Parcere subiectis et debellare superbos
Parcere subiectis et debellare superbos è una locuzione latina che tradotta letteralmente significa risparmiare i sottomessi e abbattere i superbi (Virgilio, Eneide, VI, 853).


Contesto
modificaLa frase è posta al termine del lungo discorso iniziato al verso 756 con cui l'anima di Anchise indica al figlio Enea il destino delle anime che si assiepano sulle rive del fiume Lete.
Secondo una poetica rielaborazione della teoria della metempsicosi di ascendenza pitagorica, Virgilio immagina che negli inferi le anime nei campi elisi possano trasmigrare nelle stirpi di futuri eroi destinati a fondare città e a ingrandire il potere di Roma.
Tale espediente poetico permette a Virgilio di dipanare sinteticamente la storia di Roma alla luce dei suoi personaggi più rappresentativi: fondatori di città, re e condottieri.
La perorazione finale apostrofa direttamente il popolo romano, contrapponendolo agli altri:
credo equidem, vivos ducent de marmore voltus,
orabunt causas melius, caelique meatus
describent radio, et surgentia sidera dicent:
Tu regere imperio populos, Romane, memento:
hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem,
parcere subiectis et debellare superbos.»
«Modelleranno gli altri con grazia maggiore il bronzo spirante di vita
(lo credo di certo), e vivi ricaveranno dal marmo i volti;
peroreranno meglio le cause, e i movimenti celesti
disegneranno con la canna, e il sorgere degli astri prediranno:
tu, o Romano, ricorda di governare i popoli:
queste saranno le tue arti, e d’imporre la civiltà con la pace,
risparmiare gli arresi e sconfiggere i ribelli.»
Contenuto
modificaLa locuzione descrive con estrema sintesi il culmine della parabola che in sette secoli aveva trasformato il piccolo nucleo di capanne sui sette colli in capitale di un impero mediterraneo e i motivi della superiorità romana sugli altri popoli.
Vi si scorge contemporaneamente la sintesi dell'ideologia del principato augusteo, instaurato pochi anni prima.
Fortuna
modificaLa locuzione, seguendo la fortuna del testo virgiliano e l'impiego del poema come testo scolastico, divenne molto nota e fu spesso citata come un precetto alla base di tutte le dominazioni antiche e moderne. Essa è a volte citata solo in una delle sue parti.
Una citazione antica si trova già nel Carmen de Iona propheta attribuito a Tertulliano:
Prefari exitium dominus; sed conscius ille
Parcere subiectis et debita cedere poenae
Supplicibus, facilemque boni, cessabat obire,
Ne vanum caneret, cessura pace minarum.»
«E infatti il Signore aveva inviato Giona per i le colpe degli abitanti di Ninive
a profetizzare la loro fine; ma quello, cosciente
che il Signore risparmiava i contriti e rimetteva la pena dei peccati
ai supplici, propenso al bene, esitava a partire
per non cantare invano se l'esito delle sue minacce fosse risultato pacifico.»
Alessandro Manzoni nei Promessi sposi mostra Don Abbondio implorare il Cardinal Federigo Borromeo che gli aveva chiesto di scortare l'Innominato a liberare Lucia:
Durante il periodo fascista, nel contesto della trasformazione urbanistica di Bolzano, la locuzione fu apposta su uno degli edifici costruiti nella seconda metà degli anni Trenta, nella nuova piazza della Vittoria, retrostante il Monumento alla Vittoria di Marcello Piacentini. L'apposizione stava a evocare, all'interno della "Grande Bolzano" agognata dal regime, «la grandezza di Roma e il suo mandato imperiale a governare, che si concretizzavano nuovamente solo in epoca fascista, in una nuova era segnata infatti da un nuovo calendario»[1].
Note
modifica- ^ Elvira Migliario, Hannes Obermair, Roma sulle sponde del Talvera, in Elvira Migliario, Gianni Santucci (a cura di), «Noi figli di Roma». Fascismo e mito della romanità, Milano, Mondadori, 2022, pp. 135–159, qui p. 144, ISBN 978-88-00-86287-5.
Voci correlate
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