Il Quilisma è un segno della notazione neumatica medievale utilizzato nel repertorio del canto gregoriano per segnalare un particolare movimento melodico o un abbellimento vocale inserito all’interno di un neuma più ampio[1]. Il segno è attestato già nelle prime notazioni sopravvissute e ha attirato l’attenzione della ricerca paleografica e semiologica moderna proprio perché la sua interpretazione influenza la prassi esecutiva del canto sacro[2]. Nel dibattito storiografico il quilisma è significativo sia per le informazioni che può dare sulla grafia dei manoscritti sia per le indizi che offre sulle pratiche vocali e ritmiche delle diverse tradizioni notazionali[2].

Etimologia

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Il termine deriva dal latino medievale quilisma, adattamento del greco κέλευσμα (kéleusma), con il senso etimologico di «ordine» o «canto cadenzato»[3][1].

Descrizione

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Nella documentazione paleografica il quilisma può presentarsi come un segno ondulato o a forma di «m», spesso realizzato come un pes uncinato con uno o più uncini collegati alla base del neuma[4][3]. Il quilisma non è quasi mai un neuma isolato nei manoscritti studiati, ma si trova integrato in gruppi neumatici più complessi e talvolta preceduto o seguito da punctum, virga o altri neumi d’appoggio[2]. La forma e la posizione del quilisma variano fra le tradizioni notazionali: nei manoscritti dei Paesi Bassi settentrionali il segno è attestato in molteplici posizioni e combinazioni con altri segni, mentre in manoscritti di famiglie diverse (per es., la sangallese) la grafia mostra caratteristiche proprie[2][4]. I testimoni manoscritti mostrano inoltre che la presenza e il numero degli «uncini» non necessariamente corrispondono a una mutazione melodica netta fra le note agganciate, suggerendo che la componente ornamentale o di durata/appoggio fosse almeno in parte indipendente dall’altezza precisa dei suoni[4][2].

Il quilisma nel Codex Buranus

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Carmina Burana.

Nel Codex Buranus (XIII secolo), appartenente alla famiglia della notazione sangallese adiastematica, il quilisma è documentato in diverse varianti grafiche e figura in numerosi brani notati del codice[4]. La forma quilismatica del Codex è spesso realizzata come un pes uncínato con due o tre uncini; in alcuni rari casi sono attestati fino a quattro uncini, ma la variabilità del numero di uncini non implica nell’esame del codice una corrispondenza univoca con differenze di altezza[4]. Daolmi sottolinea come i quilismi non appaiano sistematicamente collegati a mutazioni melodiche nette e come l’assenza di differenze diatoniche coerenti fra forme con diverso numero di uncini renda plausibile un ruolo ornamentale o di durata più che una funzione esclusivamente melodica[4]. Nel Codex il quilisma si combina talvolta con neumi quali l’oriscus, il salicus e con segni ritmici come il pressus o la virga strata, e tali combinazioni variano secondo la mano del notatore, indicando una prassi notazionale complessa e pluralistica[4]. Esempi testuali come i brani drammatici «In eventu prospero» e «Questionum noverat» presentano una frequente ricorrenza di quilismi; nell’interpretazione di Daolmi l’impiego del segno in questi pezzi — accompagnato dalla didascalia «cum voce sobria et discreta» — suggerisce un uso espressivo e raffinato, associato a una pratica vocale elegante e misurata[4].

Funzione e interpretazioni

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L’interpretazione del quilisma è stata oggetto di dibattito: proposte storiche e moderne lo hanno considerato ora come indicazione di una particolare emissione vocale (una «nota leggera» , un suono vibrato o tremolato), ora come segno con valenza ritmica o mensurale, ora come elemento di orientamento modale all’interno della frase melodica[2][4]. Autori classici della semiologia gregoriana hanno offerto letture divergenti: per esempio Mocquereau e successivamente Cardine sono citati nelle fonti come interpreti che pongono l’accento su aspetti di articolazione vocale o su una qualità «leggera» delsuono segnalato dal quilisma[4]. Studi comparativi più recenti evidenziano che la funzione del quilisma può cambiare a seconda della regione, del periodo e della «mano» del notatore; in particolare, l’analisi dei repertori dei Paesi Bassi settentrionali mostra usi prolungati e variati del segno fino al tardo Medioevo e oltre[2]. Per questi motivi, nella pratica storiografica contemporanea si tende a non fissare un’unica lettura obbligatoria del quilisma, ma a valutarne la funzione caso per caso, confrontando grafia, contesto testuale e paralleli diastematici quando disponibili[2][4].

Studi moderni

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A partire dalla grande “restaurazione” del canto gregoriano nei secoli XIX e XX il quilisma è stato nuovamente introdotto e normalizzato nelle edizioni corali e liturgiche moderne, riportando il segno al centro delle questioni interpretative per chi studia e pratica il repertorio[2]. Ricerche recenti, come quelle di Tienstra, hanno analizzato in dettaglio i manoscritti della metà settentrionale dei Paesi Bassi, dimostrando che il quilisma in quella regione è rimasto largamente in uso fino agli eventi della rivolta olandese del XVI secolo, e quindi più a lungo rispetto alla sua apparente scomparsa dalla notazione quadrata[2]. La letteratura specialistica contemporanea continua ad alternare interpretazioni: alcune linee di ricerca enfatizzano l’aspetto ornamentale e timbrico del quilisma, altre sottolineano la dimensione ritmica-semiologica e notazionale; il pluralismo interpretativo è considerato in parte effetto della diversità delle pratiche notazionali medievali[2][4]. In ambito esecutivo moderno la mancanza di indicazioni univoche nelle fonti storiche determina una varietà di soluzioni interpretative nelle edizioni e prassi performative, spesso fondate su confronti paleografici, tradizioni interpretative locali o scelte stilistiche editoriali[2][4].

  1. ^ a b (IT) quilisma, su Sapere.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l (EN) Rens Tienstra, New observations on the quilisma: occurrence, position and function in northern Low Countries sources, su Cambridge, 22 novembre 2024.
  3. ^ a b (IT) quilisma, su Treccani.
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m (IT) Davide Daolmi, La notazione del Codex Buranus, su Examenapium, 2020.