Mosè (... – Roma, 251) fu un martire di Roma, venerato come santo dalla Chiesa cattolica.

San Mosè

Sacerdote e martire

 
MorteRoma, 251
Venerato daChiesa cattolica
Ricorrenza25 novembre

Agiografia

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L'esistenza e la storicità del sacerdote Mosè di Roma è documentata da fonti coeve, ossia le lettere di Cipriano di Cartagine, il Catalogo Liberiano, la vita di papa Cornelio nel Liber pontificalis.[1][2]

Mosè faceva parte del clero romano e, assieme ad altri sacerdoti, tra cui Novaziano, prese le redini della Chiesa di Roma dopo il martirio di papa Fabiano († 20 gennaio 250). In questo frangente, Mosè è menzionato in diverse occasioni nelle lettere Cipriano, vescovo di Cartagine,[1][3] e quando anche Mosè fu incarcerato, Cipriano ne loda la pazienza e il coraggio nel momento difficile della persecuzione.[4] Da queste lettere si evince che, anche durante la prigionia, Mosè si interessò dei lapsi, e sostenne il legittimo papa Cornelio quando Novaziano cercò di usurpare la sede di Roma.[4] Nell'epistolario di Cipriano è conservata anche una lettera che Mosè scrisse al vescovo di Cartagine, assieme ad altri presbiteri e diaconi della chiesa di Roma.[5][2]

Il martirio di Mosè è attestato dalla lettera nº 55 dell'epistolario di Cipriano[2][6] e da una lettera che papa Cornelio (marzo 251 - giugno 253) scrisse a Fabio di Antiochia.[2] Secondo il Catalogo Liberiano, Mosè rimase in carcere per 11 mesi e 11 giorni prima della sua morte[4]. Queste indicazioni cronologiche porterebbero a datare il suo martirio ai primi mesi del 251.[4]

Non esiste alcuna attestazione di un culto a Mosè in epoca antica e medievale. Solo con Cesare Baronio, nel XVI secolo, il suo nome è inserito nel Martirologio Romano; si deve al Baronio la data della sua commemorazione al 25 novembre, ritenuta tuttavia una scelta arbitraria e senza fondamento.[4][2]

Il Martirologio Romano commemora san Mosè con queste parole:

«A Roma, commemorazione di san Mosè, sacerdote e martire, che, dopo l'uccisione del papa san Fabiano sotto l'imperatore Decio, insieme al collegio presbiterale si prese cura dei fedeli; giudicò necessario riconciliare quanti durante la persecuzione avevano rinnegato la fede ed erano in quel momento malati e in punto di morte e, tenuto a lungo in carcere, spesso li consolò riferendo loro le lettere di san Cipriano di Cartagine; coronò, infine, la sua vita con un insigne e mirabile martirio.»
  1. ^ a b Bibliotheca Sanctorum, IX, col. 649
  2. ^ a b c d e Delehaye, Étude sur le légendier romain, p. 49
  3. ^ Le lettere nn. 27, 28, 31, 32, 37, 55 in: (LA) S. Thasci Caecili Cypriani opera omnia, Recensuit et commentario critico instruxit Guilelmus Hartel, Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum (CSEL), volumen III, pars II (Epistulae), Vindobonae, 1871, pp. 540 e seguenti.
  4. ^ a b c d e Bibliotheca Sanctorum, IX, col. 650
  5. ^ La lettera nº 31, CSEL, pp. 557 e seguenti.
  6. ^ CSEL, pp. 324 e seguenti.

Bibliografia

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