte residenziale della villa, era vasta 9450 metri quadrati,[3] ed è sostenuta sul lato rivolto verso il vallone della marana dell'Acqua Mariana da un criptoportico diviso in due navate. La terrazza inferiore, vasta 3600 metri quadrati, ospitava probabilmente un'area a giardino. Le strutture murarie rinvenute sono state datate tra la fine del II secolo a.C. ed il III secolo.[4]

La villa, di dimensioni considerevoli, non è stata attribuita a nessuna famiglia o personaggio noto dell'antichità, in assenza finora di ritrovamenti epigrafici;[N 1] una tradizione antiquaria, non comprovata dai ritrovamenti archeologici, ha attribuito la villa a Marco Tullio Cicerone, che possedeva una villa nel territorio tuscolano;[N 2] in alternativa, si è ipotizzata l'apparenenza della villa alle famiglie degli Acilii o dei Vestricii.[3] Le strutture dell'abbazia sono state edificate sulle preesistenti strutture romane, ricalcando la pianta della villa, e recuperandone i materialia architettonici.[4]

Tra il V secolo e la prima metà del VI, all'interno delle strutture della villa romana, sarebbe stato ricavato un primo oratorio cristiano,[6] tradizionalmente identificato con il piccolo sacello posto all'inizio della navata destra della moderna chiesa abbaziale, al piano terra del campanile, che sarebbe la "crypta ferrata" eponima del luogo.[7]

La fondazione del monastero ed il periodo degli egumeni claustrali (1004 - 1428)

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Annibale Carracci, Madonna con Bambino tra i santi Nilo e Bartolomeo, Cappella dei Fondatori dell'abbazia.

Nel 1004 Nilo da Rossano, asceta calabrese che si era posto alla guida di una comunità di monaci basiliani installata da circa dieci anni a Serperi, presso Gaeta, mentre si trovava di passaggio per Tuscolo, ricevette dal signore del luogo, Gregorio dei Conti di Tuscolo, la donazione dei terreni su cui fu iniziata la fondazione dell'abbazia di Grottaferrata.[8] Nilo morì poco dopo aver avviato la fondazione del monastero, il 26 settembre 1004.

I primi archimandriti dell'abbazia dopo san Nilo, che non fu mai egumeno, furono Paolo, Cirillo e Bartolomeo il Giovane:[9][10] sotto la loro guida l'abbazia si arricchì di decorazioni, di ricchezze e di possedimenti: in breve, da Grottaferrata dipesero ventidue chiese succursali sparse in tutta l'Italia centro-meridionale.[9] Solo pochi anni dopo la sua fondazione, il monastero ospitava già circa 200 monaci basiliani,[9] e le continue donazioni portarono l'archimandrita a controllare territori vastissimi in Lazio e nel Sud Italia: i feudi campani di Rofrano nella diocesi di Policastro e di Conca della Campania nella diocesi di Caserta, i castelli laziali di Castel de' Paolis nella diocesi suburbicaria di Albano e di Borghetto di Grottaferrata nella diocesi suburbicaria di Frascati, i casali calabresi di Cotrone, Ungolo e Baracala nell'arcidiocesi di Cosenza, le rettorìe di Diano attuale Teggiano e Saxano nella diocesi di Capaccio, le grangie di San Salvatore nella diocesi suburbicaria di Albano e di Colle Peschio nella diocesi suburbicaria di Velletri ed il monastero di Morbino nella diocesi di Venosa.[9] L'abbazia inoltre ottenne da molti papi il riconoscimento della propria autonomia rispetto ai cardinali vescovi della diocesi suburbicaria di Frascati.[9]

Sotto il mandato del quarto egumeno, Bartolomeo il Giovane, venne completata la chiesa abbaziale, consacrata da papa Giovanni XIX, esponente della famiglia dei Conti di Tuscolo, il 17 dicembre 1024.[1][2]

Nel maggio 1084 passò per Grottaferrata Roberto il Guiscardo con il suo esercito, diretto a Roma per soccorrere papa Gregorio VII contro l'imperatore Enrico IV.[11]

Papa Innocenzo III soggiornò a Grottaferrata nel marzo 1204 e nell'agosto-settembre 1211.[12] Papa Gregorio IX bandì da Grottaferrata, il 9 agosto 1240, il concilio contro Federico II di Svevia; lo "Stupor Mundi" tuttavia prevalse sul piano militare e stabilì proprio in Grottaferrata il quartier generale imperiale nelle operazioni contro Roma.[13]

 
Affeschi trecenteschi "strappati" dalla decorazione della navata.

Nel maggio 1377 papa Gregorio XI, poco dopo aver riportato la sede papale a Roma da Avignone, soggiornò due giorni a Grottaferrata.[14]

Durante lo Scisma d'Occidente, il monastero parteggiò per l'antipapa Clemente VII, sotto la protezione dei Caetani; sembra che l'abbazia abbia ospitato il campo militare dei soldati dell'antipapa,[15] che combatterono e furono sconfitti nella battaglia di Marino del 30 aprile 1379. L'abate Giuseppe si sottomise a papa Bonifacio IX nel 1400.[15][16]

Ladislao I di Napoli, durante la sua campagna contro Roma (1408), utilizzò Grottaferrata come accampamento.[15]

Il periodo della commenda (1428 - 1869)

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Graffiti all'interno del palazzo degli abati commendatari (Sala I del Museo archeologico).

Nel 1428 l'abbazia fu eretta in commenda da papa Martino V, ed affidata a Oddone de Varris, tesoriere pontificio ed uomo di fiducia del papa. Oddone de Varris cadde in disgrazia sotto il papa successivo, Eugenio IV, il quale abolì la commenda e nomino archimandrita Pietro Vitali nel 1432.[17] L'archimandrita Vitali intervenne al concilio di Firenze del 1439 in cui si discuteva della riunione tra la Chiesa ortodossa e quella cattolica; sul piano temporale rivendicò i diritti posseduti dall'abbazia sulle sue vaste proprietà.

Nel 1462 il cardinale Bessarione fu nominato abate commendatario dell'abbazia. Al Bessarione si dovesse la redazione della Platea o Regestum Bessarionis, inventario dei beni dell'abbazia, documento importante per la storia e la topografia dei luoghi descritti. Bessarione rimase abate fino alla morte, avvenuta nel 1472. Gli successe il cardinale Giuliano della Rovere, nipote di papa Sisto IV, al quale si devono la fortificazione dell'abbazia[18] e l'inizio dell'edificazione del palazzo degli abati commendatari.

 
Capitello con lo stemma Della Rovere nel palazzo degli abati commendatari.

Nel settembre 1474 il cardinale della Rovere ospitò a Grottaferrata Federico da Montefeltro, che il 18 settembre ricevette nell'abbazia dall'ambasciatore d'Inghilterra le insegne di Cavaliere dell'Ordine della Giarrettiera, alla presenza di Ferdinando I di Napoli e del cardinale Rodrigo Borgia.[19]

Durante la guerra di Ferrara (1482-1484), l'abbazia fu utilizzata come accampamento dall'esercito napoletano guidato da Alfonso, duca di Calabria.[20] Nella notte tra il 9 ed il 10 giugno 1484, un esercito formato dalla famiglia Colonna partì da Marino per assaltare di sorpesa un esercito pontificio accampato a Grottaferrata, che fu disperso:[20] le milizie dei Colonna irruppero "in claustra cenobii", secondo alcune fonti "rompendo un muro", secondo altri cronisti superando le mura con scale o passando attraverso una fogna; arrivati al primo chiostro, trovarono pochi difensori addormentati, che in parte si dispersero fuori dall'abbazia, in parte si asserragliarono nella chiesa;[21] il comandante Paolo Orsini e Girolamo d'Estouteville si rifugiarono per tetti nel campanile, notizia che suggerisce come non esistessero ancora le fortificazioni dell'abbazia, o non fossero ancora completate.[21]

Temendo l'ostilità di papa Alessandro VI, Giuliano della Rovere nel 1492-1493 riparò a Grottaferrata, presidiata da milizie della famiglia Colonna sua alleata; il 6 giugno 1492 il cardinale ricevette a Grottaferrata Ferrandino d'Aragona.[22] Il re di Napoli, Ferdinando I, scrisse al cardinale di cercare una residenza più difendibile, non essendo Grottaferrata un luogo sufficientemente forte e sicuro.[22] Il cardinale della Rovere in effetti riparò in Francia nel 1494.

Quando Giuliano della Rovere divenne papa con il nome di Giulio II, fu nominato abate commendatario il cardinale Giovanni Colonna.

 
Sala "delle Grottesche" nel palazzo degli abati commendatari.

A partire dal XVII secolo, ma in particolare tra la fine del XVIII secolo e tutto XIX secolo, l'abbazia ha vissuto un momento decisivo di rifioritura spirituale, con molti monaci provenienti dalle colonie albanesi d'Italia, gli arbëreshë praticanti il rito orientale (dalle comunità di Sicilia e Calabria).[23] Questi monaci, nel solco della fede orientale, hanno mantenuto vivo il rito bizantino, sopprimendo il pericolo nell'ormai secolare tracollo rituale.[24] I monaci italo-albanesi sostituirono la vecchia guardia latina e latinizzante che aveva preso ampio spazio a Grottaferrata, contribuendo alla rinascita della Badia e diventando notevoli paleografi, liturgisti e musicologi, nonché tra i principali albanologi e bizantinisti del periodo.

Papa Clemente XI frequentò Grottaferrata già prima di diventare papa, e qui apprese da un monaco il greco; da pontefice, contribuì economicamente alla costruzione del nuovo convento, e visitò più volte l'abbazia.[25]

L'Ottocento

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La facciata della chiesa successiva agli interventi neogotici commissionati dal cardinale Mattei, prima del restauro del campanile eseguito nel 1910-1912.

Durante il periodo di occupazione napoleonica del Lazio (1809-1814), Grottaferrata fu unita al cantone di Marino. Sebbene il monastero, in ragione della sua antichità, fosse stato esonerato dalle leggi eversive che colpirono gli altri ordini religiosi, quando nel 1810 i sacerdoti furono costretti a prestare un giuramento di fedeltà all'Imperatore, i monaci si rifiutarono e furono considerati "refrattari", e pertanto allontanati dall'abbazia nell'agosto 1811.[26] Rimase un unico monaco, padre Nilo Alessandrini, vestito da prete secolare, per assicurare il funzionamento della parrocchia.[27]

Il 4 ottobre 1844 papa Gregorio XVI si recò dalle Ville pontificie di Castel Gandolfo a Grottaferrata, dove ammise i monaci al bacio del piede nella sala della biblioteca.[28]

Il Novecento

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Il piazzale dell'abbazia prima del 1904. Si noti sulla sinistra la facciata della chiesa esistente fino al 1929-1930 nel sito del nartece.

Nel 1937 il monastero è stato elevato a monastero esarchico, circoscrizione dalla Chiesa bizantina cattolica in Italia insieme alle eparchie di Lungro e Piana degli Albanesi, raggiungendo così, grazie alla presenza nella badia di monaci provenienti da famiglie delle comunità albanesi d'Italia, la piena osservanza del rito bizantino.

Papa Paolo VI visitò l'abbazia il 18 agosto 1963.[29] Il 9 settembre 1979 l'abbazia fu visitata da papa Giovanni Paolo II.[30]

L'abbazia nel XXI secolo

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Nel 2004 è stato celebrato il millenario della fondazione dell'abbazia.

Descrizione

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La chiesa abbaziale

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Esterno

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La facciata della chiesa tra il 1912 ed il 1929, dopo il ripristino del campanile ma prima della demolizione della facciata neogotica.

L'aspetto attuale degli esterni della chiesa abbaziale è frutto dei radicali restauri compiuti tra il 1910 ed il 1930 sotto la direzione dell'architetto Pietro Guidi, coadiuvato dal monaco ingegnere Macario Della Bitta.[31] Il restauro fu finalizzato al recupero degli archi tamponati del campanile ed all'eliminazione della facciata realizzata in stile neogotico nel 1845 su commissione del cardinale Mario Mattei, che fu paragonata con disprezzo ad una "scaletta del cocomeraro".[32]

In conseguenza dei lavori di restauro del campanile, in alcune soffitte costruite in epoca roveriana sopra entrambe le navate laterali della chiesa, emersero le murature originarie della chiesa medioevale, prima sul lato destro e poi sul lato sinistro. Nel 1914 fu riportata interamente in luce la parete sinistra della chiesa, demolendo il fabbricato che vi era stato addossato; tornarono così alla luce le bifore e le monofore della fine del XII secolo, una delle quali fu trovata con i vetri colorati che ne chiudevano le luci. Fu anche rinvenuta traccia della decorazione dipinta della parete.[33]

Fontana liturgica e piazzale
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Fontana liturgica nel piazzale.

Nel piazzale antistante la chiesa si trova la fontana liturgica, costruita nel 1906 in stile neogotico (come si presentava all'epoca la facciata della chiesa). L'acquasantiera è coperta da un ciborio a baldacchino. La fontana è legata alla solenne liturgia della Benedezione delle Acque (megas haghiasmos) che viene celebrata il 6 gennaio, ricorrenza del Battesimo di Gesù secondo il calendario bizantino.[34]

Sul selciato intorno alla fontana sono presenti alcune lettere in caratteri greci:

  • ΜΡ ΘΥ (ΜΗΕΤΕΡ ΘΕΟΥ, "madre di Dio", attributo di Maria);
  • il monogramma di Cristo
  • ΟΝ (ΟΣΙΟΣ ΝΕΙΛΟΣ, san Nilo)
  • le lettere Α e Ω, prima ed ultima lettera dell'alfabeto greco, segni del principio e della fine
Il campanile
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Lato ovest del campanile.

Il campanile attualmente esistente fu edificato nel XII secolo, dopo il crollo del campanile precedentemente esistente, che risaliva probabilmente all'epoca della fondazione della chiesa, avvenuto a causa di un fulmine il 19 aprile 1087.[35] La struttura era alta otto piani, sui quali si aprivano aperture a trifore e bifore, e la copertura era sormontata da una cuspide. Nel corso dei secoli si resero necessari diversi interventi di consolidamento: durante i restauri del 1910-1912, furono rinvenute e rimosse ben ventotto catene installate nel corso dei secoli.[36] Le bifore e le trifore furono tamponate già nel 1282; il 17 agosto 1575, dopo che l'edificio fu colpito da un fulmine, furono demoliti l'ultimo livello e la cuspide; altri fulmini colpirono la torre nel 1778 e nel 1874.[37] Durante le travagliate vicende storiche che interessarono l'abbazia, il campanile fu utilizzato anche come mastio, durante l'assalto dei Colonna all'abbazia, nella notte tra il 9 ed il 10 giugno 1482, prima del completamento delle fortificazioni roveriane.[21]

Di fronte allo stato di degrado del campanile, anche alla luce del precedente crollo del campanile di San Marco a Venezia avvenuto nel 1902, a partire dal 1905 il Ministero della Pubblica Istruzione si interessò al restauro della struttura, che si presentava "ridotto ad una misera torre".[38] Scartata l'ipotesi di una demolizione e ricostruzione totale della struttura,[38] si scelse la via di un recupero il più possibile conservativo del monumento. I lavori, diretti dall'ingegnere Marchetti, direttore dell'Ufficio Tecnico Regionale per la Conservazione dei Monumenti, dall'ingegnere Pietro Guidi e seguiti dal monaco ingegnere padre Macario (al secolo Mario della Bitta),[39] iniziarono il 5 febbraio 1910,[38] e si conclusero con una solenne inaugurazione il 26 settembre 1912.[40] Dopo uno scavo che raggiunse i 6 metri di profondità, furono consolidate le fondamenta agli angoli del campanile con murature in laterizio; ampi tratti di muratura degradata furono interamente ricostruiti, utilizzando il più possibile i materiali antichi, e poterono essere riaperte le finestre tamponate. Nelle cornici marcapiano furono inserite otto catene invisibili all'esterno: l'architetto Guidi ha scritto che nella struttura del campanile furono inseriti oltre 10.000 chili di ferro.[36] Nel corso dei restauri fu anche rimossa una edicola presente sul lato nord del campanile.[41]

La struttura presenta un paramento murario interamente in laterizio; il campanile è composto da sette piani, cinque dei quali presentano aperture a trifora e bifore sostenute da trentadue colonnine marmoree con capitelli "a stampella".[N 3] Le cornici marcapiano sono fortemente aggettanti e decorate con il motivo "a denti di sega" poggiate su mensoline di marmo bianco. La decorazione è completata da ceramiche policrome,[43] realizzate dalla ditta Giovannucci di Roma[42] a somiglianza di quelle rinvenute in frammenti nel corso dei restauri. Alcuni degli oggetti in maiolica rinvenuti presentavano segni di colpi di arma da fuoco e tracce di piombo, segno che erano stati utilizzati come bersaglio da parte dei soldati che si accamparono nel corso dei secoli nel monastero.[44]

All'interno della cella del campanile sono presenti quattro campane: la campana più grande attualmente esistente fu fatta rifondere nel 1795 sotto la commenda del cardinale Rezzonico sostituendo una campana realizzata nel 1308; la campana mezzana fu rifusa nel 1616 per interessamento del cardinale Odoardo Farnese; le altre due campane più piccole risalgono al 1564. Una quinta campana, realizzata nel 1307, non è più esistente.[45]

Nartece
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Nartece esterno (pronao)

 
Fontana liturgica e pronao.

Tra il 1929 ed il 1930 fu completata la sistemazione dell'attuale prospetto, demolendo la chiesa che era stata realizzata nel sito del nartece all'epoca del cardinale Mattei per celebrarvi la messa in rito latino, e ricostruendo l'attuale nartece esterno sul sito dell'antico, sulla base delle murature pre-esistenti nel sottosuolo e delle fonti documentarie.[46]

La trabeazione dell'atrio colonnato è sostenuta da quattro colonne di travertino, i cui capitelli medievali sono originali. Anticamente le colonne erano in granito egizio.[47]

Il mosaico raffiguarnte la Vergine Orante sopra la porta d'ingresso all'endonartece risale agli anni Settanta. La porta esistente nel pronao originaria era chiamata "porta argentea" analogamente alla porta principale dell'antica basilica di San Pietro.[48]

Endonartece

 
Il mosaico della Deesis e l'architrave della porta "speciosa".

Nell'endonartece si trovano le opere d'arte più antiche della basilica:[49] il fonte battesimale, a "porta speciosa" e la Deesis.

Sulla sinistra rispetto all'ingresso si trova il fonte battesimale in marmo databile all'XI secolo, di forma cilindrica, poggiato su leoni alati, che presenta una decorazione simbolica a bassorilievo; a destra, un altare sovrastato da un affresco di Cristo risorto che libera le anime dall'Ade.

La porta che dal nartece conduce all'interno della chiesa è chiamata "speciosa" ("bella") per la ricca decorazione degli stipiti, a bassorilievo in marmo con intarsi di pietre e pasta vitrea. In stile romanico con influssi bizantini, presenta le ante in legno di noce[N 4] scolpito di diversa larghezza, riadattate forse da un altro edificio[senza fonte]. Sull'architrave della porta compaiono i versi di un epigramma greco composto da Teodoro Studita:

(greco)
«»
(italiano)
«Voi che entrate nella casa di Dio, lasciate al di fuori l’ebbrezza delle sollecitudini terrene, perché là dentro troviate propizio il Giudice»

La datazione della porta e della sua cornice è controversa. Secondo alcuni risalirebbero al tempo della consacrazione del 1024;[50] altri studiosi hanno messo in relazione la cornice della porta con il mosaico della Deesis soprastante, datandoli al XII secolo.

Il mosaico sovrastante la porta rappresenta la Deesis, cioè "l'intercessione": Gesù benedicente seduto in trono con il Vangelo di San Giovanni dove, in greco antico, è scritto: “Io sono la porta, chi per me passerà sarà salvo”; ai lati la Madonna e San Giovanni e, in proporzioni minori, la figura di un monaco.

Interno

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La chiesa nei primi anni del XX secolo.

L'interno della chiesa abbaziale è stato profondamente trasformato rispetto all'originario aspetto medievale, che doveva essere simile a quello della basilica di Santa Maria in Cosmedin (o in Schola Graeca). La navata centrale venne sopraelevata alla fine del XIII secolo con una fascia in blocchetti di peperino decorata con archetti a sesto acuto. Internamente, la sopraelevazione venne decorata con un ciclo di affreschi raffiguranti Storie di Mosè e la Creazione. Nel XIV secolo furono aperte le bifore e le monofore gotiche nelle pareti delle navate laterali, e venne inserito un rosone sulla facciata principale. Sebbene le dimensioni siano le stesse dell'edificio risalente alla fine dell'XI secolo o all'inizio del XII (20 x 13,50 metri, esclusa l'abside), la chiesa deve il suo aspetto attuale agli interventi commissionati nel 1754 dall'abate commendatario Giovanni Antonio Guadagni, che hanno cancellato l'aspetto medievale.[51] In particolare, otto colonne scanalate, materiale di epoca romana di recupero, furono scalpellate e racchiuse entro i finti pilastri. Gli affreschi medievali presenti sulle pareti della navata centrale vennero ricoperte con una nuova decorazione di finte finestre e tondi in stucco,[51] opera dello scultore e stuccatore Tommaso Righi, che rappresentano storie della vita della Vergine (Presentazone al Tempio, Sposalizio della Vergine, Annunciazione e Nascita di Gesù).[52]

Il soffitto a cassettoni fu commissionato nel 1577 dall'abate commendatario Alessandro Farnese junior. Nei cassettoni sono raffigutati lo stemma della famiglia Farnese e lo stemma dell'abbazia (la mucca che allatta il vitello).[52]

Il pavimento è realizzato in opus sectile di marmi policromi secondo lo stile cosmatesco del XII-XIII secolo; si individua ancora l'area della schola cantorum, recintata in origine da plutei marmorei, e la rota porfiretica del diametro di 2,45 metri.[52] Altri elementi

Sulla parete di fondo della navata sinistra è affissa la lapide sepolcrale attribuita a papa Benedetto IX. Una serie di tondi affrescati alla fine del XIX secolo sulle pareti delle navate lateriali rappresentano i papi che hanno beneficato l'abbazia.[53]

La crypta ferrata
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La prima cappella a destra della "porta speciosa" è ritenuto il luogo più antico dell'intera abbazia, la vetus aedicula identificata con la crypta ferrata, che sarebbe eponima del luogo. Il piccolo edificio è realizzato in blocchi di peperino, che conservano tracce di intonaco.[54] Il luogo sarebbe stato utilizzato come oratorio cristiano nel V o VI secolo, ed avrebbe costituito il nucleo intorno al quale Nilo da Rossano fondò la nuova comunità monastica.

Cappella dei Fondatori
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La Cappella dei Fondatori (o Farnesiana).

La Cappella dei Santissimi Fondatori, Nilo e Bartolomeo, anche nota come "Cappella Farnesiana" dal committente cui si deve l'aspetto attuale del luogo, l'abate commendatario cardinale Odoardo Farnese, è uno dei luoghi più antichi dell'abbazia. Parte delle murature sono di epoca romana, pertinenti alla villa pre-esistente dell'abbazia. La cappella, originariamente dedicata ai santi Adriano e Natalia, titolari del primo monastero fondato da Nilo in Calabria, fu dedicata ai santi fondatori del cenobio criptense nel 1131.

Il cardinale Farnese commissionò il rifacimento della cappella tra il 1608 ed il 1610. Gli affreschi e le linee della decorazione furono realizzate dal giovane Domenichino.

Parete sinistra (episodi della vita di Nilo da Rossano):

  • Il miracolo dell'ossesso
  • Incontro tra S. Nilo e l'imperatore Ottone III'
  • Il miracolo del Crocifisso

Parete destra (episodi della vita di Bartolomeo il Giovane):

  • L'apparizione della Vergine ai Santi Fondatori
  • La costruzione dell'Abbazia
  • Miracolo delle messi
Presbiterio
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L'arco trionfale del presbiterio.

L'abside dell'edificio medioevale fu demolita nel 1582, e sostituita dall'attuale coro dei monaci.[51] Il coro dei monaci è caratterizzato da pregevoli stalli intarsiati; fu sistemato nell'aspetto attuale nel 1901.

L'arco trionfale

Sull'arco trionfale si estende una fascia in mosaico a fondo d'oro che rappresenta la Pentecoste, databile alla fine del XII o al XIII secolo: l'opera è denotata da una elevata qualità artistica ed è ritenuto opera di maestranze già attive nel duomo di Monreale. Le figure dei santi Apostoli, riconoscibili dalle scritte in greco, sono schierate su seggi preziosi con al centro il trono vuoto in attesa del Cristo per il Giudizio (etimasia); le figure dei santi, ieratiche e impassibili secondo lo stile bizantino, esprimono il distacco dalle cose terrene; nel trono vuoto al centro è raffigurato un agnello, simbolo del Cristo sacrificato, ai lati gli apostoli Pietro e Andrea, simboli di Roma e Costantinopoli.

Sopra l'arco trionfale, oltre il mosaico, resta parte del ciclo di affreschi medioevali (XII-XIII secolo): è rappresentata la Trinità dentro la "mandorla mistica": Cristo, piccolo di proporzioni, ma di aspetto adulto, tra le braccia del Padre, regge la colomba raggiata dello Spirito Santo; ai lati, due schiere di Angeli dalle ricche tuniche colorate, alle estremità i due profeti Davide ed Isaia. Altri affreschi furono coperti dal soffitto a lacunari nel 1577 e quelli un tempo sulle pareti della navata, dal rifacimento settecentesco (alcuni di essi, staccati, sono nel Museo).

 
L'iconostasi.

L'iconostasi

Il presbiterio è dominato dall'iconostasi, creata nel 1881 adeguando al rito bizantino la parete d'altare realizzata su disegno di Antonio Giorgetti[N 5] nel 1661-1665 sotto la commenda del cardinale Francesco Barberini. Nel 1901-1902 l'iconostasi fu smontata e rimontata quattro metri più indietro, per creare il "solea", zona rialzata esistente nelle chiese di rito bizantino.[56]

Dietro l'iconostasi si cela il "Vima" (santuario); dotato di altare quadrato, secondo il rito bizantino, è sormontato da un baldacchino neogotico dipinto da cui pende una colomba d'argento per la custodia del SS. Sacramento.

La Theotókos

Al centro dell'iconostasi, circondata da un coro d'angeli, è collocata la Theotókos, l'icona della Madonna col Bambino. Databile al XII o al XIII secolo e messa in relazione con l'ambito cipriota,[N 6] si ritiene tradizionalmente provenga dalla distrutta città di Tuscolo.[N 7] L'icona si presenta come una vera e propria opera d'arte, prodotta da un iconografo dotato di forte personalità, il quale non si è limitato a riproporre il modulo bizantino dell'Odigitria, ma ha saputo dare alle figure una sua impronta personale.[57] Nel 1577 l'abate commendatario cardinale Alessandro Farnese fece trasferire l'icona dal suo originario altare laterale in un retablo sull'altare maggiore,[58] sostituito nel 1661-1665 dall'attuale struttura, riadattata ad iconostasi. L'icona era protetta da due sportelli dipinti con le figure dei santi Nilo e Bartolomeo.

Il palazzo abbaziale

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Il palazzo abbaziale.

La costruzione del palazzo abbaziale fu avviata sotto la commenda di Giuliano della Rovere, tra il 1482 ed il 1503, e portata avanti sotto le commende degli esponenti della famiglia Colonna e Farnese. La loggia attribuita a Jacopo Barozzi da Vignola è datata al 1567.

Il convento

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Il nuovo monastero fu eretto a partire dal 1710, sotto la commenda del cardinale Francesco Barberini "il Giovane",[59] su progetto dell'architetto Giovan Battista Contini e di suo figlio Giulio.[60] I lavori, proseguiti sotto la commenda di Giovanni Antonio Guadagni e la direzione dell'architetto Francesco Rosa,[60] terminarono nel 1762.[59]

Il complesso conventuale ha una pianta ad "L", ed accoglie le celle dei monaci, il refettorio, le due biblioteche (antica e moderna) e sale di rappresentanza. Il refettorio, datato al 1742, è uno degli ambienti più importanti: si tratta di una vasta aula rettangolare illuminata da cinque finestre per lato, decorata sulla parete di fondo da un'affresco raffigurante "L'apparizione della Vergine ai SS. Nilo e Bartolomeo", copia dell'originale presente nella cappella della chiesa abbaziale.[60]

Le biblioteche

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Di fianco alla chiesa si trova il massiccio edificio del monastero che si articola su due lati di un cortile porticato. Al suo interno si trova una delle biblioteche più fornite di testi in greco antico e latino al mondo, con migliaia di volumi di valore inestimabile[senza fonte].

San Nilo era un amanuense ed aveva creato una sua propria scuola; alcuni dei suoi monaci erano scribi e, fino a tutto il XIII secolo, produssero manoscritti liturgici ed ascetici. Questi, con l'aggiunta di manoscritti acquistati ed ereditati, formarono il nucleo più antico della biblioteca[61].

Nel 1873 l'intero complesso ecclesiastico dell'abbazia, compresa la Biblioteca, divenne proprietà dello Stato italiano. Attualmente essa conta circa 500 manoscritti greci ed altrettanti latini, varie centinaia di incunaboli e cinquecentine e 50.000 libri stampati.[61]

Le fortificazioni

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Torre sul lato nord-ovest.

Il Laboratorio di restauro del libro

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Dal 1931 l'Abbazia di Grottaferrata è sede del "Laboratorio di restauro del libro antico", il primo laboratorio a carattere scientifico fondato in Italia per la salvaguardia del patrimonio bibliografico. Fondato da P. Nilo Borgia, ha notevolmente contribuito alla conservazione di numerosi e preziosi codici.

Già Monumento nazionale, dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali ne gestisce il patrimonio storico-artistico tramite il Polo museale del Lazio, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.

Il più prestigioso dei restauri effettuati da questa autentica Officina Librorum è stato quello delle oltre 1.000 carte vinciane del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.[62][63]

Il Museo archeologico

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La raccolta archeologica dell'abbazia, acquisita dallo Stato italiano nel 1875, è stata riorganizzata nel 2017 nel Museo archeologico dell'Abbazia greca di San Nilo,[64] museo statale gestito dal Ministero della cultura. Il museo è ospitato nel Palazzo degli abati commendatari. Oltre alla collezione archeologica, ospita le testimonianze artistiche della vita del monastero fin dalla sua fondazione.

 
Epigrafe (CIL XIV, 2502) conservata sotto al portico del palazzo degli abati commendatari, rinvenuta in località Castel de' Paolis, riferibile a Lucio Scribonio Libone.

Il patrimonio scultoreo antico del museo si compone di 32 sculture, 13 ritratti, 18 rilievi, 9 altari o urne, 52 sarcofagi, 75 materiali architettonici e 11 altri elementi.[65] Tra i reperti più significativi, si trovano:

  • frammento di statua del faraone Seti I in granodiorite (1312-1298 a.C.);
  • stele funeraria greca in marmo pario con giovane intento nella lettura (410 - 390 a.c.);
  • ritratto di principe tolemaico (246-221 a.C.);
  • due statue di peplophoroi (III-II secolo a.C.);
  • statua femmnile del tipo "Piccola Ercolanese" (metà del II secolo d.C.);
  • Erma di Euripide (prima età imperiale);
  • Erma di Omero "tipo cieco" (prima età imperiale);
  • ritratto giovanile "tipo Alessandro Magno" (età severiana);
  • orologio solare bilaterale (prima età imperiale);
  • due statue maschili in toga (età giulio-claudia);
  • rilievo frammentario in marmo pario con scena di trasporto funebre (41-68 d.C.);
  • due sarcofagi con tabulae e ghirlande provenienti dall'ipogeo "delle Ghirlande", rinvenuto nel 2001 nei pressi dell'incrocio tra le vie Anagnina e Mola Cavona;
  • fronte di sarcofago con erote ghirlandoforo (150-160 d.C.), rinvenuto forse in località Colle delle Ginestre;
  • sarcofago con scena dell'adulterio di Venere e Marte (media età antonina);
  • fronte di sarcofago con processione dionisiaca (160-170 d.C.);
  • due lastre di sarcofago con combattimento di Dioniso contro gli Indi (138-161 d.C.);
  • sarcofago architettonico microasiatico frammentario (170-180 d.C.);
  • parte inferiore di cassa di sarcofago (seconda metà del II - inizio del III secolo d.C.);
  • blocco di cornice con mensole e cassettoni;
  • blocco di cornice;
  • lastra di loculo con scena di conclamatio;
  • coperchio di sarcofago bucolico;
  • tre frammenti di sarcofago stagionale;
  • sarcofago con scene di caccia al leone e mito di Meleagro;
  • ritratto di Costantino (non anteriore al 324 d.C.);
  • mensola con il Buon Pastore (inizio IV secolo d.C.).

Il percorso museale è articolato in sette sale:

  • Sala I. La scultura e la ritrattistica antica;
  • Sala II. L'ipogeo delle Ghirlande e la collezione di rilievi;
  • Sala III. Sarcofagi e rilievi funerari;
  • Sala IV. L'abbazia dalla fondazione all'età gotica;
  • Sala V. Il riuso dei materiali antichi;
  • Sala VI. L'epoca degli abati commendatari (Sala "delle Grottesche");
  • Sala VII. La riscoperta del Medioevo.
Esplicative
  1. ^ Fenomeno comune nell'area, malgrado la presenza attestata dalle fonti documentarie di personaggi e famiglie importanti, a causa dei frequenti cambiamenti di proprietà delle ville.[5]
  2. ^ Dove scrisse le Tusculanae disputationes.
  3. ^ Dodici colonnine e venti capitelli furono realizzati nel 1912, in sostituzione di quelli sfaldati,rovinati o mancanti.[42]
  4. ^ Alcune fonti parlano di legno di cedro.
  5. ^ La parete d'altare di Grottaferrata si trova spesso erroneamente attribuita a Gian Lorenzo Bernini.[55]
  6. ^ In particolare è stato proposto il confronto con l'icona mariana conservata nel Santuario di Santa Maria dei Miracoli (Andria)
  7. ^ Dopo la distruzione di Tuscolo nel 1191, l'immagine sacra sarebbe stata trasferita a Frascati; nel 1230, papa Gregorio IX, su richiesta dei monaci, avrebbe ordinato che l'immagine fosse trasferita da Frascati a Grottaferrata. Il 16 agosto 1930, nell'ottavo centenario della ricorrenza della traslazione, una solenne processione partì dall'abbazia per riportare simbolicamente l'immagine sacra sul monte Tuscolo. Una copia dell'icona, realizzata dalla ditta Tidei di Squarciarelli, venne collocata in un'edicola fatta costruire per l'occasione dal principe Aldobrandini, tuttora esistente all'interno del parco archeologico culturale di Tuscolo.
Bibliografiche e sitografiche
  1. ^ a b Rocchi, p. 51
  2. ^ a b Tomassetti, p. 284
  3. ^ a b Ambrogi, p. 8
  4. ^ a b Ambrogi, p. 10
  5. ^ Valenti 2008, p. 117
  6. ^ Felice Grossi Gondi, La prima pagina della storia di Grottaferrata, in Roma e l'Oriente, n. 7, 1917, pp. 104-116.
  7. ^ Ambrogi, p. 15
  8. ^ Tusculum VII, p. 35
  9. ^ a b c d e Moroni, pp. 50-51.
  10. ^ Devoti 1999, pp. 83-84.
  11. ^ Tomassetti, p. 286
  12. ^ Tomassetti, p. 288
  13. ^ Tomassetti, p. 289
  14. ^ Tomassetti, p. 291
  15. ^ a b c Rocchi, pp. 99-100
  16. ^ Tomassetti, p. 292
  17. ^ Tomassetti, p. 293
  18. ^ Pagliara, pp. 19-20
  19. ^ Pagliara, p. 21
  20. ^ a b Tomassetti, p. 295
  21. ^ a b c Pagliara, p. 22
  22. ^ a b Pagliara, p. 22
  23. ^ Il Monastero di Grottaferrata e gli Albanesi d’Italia, Jemi.it - Lajme, N°3 2005, su jemi.it. URL consultato il 1º febbraio 2006.
  24. ^ Aspetti della cultura bizantina ed albanese in Sicilia, su books.google.it. URL consultato il 24 ottobre 2013.
  25. ^ Moroni, p. 60
  26. ^ Ponti-Passamonti, p. 172
  27. ^ Moroni, p. 61
  28. ^ Moroni, p. 65
  29. ^ Visita al Santuario della Baia di Santa Maria di Grottaferrata - omelia di Paolo VI, su vatican.va. URL consultato il 5 ottobre 2025.
  30. ^ Visita ai monaci dell'abbazia di Grottaferrata - omelia di Giovanni Paolo II, su vatican.va. URL consultato il 5 ottobre 2025.
  31. ^ Minisci, p. 37
  32. ^ Minisci, p. 38
  33. ^ Guidi, pp-23-24
  34. ^ L'abbazia Greca, p. 36
  35. ^ Micocci, p. 72
  36. ^ a b Micocci, p. 82
  37. ^ Micocci, p. 73
  38. ^ a b c Guidi, pp. 22-23
  39. ^ Micocci, p. 77
  40. ^ Minisci, p. 37
  41. ^ Micocci, p. 86
  42. ^ a b Micocci, p. 90
  43. ^ L'abbazia Greca, p. 35
  44. ^ Micocci, p. 85
  45. ^ Micocci, p. 79
  46. ^ Minisci, p. 40
  47. ^ Parlato, p. 33
  48. ^ Parlato, p. 34
  49. ^ L'abbazia Greca, p. 37
  50. ^ Rocchi, pp. 54-59
  51. ^ a b c L'abbazia Greca, p. 43
  52. ^ a b c L'abbazia Greca, p. 45
  53. ^ L'abbazia Greca, p. 59
  54. ^ L'abbazia Greca, p. 58
  55. ^ iconostasi di Bozolasco G. B (e aiuti), Bernini Gian Lorenzo (bottega) (sec. XVII) - Catalogo generale dei beni culturali, su catalogo.beniculturali.it. URL consultato il 10 ottobre 2025.
  56. ^ Giannini, p. 99
  57. ^ Giannini, p. 98
  58. ^ Giannini, p. 97
  59. ^ a b Ambrogi, p. 56
  60. ^ a b c Ambrogi, p. 56
  61. ^ a b online su Monastero Esarchico di Santa Maria di Grottaferrata - Monaci Basiliani, su abbaziagreca.it. URL consultato il 21 agosto 2019 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2009).
  62. ^ www.abbaziagreca.it - Attività - Restauro libri, su abbaziagreca.it. URL consultato il 9 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 18 maggio 2015).
  63. ^ SEGNI - LA MEMORIA SALVATA: Il restauro del Codice Atlantico, su archivioinnocenzo.it. URL consultato il 9 maggio 2015 (archiviato dall'url originale il 16 settembre 2014).
  64. ^ Ministero della Cultura - Luoghi della cultura - Museo archeologico dell'Abbazia greca di San Nilo, su cultura.gov.it. URL consultato il 6 ottobre 2025.
  65. ^ Ambrogi, p. 78

Bibliografia

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  • Antonio Rocchi, La Badia di Grottaferrata, Roma, Tipografia della Pace, 1884.
  • Giuseppe Tomassetti, Francesco Tomassetti, La Campagna Romana antica, medioevale e moderna IV, Iª ed., Torino, Loescher, 1910, ISBN 88-271-1612-5.
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  • Francesca Zagari, Le indagini nell’abbazia di Grottaferrata, in Viabilità, forme insediative, musealizzazione e valorizzazione del patrimonio culturale. Le ricerche del master TECAM ai Castelli Romani e Prenestini, Spolia, 2015, pp. 30-39.
  • Annarena Ambrogi, Lastra con il trasporto dell'eroe morto conservata nel Museo di Grottaferrata: rilievo o fronte di sarcofago?, in Akten des Symposiums Roemische Sarkophage. G. Koch (Hrsg. von), Marburg 2006, Marburg, 2016, pp. 31-42.
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