Tibet

regione storico-geografica dell'Asia centrale
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Il Tibet (/ˈtibet/[1]; in tibetano: བོད་, bod, /pø/; in cinese 西藏S, XīzàngP), in passato riportato anche come Thibet, è una regione storico-geografica dell'Asia orientale, localizzata sull'omonimo altopiano. La maggior parte del territorio fa parte della Cina dal 1951, sebbene rivendicato dal governo in esilio dell'ex Stato del Tibet, denominato amministrazione centrale tibetana, capeggiato dal Dalai Lama. Ha una popolazione di circa 3 180 000 abitanti, la città principale è Lhasa e, a causa dell'altitudine media di 4900 m s.l.m., è conosciuto anche come "terzo polo" o "tetto del mondo".[2]

Tibet
(BO) བོད་
Lhasa, capitale storica del Tibet
StatiCina (bandiera) Cina
Bhutan (bandiera) Bhutan
India (bandiera) India
TerritorioCina (bandiera) Regione Autonoma del Tibet
Cina (bandiera) Sichuan
Cina (bandiera) Qinghai
Bhutan (bandiera) Bhutan
India (bandiera) Himachal Pradesh
CapoluogoCina (bandiera) Lhasa

La storia propriamente conosciuta e documentabile del Tibet inizia nel 617 d.C; dopo secoli di autonomia arrivò a espandersi, comprendendo parti dell'attuale Cina; dal XIII secolo divenne uno stato vassallo dell'Impero mongolo (che comprendeva anche la Cina), poi - dal 1368 al 1644 - della dinastia cinese Ming e, per ultima, della dinastia cinese Qing dal 1644 al 1911 quando, con la fine dell'Impero cinese e la nascita della Repubblica di Cina, si autoproclamò indipendente.

Nel 1949, al termine della guerra civile - in seguito alla quale il governo della Repubblica di Cina dovette ritirarsi nell'isola di Taiwan insieme a milioni di profughi - venne proclamata la Repubblica Popolare Cinese, che procedette alla rioccupazione del Tibet nel 1949-1950,[3] annettendolo formalmente nel 1951. La quasi totalità del territorio tibetano è ora parte della Repubblica Popolare Cinese, mentre una piccola parte sud-occidentale, il Ladakh, è una regione indiana.

Definizioni ed estensione

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Foto dell'altopiano del Tibet (in primo piano) e dell'Himalaya (sullo sfondo) presa dalla Stazione spaziale internazionale.

Il Tibet non ha una definizione univoca: per la Repubblica Popolare Cinese, il Tibet è la Regione Autonoma del Tibet, reclamando anche il territorio dell'Arunachal Pradesh come appartenente alla stessa; per il Governo tibetano in esilio, il Tibet è tutta la larga zona che è stata sotto l'influenza culturale tibetana per parecchi secoli, comprese le province tradizionali di Amdo, Kham (Khams) e Ü-Tsang (dBus-gTsang), ma esclusa la zona del Tibet storico all'esterno della Repubblica Popolare Cinese comprendente Arunachal Pradesh, Sikkim, Bhutan e Ladakh, area reclamata soltanto da qualche gruppo tibetano.

L'area ha un'estensione di 2,5 milioni di chilometri quadrati, un quarto dell'intera Cina, ed ospita 6 milioni di tibetani. La Regione Autonoma copre solo l'Ü-Tsang e il Kham occidentale, mentre l'Amdo e il Kham orientale appartengono alle province cinesi di Qinghai, Gansu, Yunnan e Sichuan. L'area ha un'estensione di 1,2 milioni di chilometri quadrati, meno della metà della suddetta area culturale rivendicata dal governo in esilio, ed ospita meno di 3 milioni di tibetani.

 
Estensione del Tibet
            "Grande Tibet" reclamato dai gruppi di tibetani in esilio
  Area Autonoma del Tibet, designata dalla Cina
  Regione Autonoma del Tibet, all'interno della Cina
Controllato dalla Cina e riventicato dall'India come parte dell'Aksai Chin
Controllato dall'India, parti reclamate dalla Cina come Tibet del Sud
Altre aree storicamente sotto la sfera culturale tibetana

Geografia

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Altopiano del Tibet.

Il Tibet è situato sull'omonimo altopiano (detto anche Plateau tibetano) ad un'altitudine media di circa 4 900 metri, l'altopiano più alto al mondo. La sua montagna più alta è l'Everest che con i suoi 8 849 metri è la montagna più alta del pianeta e fa parte della catena dell'Himalaya compresa per gran parte nel territorio tibetano.

Regioni

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Province del Tibet

Il Tibet era storicamente composto da diverse regioni:

 
Piazza del Barkhor, Lhasa

Lhasa è la capitale tradizionale del Tibet e ora costituisce la capitale della Regione Autonoma del Tibet

 
Shigatse

Altre città tibetane sono:

  Lo stesso argomento in dettaglio: Tibetani.
 
Gruppi Etnolinguistici del Tibet, 1967 (Guarda la carta intera, con legenda)

Storicamente la popolazione del Tibet è costituita principamente da tibetani. Altri gruppi etnici includono i monpa, lhoba, mongoli e hui. Secondo il governo cinese, la Regione Autonoma del Tibet è abitata al 92% da Tibetani, mentre nelle altre zone del Tibet storico appartenenti a diverse province cinesi la percentuale è più bassa. Il governo tibetano in esilio afferma invece che ci siano 7,5 milioni di non tibetani "introdotti dal governo cinese per nazionalizzare la regione", contro 6 milioni di tibetani, e ritiene che la recente apertura della ferrovia del Qingzang, che collega Lhasa con Pechino in 40 ore, sia un modo per facilitare l'afflusso di non-tibetani dal resto della Cina.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del Tibet.

Le origini

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Il castello-monastero di Yumbulakhang

Esistono poche testimonianze sulle origini del Tibet, si sa però che inizialmente era popolato da pastori nomadi provenienti dall'Asia centrale. La storia della regione prima del VII secolo si affida alla tradizione orale del suo popolo, visto che non era ancora stata introdotta la scrittura, e si fonde spesso con elementi mitologici.

Una delle leggende più popolari narra che Avalokiteśvara, il Bodhisattva della Compassione, incarnatosi in una scimmia, fecondò un demone che aveva assunto le sembianze di un'orchessa, e dalla loro unione nacquero i sei capostipiti delle principali tribù tibetane.

Secondo un'altra di tali tradizioni mitologiche, l'immortale sovrano Nyatri Tsenpo fondò nel 173 a.C. la dinastia Yarlung, nella valle dell'omonimo fiume Yarlung situata nel Tibet meridionale, e tornò in cielo usando la stessa corda magica da cui si era calato, lasciando il regno al suo successore. La data dell'insediamento al trono di Nyatri Tsenpo viene celebrata come l'inizio del calendario tibetano. In quel periodo la religione praticata era il Bön, allora nella sua prima fase legata allo sciamanesimo. Di quel periodo si può ancora ammirare il castello-monastero di Yumbulakhang, nei pressi di Tsedang.

L'impero tibetano ed il suo declino

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Impero tibetano.
 
Trisong Detsen

Songtsen Gampo, 33° sovrano della dinastia Yarlung, unificò tutti i territori dell'omonimo altopiano e fondò l'impero Tibetano. Malgrado i riferimenti storici che lo riguardano siano confusi e contraddittori, sono i primi che hanno basi scritte e godono di una discreta attendibilità. Nato nel 608 d.C., trasferì la capitale a Lhasa, introdusse per primo la religione buddhista e la scrittura tibetana, fece inoltre costruire il Jokhang, primo tempio buddhista in Tibet.

Sotto il regno di Trisong Detsen, con l'arrivo del monaco indiano Padmasambhava, il buddhismo in Tibet, con l'introduzione delle tecniche tantra, si distinse da quelli praticati negli altri paesi e diventò religione di Stato. Venne fondata la prima scuola del buddhismo tibetano, quella Nyingma (རྙིང་མ, che si traduce dal tibetano in italiano come "Antica"), e nel 770 venne costruito il primo monastero lamaista del Tibet, quello di Samye. L'impero continuò il suo periodo aureo fino alla morte nell'836 del sovrano Ralpacan, considerato il terzo dei cosiddetti re del Dharma per il suo contributo alla diffusione del buddhismo, e firmatario di un trattato di pace con la Cina nell'822 che segnava i confini storici fra i due stati.

Ralpacan fu ucciso dal fratello Langdarma, che ne prese il trono sobillato dalla nobiltà Bön ancora molto influente e compì persecuzioni contro il buddhismo, allontanando tutti i monaci da Lhasa. Dopo il suo assassinio, avvenuto nell'842 ad opera di un lama travestito, l'impero si sgretolò in tanti piccoli regni perennemente in lotta tra loro e cominciò un periodo buio per il Tibet.

La rinascita del buddhismo

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Karmapa

Nel periodo successivo Lhasa perse il suo ruolo di capitale politica e spirituale ed il lamaismo sopravvisse nel regno tibetano occidentale di Ngari, creato dagli esiliati successori degli Yarlung, e nei monasteri delle regioni orientali del Kham e dell'Amdo.

Verso la metà dell'XI secolo, grazie al sovrano di Ngari, assieme al grande maestro indiano Atisha arrivarono nel Tibet occidentale una serie di guru e saggi che diffusero di nuovo il buddhismo nel paese; alla rinascita spirituale che si diffuse anche nelle altre aree dell'altopiano, fece eco un nuovo fermento nel campo delle arti, specialmente nella letteratura con la traduzione e lo sviluppo dei concetti espressi nei testi sacri del buddhismo indiano.

A cavallo tra l'XI ed il XII secolo nacquero due delle quattro più importanti scuole del lamaismo: nel 1072, grazie all'opera del monaco Sachen Kunga Nyingpo, venne fondata la scuola dei Sakya, e qualche decennio dopo il lama Gampopa istituì quella dei Kagyu, i cui insegnamenti si ramificheranno in diverse "sotto-scuole", tra le quali quella dei Karmapa e degli Shamarpa. Tutti questi lignaggi, chiamati sarma, termine che significa nuova trasmissione, erano destinati a giocare un ruolo importante nella vita politica dei secoli successivi, è in questo periodo che il legame tra il potere religioso e quello politico in Tibet diventa indissolubile.

La dominazione mongola e cinese

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Nel XIII secolo, dopo la calata delle orde mongole di Gengis Khan, i vari paesi tibetani vennero riunificati, e questo nuovo Tibet unito diventò protettorato dell'Impero mongolo. Quando il nuovo sovrano dei mongoli Kublai Khan diventò imperatore della Cina nel 1271, fondando la dinastia Yuan, nacque la secolare rivendicazione cinese della sovranità sul Tibet. I Sakyapa convertirono l'imperatore al lamaismo, che diventò religione di Stato dell'impero, ed ottennero il titolo di precettori imperiali e governanti del Tibet.

Con il declino dei mongoli il Tibet si emancipò dalla loro influenza nel 1358, pur restando sotto il protettorato della nuova dinastia Ming cinese, quando il controllo del paese passò dai Sakyapa ai Kagyupa del ramo Phagdru, insediati nella valle meridionale dello Yarlung.

Nel 1391, nacque Gedun Khapa, che venne definito la reincarnazione di Avalokiteśvara, il Bodhisattva della Compassione buddhista, e sarebbe stato insignito con il titolo postumo di primo Dalai Lama.

 
Gengis Khan, simbolo della dominazione mongola

I conflitti interni fra i vari regni e le scuole buddhiste ad essi associate fecero ritornare il Tibet nella sfera d'influenza dei mongoli. La fondazione dell'ultima grande scuola del buddhismo tibetano, quella dei Gelugpa, avvenne agli inizi del XV secolo, e l'impersonificazione politico-religiosa più alta che tale scuola tuttora esprime è quella del Dalai Lama, che assieme ai Gelugpa acquisì un'importanza sempre maggiore nel panorama politico tibetano.

Le lotte intestine dei Kagyu, ora insediatisi a Shigatse nello Tsang, la parte occidentale della valle dello Yarlung, portarono ad un nuovo frazionamento del Tibet, permettendo ai Gelug di prendere il controllo di Lhasa. Agli inizi del XVI secolo i Gelug ed i Kagyu cominciarono una lotta che avrebbe visto la fine solo nel 1640, quando il Dalai Lama invocò l'intervento del protettore mongolo che distrusse l'esercito dello Tsang, consegnando al patriarca il paese nuovamente unificato.

La crescente influenza dei mongoli spinse il quinto Dalai Lama Ngawang Lobsang Gyatso (1617-1682), a chiedere l'intervento della Dinastia Qing, originaria della Manciuria, che all'epoca dominava il territorio della Cina, e nel 1720 le truppe imperiali occuparono Lhasa sconfiggendo i nord-asiatici ed instaurando al potere il lignaggio dei Dalai Lama, che da lì in poi ebbero una presenza costante nella scena politica tibetana. Anche questa data segna una tappa delle rivendicazioni cinesi sull'altopiano. I Qing si videro riconosciuti ampi territori in cambio del loro intervento, ed imposero l'insediamento di un loro rappresentante, chiamato amban, a Lhasa.

L'influenza politica dell'occidente

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Il primo europeo a entrare in territorio tibetano fu forse Marco Polo, che vi arrivò dal Ladak prima di arrivare in Cina dopo il 1270 (ved. Il Milione). Sicuramente documentato è Odorico da Pordenone (1314-1330?), che vi passò durante il suo viaggio di ritorno da Kambaluk e visitò anche Lhasa.

Nel 1716, con l'arrivo del gesuita Ippolito Desideri a Lhasa, iniziarono i primi contatti con l'occidente. Nel 1774 la prima missione britannica entrò in Tibet, seguita dall'invasione dei gurka nepalesi, che venne respinta grazie all'intervento delle truppe cinesi chiamate in soccorso dai tibetani.

Nel 1904 l'India britannica, approfittando dei disordini interni all'impero cinese, invase temporaneamente il Tibet arrivando fino alla capitale costringendo il Dalai Lama a fuggire in Mongolia ed i suoi rappresentanti a firmare un accordo che instaurò nel paese l'influenza degli europei. Paghi del risultato i britannici si ritirarono l'anno dopo. Solamente nel 1912, con la fine dell'impero cinese, lo Xinjiang, la Mongolia ed il Tibet, in cui il Dalai Lama cacciò gli amban e riprese il pieno potere senza alcuna influenza estera (al contrario dei primi due, che finirono per cadere nella sfera di influenza sovietica), si autoproclamarono indipendente, benché rivendicati della neonata Repubblica di Cina, secondo quanto scritto nella sua Costituzione.

Approfittando della situazione in Cina, dilaniata da una guerra civile, nonché del rapporto tra i britannici ed i russi, impegnati nel grande gioco per il controllo dell'Asia che fece del Tibet uno Stato cuscinetto, il Dalai Lama governò autonomamente fino al 1950.

Il XIV Dalai Lama e l'annessione cinese

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Tenzin Gyatso, attuale Dalai Lama

Dopo la morte del XIII Dalai Lama, avvenuta nel 1933, Tenzin Gyatso venne scelto e "riconosciuto come la sua reincarnazione" nel 1937, all'età di due anni. In una presunta "visione profetica" attribuita a Padmasambhava (VIII sec.), venerato come il secondo Buddha, si racconta che "quando l'uccello di ferro volerà e i cavalli correranno sulle ruote, il Dharma arriverà nella terra dell'uomo rosso e i tibetani saranno dispersi per tutta la terra".

Il 1º ottobre 1949 Mao Zedong proclamò a Pechino la fondazione della Repubblica Popolare in Cina. L'anno seguente l'esercito cinese rioccupò il Kham occidentale, territorio tibetano, ed i reggenti di Lhasa si affrettarono a conferire ufficialmente i poteri governativi al quindicenne Tenzin Gyatso, facendolo provvisoriamente soggiornare nel sud della regione nel timore di una rioccupazione integrale. A seguito delle rassicurazioni in merito da parte dei cinesi, il Dalai Lama rientrò a Lhasa, sforzandosi negli anni successivi di alleggerire la pressione governativa esercitata dalla Cina sullo Stato del Tibet.

Il Tibet era di fatto indipendente poiché non vi erano più rappresentanti cinesi a Lhasa e anche gli inviati del Guomindang erano stati espulsi[4].

Nel 1951 fu stipulato tra i rappresentanti di Pechino e quelli di Lhasa l'accordo dei 17 punti, che sarebbe in seguito stato disconosciuto da entrambe le parti, in base al quale i tibetani riconoscevano la sovranità cinese e permettevano l'ingresso a Lhasa di un contingente dell'esercito per programmare il graduale inserimento delle riforme per l'integrazione del Tibet nella Cina, tra le quali l'abolizione della servitù della gleba, istituto giuridico pienamente in vigore all'epoca, e del quale gli stessi monasteri buddisti facevano uso. Le autorità cinesi si impegnarono in cambio a non occupare il resto del paese e a non interferire nella politica interna, la cui gestione veniva lasciata al governo tibetano, ma prendendosi carico di tutte le relazioni tibetane con l'estero.

La rivolta tibetana del 1959 pesantemente supportata dalla CIA contro il governo cinese fu respinta e repressa nel sangue dall'Esercito Popolare di Liberazione, che provocarono decine di migliaia di vittime, contro il paio di migliaia dell'esercito. Nel mentre il Dalai Lama fuggì in India insieme al suo governo, a una parte dell'élite feudale e ad alcuni monaci, giudicando rischiosa la permanenza e ritenendo vani ulteriori sforzi di mediazione con i governanti cinesi. La risposta cinese fu l'occupazione integrale del Tibet, la dichiarazione di illegittimità del governo tibetano e la sua successiva annessione.

Parte del Tibet storico fu diviso tra le province cinesi del Qinghai, del Gansu, del Sichuan e dello Yunnan, mentre il resto divenne, nel 1964, la Regione Autonoma del Tibet, una provincia della Cina a statuto speciale. La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, che ebbe luogo dal 1965 alla morte di Mao Zedong e il successivo arresto della Banda dei Quattro nel 1976, portò alla pesante caccia ai "revisionisti e antirivoluzionari", e nel processo molti monasteri e templi vennero distrutti.

Il Dalai Lama non è più ritornato nel territorio da lui governato ed i suoi vari appelli, le conferenze e gli incontri segreti organizzati dal governo tibetano in esilio non hanno apportato sostanziali cambiamenti né hanno smosso la comunità internazionale, i cui governi riconoscono la sovranità della Cina sul territorio. Nel gennaio del 2000 fuggì dal Tibet anche uno dei due candidati alla carica di Karmapa Lama (la terza più alta personalità del lamaismo dopo il Dalai Lama e il Panchen Lama), che attraversò a piedi l'Himalaya per incontrare il Dalai Lama a Dharamsala in India, sede del governo tibetano in esilio.

Bandiera

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Bandiera del Tibet.
 
Bandiera utilizzata dal Tibet nei giochi nazionali cinesi
 
Bandiera del Tibet prima del 1950, introdotta da Thubten Gyatso nel 1912 e utilizzata dal governo tibetano in esilio e, per questo, vietata dalle autorità cinesi in quanto simbolo di separatismo

La Regione Autonoma del Tibet non dispone di una bandiera ufficiale (così come ogni altra divisione cinese a livello provinciale ad eccezione delle regioni amministrative speciali). Il Tibet ha però una bandiera che lo rappresenta ai giochi nazionali cinesi:[5] questa è tutta gialla, eccetto per il nome stilizzato della regione autonoma in cinese standard sopra e tibetano sotto.

La bandiera dell'ex Stato del Tibet, oggi utilizzata dal governo tibetano in esilio, è proibita in Cina: chi la possiede e la mostra rischia pene detentive molto severe in base all'accusa di separatismo. La complessa bandiera entrata in uso tra il 1920 e il 1926, e utilizzata ufficialmente dallo Stato del Tibet fino al 1959, continuando comunque a essere utilizzata in esilio, è densa di simboli. I due leoni di montagna (kilin) rappresentano i poteri temporale e spirituale; essi reggono la ruota dello yin e yang, vale a dire il principio infinito di causa ed effetto. Più in alto, fiammeggianti, i tre gioielli supremi del buddhismo, il Buddha, il Dharma (la legge) e il sangha (i monaci, custodi della legge). Il tutto è inscritto in un triangolo bianco, che ricorda una montagna innevata, cioè lo stesso Tibet. Il sole sorgente è simbolo di gioia: esso diffonde sei raggi rossi in un cielo blu scuro, che rappresentano le sei stirpi originarie del popolo tibetano (Se, Mu, Dong, Tong, Dru e Ra). Il bordo dorato su tre lati del drappo simboleggia il diffondersi dell'insegnamento del Buddha, che è come l'oro puro. Prima degli anni settanta la bandiera presentava disegno e proporzioni leggermente diversi dagli attuali, pur contenendo le medesime raffigurazioni simboliche.

Istruzione

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Università

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L'Università del Tibet è stata fondata nel 1951.[6]

Economia

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Esemplare di yak

L'economia tibetana è dominata dall'agricoltura e dall'allevamento. Lo yak rappresenta una delle maggiori fonti di sussistenza per le famiglie rurali in quanto viene utilizzato come forza motrice per il lavoro nei campi, per il latte e derivati e per la carne. Gli ultimi anni hanno costituito un'apertura al turismo, quasi esclusivamente interno, recentemente promosso dalle autorità cinesi. La ferrovia del Qingzang, che collega Lhasa con Xining, si stima contribuirà ad incrementare l'economia.[7]

Con il più alto livello di spesa pubblica pro capite in Cina, la regione autonoma del Tibet, pur essendo ancora povera, sta vivendo un rapido sviluppo economico (10% di crescita nel 2018), permettendo alla classe media di espandersi. Pechino intende promuovere lo sviluppo economico attraverso il turismo e l'estrazione mineraria, e poi costruire una rete di infrastrutture per raggiungere il Nepal e l'India come parte delle nuove vie della seta, e migliorare l'integrazione della popolazione col resto della Cina. Nel 2018, trentaquattro milioni di turisti (+31,5% rispetto al 2017), soprattutto cinesi, hanno visitato il Tibet.

L'aspettativa di vita degli abitanti del Tibet è aumentata da 35,5 anni nel 1951 a 71,1 anni nel 2019.[8]

Cultura

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Leone di pietra a guardia del Palazzo del Potala

Il Tibet rappresenta il centro tradizionale del Buddhismo tibetano, una forma distintiva del Buddhismo Vajrayāna. Il buddhismo tibetano è praticato anche in Mongolia ed è anche largamente praticato dai Buriati nella Siberia meridionale. Presso le popolazioni tibetane, in specie delle regioni nord-orientali, è, nonostante le persecuzioni che ha subito fino al XIX secolo, ancora largamente praticato l'ancestrale sciamanesimo pagano pre-buddhista, conosciuto come religione Bön. Il contatto con Buddhismo e Induismo vi ha provocato profonde trasformazioni in senso sincretistico, come ad esempio la nascita di congregazioni e conventi di Lama.

Nelle città è presente anche una piccola comunità di musulmani, conosciuti come Kachee (o Kache), la cui origine deriva da tre regioni: Kashmir (Kachee Yul nell'antico Tibet), Ladakh e paesi centro asiatici turchi. L'influenza islamica in Tibet proviene anche dall'antica Persia. C'è anche una consolidata comunità di musulmani cinesi (Gya Kachee) di etnia Hui cinese. Sembra che le popolazioni provenienti da Kashmir e Laddakh emigrarono verso il Tibet a partire dal XII secolo. I matrimoni e le interazioni graduali hanno portato ad un ampliamento della comunità islamica tibetana nei pressi di Lhasa.

Piccole comunità cristiane, sia nestoriane che cattoliche, vi svolgono un'esistenza al limite della semi-clandestinità. Fino ad un recente passato, fra gli abitanti del Tibet, il cui fondo culturale remoto è essenzialmente matriarcale, era diffusa la "diandria". Era costume corrente che le donne sposassero due uomini, di solito fratelli o comunque parenti.

Durante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria il governo cinese, per mano dei comitati rivoluzionari, ha cercato di distruggere i simboli tradizionali della cultura originale tibetana demolendo monasteri, incarcerando monaci e limitando o proibendo (per i funzionari pubblici, le guide turistiche ed altri mestieri) di professare la religione e operando vandalismi in alcuni luoghi sacri ai tibetani. Tuttavia sono stati preservati e parzialmente ristrutturati alcuni palazzi per incrementare il turismo, soprattutto interno.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Arte tibetana.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Musica tibetana.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina tibetana.

Festività

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Le tre principali festività tibetane sono:

  • Losar (Capodanno tibetano)
  • Saga Dawa (festa del quarto mese)
  • Shoton (festa dello yogurt)
  1. ^ Luciano Canepari, tibet, in Il DiPI: dizionario di pronuncia italiana, Bologna, Zanichelli, 1999, ISBN 88-08-09344-1.
  2. ^ Limes, Geopolitica del Tibet, il tetto del mondo, su limesonline.com, GEDI Gruppo Editoriale (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2020).
  3. ^ Date Storia Tibet dall'invasione cinese del 1949 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2008).
  4. ^ Elena De Rossi Filibeck, La questione tibetana e i diritti umani, su cosmopolisonline.it, Cosmopolis | rivista di filosofia e teoria politica.
  5. ^ (EN) 12th Chinese National Games open in NE China, su chinadaily.com.cn.
  6. ^ (EN) Università del Tibet, su it.uni24k.com.
  7. ^ Wang, Yang, and Binzhen Wu. "Railways and the Local Economy: Evidence from Qingzang Railway." Economic Development and Cultural Change 63.3 (2015): pp. 551-588.
  8. ^ (FR) Chine. Au Tibet, Xi Jinping affirme sa souveraineté face au rival indien, su L'Humanité, 25 luglio 2021.

Bibliografia

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  • Stefano Dallari, Pianeta Tibet. Dal Tibet buddhista un messaggio per la salvezza dell'umanità, foto di Claudio Cardelli e Fosco Maraini, Il Cerchio, Rimini, 1993.
  • Andreas Gruschke, «Miti e leggende del Tibet. Storie di guerrieri, monaci, demoni e dell'origine del mondo», Neri Pozza Editore, Vicenza, 1999.
  • Giuseppe Tucci, «Le religioni del Tibet», 1976.
  • Marino Omodeo-Salé, Il Tibet e i paesi himalayani - Storia, civiltà, cultura, Mursia, Milano, 1989.
  • Carlo Buldrini, "Lontano dal Tibet. Storie da una nazione in esilio", Lindau, Torino, 2008 (2).
  • Alexandra David-Néel, "Nel paese dei briganti gentiluomini", Voland, Roma, 2000.
  • Alexandra David-Néel, "Viaggio di una parigina a Lhasa", Voland, Roma, 1997.
  • Alexandra David-Néel, "Mistici e maghi del Tibet", Voland, Roma, 2000.
  • Philip Kwok, "Il Tibet e il suo turismo", La Giada, 1990.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Vicini al Governo cinese

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  • (ENZH) China Tibet Tourism Bureau, su xzta.gov.cn. URL consultato il 25 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 31 agosto 2009).
  • (ENZH) China Tibet Information Center, su tibetinfor.com.cn. URL consultato il 17 settembre 2005 (archiviato dall'url originale il 22 luglio 2013).
  • (ENZH) China Tibet News, su chinatibetnews.com.
  • (ENZH) Tibet Online, su tibetonline.net. URL consultato il 17 settembre 2005 (archiviato dall'url originale il 13 settembre 2005).
  • Raccolta notizie sul Tibet, su tibet.blogattivo.com. URL consultato il 20 marzo 2008 (archiviato dall'url originale il 29 giugno 2008).

Vicini al Governo tibetano in esilio

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Controllo di autoritàVIAF (EN262467023 · ISNI (EN0000 0001 1781 6290 · SBN CFIL003997 · LCCN (ENn2011015804 · GND (DE4060036-1 · NSK (HR000192952