Il mostro di Firenze (miniserie televisiva): differenze tra le versioni

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=== Episodio 5 ===
Il 15 ottobre [[1995]] il commissario [[Michele Giuttari]] prende il posto del commissario Perugini alla guida delle indagini sul mostro di Firenze, e presenta ai procuratori Vigna e Canessa il percorso da seguire per affrontare il processo d'appello contro Pietro Pacciani. Il commissario Giuttari, che si è documentato su tutta la vicenda, ipotizza che Pacciani è colpevole degli assassini per cui è stato condannato e che inoltre ha avuto dei complici che spiegano tutte le incongruenze evidenziate dall'avvocato Fioravanti. Continuando, il commissario Giuttari rammenta che dopo il delitto del 19 giugno [[1982]] due testimoni videro due automobili che procedevano a forte andatura, la già citata Fiat 128 Coupé rossa che seguiva a forte andatura la Fiat 126, guidata senza dubbio da Pietro Pacciani; anche altri due testimoni, quella sera stessa, videro la medesima Fiat 126 bianca allontanarsi velocemente in senso opposto al luogo del delitto e disegnarono il profilo del viso del conducente, che corrispondeva al viso di Pacciani; di conseguenza, chi era alla guida della Fiat 128 Coupé rossa era il complice di Pacciani. A Renzo Rontini nel frattempo, dopo una visita di controllo all'ospedale, vengono diagnosticati alcuni problemi cardiaci e il medico gli consiglia di evitare qualsiasi emotività che potrebbe aggravare lo stato compromesso del suo cuore; dopodiché, Renzo si reca in officina sperando di recuperare qualche attrezzatura prima che gli possa venire confiscata dal tribunale del lavoro. In officina, Renzo riceve la visita dell'avvocato Pellegrini che lo rimprovera di non averlo avvisato sulla faccenda retributiva di Massimo e promette (anche se ormai è tardi) di cercare di risolvere questo problema. Intanto, il commissario Giuttari, dopo aver ricevuto da Renzo alcune documentazioni sulla faccenda del mostro di Firenze, convoca nel suo ufficio Lorenzo Nesi per un interrogatorio. Nesi racconta alcuni particolari riguardanti Mario Vanni e i rapporti che aveva con una prostituta, una certa [[Gabriella Ghiribelli]], che frequentava insieme a lui e un'altra persona, un certo [[Giancarlo Lotti]]. Nesi ammette di non sapere se Pietro Pacciani fosse anche lui un cliente della Ghiribelli; però sa per certo che Vanni e Pacciani trascorrevano molto tempo insieme, nonostante Vanni avesse molta paura di Pacciani. Il 29 gennaio del [[1996]] inizia il processo d'appello, però Pacciani decide di rimanere in carcere. Durante il periodo di detenzione Pacciani aveva fatto conoscenza con suor Elisabetta, la guida spirituale che si occupò di lui e che gli avrebbe tenuto in custodia qualcosa. Il commissario Giuttari, nel frattempo, continua il suo giro di interrogatori e convoca Giancarlo Lotti che ammette di essere amico di Vanni, ma nega di conoscere Pacciani; il commissario, per confrontare le versioni, chiede a Lotti il nome della prostituta che frequentava insieme a Vanni ed è la stessa confermata da Nesi: Gabriella Ghiribelli. Convocata anche la Ghiribelli, il commissario Giuttari le chiede informazioni su Vanni, Pacciani e Lotti; a questo punto la donna descrive Vanni come un impotente, mentre di Pacciani dice solo che lo ha visto qualche volta a casa del mago [[Salvatore Indovino]]. A casa di questo mago, la Ghiribelli ammette di aver visto delle lenzuola macchiate di sangue durante il periodo in cui gli svolgeva delle pulizie. Per quanto riguarda Lotti, la Ghiribelli lo descrive come un "gigante buono" e che qualche volta veniva a trovarla con un suo amico, [[Fernando Pucci]]; però quando la donna nomina Lotti e Pucci, dice di ricordare una stranezza avvenuta la notte dell'omicidio dell'8 settembre [[1985]] nei pressi di Scopeti, il luogo dell'assassinio. La Ghiribelli guidava la sua automobile e di fianco, nel sedile del passeggero, era seduto Salvatore Indovino che, nonostante fosse ammalato, la obbligava a seguire un suo itinerario; durante il tragitto la donna ammette di aver visto un'automobile parcheggiata nei pressi del luogo del delitto, era una Fiat 128 Coupé rossa e aggiunge che Giancarlo Lotti ne possedeva una identica. Il commissario Giuttari, a questo punto, convoca prima Fernando Pucci che gli rivela di essere un ex amico di Lotti e che la notte dell'8 settembre [[1985]] era sul luogo del delitto; sembra per una casualità, poiché Pucci insieme a Lotti ha visto due uomini commettere il massacro sui corpi dei due ragazzi francesi e aggiunge però di non conoscerli a differenza di Lotti, che invece li conosceva. Giancarlo Lotti viene nuovamente convocato dal commissario Giuttari in presenza di Canessa, Vigna e del suo ex amico Pucci; inizialmente l'uomo nega, poi confessa di averli riconosciuti: erano Pietro Pacciani e Mario Vanni. Il commissario Giuttari arresta Mario Vanni e lo trattiene in carcere, nel frattempo il 13 febbraio del [[1996]] Pacciani viene assolto dal processo d'appello e scarcerato; Vanni in carcere, quando viene interrogato da Canessa e dal commissario Giuttari, nega ogni coinvolgimento con i delitti del mostro di Firenze. Il commissario Giuttari convoca ancora una volta Lotti e lo mette alle corde quando gli confessa di aver visto Pacciani e Vanni anche la sera del delitto del 29 luglio [[1984]] nella località Boschetta di [[Vicchio]] uccidere Pia Rontini e Claudio Stefanacci; a questo punto, sotto minaccia di arresto, Lotti confessa di aver fatto da palo nei delitti a partire da quello del 19 giugno del [[1982]]; inoltre era stato scelto da Pacciani e Vanni per selezionare le vittime femminili. Una volta arrestato Lotti, in carcere viene intercettata una lettera compromettente scritta da lui stesso, che mette in evidenza il fatto che c'era un certo dottore che pagava Pacciani e Vanni per commettere i delitti. Lotti fu violentato sessualmente e ricattato da Pacciani per partecipare ai delitti, mentre Pucci non ha nessun collegamento con loro, salvo il fatto che Lotti lo portò con sé la notte del delitto dell'8 settembre [[1985]]. Questi fatti spingono il commissario Giuttari haa mettere sotto controllo la linea telefonica della casa di Pacciani che loviene intercettaintercettato in un dialogo telefonico con suor Elisabetta, e che ha intenzione di restituirgli ciò che ha in custodia. Il commissario Giuttari perquisisce la stanza del convento dove risiede la suora e trova una busta contenente un estratto conto postale di Pacciani; ladal quale contienerisultano versamenti fino a 157 milioni di lire che con ogni probabilità non ha mai potuto risparmiare con l'usufrutto del suo lavoro. Quello che è ancora più sospetto sono le date dei versamenti del denaro di Pacciani che coincidonosono adi poca distanza daipochi giorni successivi alle date di tutti i delitti a partire da quello del 14 settembre del [[1974]]; inoltre i versamenti furono effettuati da diversi uffici postali. Successivamente, al processo di 1º grado, Vanni e Lotti vengono condannati, il primo all'ergastolo, mentre Lotti subisce una pena a 30 anni di carcere. Il commissario Giuttari, intanto, prepara insieme a Canessa il nuovo processo di 1º grado contro Pacciani, ma il 22 febbraio del [[1998]] una telefonata annuncia l'improvviso decesso di Pietro Pacciani. L'autopsia sul corpo dell'anziano agricoltore rivela che non è deceduto di morte naturale, ma che ha preso (o che gli è stato somministrato) un antiasmatico che lo ha ucciso; questo farmaco era letale per una persona cardiopatica come lui. Renzo e Winnie Rontini, dopo la morte di Pacciani, si rifiutano di rivalersi sull'eredità del contadino per non causare un ulteriore torto alle sue figlie, già succubbisuccubi del padre, nonostante l'avvocato Pellegrini avertaavverta Renzo del pericolo di confisca della sua abitazione. L'episodio si conclude nel dicembre del [[1999]], alla morte di Renzo Rontini per causa di un infarto.
 
=== Episodio 6 ===