Con il termine Pasqua Rossa[1] s'intende una sanguinosa rivolta armata avvenuta il 21 aprile 1946 all'interno del carcere di San Vittore a Milano. La rivolta, che durò quattro giorni e cessò solo con l'intervento delle forze speciali dell'esercito,[2] vide tra i principali responsabili Ezio Barbieri e Giuseppe Caradonna e portò alla distruzione di molte aree del carcere, ad oltre un centinaio di feriti nonché alla morte di quattro detenuti e del giovane agente di custodia Salvatore Rap che, nonostante fosse fuori servizio, si oppose ai rivoltosi rallentandone l'evasione.[3][4] Si tratta della più grave rivolta mai accaduta in un penitenziario italiano[5][1] e tra gli eventi più drammatici dell'immediato dopoguerra.[6] Da questa vicenda lo scrittore Alberto Bevilacqua trasse il romanzo La Pasqua rossa.[7]

Contesto

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L'insurrezione avvenne durante un periodo molto critico per il Bel Paese (un'Italia ancora scossa dalla seconda guerra mondiale) ed il carcere di San Vittore: quest'ultimo era in stato di sovrafollamento (oltre tremila detenuti in una struttura pensata per ospitarne 830) ed ospitava criminali di ogni tipo, molti privi di registrazione o con registrazione sommaria. I detenuti erano criminali politici (sia ex fascisti che ex partigiani) mescolati a banditi che si erano particolarmente distinti, durante la guerra, tra la malavita milanese. Il carcere soffriva di un'elevata corruzione tra le guardie penitenziarie ed un clima insostenibile causato da un'incompatibilità tra detenuti di diversa ideologia politica e sociale, accentuata dal sovraffollamento.[3]

La rivolta

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La sommossa scoppiò la domenica di Pasqua del 21 aprile 1946 quando circa tremila detenuti armati di mitra, pistole, di un panzerfaust e di circa 30Kg di tritolo, riuscirono a sopraffare le poche guardie rimaste per Pasqua. A guidare il tentativo di evasione vennero identificati nomi noti della criminalità milanese come Ezio Barbieri[8][9] e Athos Stelpi, esponenti della ligera, e Giuseppe Caradonna, ex gerarca fascista. I detenuti riuscirono quasi ad evadere in massa dal carcere, grazie al gran numero di armi e alla sufficiente quantità di esplosivi, alla resa delle guardie e alle condizioni di sicurezza insufficienti del carcere, logorato da anni di mancata manutenzione dovuta alla guerra. A fermare l'evasione vi fu un giovane agente di custodia d'origini siciliane, che in quel momento non era in servizio: Salvatore Rap che, armato di mitragliatrice pesante, riuscì a rallentare l'avanzata dei prigionieri permettendo alle forze dell'ordine e all'esercito di circondare interamente l'edificio e sottoporlo ad assedio, che durò per quattro giorni. Oltre un centinaio di detenuti vennero feriti, quattro di loro morirono e Salvatore Rap venne dichiarato morto 3 giorni dopo la fine degli scontri a causa di un colpo al petto.[1][3][2][10]

L'intervento dei militari

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Forze dell'ordine del Regno d'Italia durante l'assedio del 21 Aprile 1946 al carcere di San Vittore in seguito alla rivolta. A destra un AB41 dei Carabinieri.

Per porre fine alla rivolta intervennero sul luogo oltre un migliaio di forze dell'ordine tra polizia, carabinieri dotati di autoblindo AB41[11][10] ed i reparti Nembo e Folgore delle forze speciali dell'esercito che si avvalsero anche dell'uso di carri leggeri[2][10]

Conseguenze

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La rivolta di San Vittore non fu un caso isolato dell'immediato dopoguerra in Italia ma fu sicuramente tra i più mediatici: l'evento alimentò le già presenti polemiche sulla sicurezza delle carceri che sia una parte della classe politica, sia una parte dell'opinione pubblica, ne attribuiva la responsabilità alla presenza di neofascisti ed ex gerarchi fascisti all'interno delle stesse. Nonostante il clima, il governo di allora riconobbe che non erano eventi di natura politica ma di scarsa regolamentazione degli ambienti carcerari. La rivolta nel carcere milanese avvenne, infatti, mentre era già in corso da parte del ministro Togliatti una disciplinare che regolamentava gli stabilimenti penitenziari che trovò d'accordo tutta la classe politica di quegli anni e porto nel breve tempo finalmente a più ordine e disciplina all'interno delle prigioni italiane. I detenuti di San Vittore più problematici vennero divisi e trasferiti in altre strutture ed il carcere venne restaurato e regolamentato.[3] Al giovane agente di custodia morto durante gli scontri, Salvatore Rap, venne riconosciuta la Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Memoria.[12]