Basilica di San Marco

edificio religioso di Venezia
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La Basilica Cattedrale Metropolitana Patriarcale di San Marco Evangelista[1], più comunemente chiamata Basilica di San Marco, a Venezia, è la cattedrale della città e sede del patriarcato. È dedicata a San Marco evangelista, santo patrono della città, e ne custodisce le reliquie.

Basilica Cattedrale Metropolitana Patriarcale di San Marco Evangelista
Facciata della basilica rivolta verso la piazza
StatoItalia (bandiera) Italia
RegioneVeneto
LocalitàVenezia
Coordinate45°26′04.38″N 12°20′22.2″E
Religionecattolica di rito romano
Titolaresan Marco Evangelista
Patriarcato Venezia
Consacrazione1094 (basilica attuale)
ArchitettoDomenico I Contarini
Stile architettonicoromanico-bizantino e gotico
Inizio costruzione1063 (basilica attuale)
Completamento1617
Sito webwww.basilicasanmarco.it/

La chiesa, unitamente al campanile, si trova all'estremità orientale di Piazza San Marco, l'antico centro politico e religioso della Repubblica di Venezia, ed è annessa al Palazzo Ducale. Assieme ad essi, costituisce il più conosciuto simbolo della città e del Veneto nel mondo. È, inoltre, uno dei simboli dell'arte veneta e della cristianità nonché monumento nazionale italiano. Fino alla caduta della Repubblica di Venezia è stata la chiesa palatina del Palazzo Ducale, retta a prelatura territoriale dal primicerio nominato dal doge.

L'attuale edificio è la terza chiesa costruita sul sito, probabilmente iniziato nel 1063 per esprimere la crescente coscienza civica e l'orgoglio di Venezia. Come le due chiese precedenti, il modello seguito fu la Chiesa dei Santi Apostoli del VI secolo a Costantinopoli, sebbene il progetto venne adattato alle limitazioni del sito e alle esigenze specifiche delle cerimonie ufficiali veneziane. Nella sua architettura, sono evidenti influenze medio-bizantine, romaniche e islamiche, mentre elementi gotici furono incorporati successivamente. Per esprimere la ricchezza e la potenza della repubblica, le originarie facciate in mattoni e le pareti interne furono arricchite nel tempo, ma in particolare nel XIII secolo, con pietre preziose e marmi rari. Molte delle colonne, dei rilievi e delle sculture furono frutto di bottini sottratti a chiese, palazzi e monumenti pubblici di Costantinopoli in seguito alla partecipazione veneziana alla Quarta crociata. Tra i manufatti trafugati e portati a Venezia vi sono i quattro antichi cavalli di bronzo, collocati in posizione prominente sopra l'ingresso.

L'interno delle cupole, delle volte e delle pareti superiori fu progressivamente ricoperto da mosaico a fondo oro, raffigurante santi, profeti e scene bibliche. Molti di questi mosaici furono successivamente ritoccati o rifatti a seconda del mutare del gusto artistico o per sostituire quelli danneggiati, al punto che essi sono oggi testimonianza di otto secoli di stili artistici. Alcuni derivano da rappresentazioni tradizionali bizantine e sono capolavori dell'arte medievale; altri invece si basano su disegni preparatori di importanti artisti del Rinascimento veneziano e fiorentino, tra cui Paolo Veronese, Tintoretto, Tiziano, Paolo Uccello e Andrea del Castagno.

Ha assunto il titolo cattedrale a partire dal 1807, quando, per decreto napoleonico, fu qui trasferito dall'antica cattedrale di San Pietro di Castello[2]; trasferimento riconosciuto solo nel 1821 con la bolla papale[3].

Chiesa dei Participazio (829 circa–976)

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L'ingresso alla Basilica di San Marco, ritenuto risalente alla chiesa dei Participazio

Diverse cronache medievali narrano la translatio, ovvero il trafugamento del corpo di San Marco Evagelista da Alessandria d'Egitto da parte di due mercanti veneziani e il suo trasferimento a Venezia avvenuto introno all'828 o 829.[4] Il Chronicon Venetum et Gradense racconta che inizialmente le reliquie di San Marco furono collocate in una torre d'angolo del castrum, la residenza fortificata del doge e sede del governo situata dove oggi sorge il Palazzo Ducale.[5] Il doge Giustiniano Participazio (in carica dall'827 all'829) dispose nel suo testamento che la moglie e il fratello minore nonché successore Giovanni (in carica dall'829 all'832) costruissero una chiesa dedicata a San Marco nella quale le reliquie sarebbero state definitivamente collocate. Giustiniano specificò inoltre che la nuova chiesa dovesse essere eretta tra il castrum e la chiesa di San Teodoro. I lavori potrebbero essere iniziati già durante la vita di Giustiniano e fu completata entro l'anno 836, quando le reliquie furono trasferite.[6]

Sebbene per lungo tempo si sia ritenuto che la chiesa dei Participazio fosse una struttura rettangolare con un'unica abside, sondaggi e scavi hanno dimostrato fin dall'inizio san Marzo sia stata una chiesa a croce greca con almeno una cupola centrale, probabilmente in legno.[7][8] Non è stato stabilito con certezza se ciascuno dei quattro bracci della croce avesse una cupola analoga oppure fossero coperti con tetti in legno a capanna.[9]

Il modello di riferimento fu la Chiesa dei Santi Apostoli (demolita nel 1461) a Bisanzio.[10] Questa netta rottura con la tradizione architettonica locale, che privilegiava impianti rettangolari, in favore di un modello bizantino a pianta centrale rifletteva sia la crescente presenza commerciale dei mercanti veneziani nella capitale imperiale sia i legami politici tra Venezia e Bisanzio. Inoltre, sottolineava che San Marco non fosse stata concepita come sede ecclesiastica, ma come santuario.[11]

Resti della chiesa dei Participazio sono probabilmente ancora esistenti e si ritiene che comprendano le fondazioni e le parti inferiori di alcuni dei muri principali, incluso il muro occidentale tra la navata e il nartece. Anche il grande portale d'ingresso potrebbe risalire a tale chiesa primitiva, così come la porzione occidentale della cripta, sotto la cupola centrale, che sembra aver costituito la base per un'area rialzata su cui si trovava l'altare originario.[8][12][note 1]

Chiesa degli Orseolo (976 – 1063 circa)

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La cripta

Il primo edificio fu gravemente danneggiato nel 976 durante la rivolta popolare contro il doge Pietro IV Candiano (in carica dal 959 al 976), quando l'incendio appiccato dalla folla per costringere il doge a lasciare il castrum si estese. Sebbene la struttura non fu completamente distrutta, fu compromessa al punto che il Concio, l'assemblea generale veneziana, dovette riunirsi nella cattedrale di San Pietro di Castello per eleggere il successore di Candiano, Pietro I Orseolo (in carica dal 976 al 978).[13] Nel giro di due anni, la chiesa fu riparata a spese della sola famiglia Orseolo, segno che in realtà i danni furono relativamente contenuti. Probabilmente le strutture lignee andarono distrutte, ma i muri e i sostegni principali rimasero intatti.[14]

Non si conosce con certezza l'aspetto della chiesa degli Orseolo. Tuttavia, data la breve durata dei lavori, è probabile che si sia trattato solo di riparazioni senza particolari mutamenti.[10][15] Fu in questo periodo, tuttavia, che la tomba di San Marco, situata nell'abside principale, venne sormontata da volte in muratura, dando origine al santuario semi-chiuso che sarà poi inglobato nella cripta quando il pavimento del presbiterio verrà rialzato durante la costruzione della terza chiesa.[16]

Chiesa dei Contarini (1063 circa–presente)

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Costruzione

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Antonio Pellanda, ricostruzione della facciata occidentale della chiesa dei Contarini (1881)

L'orgoglio civico spinse molte città italiane, nella metà dell'XI secolo, a erigere o ricostruire le proprie cattedrali su scala monumentale.[17] Anche Venezia desiderava manifestare la propria crescente ricchezza e potenza commerciale e, probabilmente nel 1063, sotto il doge Domenico I Contarini (in carica dal 1043 al 1071), San Marco fu sostanzialmente ricostruita e ampliata a tal punto da apparire come un edificio completamente nuovo.[18]

Il transetto settentrionale fu allungato, probabilmente inglobando la navata laterale meridionale della chiesa di San Teodoro.[19] Allo stesso modo, anche il transetto meridionale fu esteso, forse integrando una torre d'angolo del castrum. L'intervento più significativo fu però la ricostruzione delle cupole lignee in laterizio. Ciò rese necessario il rafforzamento delle pareti e dei pilastri per sostenere le nuove volte a botte, le quali furono a loro volta rinforzate da logge lungo i bracci settentrionale, meridionale e occidentale della croce. Le volte del braccio orientale furono sostenute da archi singoli che fungevano anche da divisione tra il presbiterio e le cappelle corali nelle absidi laterali.[20][21]

Davanti alla facciata occidentale fu costruito un nartece. Per adattarsi all'altezza dell'ingresso principale già esistente, la volta del nuovo nartece dovette essere interrotta in corrispondenza del portale, creando così il vano superiore che fu successivamente aperto verso l'interno della chiesa. Anche la cripta fu ampliata verso est, e l'altare maggiore fu spostato dalla cupola centrale al presbiterio, che fu sopraelevato e sostenuto da una rete di colonne e volte collocate nella cripta sottostante.[22] Entro il 1071, i lavori erano abbastanza avanzati da permettere l'investitura del doge Domenico Selvo (in carica dal 1071 al 1084) nella chiesa ancora incompiuta.[18]

L'allestimento interno iniziò sotto Selvo, che raccolse marmi e pietre pregiate per l'ornamento della chiesa e finanziò personalmente la decorazione musiva, assumendo un maestro mosaicista da Costantinopoli.[23][24] La Pala d'Oro (prezioso paliotto d'altare), ordinata da Costantinopoli nel 1102, fu collocata sull'altare maggiore nel 1105.[25][26] Per la consacrazione sotto il doge Vitale Falier (in carica dal 1084 al 1095) sono riportate varie date, probabilmente riflesso di una serie di consacrazioni di diverse sezioni.[27] La consacrazione dell'8 ottobre 1094 è considerata la dedicazione ufficiale della chiesa.[28] In quella data, le reliquie di San Marco furono anche deposte nella nuova cripta.[29]

Abbellimento

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Il punto d'unione tra i bracci sud e ovest, con muratura originale e decorazione successiva
 
Vista dall'alto

All'origine, la chiesa dei Contarini era una struttura severa in mattoni. Le decorazioni interne si limitavano alle colonne delle arcate, ai balaustri e ai parapetti delle gallerie, e alle transenne degli altari. Le superfici murarie erano animate da archi sagomati alternati a colonne addossate in mattoni, nicchie e alcune cornici.[30] Fatta eccezione per l'abside e la facciata occidentale che dava su Piazza San Marco, l'esterno austero muro in mattoni era vivacizzato solo da archi concentrici rientranti in mattoni contrastanti attorno alle finestre.[31]

La facciata occidentale, paragonabile a quelle delle chiese medio-bizantine del X e XI secolo, era caratterizzata da una serie di archi tra pilastri sporgenti.[32] Le pareti erano forate da finestre incassate in grandi archi ciechi, mentre i pilastri intermedi erano ornati da nicchie e patere circolari in marmi e pietre rare, incorniciate da fregi ornamentali.[33] Altri elementi decorativi, tra cui fregi e mensole pensili, riflettevano tendenze dell'architettura romanica, indice del gusto e della perizia degli artigiani italiani.[34]

Con poche eccezioni, in particolare il punto d'unione tra i bracci sud e ovest, sia l'interno che l'esterno della chiesa furono successivamente rivestiti in marmo e pietre preziose, arricchiti da colonne, rilievi e sculture.[35] Molti di questi elementi ornamentali erano reimpieghi provenienti da edifici antichi o bizantini.[36] In particolare, durante il periodo dell'Impero latino d'Oriente (1204–1261), costituitosi a seguito della Quarta crociata, i veneziani saccheggiarono le chiese, i palazzi e i monumenti pubblici di Costantinopoli, privandoli di colonne e pietre policrome. Giunti poi a Venezia, alcuni di questi elementi furono tagliati per essere utilizzati come rivestimenti o patere; altri furono accoppiati e distribuiti sulle facciate o impiegati come altari.[37] I saccheggi continuarono anche nei secoli successivi, in particolare durante le Guerre veneziano-genovesi.[38][39] Gli scultori veneziani integrarono poi i vari reimpighi con opere locali, copiando capitelli e fregi bizantini con tale maestria che in alcuni casi le imitazioni risultano difficilmente distinguibili dagli originali.[40]

Modifiche successive

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Il braccio laterale dell'ala occidentale, con l'arcata che rafforza la volta e i camminamenti superiori creati con la rimozione delle gallerie

Oltre alle sedici finestre presenti in ciascuna delle cinque cupole, la chiesa era originariamente illuminata da tre o sette finestre ricavate nell'abside e probabilmente da otto presenti in ciascuna delle lunette.[41] Tuttavia, molte di queste finestre furono successivamente murate per creare una maggiore superficie per le decorazioni musive, con il risultato che l'interno si trovò con una insufficiente luce solare, in particolare nelle zone poste sotto le gallerie, che rimasero in relativa oscurità. Le gallerie furono quindi ridotte a stretti camminamenti, ad eccezione delle estremità dei bracci nord, sud e ovest, dove sono ancora presenti. Questi camminamenti conservano i pannelli in rilievo originari delle gallerie sul lato rivolto verso la sezione centrale della chiesa. Sul lato opposto furono invece erette nuove balaustre.[42]

Il nartece della chiesa dei Contarini era originariamente limitato al lato occidentale. Come in altre chiese bizantine, si estendeva lateralmente oltre la facciata su entrambi i lati e terminava in nicchie, delle quali resta soltanto quella settentrionale. L'estremità meridionale fu separata da un muro all'inizio del XII secolo, creando così un ingresso che si apriva sulla facciata meridionale verso il Palazzo Ducale e la riva.[43] Nei primi decenni del XIII secolo, il nartece fu esteso lungo i lati nord e sud fino a circondare completamente l'ala occidentale.[44]

 
Il dipinto Processione in piazza San Marco di Gentile Bellini rivela l'aspetto della basilica a fine XV secolo

Sempre nella prima metà del XIII secolo, le originarie cupole in muratura di modesta altezza, tipiche delle chiese bizantine, furono sopraelevate da calotte esterne più alte che sorreggevano lanterne bulbate con croci.[45] Utilizzando tecniche di costruzione bizantine e fatimide, queste calotte vennero realizzate tramite strutture in legno rivestite in piombo in grado di offrire una maggiore protezione contro gli agenti atmosferici alle vere cupole sottostanti e conferivano alla chiesa una maggiore visibilità scenografica.[46][47][48] Vari modelli del Vicino Oriente sono stati proposti come fonte di ispirazione e tecniche costruttive per l'innalzamento delle cupole, tra cui le moschee di al-Aqṣā e Qubbat aṣ-Ṣakhra a Gerusalemme e la struttura conica eretta sopra la cupola della basilica del Santo Sepolcro all'inizio del XIII secolo.[49]

Architettura

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Esterno

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Le tre facciate visibili sono il risultato di una lunga e complessa evoluzione. In particolare, nel corso del XIII secolo, l'aspetto esterno della chiesa fu radicalmente trasformato: venne aggiunto il rivestimento marmoreo decorato e furono applicate una moltitudine di colonne ed elementi scultorei per arricchire la chiesa. È probabile che anche elementi strutturali siano stati aggiunti o modificati nelle facciate.[50]

Facciata occidentale

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Facciata occidentale

L'esterno della basilica è suddiviso in due registri. Nella facciata occidentale, il registro inferiore è dominato da cinque profondi portali incassati che si alternano a grandi pilastri.[32] Il registro inferiore fu in seguito completamente ricoperto da due ordini di colonne preziose, in gran parte bottino della Quarta crociata.[35]

In linea con le tradizioni bizantine, gli elementi scultorei sono per lo più decorativi: solo negli archi che incorniciano i portali la scultura ha una funzione strutturale, articolando le linee architettoniche.[51] Oltre ai rilievi nei pennacchi, le sculture del registro inferiore, relativamente limitate, comprendono strette fasce in stile romanico, statue, ricche cornici intagliate con motivi vegetali e figure di ispirazione bizantina e islamica. L'influenza proveniente da oriente è più evidente nei timpani presenti sopra i portali più settentrionali e meridionali.[52]

 
Traslazione del corpo di San Marco, XIII secolo, portale di S. Alipio.

L'apparato iconografico si esprime principalmente nei mosaici delle lunette. Nel registro inferiore, quelli presenti nei portali laterali narrano la translatio delle reliquie di san Marco da Alessandria a Venezia da parte di due mercanti veneziani, avvenuta nell'829. L'unico rimasto degli originali duecenteschi è quello sopra il primo portale a sinistra, il portale di Sant'Alipio, che rappresenta l'ingresso del corpo del santo nella basilica com'era allora. Gli altri, danneggiati, furono rifatti tra il XVII e il XIX secolo mantenendo i soggetti originali, da sinistra a destra: l'arrivo delle sacre spoglie in città, la venerazione da parte del doge e la deposizione nella chiesa.[53][54][55] L'aspetto generale delle composizioni perdute è documentato nella Processione in piazza San Marco di Gentile Bellini (1496), che testimonia anche le precedenti dorature della facciata.[53] La lunetta centrale è decorata secondo l'usanza tipicamente occidentale in epoca romanica, con un Giudizio universale, incorniciato da tre archi scolpiti di diverse dimensioni, che riportano una serie di Profeti, di Virtù sacre e civili, di Allegorie dei mesi, dei Mestieri e di altre scene simboliche con animali e putti (1215-1245 circa). Questi rilievi mescolano suggestioni orientali e del romanico lombardo (quali le opere di Wiligelmo), ma vennero realizzati da maestranze locali.

 
Mosaici dell'ordine superiore

Il registro superiore è arricchito da una complessa coronatura tardo gotica, realizzata tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo. Le originarie lunette, trasformate in archi a sesto acuto inflesso, sono profilate da motivi vegetali e sormontate da statue di quattro santi militari sopra le lunette laterali e di san Marco affiancato da angeli sopra quella centrale, il cui vertice contiene il leone alato di san Marco con in mano un libro recante il saluto angelico della praedestinatio: "Pax tibi Marce Evangelista meus" ("Pace a te Marco, mio evangelista").[note 2] Le edicole intermedie con guglie ospitano le figure dei Quattro Evangelisti e alle estremità, una di fronte all'altra, la Vergine e l'arcangelo Gabriele in riferimento alla leggendaria fondazione di Venezia il 25 marzo 421, giorno dell'Annunciazione.[56]

 
Le copie della quadriga

La sequenza di mosaici nelle lunette laterali del registro superiore presenta, da sinistra a destra, scene della vittoria di Cristo sulla morte: Deposizione dalla croce, Discesa agli inferi, Resurrezione e Ascensione.[53] La lunetta centrale era originariamente cieca e potrebbe essere stata forata da piccole finestre; l'attuale grande finestra fu inserita dopo l'incendio del 1419 che distrusse la struttura precedente.[57] I rilievi di Cristo e dei Quattro Evangelisti, oggi inseriti nella facciata settentrionale, potrebbero anch'essi provenire dalla decorazione originale della lunetta centrale.[58]

I quattro cavalli in bronzo dorato e argentato, posti sopra il portale centrale, furono tra i primi bottini trafugati da Costantinopoli a seguito degli eventi della Quarta crociata.[59] Essi facevano parte di una quadriga che decorava l'ippodromo e rappresentano l'unico esempio sopravvissuto di un gruppo equestre dell'antichità classica che ornavano gli archi trionfali.[60]1[61] A metà del XIII secolo furono collocati in posizione prominente sulla facciata principale di San Marco come simboli del trionfo militare di Venezia sull'Impero bizantino e del suo nuovo status imperiale quale erede dell'Impero romano d'Oriente.[62] Dopo il lungo restauro cominciato nel 1977, gli originali sono conservati all'interno della basilica nel Museo di San Marco, sostituiti sulla balconata da copie.[63]

Facciata settentrionale

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La facciata settentrionale

Le edicole presenti sulla facciata settentrionale contengono statue dei quattro originari Dottori della Chiesa latini: Girolamo, Agostino d'Ippona, Ambrogio e Gregorio Magno. Figure allegoriche che rappresentano Prudenza, Temperanza, Fede e Carità sovrastano le lunette.[64]

Facciata meridionale

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Facciata meridionale

La coronatura gotica prosegue nel registro superiore della facciata meridionale, dove le lunette sono sormontate da figure allegoriche di Giustizia e Coraggio, mentre le edicole ospitano statue di Sant'Antonio abate e di San Paolo eremita.[65]

 
I Tetrarchi

La facciata meridionale è la più riccamente decorata con marmi rari, bottini e trofei, tra cui i cosiddetti pilastri di Acri, la statua dei quattro tetrarchi incassata nel muro esterno del Tesoro e la testa imperiale in porfido collocata all'angolo sud-occidentale del balcone, tradizionalmente ritenuta raffigurare Giustiniano II e popolarmente identificata con Francesco Bussone da Carmagnola.[66][67] La statua dei quattro tetrarchi è databile verso la fine del III secolo e venne trasferita a Venezia dopo il saccheggio di Costantinopoli del 1204. Scolpita a partire da un blocco di porfido rosso dell'altezza di circa 130 cm, raffigura i "tetrarchi", ovvero i due cesari e i due augusti (un cesare e un augusto per ognuna delle parti in cui l'impero romano venne suddiviso dall'imperatore Diocleziano con la sua riforma). Tra gli storici dell'arte è ancora in corso il dibattito in merito a quale delle due tetrarchie si riferisca la scultura.

I due alti pilastri quadrangolari detti "acritani", riccamente decorati, fiancheggiano la via d'accesso al Battistero e probabilmente furono collocati in questo luogo intorno alla metà del XIII sec. I pilastri sono ben visibili anche dalla riva, come monumenti trionfali delle vittorie della Repubblica di Venezia nelle guerre dell'oriente (portati dall'oriente come bottino di guerra)[68]. La loro dislocazione nel panorama della Piazzetta, che appare priva di una funzione precisa, deriva dall'effettiva sovrabbondanza di manufatti di pregio accumulati dai veneziani durante le diverse guerre che la videro coinvolta nel corso dei secoli, che riconoscendone il valore ma non avendo più spazi vuoti all'interno o sulla facciata della basilica decisero di posizionarli li dove oggi si possono ammirare. Il nome deriverebbe dalla leggenda, nota secoli dopo il loro arrivo a Venezia, che vorrebbe i due pilastri fossero stati portati a Venezia, insieme con la Pietra del Bando, dopo la caduta di Acri nel 1258. Ma da un nuovo studio sulle fonti dell'epoca contemporanea alla caduta di Acri, risulta che né i Pilastri né la Pietra del Bando sono mai menzionati. Riferimenti all'appartenenza dei Pilastri dopo la conquista di Acri, si trovano invece solo in opere storiche molto tarde, cioè del XVI e XVII secolo, cioè un'epoca ben successiva agli avvenimenti. Questo, fino a pochi anni fa, ha suscitato abbastanza dubbi e perplessità sull'origine della loro provenienza, poiché anche dallo studio dei due pilastri non si riuscì a trovare alcun elemento significativo che permettesse d'individuare un luogo di origine. Nel 1960 durante i grandi lavori per la costruzione di nuove arterie urbane ad Istanbul, nel quartiere di Sarachane, grandi blocchi di marmo che formavano i coronamenti di nicchie furono riportati alla luce, insieme a frammenti di un'iscrizione monumentale che correva lungo una volta intorno agli archi delle nicchie. Questo fece riconoscere in quell'iscrizione parti di un'epigramma dedicatorio alla chiesa di San Poliecto.[68] Da questi scavi fu ritrovato, durante la prima campagna archeologica, un grande capitello di pilastro, che in base alla forma, le dimensioni e gran parte della decorazione corrispondeva a quelli dei pilastri Acritani a Venezia. Finemente lavorati, essi presentano motivi sasanidi come palmette alate, pavoni, uva, eseguiti con chiarezza distributiva e precisione magistrale; rappresentano una delle prime evidenze dell'introduzione di decorazioni orientaleggianti nel panorama artistico occidentale.

Presso l'angolo verso la piazza è la pietra del bando, tronco di colonna in porfido proveniente dalla Siria, da cui il commandador della Repubblica leggeva le leggi e i bandi alla cittadinanza. La pietra fu spezzata dalle macerie del campanile nel 1902.[69]

 
Ex ingresso meridionale

Dopo che una sezione del nartece fu chiusa tra il 1100 e il 1150 per creare un atrio d'ingresso, la nicchia che segnava l'estremità meridionale del nartece fu rimossa e fu aperto l'arco corrispondente sulla facciata meridionale al fine di realizzare un secondo ingresso.[70] Come l'ingresso sulla facciata occidentale, anche questo varco fu decorato con preziose colonne in porfido.[71] Ai lati furono posti leoni accovacciati e grifoni. Presumibilmente, l'ingresso meridionale era fiancheggiato anche da due pilastri scolpiti, a lungo ritenuti provenienti dal quartiere genovese di San Giovanni d'Acri come bottino della Guerra di San Saba (prima delle guerre veneziano-genovesi), ma in realtà sottratti dalla Basilica di San Polieucto di Costantinopoli durante la quarta crociata.

Tra il 1503 e il 1515, l'atrio d'ingresso fu trasformato nella cappella funeraria del cardinale Giovanni Battista Zeno, vescovo di Vicenza, che aveva lasciato una grande parte dei suoi beni alla Repubblica di Venezia, chiedendo di essere sepolto in San Marco.[72] L'ingresso meridionale fu quindi chiuso, murato con un altare e una finestra soprastante, e benché i grifoni siano ancora presenti, gran parte della decorazione fu trasferita o distrutta.[73] I pilastri furono successivamente spostati leggermente verso est.[74]

Atrio d'ingresso (Cappella Zen)

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Nartece di San Marco

La decorazione dell'atrio d'ingresso meridionale della basilica fu rifatta nel XIII secolo in concomitanza con i lavori nel nartece adiacente; dell'aspetto originario dell'atrio non si sa nulla. L'attuale ciclo musivo nella volta a botte costituisce il preludio al ciclo musivo della facciata principale, che narra la traslazione delle reliquie di san Marco da Alessandria d'Egitto a Venezia. Gli episodi rappresentati includono la praedestinatio, cioè la profezia angelica secondo cui Marco sarebbe stato sepolto a Venezia, che sancisce il diritto divino della città a possedere le reliquie. L'autorità di san Marco è illustrata nelle scene che mostrano la scrittura del suo Vangelo, poi presentato a san Pietro. Particolare rilievo è dato anche alla partenza di san Marco per l'Egitto e ai miracoli compiuti lì, in continuità con la scena iniziale della facciata, che raffigura la rimozione del corpo da Alessandria.[75]

Sebbene in gran parte rifatta nel XIX secolo, l'abside sopra il portale che conduce al nartece mantiene probabilmente l'aspetto della decorazione della prima metà del XII secolo, con la Vergine affiancata da angeli, un tema comune nelle chiese bizantine di epoca media.[76]

Interno

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Interno

Sebbene San Marco fosse stata modellata sulla Chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli, le esigenze cerimoniali e le limitazioni imposte dai muri e dalle fondamenta preesistenti resero necessario adattarne il progetto.[77] Fu mantenuta la pianta a croce greca, con cinque cupole distribuite al centro e lungo gli assi della croce e raccordate da arconi. Tuttavia, i Santi Apostoli costituivano una vera chiesa a pianta centrale: la cupola in mezzo, più grande delle altre, era l'unica che possedeva finestre e l'altare vi si trovava sotto. Non vi era distinzione tra i quattro bracci della croce; non esisteva infatti un'abside e arcate su due livelli circondavano l'interno su tutti i lati. Al contrario, in San Marco l'asse longitudinale è leggermente più esteso rispetto agli altri al fine di ottenere uno spazio adatto alle processioni che avvenivano durante le cerimonie di stato. Sia la cupola centrale che quella occidentale sono più grandi, accentuando la progressione lungo la navata, che si restringe visivamente tramite una serie di archi via via più piccoli verso il presbiterio rialzato nel braccio orientale, dove si trova l'altare.[34] I bracci trasversali del transetto sono più corti e stretti. Alla vista, la loro altezza e larghezza sono ulteriormente ridotte dalla presenza di archi, sostenuti da colonne doppie all'interno delle volte a botte. Anche le cupole del transetto e del presbiterio sono più piccole.[78]

 
La cupola

Come nei Santi Apostoli, ogni cupola poggia su quattro volte a botte, quelle della cupola centrale sono a loro volta sorrette da pilastri quadripartiti (a quattro gambe). Tuttavia, le arcate su due livelli che rinforzavano le volte nei Santi Apostoli furono modificate. In San Marco non ci sono arcate superiori e, di conseguenza, le navate laterali sono meno isolate dalla parte centrale della chiesa. L'effetto è una maggiore unitarietà e apertura dello spazio, con paralleli in altre chiese bizantine dell'XI secolo, a indicare che il principale progettista fu influenzato sia dai modelli architettonici medio-bizantini che dalla chiesa dei Santi Apostoli del VI secolo.[32][79] Le navate, tre per braccio, sono divise da colonnati che confluiscono verso i massicci pilastri che sostengono le cupole; non sono realizzati come blocco unico di muratura ma articolati a loro volta come il modulo principale: quattro supporti ai vertici di un quadrato, settori di raccordo voltati e parte centrale con cupoletta.

Le pareti esterne e interne sono invece sottili, per alleggerire il peso dell'edificio sul delicato suolo veneziano, e sembrano quasi diaframmi tesi tra pilastro e pilastro, a reggere la balaustra dei matronei; non hanno una funzione di sostegno, solo di tamponamento. Pareti e pilastri sono completamente rivestiti, nel registro inferiore, con lastre di marmi policromi. Il pavimento ha un rivestimento marmoreo disegnato con moduli geometrici e figure di animali mediante le tecniche dell'opus sectile e dell'opus tessellatum; sebbene continuamente restaurato, conserva alcune parti originali del XII secolo. Il pavimento riflette motivi dell'iconografia classica, comuni nell'area alto-adriatica (ruote, quadrati, esagoni, ottagoni, cornici decorate a rombi, immagini di animali simbolici del cristianesimo medievale) con altri che risentono di influssi bizantini (le otto grandi lastre in marmo proconnesio del piedicroce e le altre dodici di marmo greco sotto la cupola dell'Ascensione).

Presbiterio e cappelle corali

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Ingresso al presbiterio con la Cupola dell'Emmanuele sopra l'altare maggiore

Il presbiterio è delimitato da un pontile-tramezzo gotico, datato 1394. Formato da otto colonne in marmo rosso broccatello è poi sormontato da un Crocifisso in bronzo e argento, affiancato da statue della Vergine e di San Marco, insieme ai Dodici Apostoli, opere di Pier Paolo e Jacobello dalle Masegne.[80] A sinistra della pontile si trova l'ambone per la lettura delle Sacre Scritture, mentre a destra la piattaforma da cui il Doge appena eletto veniva presentato al popolo.[81]

Sul retro, balaustre in marmo delimitano il coro, che dopo la riorganizzazione voluta dal doge Andrea Gritti (in carica dal 1523 al 1538) fu impiegato dagli stessi dogi, dai capi delle istituzioni civiche e dagli ambasciatori stranieri.[82][83] Prima del XVI secolo, il trono del doge si trovava vicino alla cappella corale di San Clemente I, il cui ingresso dava sul cortile del Palazzo Ducale. La cappella era riservata al suo uso privato.[84] Dalla finestra sopra, che comunica con i suoi appartamenti privati, il doge poteva anche assistere alle funzioni religiose.

Le tribune su entrambi i lati del presbiterio sono rivestite con rilievi in bronzo che raffigurano episodi della vita di San Marco e dei suoi miracoli.[85] Oltre le balaustre si trova il presbiterio vero e proprio, riservato al clero, con l'altare maggiore che dal 1835 custodisce le reliquie di San Marco, precedentemente collocate nella cripta.[85] Il ciborio sopra l'altare è sorretto da quattro colonne istoriate finemente scolpite con scene della vita di Cristo e della Vergine secondo modelli paleocristiani. L'età e la provenienza delle colonne sono oggetto di dibattito, con ipotesi che spaziano dalla Bisanzio del VI secolo alla Venezia del XIII secolo.[86] La pala d'altare, progettata originariamente come paliotto, è la cosiddetta "Pala d'Oro", un capolavoro di smalti bizantini su argento dorato parte del Tesoro di San Marco.[87][88]

Le due cappelle corali, situate ai lati del presbiterio, occupano lo spazio corrispondente alle navate laterali degli altri bracci della croce. Sono collegate al presbiterio attraverso arcate che fungono anche da rinforzo alle volte a botte che sorreggono la cupola sovrastante.[89] La cappella corale settentrionale è dedicata a San Pietro e, storicamente, fu il luogo riservato al clero.[90][91] La decorazione musiva delle volte sopra le cappelle narra principalmente la vita di San Marco, inclusi gli episodi della translatio. Esse costituiscono la più antica raffigurazione sopravvissuta del trasferimento delle reliquie di San Marco a Venezia.[92]

Altari laterali e cappelle

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Madonna Nicopeia

All'inizio del transetto sinistro c'è invece l'ambone doppio per la lettura delle Scritture; seguono, nella navata destra, la cappella di San Pietro e la cappella della Madonna Nicopeia, un'icona bizantina giunta a Venezia dopo la Quarta Crociata e oggetto di devozione. Sul lato nord ci sono gli ingressi alla cappella di Sant'Isidoro di Chio e alla cappella Mascoli.

Gli altari laterali nel transetto erano usati principalmente dai fedeli. Nel braccio nord, l'altare era originariamente dedicato a San Giovanni Evangelista: i mosaici nella cupola sopra mostrano la figura anziana di San Giovanni, circondata da cinque scene della sua vita a Efeso.[93] Il bassorilievo in pietra di San Giovanni, posto sulla parete est del braccio nel XIII secolo, fu successivamente trasferito alla facciata nord della chiesa, probabilmente quando l'altare fu ridedicato nel 1617 alla Madonna Nicopeia, un'icona bizantina venerata dalla fine dell'XI-inizi XII secolo.[66][94]

La data e le circostanze dell'arrivo dell'icona a Venezia non sono documentate.[95] Probabilmente è una delle molte immagini sacre portate da Costantinopoli al tempo dell'Impero Latino e depositata nel tesoro di San Marco senza particolare rilievo.[96] Cominciò ad acquisire importanza per i veneziani nel XIV secolo quando fu incorniciata con smalti bizantini saccheggiati dal Pantocratore di Costantinopoli. All'epoca, potrebbe essere stata portata per la prima volta in processione pubblica per invocare l'intercessione della Vergine per liberare la città dalla Peste nera.[97] L'icona acquisì un ruolo politico come palladio di Venezia nel XVI secolo quando fu identificata come l'immagine sacra portata in battaglia da vari imperatori bizantini.[96][98] Nel 1589, l'icona fu trasferita nella piccola Cappella di Sant'Isidoro dove fu resa accessibile al pubblico, e successivamente posta sull'altare laterale nel braccio nord.[99] Fu chiamata per la prima volta Madonna Nicopeia (Nikopoios, Portatrice di Vittoria) nel 1645.[96]

 
Altare del Sacramento

All'inizio del transetto destro, collegato al Palazzo Ducale, si trova l'ambone delle reliquie, da dove il neoeletto doge si mostrava ai veneziani. Nella navata sinistra si trovano la cappella di San Clemente e l'altare del Sacramento. Qui è il pilastro in cui fu ritrovato nel 1094 il corpo di San Marco, come raccontato negli interessanti mosaici della navata destra (da dove si entra negli ambienti del Tesoro di San Marco). Nei mosaici del ritrovamento del corpo del santo (XIII secolo), in due scene, viene mostrato l'interno della basilica e sono raffigurate la preghiera d'invocazione e quella di ringraziamento del doge, del patriarca con il suo clero, dei nobili e del popolo.

L'altare nel braccio sud era inizialmente dedicato a San Leonardo, il santo franco del VI secolo molto popolare all'epoca delle Crociate perché invocato per la liberazione dei prigionieri dai musulmani. È raffigurato nella cupola sopra insieme ad altri santi particolarmente venerati a Venezia: Biagio, Nicola e Clemente I.[100] L'altare fu ridedicato nel 1617 alla Vera Croce, e dal 1810 è l'Altare del Santissimo Sacramento.[101]

Le reliquie a lungo trascurate di Sant'Isidoro di Chio, portate a Venezia nel 1125 dal doge Domenico Michiel (in carica dal 1117 al 1130) al ritorno dalla spedizione militare nell'Egeo, furono riscoperte a metà XIV secolo e su iniziativa del doge Andrea Dandolo (in carica dal 1343 al 1354) tra il 1348 e il 1355 fu costruita la Cappella di Sant'Isidoro per ospitarle.[102] Fu anche istituita una festa annuale (16 aprile) nel calendario liturgico veneziano.[103]

La Cappella Mascoli, utilizzata dalla omonima confraternita dopo il 1618, fu decorata sotto il doge Francesco Foscari (in carica dal 1423 al 1457) e dedicata nel 1430.[104][105]

Contro i pilastri che sostengono la cupola centrale, ai lati del presbiterio, il doge Cristoforo Moro (in carica dal 1462 al 1471) fece erigere a sue spese due altari dedicati a San Paolo e San Giacomo. Il pilastro dietro l'altare di San Giacomo è il luogo in cui si dice siano state riscoperte le reliquie di San Marco nel 1094: l'evento miracoloso è rappresentato nei mosaici sul lato opposto del braccio.[106]

Battistero

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La data di costruzione del battistero non è nota, ma probabilmente risale al doge Giovanni Soranzo (in carica dal 1312 al 1328), la cui tomba si trova proprio qui, a indicare che probabilmente a lui si deve l'adattamento architettonico. Analogamente sepolto nel battistero è il doge Andrea Dandolo che realizzò il programma decorativo a proprie spese.[107] I mosaici sulle pareti rappresentano scene della vita di San Giovanni Battista e, nell'anti-battistero, l'infanzia di Cristo.[108] La fonte battesimale in marmo e bronzo fu realizzata da Jacopo Sansovino, mentre la cupola soprastante è decorata con mosaici raffiguranti la dispersione degli apostoli, ciascuno mostrato nell'atto di battezzare una diversa nazionalità in riferimento al comando di Cristo di predicare il Vangelo a tutti i popoli.[109] La seconda cupola, sopra l'altare, presenta Cristo in gloria circondato dai nove cori angelici. L'altare è un grande masso di granito, che secondo la tradizione fu portato a Venezia da Tiro dopo la conquista veneziana. Si dice sia la roccia su cui Cristo stette per predicare al popolo di Tiro.[110]

Sagrestia

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Nel 1486, Giorgio Spavento, in qualità di proto (architetto consulente e direttore dei lavori), progettò una nuova sagrestia, collegata sia al presbiterio sia alla cappella del coro di San Pietro; non si conosce la collocazione della sagrestia precedente. Fu il primo progetto di Spavento e l'unico portato a termine. Le decorazioni iniziarono nel 1493. Gli armadi, usati per conservare reliquiari, ostensorioi, paramento liturgici e oggetti e libri liturgici, furono intarsiati da Antonio della Mola e suo fratello Paolo e mostrano scene della vita di San Marco. La decorazione musiva della volta, con profeti dell'Antico Testamento, fu progettata da Tiziano ed eseguita tra il 1524 e il 1530.[111][112]

Dietro la sagrestia si trova la chiesa, sempre di Spavento, dedicata a San Teodoro, primo santo patrono di Venezia. Costruita tra il 1486 e il 1493 in stile rinascimentale sobrio, servì come cappella privata per i canonici della basilica e, successivamente, come sede della Inquisizione veneziana.[113] All'interno vi è custodita una Adorazione del Bambino di Giambattista Tiepolo. Degni di nota anche i pilastri a ridosso del portale, sui quali Sebastiano da Milano scolpì motivi vegetali.

Influenza

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Facciata della Scuola Grande di San Marco

In quanto chiesa di Stato, San Marco fu un punto di riferimento per gli architetti veneziani. La sua influenza durante il periodo gotico sembra essersi limitata a motivi e dettagli decorativi, come il portale e la decorazione pittorica murale della chiesa di Santo Stefano e il portale della chiesa della Madonna dell'Orto, composto da un arco a ogiva con rilievi a forma di fiamma che ricordano i cimieri di San Marco.[114]

Nel primo Rinascimento, nonostante l'introduzione di elementi classici nell'architettura rinascimentale veneziana da parte di scalpellini lombardi, la fedeltà alle tradizioni edilizie locali rimase forte.[115] Nelle facciate di Ca' Dario e della chiesa di Santa Maria dei Miracoli, la decorazione superficiale che emula San Marco è la caratteristica principale, e l'effetto complessivo deriva dalla ricca presenza di marmi colorati scintillanti e dai motivi circolari, ispirati da quelli della basilica.[116] Allo stesso modo, l'Arco Foscari nel cortile di Palazzo Ducale si basa sugli antichi archi di trionfo, ma deve i suoi dettagli alla basilica: le colonne sovrapposte raggruppate, i pinnacoli gotici e le statue che lo coronano.[117][118] Presso la Scuola Grande di San Marco, il riferimento a San Marco si ritrova nella serie di lunette lungo la linea del tetto che richiama il profilo della basilica.[119]

Figure chiave

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La presentazione del nuovo doge al popolo Gabriele Bella

In quanto chiesa di Stato, la basilica era retta dal doge e non dipendeva dal patriarca, che aveva la sua cattedra presso la chiesa di San Pietro. Il doge stesso nominava un clero ducale guidato dal primicerio.

L'amministrazione della basilica era affidata a un'importante magistratura della Repubblica di Venezia, i Procuratori di San Marco, che avevano sede nelle Procuratie. Tutti i lavori di costruzione e di restauro erano diretti dal proto: hanno occupato questa carica grandi architetti come Jacopo Sansovino e Baldassare Longhena. Procuratori di San Marco e proto esistono tuttora e svolgono per il Patriarcato gli stessi compiti di un tempo.

Con la caduta della Repubblica, era pure maturato, in quegli stessi anni, il trasferimento della cattedrale da San Pietro di Castello a San Marco. Il trasporto era stato deciso già nel 1807[120], in piena età napoleonica, quando si era pure decretata la soppressione del primiceriato di San Marco, l'unificazione forzata dei due capitoli e la provvisoria sistemazione del patriarca nella più centrale parrocchia di San Maurizio (già da tempo, peraltro, per ovviare ai disagi di una ubicazione tanto periferica della curia patriarcale, era stata creata una cancelleria succursale presso la chiesa di San Bartolomeo). Solo nel 1821, tuttavia, Pio VII, con la bolla Ecclesias quae, aveva sanato quella situazione provvisoria, confermando a pieno titolo il trasferimento di sede dal punto di vista canonico.

Il Capitolo dei canonici della Basilica Patriarcale di San Marco Evangelista, nella sua configurazione attuale, era stato istituito con la bolla predetta[121]. Oltre ai canonici residenziali, sono canonici onorari durante munere gli arcipreti di San Pietro in Castello, e ancora di Gambarare, Jesolo, Caorle, Eraclea, Malamocco, Grado nell'arcidiocesi di Gorizia e il delegato-rettore di Torcello. I canonici residenziali ed onorari della Basilica di San Marco sono protonotari apostolici durante munere.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Cappella Marciana e Stile policorale veneziano.

Una nota di spesa per riparazioni del 1316 indica che San Marco possedeva già più di un organo, presumibilmente due collocati nelle gallerie su entrambi i lati del presbiterio. Col tempo furono più volte rinnovati e sostituiti. Degli organi ricostruiti nel 1766 da Gaetano Callido, rimane il piccolo organo (organum parvum) nella galleria sud, mentre il 'grande organo' (organum magnum) nella galleria nord fu nuovamente ricostruito nel 1893, conservando alcuni componenti dell'organo di Callido.[note 3] Un terzo organo più piccolo per i concerti fu collocato a livello del pavimento dopo il 1588.[122][123]

I documenti attestano anche l'uso di altri strumenti nelle celebrazioni liturgiche, tra cui violini, viole, viole da braccio, violoni, tiorbe, cornetti, tromboni, fagotti, e successivamente flauti, trombe e oboi. Il numero degli strumenti fu fissato a trentaquattro nel 1685 e portato a trentacinque nel 1786.[124][note 4] Organisti, cantanti e strumentisti venivano selezionati dai procuratori di San Marco tramite un rigoroso esame.[125][126][note 5] Molti dei primi strumentisti e cantori erano membri del clero, ma dalla metà del XVII secolo i migliori musicisti provenivano dagli orfanotrofi legati agli ospedali pubblici veneziani.[127] Musicisti rinomati erano anche invitati per occasioni speciali.[128]

A partire dal 1491, i procuratori nominavano anche un maestro di cappella, responsabile della direzione delle esecuzioni musicali.[129] Era assistito dal vice-maestro di cappella e dal maestro di concerti, direttori dei due cori. Il maestro di coro, istituito nel 1514, dirigeva il canto piano dei membri del clero.[130][131]

Tutti i musicisti e i cantori erano tenuti a essere presenti ogni volta che il doge assisteva a una messa solenne.[132] Essi erano disposti nelle tribune ai lati del presbiterio oppure nel pulpitum magnum cantorum, la grande piattaforma rialzata davanti all'iconostasi, sulla destra.[note 6] Per composizioni più elaborate con cori multipli nel XVII secolo, musicisti e cantori potevano essere posizionati anche nelle gallerie superiori.[133]

Questa suddivisione e separazione fisica del coro, detta "coro spezzato", fu essenziale nello sviluppo dello stile policorale veneziano, favorito dalle particolari qualità acustiche di San Marco.[134][note 7] Lo stile era caratterizzato da due cori indipendenti a quattro voci ciascuno, senza dissonanze, che cantavano alternativamente o simultaneamente, specialmente alla fine della composizione.[135] Ebbe origine all'inizio del XVI secolo in diverse città della terraferma veneziana, tra cui Padova, Bergamo e Treviso, ed entrò a San Marco grazie ad Adrian Willaert, nominato maestro di cappella nel 1527 su iniziativa del doge Andrea Gritti.[136] Lo stile continuò a svilupparsi e si diffuse in tutta Europa grazie alle composizioni di diversi maestri di cappella, tra cui Cipriano de Rore, Gioseffo Zarlino, Giovanni Croce e Claudio Monteverdi, e di organisti come Claudio Merulo, Andrea Gabrieli e suo nipote Giovanni Gabrieli.[137] Sebbene il canto piano e il falsobordone continuassero a essere utilizzati, i salmi eseguiti con coro spezzato erano comuni per i vespri ed erano specificamente richiesti in tutte le principali festività.[138][139]

Musica in basilica

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Le navate laterali avevano anticamente delle gallerie con pavimenti lignei che le coprivano, secondo i modelli tipicamente orientali, che vennero ridotte a strettissimi passaggi balaustrati per permettere di ammirare i mosaici delle volte anche dal basso. Le numerose gallerie fornirono l'ispirazione per lo sviluppo dello stile policorale veneziano ai compositori di San Marco, così come lo sviluppo della musica antifonale.

Tra i principali compositori, maestri di cappella ed organisti che operarono in basilica sono da ricordare Gioseffo Zarlino, Andrea e Giovanni Gabrieli, Antonio Lotti, Baldassare Galuppi, Claudio Monteverdi, Lorenzo Perosi e altri. Il coro deputato al servizio musicale in cattedrale è la Cappella Marciana.

Da oltre cinque secoli la musica organistica svolge un ruolo primario all'interno delle celebrazioni liturgiche. Nomi illustri della musica organistica sedettero agli organi della Basilica quali Claudio Merulo, Andrea e Giovanni Gabrieli, Antonio Lotti, Oreste Ravanello, Giovanni Tebaldini, Marco Enrico Bossi.

Questi gli strumenti attualmente presenti in Basilica:

Organo Callido-Trice-Tamburini

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Sulla cantoria alla sinistra del presbiterio, si trova l'organo maggiore della basilica. Questo, costruito da Gaetano Callido nel 1766, è stato ampliato da William George Trice nel 1893 e dalla ditta Tamburini nel 1972 (opus 638). Lo strumento, a due tastiere di 58 note ciascuna e pedaliera di 30, è a trasmissione mista: meccanica per i manuali e il pedale, elettro-pneumatica per i registri.[140]

Organo Callido

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Sulla cantoria a destra del presbiterio, si trova l'organo a canne Gaetano Callido opus 30, costruito nel 1766. Nel 1909 lo strumento venne rimosso (per far posto a un nuovo organo, costruito dalla ditta Mascioni) e nel 1995 ricollocato dopo un restauro condotto da Franz Zanin.

L'organo Mascioni (opus 284) era a trasmissione pneumatica, con due tastiere e pedaliera. Nel 1994 è stato smontato, restaurato e rimontato nella chiesa di Santa Maria della Pace a Mestre.

L'organo Callido è a trasmissione integralmente meccanica, ha un'unica tastiera di 57 note con prima ottava scavezza e una pedaliera a leggio scavezza, costantemente unita al manuale. La cassa non è più quella barocca originale, ma una lignea dalle forme più semplici e priva di decorazioni.

Organo de Martino

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Si tratta di un piccolo organo positivo di scuola napoletana, del 1720, opera dell'organaro Tommaso de Martino; è stato restaurato da Franz Zanin nel 1995 e collocato all'interno del presbiterio. A trasmissione meccanica, è dotato di un manuale di 45 note e non ha pedaliera.

Organo Cimmino

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È un piccolo organo di scuola napoletana, del 1779, opera dell'organaro Fabrizio Cimmino; è stato recuperato da Giorgio e Cristian Carrara nel 1999 e collocato in Basilica nel 2014, accanto all'altare della Madonna Nicopeia. A trasmissione meccanica, è dotato di un manuale di 45 note con prima ottava corta e di pedaliera a leggio di 8 note, costantemente unita al manuale.

Onorificenze

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— 1833
Esplicative
  1. ^ Wladimiro Dorigo ha ipotizzato alternativamente che la chiesa dei Participazio corrispondesse unicamente alla cripta, comprendendo anche la sezione ora murata sotto la cupola centrale, che Dorigo interpreta come i resti di un westwerk primitivo. Cfr. Wladimiro Dorigo, Venezia romanica, I, pp. 20–21.
  2. ^ Le statue attuali furono scolpite da Girolamo Albanese nel 1618 in sostituzione degli originali distrutti nel terremoto del 1511. Cfr. Giulio Lorenzetti, Lorenzetti, 1974, p. 167.
  3. ^ Studi acustici condotti nel 2007 hanno rivelato che dalle gallerie il suono degli organi è forte e risonante. Cfr. Deborah Howard e Laura Moretti, Howard e Moretti, 2009, p. 30.
  4. ^ Il decreto del 1685 dei procuratori, confermato nel 1714, stabiliva: 8 violini, 11 viole, 2 viole da braccio, 3 violoni, 4 tiorbe, 2 cornetti, 1 fagotto e 3 tromboni. Dopo il 1786 gli strumenti erano: 12 violini, 6 viole, 4 violoncelli, 5 violoni, 4 oboi e flauti, e 4 corni e trombe. Il cornetto poteva sostituire la voce di un soprano o contralto, mentre il trombone quella di un basso. Il fagotto spesso dava il tono al coro ed era utile per armonizzare i suoni. Cfr. Francesco Fapanni e Gabriele Fantoni, 'La Cappella Musicale', pp. 199–201.
  5. ^ L'esame standard per gli organisti, probabilmente a partire dalla fine del XVI secolo, consisteva in tre prove. La prima prevedeva l'estrazione casuale di un movimento del Kyrie o di un altro motetto, da improvvisare in polifonia per quattro voci. La seconda richiedeva di armonizzare un canto piano estratto casualmente per basso, tenore e soprano, con fughe appropriate. La terza consisteva nell'improvvisazione di un brano polifonico raro cantato dal coro. Vedi Fapanni e Fantoni, 'La Cappella Musicale', p. 208 e, in generale, Arnaldo Morelli, 'Concorsi organistici a San Marco...'.
  6. ^ Studi acustici del 2007 hanno dimostrato che dalle tribune il suono è chiaro e diretto. Risuona in uno spazio relativamente chiuso e viene poi proiettato all'esterno. Anche la distanza tra le due tribune è ideale per un coro diviso, senza creare problemi di intonazione o ritardo. Dalla piattaforma davanti all'iconostasi il suono viene proiettato nel presbiterio, con l'iconostasi che blocca le riflessioni sonore successive provenienti dalla navata. Vedi Howard e Moretti, Howard e Moretti, 2009, pp. 39, 41.
  7. ^ Come dimostrato dagli studi acustici del 2007, la configurazione della chiesa consente al suono di fluire tra i piccoli spazi cupolati interconnessi, riflettendosi sulle superfici marmoree senza generare la riverberazione eccessiva delle chiese più grandi. Inoltre, la superficie leggermente irregolare dei mosaici smorza la concentrazione eccessiva del suono sotto le cupole. Vedi Howard e Moretti, Howard e Moretti, 2009, pp. 19–20.
Bibliografiche
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  50. ^ Jacoff, "L'unità delle facciate di san Marco...", p. 78
  51. ^ Demus, 1960, pp. 110–111.
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  58. ^ Jacoff, "L'unità delle facciate di san Marco...", p. 84
  59. ^ Perry, "Saint Mark's Trophies...", pp. 27–28
  60. ^ L'opera, attribuita a Lisippo, proveniva da Delfi, dove era stata posta dai Rodii come ex voto per la liberazione dall'assedio di Demetrio Poliorcete nel 304 a.C. Era stata collocata nell'Ippodromo a celebrare la vittoria di Costantino, e fu portata a Venezia da Enrico Dandolo nel 1204 (cfr. I cavalli di San Marco e i Lithica orfici (PDF).)
  61. ^ Vlad Borrelli, "Ipotesi di datazione per i cavalli di San Marco", pp. 39–42, 45
  62. ^ Perry, "Saint Mark's Trophies...", p. 28
  63. ^ Touring Club Italiano, Venezia, p. 248
  64. ^ Lorenzetti, 1974, p. 172.
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  71. ^ Lazzarini, "Le pietre e i marmi colorati della basilica di San Marco a Venezia", pp. 318–319
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  73. ^ Demus, 1960, p. 113.
  74. ^ Jacoff, "L'unità delle facciate di san Marco...", p. 80
  75. ^ Demus, 1988, pp. 179–181.
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Bibliografia

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  • Sergio Bettini, L'architettura di San Marco. Origini e significato, Padova 1946
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  • Sabina Vianello (a cura di), Le chiese di Venezia, Electa, 1993. ISBN 88-435-4048-3
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  • Wladimiro Dorigo, Venezia romanica. La formazione della città medioevale fino all'età gotica, Venezia 2003.
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  • Wolfgang Wolters, San Marco a Venezia. Un filo d'Arianna per la visita, Verona, Cierre edizioni, 2014.

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