Libri ad Marcum filium
I Libri ad Marcum Filium (Libri per il figlio Marco) o Praecepta ad Marcum filium (Precetti per il figlio Marco) sono un'opera perduta dell'autore latino Marco Porcio Catone.
Libri ad Marcum filium (Scritti per il figlio Marco) | |
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Titolo originale | Libri ad Marcum filium |
Autore | Marco Porcio Catone |
1ª ed. originale | II secolo a.C. |
Genere | saggio |
Lingua originale | latino |
Contenuto
modificaPortatori di un sapere pratico e funzionale, affrontavano numerosi argomenti, tra cui la retorica, il diritto, la medicina, l'agricoltura e l'arte militare:[1] formavano dunque una raccolta enciclopedica delle informazioni necessarie all'educazione del buon civis Romanus, fondata sui valori tradizionali del mos maiorum, contrapposti alle tendenze ellenizzanti la cui diffusione era favorita a Roma dall'opera del circolo degli Scipioni: si andava infatti diffondendo, tra le famiglie della nobilitas, il costume di affidare l'istruzione dei figli a pedagoghi di origine e cultura greca, e di inviare più tardi i giovani a perfezionarsi presso le scuole di retorica in Grecia.[2]
Di tali trattati, di tono sentenzioso e precettistico dedicati al figlio omonimo di Catone, nato probabilmente nel 192 a.C.,[2] oltre al De agri cultura, dedicato alla coltivazione dei campi e all'attività agreste,[1] restano solo pochi frammenti. Sia da questi ultimi sia dal De agri cultura traspare il carattere probabilmente miscellaneo e disorganico dell'opera.[2]
Esemplare dell'argomento e della tendenza dell'opera è il frammento 1 Jordan:
«A suo tempo, o Marco, ti dirò di codesti Greci quello che sono venuto a sapere ad Atene, e come sia bene dare semplicemente un'occhiata alla loro letteratura, non studiarla a fondo. Ti dimostrerò che sono una razza di gente perversa e indisciplinata. E questo fa conto che te l'abbia detto un profeta: se mai codesto popolo, quando che sia, ci darà la sua cultura, corromperà ogni cosa; e tanto più se manderà qui da noi i suoi medici. Hanno fatto un giuramento fra loro, di uccidere tutti i barbari[3] con la medicina: ma lo fanno a pagamento, perché non si diffidi di loro e possano più facilmente mandarci in rovina. Anche noi chiamano barbari, anzi più degli altri ci disprezzano infamandoci con lo sconcio appellativo di Opici.[4] Guardati dai medici, te lo impongo.»
Note
modificaBibliografia
modifica- Giancarlo Pontiggia e M.C. Grandi, Letteratura latina. Storia e testi, Milano, Principato, 1996.