Monumento funebre Camponeschi
Il monumento funebre Camponeschi è il mausoleo di Pietro Lalle Camponeschi, conte di Montorio, realizzato anteriormente al 1432 ed attribuito allo scultore tedesco Gualtiero d'Alemagna, situato nella basilica di San Giuseppe Artigiano dell'Aquila.
| Monumento funebre Camponeschi | |
|---|---|
| Autore | Gualtiero d'Alemagna |
| Data | ante 1432 |
| Materiale | pietra calcarea locale |
| Sepoltura | Pietro Lalle Camponeschi |
| Ubicazione | Basilica di San Giuseppe Artigiano, L'Aquila |
Storia
modificaL'intera opera venne realizzata con lo scopo di tramandare ai posteri la memoria di Lalle Camponeschi (il nome Lalle è un diminutivo di Ludovico o Luigi), uno degli esponenti più illustri della casata che nel Medioevo si rese protagonista della storia dell'Aquila. Il Lalle cui era dedicato il monumento era stato individuato in un primo momento con il celebre Lalle II, ritenendo al contempo che il mausoleo contenesse anche i corpi del figlio Luigi/Ludovico I, detto il Conte grasso per la sua corporatura, e di un suo nipote, pure di nome Luigi/Ludovico II, morto in giovane età, nato dall'altro suo figlio Battista e dalla sua consorte Chiara Gaglioffi[1]. Questa rilettura proviene dal 2º volume del manoscritto Historia dell'origine et fondazione della città dell'Aquila, compilato dall'erudito aquilano Claudio Crispomonti, che riscontrò come il figlio di Battista e Chiara Gaglioffi, Luigi/Ludovico II, venisse confuso con l'omonimo zio, il Conte grasso, nato da Lalle II[1]. In seguito le spoglie furono identificate con il solo Pietro Lalle Camponeschi, discendente di questi ultimi e pronipote di Lalle II, il quale era morto avvelenato nel 1383[2]. Secondo la storica d'arte medievale Laura Cavazzini, la successiva aggiunta di versi in volgare nell'epigrafe latina troverebbe giustificazione nella sepoltura, avvenuta in un secondo momento, di altri membri della famiglia e di conseguenza la data del 1432 potrebbe non indicare l'anno di realizzazione del monumento[3].
La committente dell'opera fu Beatrice Gaglioffi, madre di Pietro Lalle Camponeschi, che la fece erigere anni prima della morte del figlio, verificatasi nel 1490 per il peggioramento delle sue condizioni di salute. Il commissionare monumenti funebri da parte delle proprie madri o coniugi, trova ulteriore diffusione in Abruzzo, e ne costituisce un rappresentativo esempio il sepolcro al nobile condottiero Restaino Caldora, custodito nell'abbazia di Santo Spirito al Morrone di Sulmona e voluto dalla di lui madre Rita Cantelmo. Sin dal 1848 la letteratura abruzzese ha identificato l'autore del mausoleo al Camponeschi, caratterizzato da un gusto gotico nordico, nello scultore tedesco Gualtiero d'Alemagna, che realizzò con lo stesso stile artistico nel 1412 il predetto sepolcro Caldora e nel 1415 il perduto monumento funebre a Niccolò Gaglioffi nella chiesa di San Domenico dell'Aquila, anch'esso su incarico della di lui vedova Maruccia Camponeschi[4].
Descrizione
modificaIl monumento funebre è collocato nella penultima campata della navata sinistra della basilica. Il sarcofago in pietra calcarea locale è appoggiato alla parete, sorretto da colonne con capitelli a crochet e da tre mensole retrostanti figurativamente scolpite. Le due mensole ai lati presentano figure di vecchioni o di profeti inginocchiati[5]. La mensola centrale presenta invece una figura femminile riconoscibile per la porzione di velo sopra lo scollo dell'abito; si poggia con i gomiti sulla mensola e ha le mani, oggi mancanti, sollevate probabilmente a sorreggere o indicare qualcosa.
Il sarcofago sulla fronte reca tre pannelli a rilievo con al centro l'Incoronazione della Vergine e ai lati otto apostoli, quattro per ogni formella. La decorazione vegetale forma degli archi inflessi che suddividono le formelle; sotto le arcate si dispongono a coppie gli apostoli. Secondo Francesco Gandolfo i personaggi rappresentati ai lati dell'Incoronazione della Vergine non sarebbero apostoli, bensì dei santi oggi non riconoscibili, ad eccezione del san Giovanni Battista nel riquadro di sinistra identificabile dalla caratteristica pelliccia[6].
Nel listello inferiore si hanno tracce di un'iscrizione dipinta che probabilmente riportava i nome delle figure soprastanti. L'appartenenza del defunto alle due potenti famiglie dei Camponeschi e dei Gaglioffi è simboleggiata dai loro stemmi sui lati della cassa. I pannelli nella parte superiore e inferiore sono delimitati da una cornice con sinuosi tralci di vite. Sul sarcofago si erge un baldacchino culminante in un timpano delimitato da due pinnacoli; questo ha sugli spioventi decorazioni vegetali rigogliose e fiammeggianti. Il timpano al suo interno presenta un arco acuto polilobato con terminazioni a trifoglio che incornicia la composizione sottostante: fra due angeli si hanno le figure di Ludovico Camponeschi a cavallo e dello stesso adagiato sul letto funebre. L'angelo di sinistra è colto nell'atto di aspergere il defunto con l'acqua benedetta, attingendo dal secchiello che regge, mentre l'altro sulla destra sembra voler mostrare la scena con un gesto della mano[7]. Il defunto è rappresentato adagiato sul letto di morte, con le mani giunte e con il corpo ruotato verso l'esterno in modo che fosse visibile dal basso. Ai piedi ha un cagnolino. Dietro il giacente si staglia su uno sperone roccioso lo stesso Ludovico Camponeschi, trionfante a cavallo e con indosso l'armatura. Lo sguardo fisso in avanti e la rigidità della posa sono elementi volti ad esprimere la fierezza e il distacco dell'importante ruolo sociale ricoperto[8].
Nel tratto di muro sotto il sarcofago si ha una lapide in cui, su uno sfondo rosso con una elegante decorazione vegetale, si apre una formella polilobata formata da archi inflessi. Al suo interno è raffigurato un leone con un elmo sormontato da una testa di aquila, che con le zampe anteriori sorregge uno scudo con gli stemmi dei Camponeschi e dei Gaglioffi. Al di sotto si ha un'iscrizione in caratteri gotici; la prima parte è in latino e la seconda in volgare aquilano, secondo Anton Ludovico Antinori aggiunta in un secondo momento con fine esplicativo, probabilmente nel 1432[9].
Ludovicus miles. Vides sopore jacentem
Baptiste genitum Gallioffi Clareque natum.
Intempestive rediit sed vivet in evum.
Et qui si legge se tu ben rembembri
Di Conte Lalle du fillio e du nipote
Sono rechiuse tutte loro membri.
MCCCCXXXII.»
Note
modifica- ^ a b Crispomonti (1629-1634), pp. 140-141.
- ^ Antinori (XVIII secolo), c. 685r.
- ^ Cavazzini (2004), p. 51.
- ^ Benati e Tomei (2005), pp. 309-310.
- ^ Gandolfo (2014), p. 476.
- ^ Gandolfo (2014), pp. 365-366.
- ^ Gandolfo (2014), p. 367.
- ^ Gandolfo (2014), p. 371.
- ^ Antinori (1972), p. 684.
Bibliografia
modifica- (LA) Anton Ludovico Antinori, Annales, vol. 2, ms. XIV, Biblioteca regionale Salvatore Tommasi, XVIII secolo, ISBN non esistente.
- Anton Ludovico Antinori, Annali degli Abruzzi, vol. 14.1, Bologna, Forni, 1972, SBN NAP0132129.
- Daniele Benati e Alessandro Tomei (a cura di), Presenze tedesche all'Aquila da Gualtieri d'Alemagna a Giovanni Teutonico, in L'Abruzzo in età angioina, arte di frontiera tra Medioevo e Rinascimento. Atti del Convegno internazionale di studi, Chieti, Campus universitario, 1-2 aprile 2004, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2005, ISBN 88-8215-919-1.
- Laura Cavazzini, Il crepuscolo della scultura medievale in Lombardia, Firenze, Leo S. Olschki, 2004, ISBN 88-222-5396-5.
- Claudio Crispomonti, Historia dell'origine et fondazione della città dell'Aquila, ms., vol. 2, L'Aquila, 1629-1634, ISBN non esistente.
- Francesco Gandolfo, Il senso del decoro. La scultura in pietra nell'Abruzzo angioino e aragonese (1274-1496), Roma, Artemide, 2014, ISBN 978-88-7575-197-5.
Voci correlate
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