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==== La cinta muraria scaligera ====
{{vedi anche|Storia delle mura e fortificazioni di Vicenza#Le mura scaligere di Borgo SanPorta PietroNova}}
[[File:Porta S.Lucia-3-2.jpg|thumb|Porta Santa Lucia, vista dall'omonima contrà]]
[[File:Mura scaligere est-2.jpg|thumb|Mura scaligere in via Legione Gallieno]]
Nel XII e XIII secolo la città si arricchì ed espanse; la sua parte orientale al di là del Bacchiglione, formata da diversi piccoli borghi (San Vito, Lisiera, Roblandine, Camisano e San Pietro, secondo le denominazioni attribuite dal Castellini<ref>Silvestro Castellini, ''Storia della città di Vicenza ... sino all'anno 1630'', che si richiama ad alcuni documenti dell'archivio del monastero di San Pietro</ref>) all'inizio del Trecento era già densamente abitata, sviluppatasi in contrade sorte lungo le cinque strade che si aprivano a raggiera dal ponte ''Porsampiero''.
 
[[File:MuraMr scaligere estMazzini-23.jpg|thumb|Mura scaligere occidentali in via Legioneviale GallienoMazzini]]
Secondo il Castellini, questo borgo complessivo era delimitato e protetto da un fossato almeno dal 1182, al quale dal 1344 gli Scaligeri - dopo la disfatta loro inferta dalla coalizione veneto-fiorentina - avevano aggiunto degli spalti, cioè un terrapieno che obbligava il passaggio soltanto attraverso cinque porte (o meglio cinque varchi) intervallate da “[[Battifredo (torre)|battifredi]]”, una sorta di torri lignee di vedetta<ref>{{cita|Mantese, 1958|p. 271}}, {{cita|Barbieri, 2011|p. 97}}</ref>.
[[File:Porta S.LuciaCroce-3-21.jpg|thumb|Porta Santa Lucia, vista dall'omonima contràCroce]]
[[File:Pt S.Croce-1.jpg|thumb|La Torre di Porta Santa Croce]]
 
Dagli Statuti comunali del 1264 si ricava che a quell'epoca, a protezione dell'abitato che si stava sviluppando fuori della cinta altomedievale verso nord e verso ovest, era stata scavata una fossa, che dal Bacchiglione portava l'acqua fin nei pressi di Porta Feliciana.
Questi varchi erano - partendo dalla prima contrada orientata verso nord e continuando in senso anti-orario - la porta del borgo di San Vito o di Santa Lucia che portava alla [[Abbazia di San Vito (Vicenza)|coltura di San Vito]]; quella del borgo di Lisiera; la porta delle Roblandine, alla fine dell'attuale contrà San Domenico; quella di Camisano o delle Torricelle o di Padova, che volgeva in direzione di Padova e infine la porta di Camarzo<ref>Lo stesso toponimo del Campo Marzo, a indicare una zona ancora paludosa</ref>, posta vicino al [[Chiesa e monastero di San Pietro (Vicenza)|monastero di San Pietro]].
Lo sviluppo urbano riguardava i due borghi di Porta Nova - che da detta porta andava fino all'ospitale e alla [[chiesa di Santa Croce (Vicenza)|chiesa di Santa Croce]] - e di San Felice - che andava da Porta Feliciana all'abbazia e dove già esistevano alcuni ospitali con relative chiese<ref>Erano la chiesetta di Santa Maria Maddalena, con annesso ospedale della Misericordia costruiti probabilmte verso la metà del XIII secolo, la chiesa di San Nicolò, con un ospizio per lebbrosi che poi fu trasferito a San Lazzaro e la chiesa di San Martino, all'angolo tra la strada per Verona e l'attuale Viale Mazzini</ref>.
 
Un secolo più tardi gli Scaligeri, nell'estremo tentativo di consolidare il territorio rimasto ancora sotto il proprio dominio, maturarono l'idea di fortificare la zona di nuova espansione ma, data l'estensione complessiva della zona e la necessità di restringere l'area da difendere, decisero l'abbandono di borgo San Felice che, a parte le chiese e gli ospitali, fu raso al suolo<ref>Questa drastica operazione spiega il ritardo nello sviluppo del borgo, che giunse molto più tardi in avanzata fase del dominio veneziano, quando ormai cioè non vi erano più ragioni militari a limitarlo. {{cita|Barbieri, 2011| pp. 115-16}}</ref>.
Per evitare un ulteriore rischio di disastrose devastazioni, avvenute in questo borgo durante le guerre con i padovani, intorno al 1370 [[Cansignorio della Scala]], ''insospettito dalla discordia insorta tra i veneziani e Francesco di Carrara, così vicini al suo stato, fece maggiormente fortificare la città di Vicenza, e cinse le mura di tutto il borgo di San Pietro, che era solamente difeso da una gran fossa e da un terrapieno; e invece di una porta che era al ponte degli Angeli ne fece fare tre ...''<ref>Così scrive il Castellini, {{cita|Giarolli, 1955|p. 507}}</ref>, lasciando appunto solo tre porte - Santa Lucia, Padova e Camarzo - e facendo chiudere quelle delle Roblandine e di Lisiera. Un paio di secoli più tardi, nel 1560, le monache di San Pietro fecero chiudere anche la Porta di Camarzo<ref>{{cita|Mantese, 1958| pp. 371-72}}</ref>.
 
Non è chiaro quando iniziarono i lavori di costruzione del fortilizio della Rocchetta, che precedettero quelli di edificazione di Porta Santa Croce - il cui nome fu mutuato dalla vicina chiesa dei Crociferi - e del nuovo tratto di mura che raccordava le due rocche, che molto probabilmente fu costruito lungo la fossa già esistente. Per racchiudere il nuovo borgo, infine, furono costruiti gli ultimi due tratti che raccordavano la nuova cortina alla cinta medioevale. A nord le mura da Porta Santa Croce seguivano per un tratto la riva destra del Bacchiglione (fino al punto in cui in seguito fu costruito il Ponte Novo) per proseguire quindi lungo l'attuale contrà Mure Carmini e agganciarsi alle mura altomedievali presso la primitiva Porta Nova. A sud, dalla Rocchetta le mura puntavano verso il Castello e si collegavano a quelle più antiche, più o meno dove oggi si trova la salita di contrà ''Ponte dele Bele''.
La nuova cinta muraria iniziava a poche decine di metri dall'attuale ponte degli Angeli sulla riva sinistra del Bacchiglione, continuava sul lato esterno di contrà Torretti (il cui toponimo ricorda le piccole torri che scandivano il decorso delle mura<ref>{{cita|Giarolli, 1955|p. 506}}</ref>) e per contrà Mure Araceli, dove si apriva la Porta Santa Lucia. Di qui senza interrompersi proseguiva all'esterno delle contrà Mure Santa Lucia, Mure San Domenico e Mure Porta Padova. Nel punto in cui quest'ultima stradina - ora interrotta - sboccava in contrà Porta Padova, si ergeva l'omonima porta, della quale ora rimane un modesto rudere poco prima dell'incrocio con viale Margherita. Il muro è ancora discretamente conservato fino all'incrocio con contrà San Pietro, dove si ricollegava con il Bacchiglione - che, a quel tempo, formava un'ansa verso est, scorrendo praticamente parallelo all'attuale via Nazario Sauro - e si apriva la Porta di Camarzo. La lunghezza complessiva della cinta era di circa 1220&nbsp;m.
 
La lunghezza complessiva della nuova cinta era di 1680&nbsp;m.
 
Il nuovo tratto racchiudeva così un'area non ancora abitata che, per volontà di [[Antonio della Scala]], fu dotata di un tracciato viario ad assi ortogonali, con isolati regolari di notevoli dimensioni, che lasciava ampie fasce inedificate a protezione del perimetro difensivo. Nel tempo, dentro al recinto si sviluppò un'edilizia privata non molto intensiva, allineata lungo le strade e che lasciava larghi vuoti interni di orti e giardini, in una dignitosa uniformità piuttosto aliena da esiti monumentali e intervallata da frequenti e imponenti complessi di Ordini religiosi<ref>{{cita|Barbieri, 2011| p. 118}}</ref>.
 
La costruzione delle mura comportò alcune modifiche al percorso del Bacchiglione e della roggia Seriola - che divennero i fossati di completamento - e rispettò l'integrità della vecchia cinta. Questo fatto mantenne l'identità del nucleo storico cittadino, al punto che le nuove inclusioni furono ancora chiamate, dagli storici locali come nel linguaggio corrente, i ''borghi'' della città.
 
; La Porta Nova
 
La nuova cinta del borgo, però, rendeva difficile l'ingresso e l'uscita dalla città, dato che aveva solo due porte: Santa Croce e Porta Castello. Intorno al 1392, accogliendo una supplica dei vicentini, [[Gian Galeazzo Visconti]] concesse loro di aprire una terza porta vicino alla Rocchetta, chiamata anch'essa Porta Nova come la prima - vicina alla [[Chiesa di San Lorenzo (Vicenza)|chiesa di San Lorenzo]], porta dalla quale aveva ricevuto questo nome il borgo - e che in seguito venne chiamata il ''portone di Porta Nova''<ref>{{cita|Mantese, 1958| pp. 372-74}}; {{cita|Barbieri, 2011| p. 125}}</ref>.
 
Dalla relazione che, agli inizi del Novecento quando ormai si parlava di demolirla, ne fece l'ingegnere Vittorio Saccardo, appare che: ''la sua struttura murale era veramente ammirabile, tanto per la qualità e la lavorazione dei materiali, quanto per l'accuratissima esecuzione. Era anche fortissima. L'alta mole merlata era protetta, all'esterno, dalla fossa larga e profonda, nella quale si immetteva l'acqua della Seriola; ponti levatoi e solide imposte di quercia erano all'entrata principale esterna e alla postierla; imposte di quercia e saracinesca, con sovrastanti piombatoi, proteggevano l'entrata interna; infine, a completare la difesa, ergevasi, di fianco alla porta, un'altra, formidabile torre''<ref>Citato da {{cita|Giarolli, 1955| pp. 366-67}}</ref>
 
;Percorso (con riferimento alla toponomastica attuale)
 
Questa parte della cinta rappresenta ancora, nonostante le passate manomissioni, il più consistente e integro resto delle fortificazioni cittadine e, a buona ragione, viene valorizzata nel tratto esterno di viale Mazzini, dove il marciapiedi ricopre la fossa della Seriola ormai colmata e delimita il largo prato che costituiva in antico la ''Piarda delle Rason Vecchie''<ref>''Rason Vecchie'' era il nome del Demanio Veneto</ref>. Caratteristica è la struttura del muro di pietre listato con mattoni - tipica tradizione scaligera -ogni 75–80&nbsp;cm.: in questa cortina fu introdotta l'innovazione della ''torre pentagonale a puntone'' - frutto dell'architettura militare trecentesca nel Veneto - che offriva una miglior difesa contro il fuoco della nascente artiglieria.
 
La Porta di Santa Croce, in particolare, fiancheggiata a est da una torre e quasi intatta nell'interna “corte d'arme”, resta ormai unico esempio della tipologia fortificatoria scaligera, data anche la totale scomparsa delle porte coeve di Verona<ref>Sono qui ancora visibili, attorno alle aperture d'accesso, gli ''sfondati'' nella muratura destinati ad accogliere, quando alzati, i ponti levatoi: e di essi, recenti scavi hanno scoperto le strutture di appoggio, quando abbassati. Sopra, si ritagliano le sedi, lunghe e strette, per i due paralleli ''bolzoni'' in legno, leve del passaggio carraio, nonché per la ''forcola'' in ferro, leva della passerella pedonale. {{cita|Barbieri, 2011| pp. 119-20}}</ref>.
 
Partendo da contrà Ponte delle Bele, la cinta muraria resta sempre a sinistra di contrà Mure Porta Nova, dove il muro è stato demolito negli anni cinquanta del secolo scorso, per far posto ai padiglioni di esposizione della fiera campionaria. Qui, all'incrocio con l'omonima contrà, c'era la Porta Nova che, ridotta in cattivo stato, nel luglio 1926 venne fatta saltare in aria mediante una carica di esplosivo<ref>{{cita|Barbieri, 2011| p. 123}}</ref>.
 
Il muro prosegue per contrà Mure della Rocchetta, fino ad arrivare al fortilizio. Di lì, piegando ad angolo retto verso nord, continua per contrà Mure San Rocco e Mure Corpus Domini fino a Porta Santa Croce. Da questa porta le mura - ora sostituite dalle case di contrà del Borghetto - seguivano il corso del Bacchiglione fino a Ponte Novo, per puntare poi verso il centro lungo contrà Mure Carmini e contrà Beccariette, fino ad innestarsi presso la Porta Nova, che si trovava dove oggi si incrociano corso Fogazzaro e contrà Pedemuro San Biagio.
 
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File:Scaligere ovest-3.jpg|Mura scaligere occidentali in contrà Mure Carmini
File:Scaligere ovest-1.jpg|Mura scaligere occidentali in viale Mazzini
File:Scaligere ovest-2.jpg|Mura scaligere occidentali in viale Mazzini
File:Mr scaligere Mazzini-6.jpg|Mura scaligere occidentali
File:S.Croce-5b.jpg|Porta Santa Croce
File:S.Croce-6.jpg|Tratto di mura scaligere presso Porta Santa Croce
File:Porta S.Croce-3.jpg|Porta Santa Croce
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; La Seriola e il Bacchiglione a protezione delle mura occidentali
 
Nel punto in cui le nuove mura intercettavano la [[roggia Seriola]], poco a sud di Santa Croce, fu creata una derivazione<ref>Il fatto venne raccontato dal cronista [[Conforto da Costozza]] nei suoi ''Frammenti di storia vicentina'' e descritto nelle mappe del Cinquecento</ref> per far scorrere l'acqua a fianco della cinta, aggirare la Rocchetta - dove un'ulteriore derivazione consentiva di isolare completamente il fortilizio - e continuare, sempre seguendo le mura, fino al Castello<ref>{{cita|Sottani, 2012| pp. 237-41}}</ref>.
 
Sul lato orientale, invece, la cinta era protetta da una piarda triangolare, che si era creata tra la vecchia e la nuova cinta e il Bacchiglione.
 
=== Età moderna ===