Per monopsichismo (dal greco μόνος, mònos, «solo», e ψυχή, psychè, «anima») in filosofia s'intende la teoria che afferma l'esistenza di un'unica anima al di sopra di tutte quelle individuali, considerate come sue manifestazioni o modificazioni particolari.

Età antica

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Secondo alcuni storici della filosofia un primo accenno al monopsichismo si trova in un'opera di Prisciano di Lidia intitolata Solutiones eorum de quibus dubitavit Chosroes Persarum rex (Soluzioni dei problemi posti dal re dei persiani Cosroe),[1] dove il re Cosroe I[2] dialoga di filosofia con i sette filosofi neoplatonici emigrati in Persia nel 530 d.C., in seguito alla chiusura dell'Accademia di Atene da parte di Giustiniano. Il primo problema posto dal re a Prisciano riguarda la natura dell'anima, se è uguale per tutti gli uomini oppure si differenzia, cioè se l'uomo pensi con un'anima individuale, oppure se tutti pensino con un unico grande spirito razionale.

Medioevo

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Teoria averroista dell'unità dell'intelletto.

Le teorie eterodosse dell'averroismo latino furono: la negazione della Provvidenza, determinismo astrologico, monopsichismo e eternità del mondo.[3]

Il monopsichismo si definisce nella filosofia di Averroè, che riprende la concezione dell'intelletto attivo o agente che per Aristotele rappresenta l'unica ragione eterna dell'umanità.

Secondo gli averroisti l'anima individuale richiama formalmente l'origine trascendente di quella superindividuale, ma solo quest'ultima è immortale poiché l'intelletto agente agisce nell'ambito materiale per acquisire la verità ricorrendo anche all'immaginazione, che con un metodo di astrazione è in grado di elaborare le forme dai dati sensibili.

In particolare nel XIII secolo il filosofo averroista Sigieri da Brabante sosteneva che l'uomo è un semplice animale e che l'anima nell'uomo non ha una vera e propria identità valida per ogni singolo individuo, ma che secondo il pensiero aristotelico essa è in realtà collettiva e, solo in questa veste, è eterna.[4] Le tesi degli averroisti vennero confutate da Tommaso d'Aquino nel De unitate intellectus contra averroistas del 1269 e condannate ufficialmente dall'arcivescovo di Parigi (dal 1268 alla morte nel 1279) Étienne Tempier nel 1270 e nel 1277.[5] Nell'opera Tommaso sostenne la tesi secondo cui “è quest’uomo [singolo e concreto] che pensa” (hic homo intelligit), fondando la dignità della persona umana come essere pensante.[6] Di contro, l'opera sostiene che l'averroismo, negando l'uomo come soggetto di conoscenza, dato che è l'intelletto agente che pensa in tutti, negava anche la responsabilità morale delle proprie azioni e quindi anche la responsabilità penale personale e il premio/castigo eterno come giusta retribuzione divina delle proprie opere.[7] San Tommaso riassume così i limiti dell'averroismo:[8]

«Ora, è evidente che nell’uomo la parte principale è l’intelletto, il quale si serve di tutte le potenze dell’anima e di tutte le membra del corpo come di organi; questo il motivo per cui acutamente Aristotele affermò che l’uomo, o è intelletto, “o soprattutto intelletto”. Se, quindi, l’intelletto di tutti gli uomini è uno solo, per necessaria conseguenza uno solo è colui che intende, uno solo colui che vuole, uno solo colui che si serve a suo arbitrio di tutto ciò che rende gli uomini diversi l’uno dall’altro. E da ciò ne segue ulteriormente che non si dia tra gli uomini alcuna differenza per quanto riguarda la libera scelta della volontà, ma che essa sia identica in tutti gli uomini, se l’intelletto presso il quale soltanto risiedono la superiorità e il potere di servirsi di tutti gli altri, è unico e indiviso in tutti gli uomini. Una cosa evidentemente falsa e impossibile; essa, infatti, è contraria all’esperienza dei fatti, e distrugge del tutto la scienza morale e tutto ciò che concerne la convivenza sociale, che, secondo

Aristotele, è naturale in tutti gli uomini.»

Età moderna

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La stessa idea di base è stata recentemente ripresa in chiave moderna nel dibattito filosofico sull'identità personale, con il nome di Individualismo aperto, o teoria dell'individualità aperta dell'identità personale.

  1. ^ Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, VII edizione, Milano, Feltrinelli, 2013, ISBN 9788807883231.
  2. ^ Pietro Citati, La primavera di Cosroe, Adelphi editore, 2006
  3. ^ Valeria Sorge, La critica di Tommaso d'Aquino all'antropologia averroistica. URL consultato il 20 ottobre 2025.
  4. ^ Sigieri di Brabante, Questiones in tertium de anima e De anima intellectiva in François-Xavier Putallaz-Ruedi Imbach, Professione filosofo. Siegieri di Brabante, trad. it. Antonio Tombolini, Jaca Book, Milano 1998
  5. ^ Manuale di Filosofia Medievale Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Siena Archiviato il 10 ottobre 2010 in Internet Archive.
  6. ^ Alla scuola di Tommaso d’Aquino, maestro di umanità, a 750 anni dalla sua scomparsa - AgenSIR, su AgenSIR - Servizio Informazione Religiosa, 18 marzo 2024. URL consultato il 20 marzo 2024.
  7. ^ Giovanni Turco, Tommaso d'Aquino luce del pensiero cristiano I. URL consultato il 3 aprile 2025.
  8. ^ TOMMASO D’AQUINO, De unitate intellectus, trad. it. a cura di A. Tognolo, in L’uomo e l’universo. Opuscoli filosofici, Milano 1982, 279-280. Come citato in Valeria Sorge, La critica di Tommaso d'Aquino all'antropologia averroistica, 2 novembre 2014, pp. 17-18. URL consultato il 16 settembre 2025.

Voci correlate

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