Processo dei 53
Il processo dei 53 avvenne nel novembre 1938 in Iran, voluto dal governo di Reza Shah Pahlavi contro personalità di spicco del panorama politico, soprattutto di orientamento comunista e marxista. Il processo, che si risolse con la condanna di tutti gli imputati, aveva come scopo stroncare l'opposizione interna al governo dello Shah; la maggior parte dei condannati venne comunque liberata nel 1941 dopo l'invasione anglo-sovietica dell'Iran.[1]

Gli arresti
modificaNegli anni 1930 erano sorti numerosi circoli comunisti in Iran, che stavano cominciando ad esercitare grande influenza sul mondo socioculturale persiano, e ciò causò seri timori nel governo monarchico di Reza Shah Pahlavi, che quindi cercò di contrastarne la diffusione in ogni modo. All'inizio del 1937 al confine con l'Unione Sovietica fu segnalata la presenza di clandestini; un gruppo di questi scampò alla cattura, lasciando tuttavia in mano alle guardie di frontiera alcuni documenti compromettenti che documentavano i contatti tra i sovietici e alcune personalità di spicco del marxismo iraniano.[1]
Nei mesi successivi, l'Iran vide un'ondata di arresti di numerose personalità di spicco dell'ambiente comunista persiano, soprattutto professori, studenti e funzionari statali, per un totale di 53 reclusioni eccellenti alla fine dell'anno.[1][2][3]
Il processo
modificaIl procedimento contro gli arrestati, in realtà una farsa, fu allestito nel novembre 1938, e gli imputati condannati a varie pene detentive con l'accusa di diffondere il comunismo.[1][3] Di seguito la lista dei condannati in ordine di comparsa davanti ai giudici:
- Taqi Arani
- Abdul-Samad Kambakhsh
- Mohammad Bahrami
- Mohammad Shureshyan
- Ali Sadeqpour
- Mohammad Boqrati
- Ziya Alamutti
- Mohammad Pazhuh
- Mohammad Farjami
- Abbas Azeri
- Nasratallah Ezazi
- Anvar Khamei
- Nosrat-ollah Jahanshahlou
- Emad Alamutti
- Akbar Ashfar
- Taqi Makinezhad
- Mojtaba Sajjadi
- Bozorg Alavi
- Mehdi Rasai
- Iraj Eskandari
- Morteza Yazdi
- Reza Radmanesh
- Khalil Maleki
- Morteza Sajjadi
- Hossein Sajjadi
- Akbar Shandermani
- Mohammad Qodreh
- Taqi Shahin
- Morteza Razavi
- Seyfollah Sayyah
- Alinqali Hokmi
- Ezatollah Etiqechi
- Vali Khajavi
- Rahim Alamutti
- Shayban Zamani
- Abdul-Qassem Ashtari
- Hossein Tarbiyat
- Fazollah Garkani
- Yousef Soqfi
- Jalal Naini
- Rajbali Nasimi
- Bahman Shomali
- Mehdi Laleh
- Ehsan Tabari
- Abbas Naraqi
- Mehdi Daneshvar
- Hassan Habibi
- Nuraldin Alamutti
- Reza Ibrahimzadeh
- Khalel Enqelab
- Fereydun Manou
- Ana Turkoman
- Razi Hakim-Allahi
Dopo il processo
modificaI 53 condannati trascorsero i tre anni successivi nelle prigioni di Teheran, e alcuni, come l'ideologo Taqi Arani, morirono durante la prigionia, forse assassinati dalla stessa polizia segreta iraniana.[3] I superstiti furono liberati dopo l'invasione anglo-sovietica dell'Iran e il successivo crollo del regime dello Shah nel 1941, e molti di loro continuarono l'attività politica fondando il Partito Iraniano del Tudeh, principale esponente della fazione comunista persiana nel secondo dopoguerra.[1] Molti dei 53, tra cui lo scrittore Bozorg Alavi, ricordarono quegli anni nelle proprie memorie, e particolare successo riscosse l'opera di Alavi Panjāh va seh nafar ("I 53").[2]
Dove il processo dei 53 aveva fallito, riuscì invece dopo la rivoluzione iraniana del 1979 l'avvento del governo repressivo degli Ayatollah: molti dei 53 infatti, che inizialmente avevano appoggiato la rivoluzione, furono epurati dalla teocrazia islamica nel frattempo instauratasi, venendo nuovamente incarcerati oppure giustiziati.[1] Chi scampò alla repressione islamista, come ad esempio Alavi, andò in esilio perpetuo.[2]
Note
modifica- ^ a b c d e f (EN) Ervand Abrahamian, Tortured Confessions, Berkeley, Università della California, 1999, ISBN 9780520922907.
- ^ a b c (EN) Ḥasan Mirʿābedini, Alavi, Bozorg, in Encyclopædia Iranica, 2009.
- ^ a b c (EN) Ervand Abrahamian e Bozorg Alavi, Taqi Arani, in Encyclopædia Iranica, II, 1986, pp. 263-265.