Utente:Cavedagna/Storia 2
Incipit: per consiglio nel medioevo si intendeva (...)
Un consiglio nel medioevo, in particolar modo durante l'età comunale, era un organo politico presente in molte città italiane ed europee.
Storia
modificaOrigini
modificaNelle città comunali italiane, a partire dalle originarie assemblee popolari (gli arenghi, dove era chiamata a partecipare l'intera cittadinanza) col tempo iniziarono a prendere forma dei consessi politici più ristretti. Questi primitivi consigli erano composti da cittadini eletti, che per distinguersi incominciarono ad essere chiamati consiglieri.[1] Questi consigli ridotti dunque si inserirono tra le adunanze più ampie e i vertici di governo (rappresentati dai consoli) e di fatto finirono con l'esautorare la capacità politica delle assemblee plenarie.[2]
Questo processo incominciò verso la seconda metà del XII secolo e si affermò all'inizio del secolo successivo, in concomitanza con l'introduzione nei comuni del podestà come magistrato unico di provenienza forestiera, in sostituzione dei precedenti collegi consolari. Proprio grazie al nascente regime podestarile i consigli acquisirono una forte valenza rappresentativa, dal momento che queste assemblee ristrette erano rimaste di fatto l'unica espressione politica del ceto dirigente cittadino. Inoltre, nello stesso periodo vennero costruiti i primi palazzi comunali, concepiti proprio come edifici pubblici atti ad ospitare non solo le cariche di governo ma anche i diversi consigli rappresentativi.[3]
Sviluppo
modificaQueste assemblee ristrette presero forme e nomi diversi da luogo a luogo. Alcuni vennero definiti consigli del podestà poiché la sua convocazione era compito della massima carica del comune, e al tempo stesso venivano distinti dalle assemblee maggiori, dotate di una più ampia rappresentanza. In altre città invece presero il nome di consigli di credenza: nel linguaggio dell'epoca il termine indicava la segretezza delle decisioni prese al suo interno. Quando questi consigli ristretti erano convocati assieme alle assemblee più ampie si parlava invece di consigli generali.[4]
Nel corso del tempo il funzionamento di questi organi si rese man mano più complesso, lasciando al podestà la regolamentazione e la convocazione di un vasto apparato di consigli rappresentativi e ristretti che normalmente poteva coinvolgere fino a un migliaio di cittadini.[5] Il rapporto tra l'azione politica del podestà e quella dei consigli era talmente stretto e complementare che alcuni storici hanno definito la forma di governo dei comuni italiani, almeno per il primo Duecento, come "regime podestarile-consiliare".[6]
Regimi popolari
modificaCon l'affermazione in diverse città di regimi del Populus, vennero create nuove strutture politiche che andarono ad affiancarsi a quelle del "vecchio" comune. Dunque in questo periodo si potevano ritrovare più consigli nella stessa città, variamente definiti come consigli del comune, derivati dalle precedenti assisi podestarili, e consigli del popolo espressione invece del nuovo regime. Spesso questi organi erano a loro volta articolati in più livelli, con l'istituzione di consigli "maggiori", più ampi, e "minori", ovvero ristretti.[7]
Stante la proliferazione di queste assemblee, la composizione e i rapporti tra tutti questi organi rispondeva a criteri diversi, in alcuni casi non sempre chiari; in questo modo la costituzione politica delle città italiane risultava complessa e articolata, con sistemi ad esempio che possono dirsi "a cerchi concentrici", come nei casi di Orvieto e Siena nel pieno Duecento, dove dal vertice di governo si irradiavano consigli e assemblee rappresentative man mano più ampie.[8]
Il Trecento
modificaSe il Duecento aveva visto un allargamento dei consigli e dunque della vita politica cittadina, nel secolo successivo invece si verificò una inversione di tendenza. Diversi fattori, tra cui il calo demografico dovuto alla crisi del Trecento e l'acutizzazione delle tensioni intracittadine, concorsero nel restringimento della partecipazione ai consigli e nell'esautorazione delle assisi più ampie da parte dei vertici di governo.[9] Ciò accadde ad esempio in alcune città toscane, come a Firenze dove i priori iniziarono a convocare consulte semi-formali, composte da personalità scelte per la loro autorevolezza politica; a Venezia invece iniziò a radunarsi una commissione interna al Maggior Consiglio, detto Consiglio dei Pregadi poiché i suoi componenti erano pregati di consigliare il Doge.[10]
Questa crisi strutturale, che riguardò la composizione e le funzioni dei consigli, si risolse spesso in una chiusura di questi organi ai ceti più modesti della popolazione. L'esempio più evidente fu la serrata del Maggior Consiglio a Venezia, ma anche altre città come Siena virarono verso forme oligarchiche di governo. Di conseguenza, nel corso del tempo si costituì un ristretto patriziato composto dalle famiglie più influenti, dedito all'esercizio del governo anche qualora la città fosse sottomessa a principati regionali, come le città dello Stato della Chiesa o i centri urbani della Toscana sotto la Repubblica di Firenze.[11]
Tuttavia le vecchie procedure e le assemblee allargate non scomparirono del tutto: in alcuni casi le antiche tradizioni vennero ripristinate assieme agli ordinamenti di popolo, come a Bologna in seguito alla rivolta antipontificia del 1376; in molte città si ritornò a convocare le grandi assemblee plenarie, che ormai da tempo erano prive di potere politico.[12] In realtà i due fenomeni non erano del tutto in contraddizione. Da una parte le masse popolari rivendicavano le proprie posizioni, esercitando il proprio peso politico nelle grandi manifestazioni di piazza, che spesso invece potevano sfociare in rivolta;[13] Al tempo stesso, all'interno degli organi consiliari ristretti, un privilegiato ceto dirigente aveva il modo di affrontare con una raffinata capacità d'analisi questioni politiche sempre più complesse.[14]
Regimi signorili
modificaNella fase di transizione dal comune alla signoria cittadina, i consigli e gli organi assembleari ebbero una certa importanza. Nell'assumere il potere, i signori infatti cercarono di legittimarsi facendosi attribuire un titolo o un incarico da parte dei consigli comunali, i quali formalmente conservavano ancora la sovranità, pur sottomettendosi di fatto al dominio del signore. La convocazione di assemblee plenarie, spesso nelle piazze cittadine, risultava dunque un momento fondamentale nella consegna dei poteri al signore da parte delle istituzioni comunali, e più ampie erano più aumentava la facilità di manipolarle. Ciò ovviamente poteva accadere in vari modi, diversi da città a città: se a Ferrara il dominio degli Este era così forte che la proclamazione dei signori avveniva per semplice acclamazione popolare, a Bologna la signoria di Taddeo Pepoli cercò comunque di rispettare le istituzioni e le consuetudini comunali esistenti. In ogni caso, non bisogna credere che queste manifestazioni plebiscitarie di consenso alle signorie fossero del tutto sincere: spesso la convocazione dei consigli avveniva in un contesto di forti costrizioni, anche tramite minacce violente; al tempo stesso in questi momenti non mancavano forme di insofferenza o vero e proprio dissenso.[15]
Composizione
modificaFunzionamento
modificaNote
modifica- ^ Tanzini, pp. 20-22.
- ^ Franceschi, Taddei, pp. 121-122.
- ^ Tanzini, pp. 22-24.
- ^ Tanzini, pp. 24-25.
- ^ Franceschi, Taddei, p. 135.
- ^ Tanzini, p. 24.
- ^ Tanzini, pp. 57-59.
- ^ Tanzini, pp. 60-61.
- ^ Tanzini, pp. 140-146.
- ^ Tanzini, pp. 147-148.
- ^ Tanzini, pp. 155-159.
- ^ Tanzini, pp. 151-155.
- ^ Tanzini, p. 140.
- ^ Tanzini, pp. 158-162.
- ^ Tanzini, pp. 166-170.
Bibliografia
modifica- Franco Franceschi e Ilaria Taddei, Le città italiane nel Medioevo. XII-XIV secolo, Bologna, Il Mulino, 2012, ISBN 978-88-15-13825-5.
- Lorenzo Tanzini, A consiglio. La vita politica nell'Italia dei comuni, Roma/Bari, Laterza, 2014, ISBN 978-88-581-1106-2.