Guerre romano-persiane
Per guerre romano-persiane si intende quel complesso di ostilità a bassa o alta intensità che oppose l'Impero romano ai Persiani, Parti prima, Sasanidi poi. Per quasi sette secoli dopo la prima battaglia avvenuta tra i due imperi a Carre nel 53 a.C., Roma non perse l'occasione per combattere in una lotta lungo il fiume Eufrate, dalle sue sorgenti fino in Mesopotamia ed al deserto palmireno. Alla fine i due antagonisti, indebolitisi reciprocamente, furono entrambi sconfitti (l'impero bizantino) o totalmente inglobati (Sasanidi) dal nascente impero arabo.[1]
| Guerre romano-persiane | |
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Contro i Parti (92 a.C.—224)
Dal primo incontro tra Silla e Mitridate II, fino a Fraate III (92-60 a.C.)
Nel 92 a.C. si assistette ad un avvenimento storico per quell'epoca. La Repubblica romana ed il grande Impero dei Parti vennero a contatto in modo del tutto pacifico. Una delegazione inviata dal sovrano parto, Mitridate II, si incontrò sulle rive dell'Eufrate con Lucio Cornelio Silla. Questo primo incontro fissò sull'Eufrate il confine tra i due imperi. Un curiosità di quell'incontro fu che Silla cercò, anche in quella circostanza, di affermare la preminenza di Roma sulla Partia, sedendosi fra il rappresentante del Gran Re ed il re di Cappadocia, come se desse udienza a dei vassalli. Una volta venuto a conoscenza dell'accaduto, il re dei Parti fece giustiziare colui che lo aveva così maldestramente sostituito all'incontro con il generale romano.
Nel decennio 70-60 a.C. il nuovo re dei Parti, Fraate III, approfittando della guerra tra Roma ed il Regno del Ponto ed Armenia, riuscì ad annettere diversi territori perduti in precedenza. Fece, però, l'errore di appoggiare Tigrane II contro il generale romano, Lucio Licinio Lucullo, e per poco non scatenò una guerra contro Roma, se le legioni romane non si fossero rifiutate di seguire il loro generale.
Fraate III reclamò i possedimenti perduti al re d'Armenia, Tigrane II, che era stato aiutato militarmente dal sovrano dei Parti, ma non ottenendoli decise di impugnare le armi. La guerra fu scongiurata dall'intervento tempestivo di Gneo Pompeo Magno, giunto da poco in Oriente, e che riuscì a pacificare l'intera area (63-62 a.C.).
Crasso in Oriente (54-53 a.C.)
In seguito al rinnovo del patto di collaborazione tra i tre componenti del primo triumvirato (nel 54 a.C.), vale a dire Gneo Pompeo Magno, Gaio Giulio Cesare e Marco Licinio Crasso, a quest'ultimo toccò l'Oriente. Succedeva ad un certo Aulo Gabinio, governatore della Siria, che nel 56 a.C. fu fermato dal Senato poco prima che invadesse la Mesopotamia dei Parti. Gabinio era stato "invitato" ad intervenire nella disputa tra gli eredi al trono del sovrano dei Parti, Fraate III, morto nel 57 a.C. Egli avrebbe dovuto sostenere Mitridate III di Partia, contro il fratello Orode II, se non fosse stato fermato poco prima di attraversare l'Eufrate. Sarebbe stato il primo vero conflitto militare tra i due imperi.
Una volta succeduto a Gabinio, Crasso, animato dal desiderio di gloria e di successi militari, decise di riprendere il progetto di "intervento" contro i Parti e muovendogli guerra, con la prospettiva di spingersi sulle orme di Alessandro Magno, fino in India. Crasso, però, che non aveva le capacità militari né di Pompeo né di Cesare, e soprattutto non si era sufficientemente documentato sulle caratteristiche geofisiche del territorio nemico, e sulle formidabili tattiche usate dalla temibile cavalleria dei Parti. Per questi motivi andò incontro ad un disastro annunciato, paragonabile solo alla disfatta di Canne. A Carre, nel 53 a.C., egli fu infatti sconfitto ignominiosamente e pesantemente dal generale parto di Orode II, dal titolo di Surena. L'intera armata romana, composta da 7 legioni (30/32.000 legionari) e 4.000 cavalieri fu completamente annientata, mentre la Siria romana, privata di gran parte dei suoi difensori da questa sconfitta, si trovò a doversi difendere dall'invasione partica ed a stento riuscì a resistere nel 52 a.C.[2].
L'anno successivo fu raccolto un esercito imponente da Orode II ed inviato, sotto l'altro comando dell'erede al trono, Pacoro I, fin sotto le mura di Antiochia. Qui però furono respinte fino all'arrivo del proconsole Marco Calpurnio Bibulo. La prima guerra tra Roma ed i Parti terminava nel 50 a.C. quando Orode II richiamò il figlio Pacoro dalla Siria.
Cesare programma la conquista della Partia (44 a.C.)
Gaio Giulio Cesare stava programmando, poco prima di morire, due campagne militari: in Dacia contro le popolazioni getiche di Burebista ed in Partia.[3] Questi due popoli certamente rappresentavano un nemico potenziale per il mondo romano,[4] comunque da non sottovalutare. Una guerra di tale portata, certamente non difensiva, nasceva però anche dalla sua brama di conquistare il mondo, ora che si sentiva invincibile, o dal desiderio di emulare il Grande Alessandro conquistando tutto l'Oriente, o più semplicemente per vendicare la scomparsa dell'amico Marco Licinio Crasso.[5] Ecco come descrivono il suo progetto di conquista alcuni storici antichi:
Gia a partire dall'autunno del 45 a.C. ebbero inizio intensi preparativi per la guerra[6], stabilendo inoltre i mandati politici delle magistrature più importanti per il periodo della sua progettata assenza.[7] Ad Apollonia andavano concentrandosi ben 16 legioni e 10.000 cavalieri[8] e la campagna militare doveva iniziare in primavera del 44 a.C., tre giorni dopo le famose idi di marzo. Ma Cesare fu ucciso e questo progetto gigantesco poté essere ripreso pochi anni più tardi, senza successo, da Marco Antonio, e in parte completato da Traiano, a cui si dovrà la conquista della Dacia e le campagne contro i Parti in Mesopotamia.
Campagne partiche di Marco Antonio (40-33 a.C.)
Con la riconciliazione e spartizione della Repubblica romana tra Ottaviano, Marco Emilio Lepido (triumviro) e Marco Antonio nel 40 a.C., a quest'ultimo toccò l'Oriente. Tutti i territori da Scodra, città dell'Illirico fino alle rive dell'Eufrate gli appartenevano[9].
Marco Antonio, impegnato a districarsi a Roma nelle questioni sentimentali con Fulvia la prima moglie, Cleopatra ed Ottavia minore, la nuova moglie e sorella di Ottaviano, inviò in avanscoperta in Oriente (nel 39 a.C.), un certo Publio Ventidio Basso per contrastare le recenti incursioni dei Parti di Orode II in Siria, tra i quali si era rifugiato, dopo la battaglia di Filippi del 42 a.C., anche il figlio di Tito Labieno, Quinto Labieno.
Ventidio percorsa l'Asia romana venne a contatto con le armate di Quinto Labieno e dei Parti, che riuscì a battere nei due anni successivi di campagne (nel 39 e 38 a.C.).[10]
In seguito ai successi romani, il vecchio Orode II fu assassinato dal figliastro Fraate IV, che saliva al trono con il nome di Arsace XV, mentre i Parti furono costretti a riportare il confine al fiume Eufrate, rinunciando così alle sponde del Mar Mediterraneo.
Marco Antonio giunto in Oriente alla fine del 38 a.C. cominciò a programmare una campagna di proporzioni colossali che prese le mosse da Zeugma in Siria nel 36 a.C.. L'esito finale fu però un totale insuccesso. Dei 100.000 armati che presero parte alla spedizione (di cui ben 60.000 legionari) tornarono in Siria solo 30.000 legionari e 5/6000 cavalieri iberi/celti.[11]
E mentre Ottaviano otteneva successi in Occidente, con la sconfitta di Sesto Pompeo a Nauloco nel 36 a.C. e le vittoriose campagne sugli Illiri nel 35-34 a.C., Antonio, che aveva subito una grave sconfitta contro i Parti, in un sussulto di orgoglio, decise di regolare prima i conti con il re d'Armenia, Artavaside II, reo di averlo abbandonato nel corso della campagna del 36 a.C. e poi di riprendere la campagna contro i Parti.
Marciò rapidamente sulla capitale armena, Artaxata, e depose il re che lo aveva tradito. Quanto al re dei Medi che da poco si era scontrato con i re dei Parti, a causa della ripartizione del bottino romano dopo la spedizione del 36 a.C., Antonio si accontentò di stringere con lo stesso un trattato di alleanza (con il fidanzamento del figlio Alessandro con la figlia del re dei Medi, Iotape), in vista di una possibile nuova invasione della Partia da nord, discendendo il fiume Tigri dai monti della Media.
Soddisfatto della campagna di quest'anno, lasciò il grosso delle truppe in Armenia e se ne ritornò in Egitto da Cleopatra per celebrare il trionfo, ma cosa inaudita, sfilò per le strade di Alessandria e non per quelle di Roma.
Antonio con questo gesto simbolico aveva decretato la definitiva scissione tra l'Oriente ellenico e l'Occidente romano. Ciò provocò la rottura definitiva con Ottaviano, che lo fece dichiarare nemico pubblico della Repubblica e del popolo romano. Era l'inizio della guerra civile che avrebbe portato alla fine di Antonio e Cleopatra con la battaglia di Azio del 31 a.C..
Parti e principato augusteo: nuovi equilibri politico-militari (23 a.C.-14)
Augusto recupera le insegne di Crasso (20 a.C.)
Nel 23 a.C., poco dopo l'invio di Marco Vipsanio Agrippa in Oriente in qualità di vice reggente dello stesso imperatore Augusto, arrivarono a Roma ambasciatori del re dei Parti chiedendo gli fossero consegnati sia Tiridate II, ex sovrano parto (che si era rifugiato a Roma dal 26 a.C.), sia il giovane figlio del nuovo re, Fraate. Augusto, pur rifiutandosi di consegnare il primo, che poteva tornargli ancora utile in futuro, decise di liberare il figlio del re Fraate IV, a condizione che le insegne di Marco Licinio Crasso ed i prigionieri di guerra del 53 a.C. fossero restituiti allo Stato romano.[12]
In Armenia, nel frattempo, regnava una divisione cronica fra i nobili: il partito filoromano aveva inviato ad Augusto un'ambasceria per chiedere un processo contro il re Artaxias II, la sua deposizione e la sostituzione al trono di Armenia del fratello minore, Tigrane III, che era vissuto a Roma dal 29 a.C. Al termine del 21 a.C., Augusto ordinò al figliastro Tiberio, che aveva allora ventuno anni, di condurre un esercito legionario dai Balcani in Oriente,[13] con il compito di porre sul trono armeno Tigrane II, e recuperare le insegne imperiali.
Lo stesso Augusto si recò in Oriente. Il suo arrivo e l'avvicinarsi dell'esercito di Tiberio produssero l'effetto desiderato sul re dei Parti. Di fronte al pericolo di un'invasione romana che avrebbe potuto costargli il trono, Fraate IV decise di cedere e, pur rischiando di scontentare il suo stesso popolo, restituì le insegne ed i prigionieri romani ancora in vita. Augusto fu proclamato per la nona volta imperator.[14] La restituzione delle insegne e dei prigionieri fu un successo diplomatico paragonabile alle migliori vittorie ottenute sul campo di battaglia.
Augusto, che aveva così deciso, al momento di recuperare le insegne perdute a Carre, di abbandonare la politica aggressiva che Cesare ed Antonio avevano condotto in Oriente, riuscì a stabilire relazioni amichevoli con il vicino impero dei Parti. Egli avrebbe potuto vendicare la sconfitta ed il tradimento subiti da Crasso nel 53 a.C. Al contrario, ritenne opportuna una coesistenza pacifica dei due imperi, con l'Eufrate come confine dei reciproci domini.
Il tenativo di sottomettere la Partia avrebbe richiesto un notevole impiego di uomini e mezzi finanziari, oltre alla possibilità di spostare il baricentro dell'impero, dal Mediterraneo più ad oriente, ora che Augusto era intenzionato a concentrare i propri sforzi sul fronte Europeo. Le relazioni tra i Parti dipendevano, pertanto, più dalla diplomazia che dalla guerra. Solo in Oriente Roma si trovava di fronte ad un'altra grande "superpotenza dell'antichità classica", anche se non paragonabile alla forza e dimensioni di quella romana.
I rapporti di amicizia instaurati tra Roma ed i Parti favorirono, infine, il partito filoromano della vicina Armenia, e prima che Tiberio raggiungesse l'Eufrate, Artaxias II fu assassinato dai suoi stessi cortigiani. Tiberio, entrato nel paese senza incontrare resistenza ed in presenza delle legioni, pose solennemente il diadema regale sul capo di Tigrane III, ed Augusto poté annunziare di aver conquistato l'Armenia, pur astenendosi dall'annetterla[15].
Seconda crisi partica sotto Augusto (1 a.C.-4)
Nell'1 a.C., Artavaside III, re d'Armenia filo-romano, fu eliminato dall'intervento dei Parti e dal pretendente al trono Tigrane IV. Questo fu un grave affronto al prestigio romano. Augusto, non potendo più contare sulla collaborazione di Tiberio (ritiratosi in ritiro volontario a Rodi) e di Agrippa ormai morto da olte un decennio, oltre ad essere egli stesso troppo vecchio per intraprendere un altro viaggio in Oriente, decise di inviare il giovane nipote Gaio Cesare a trattare la questione armena, conferendogli poteri proconsolari superiori a quella di tutti i governatori provinciali d'Oriente. Ad accompagnarlo fu mandato insieme a lui anche Marco Lollio, che aveva fatto esperienza in Oriente alcuni anni prima, al momento di dover riorganizzare la neo provincia di Galazia.
Gaio Cesare raggiunse la Siria agli inizi dell'1 e qui iniziò il suo consolato. Quando Fraate V, re di Partia, venne a conoscenza della missione del giovane principe, ritenne sarebbe stato più conveniente negoziare, piuttosto che affrontare la crisi con durezza, rischiando una nuova guerra. Egli chiese, in cambio della sua disponibilità a trattare, il ritorno dei suoi quattro fratellastri che abitavano a Roma e che costituivano una potenziale minaccia alla sua futura sicurezza. Augusto, ovviamente, non poteva che rifiutarsi di cedere famigliari così importanti per la causa orientale. Al contrario gli intimò di lasciare l'Armenia.
Fraate V si rifiutò di lasciare il controllo dell'Armenia nelle mani dei Romani, e continuò a mantenerne la sua supervisione sopra il nuovo re, Tigrane IV, il quale, però, mandò a Roma alcuni ambasciatori con doni, riconoscendo ad Augusto la potestà sul suo regno, e chiedendogli di lasciarlo sul trono. Augusto, soddisfatto di questo riconoscimento, accettò i doni, ma chiese a Tigrane di recarsi presso Gaio in Siria per trattare la sua possibile permanenza sul trono d'Armenia. Il comportamento di Tigrane III indusse Fraate V a cambiare idea, costringendolo a venire a patti con Roma. Rinunziò alle sue pretese di veder tornare i suoi fratellastri, e si dichiarò pronto a porre fine ad ogni interferenza in Armenia.
Questo stesso anno venne concluso un patto tra il il principe romano Gaio Cesare, ed il gran re dei Parti, in territorio neutrale su di un'isola dell'Eufrate, riconoscendo ancora una volta questo fiume come confine naturale fra i due imperi[16]. Tale incontro sanciva il reciproco riconoscimento tra Roma e la Partia, di Stati indipendenti con uguali diritti di sovranità. Prima di accomiatarsi, il sovrano parto Fraate V, informò Gaio che Marco Lollio aveva abusato del suor ruolo ed aveva accettato compensi da potenti re di stati orientali. L'accusa era vera e Gaio, dopo aver esaminato le prove, allontanò Lollio dal suo seguito. Pochi giorni dopo Lollio morì, probabilmente suicida, e venne sostituito nel ruolo di consigliere del principe da Publio Sulpicio Quirinio, soprattutto per le sue doti militari ed esperienze diplomatiche maturate nella precedente carriera.
Nel frattempo Tigrane IV era stato ucciso nel corso di una guerra, forse fomentata dai nobili armeni antiromani, contrari alla sottomissione a Roma. La morte di Tigrane fu seguita dall'abdicazione di Erato, sua sorellastra e moglie, e Gaio, in nome di Augusto, diede la corona ad Ariobarzane, già re della Media dal 20 a.C. Il partito antiromano, rifiutandosi di riconoscere Ariobarzane quale nuovo re d'Armenia, provocò disordini ovunque, costringendo Gaio Cesare ad intervenire direttamente con l'esercito. Il principe romano, poco prima di attaccare la fortezza di Artagira (forse vicino a Kagizman nella valle del fiume Arasse), fu invitato ad un colloquio con il comandante del forte, un certo Addon, il quale sembra volesse rivelargli importanti dettagli sulle ricchezze del re dei Parti. Ciò si rivelò, però, una trappola, poiché al suo arrivo Addon e le sue guardie tentarono di uccidere il principe romano, che riuscì a sopravvivere all'agguato pur rimanendo ferito gravemente.
Il forte fu, in seguito a questi fatti, assediato ed espugnato dopo una lunga resistenza e la rivolta fu sedata, ma Gaio non si rimise più dalla ferita. Morì due anni più tardi, nel 4 d.C. in Licia. Questo fu il tragico epilogo di anni di trattative, che portarono ad un nuovo modus vivendi tra la Partia e Roma, e dove quest'ultima stabiliva la sua supremazia sull'importante stato armeno.
Patto di non aggressione reciproco: da Tiberio a Domiziano (14-96)
Appena insediatosi sul trono, Tiberio dovette fronteggiare una nuova crisi partica. Vonone I, dopo aver regnato sul trono dei Parti (7-11) e poi armeno per oltre un quinquennio (11-18), aspirava a tornare sul prestigioso trono parto, ma il nuovo re lo costrinse a rifugiarsi in territorio romano, ad Antiochia di Siria, sotto la protezione del governatore Cretico Silano e forse d'accordo con il nuovo imperatore romano.[17] In seguito Vonone cercò rifugio in Cilicia, dove morì nel tentativo di fuga (nel 19), ucciso dalle sue stesse guardie.
Offensive romane del II-inizi III secolo: fine della dinastia dei Parti
Le campagne di Traiano (114-117)
Nel 113, Traiano decise di procedere all'invasione del regno dei Parti. Il motivo era la necessità di ripristinare sul trono d'Armenia un re che non fosse un fantoccio nelle mani del re parto. La verità è che Traiano progettava questa campagna da diversi anni, sulle orme del grande Alessandro e della progettata ma mai realizzata spedizione di Cesare di 150 anni prima. Egli per prima cosa marciò sull'Armenia, depose il re e la annesse all'Impero romano. L'anno successivo le sue armate passarono l'Eufrate dalla Siria, e discesero il Tigri dagli altopiani armeni, e si diressero a sud contro la Partia stessa. Numerose importanti e ricche città furono conquistate come l'antica Babilonia, Seleucia e la capitale, Ctesifonte nel 116. Egli continuò, pertanto, verso sud fino al Golfo Persico, ma desistette dal continuare lamentandosi di essere troppo vecchio per seguire le orme di Alessandro Magno, e dopo aver appreso dello scoppio di nuovi disordini tra gli Ebrei (vedi seconda guerra giudaica). Rientrato in Siria decise di annettere i nuovi territori creando le due nuove province di Mesopotamia e Assiria. La salute malferma, gli anni chiusero questo primo capitolo di offensive romane in territorio partico l'anno seguente nel 117 con la sua morte. Il successore, Publio Elio Traiano Adriano, decise al contrario di ripristinare lo status quo precedente ai primi scontri e riportò i confini imperiali lungo il fiume Eufrate.
Le campagne di Lucio Vero (162-166)
Tra il 163 ed il 166 Lucio Vero fu costretto dal fratello, Marco Aurelio a condurre una nuova campagna in Oriente contro i Parti, che l'anno precedente avevano attaccato i territori romani di Cappadocia e Siria. Il nuovo imperatore lasciò che fossero i suoi stessi generali ad occuparsene, tra cui lo stesso Avidio Cassio (che riuscì ad usurpare il trono imperiale, anche se solo per pochi mesi, dieci anni più tardi nel 175). Le armate romane, come cinquant'anni prima quelle di Traiano, riuscirono anche questa volta ad occupare i territori fino alla capitale dei Parti, Ctesifonte. La peste scoppiata durante l'ultimo anno di campagna, nel 166, costrinse i Romani a ritirarsi dai territori appena conquistati, portando questa terribile malattia all'interno dei suoi stessi confini, e flagellandone la sua popolazione per oltre un ventennio.
Le campagne di Settimio Severo e Caracalla (194-217)
Il nuovo imperatore, Settimio Severo, che sosteneva di essere fratello dell'imperatore Commodo, trucidato nel 192, intraprese una nuova guerra contro i Parti in due riprese. La prima fu condotta dal 197 al 198 al termine della quale ricostituì la provincia di Mesopotamia ponendovi a presidio due delle tre nuove legioni appena create (la legio I e la III Parthica), sotto la guida di un prefetto di rango equestre. La seconda campagna fu condotta dal 201 al 202. Durante questa guerra i suoi soldati saccheggiarono nuovamente la capitale dei Parti, Ctesifonte e per questi successi si meritò l'appellativo di Adiabenicus e Parthicus maximus.[18]
Contro i Sassanidi (224-627)
Le ripetute disfatte subite dai Parti da parte degli imperatori romani del II secolo, generarono discredito sulla dinastia arsacide, alimentando un movimento nazionale all'interno dell'attuale Iran. E così nel 224 un nobile persiano, di nome Ardashir I, messosi a capo di una rivolta, riuscì a porre fine al regno dei Parti. La nuova dinastia dei Sassanidi, che si dice discendesse dagli Achemenidi, sostituì una dinastia più tollerante, con una centralista, altamente nazionalista e impegnato in una politica di espansione imperialistica.[19]
Alessandro Severo contro Ardashir I (230-232)
Nel 230, nonostante una soluzione diplomatica offerta dall'imperatore romano Alessandro Severo, i Persiani penetrarono in Mesopotamia cercando senza riuscirvi di conquistare Nisibi e compirono diverse incursioni in Siria e Cappadocia. I Romani organizzarono allora una spedizione, col supporto del regno d'Armenia, e invasero la Media (oggi Hamadan, Iran) nel 232 puntando alla capitale Ctesifonte, già diverse volte catturata al tempo dei Parti. Ardashir riuscì a respingere l'assalto a prezzo di numerose perdite, il che lo convinse a mettere da parte temporaneamente le sue mire sulla costa mediterranea, e a concentrarsi nel consolidamento del suo potere a oriente.
Anarchia militare romana e nuova dinastia sasanide (235-260)
La pressione dei barbari alle frontiere settentrionali e contemporaneamente dei Sassanidi in Oriente, non solo si era intensificata, ma dava l'idea che l'impero fosse così accerchiato.[20] Molti degli imperatori che vennero via via proclamati dalle legioni in questi venticinque anni, non riuscirono neppure a metter piede a Roma, né tanto meno a mettere mano a riforme interne durante i loro brevissimi regni, poiché permanentemente occupati nelle lotte contro altri pretendenti al trono imperiale o a difesa del territorio contro i nemici esterni.
Prima offensiva di Sapore I e controffensiva romana (236-244)
Il primo sovrano sasanide fu Ardashir I, che in una serie di campagne attaccò la Mesopotamia (236) e conquistò Nisibis (237), Carre (238), Doura Europos (239) e Hatra (241), sfruttando il fatto che l'impero romano era impegnato lungo il fronte settentrionale dai continui e martellanti attacchi delle popolazioni germaniche di Goti ed Alamanni (a tal proposito si veda anche Invasioni barbariche del III secolo) e dalle continue guerre interne per tra i pretendenti al trono imperiale. E sempre nel 241 associò al potere il figlio, Sapore I.
L'imperatore romano Gordiano III decise di riprendersi i territori persi, e iniziò la campagna contro Sapore nella primavera del 243, quando questi era occupato a soggiogare le popolazioni sul Mar Caspio. L'esercito romano era guidato dall'imperatore, anche se il comando effettivo fu affidato al suocero e prefetto del pretorio Timesiteo. Cosa curiosa è che tra le file dell'esercito romano vi era un discreto numero di gentiles (volontari mercenari o foederati che provenivano da fuori dei confini imperiali), del popolo dei Goti e dei Germani del fronte renano.[21] I Romani attraversarono l'Eufrate a Zeugma, riconquistando le città di frontiera di Carre ed Edessa, e si scontrarono con Sapore nella battaglia di Resena, sconfiggendolo. In seguito, l'esercito romano mosse su Nisibis e Singara, riprendendole, per poi tornare indietro e puntare sulla capitale sassanide di Ctesifonte.[22] Il corso della guerra cambiò in questo momento: Timesiteo, vero vincitore della battaglia di Resena, morì, forse di malattia, venendo sostituito da Filippo l'Arabo.[23] A metà febbraio 244, i due eserciti si incontrarono ancora, a Mesiche, non lontano da Ctesifonte: questa volta fu Sapore a vincere.[24] Gordiano morì molto probabilmente assassinato dai suoi uomini dietro istigazione di Filippo,[25] il quale divenne il nuovo imperatore (la rapidità con cui accettò l'incarico fece sospettare che fosse in qualche modo coinvolto nella morte di Gordiano).
Per ottenere la pace da Sapore, e portare il proprio esercito fuori dal territorio nemico, Filippo dovette accettare un trattato molto oneroso: un pagamento di 500.000 monete d'oro e la promessa di non intervenire più nella politica armena. Rimasero, però, sotto il controllo imperiale romano parte della Mesopotamia fino a Singara, al punto che Filippo si sentì autorizzato a fregiarsi del titolo di Persicus maximus.[26]
Seconda offensiva di Sapore I e sconfitta di Valeriano (253-260)
Sotto l'impero di Treboniano Gallo (251-253) i Sassanidi tornarono ad impossessarsi dell'Armenia, uccidendone il sovrano regnante ed espellendone il figlio (252). L'anno seguente Sapore I riprese una violenta offensiva contro le province orientali dell'impero romano. Le truppe persiane occuparono la provincia della Mesopotamia[27] e si impossessarono della stessa Antiochia, dove razziarono un ingente bottino e trascinarono con sé numerosi prigionieri (253). Questa invasione avveniva contemporaneamente ad un'altra grande incursione proveniente al di là del Danubio e del Ponto Eusino da parte dei Goti (a tal proposito si veda Invasioni barbariche del III secolo).[28]
Ancora nel 256,[29] fino al 259-260, gli eserciti di Sapore I, sottraevano importanti roccaforti al dominio romano in Siria,[30] tra cui Carre, Nisibi (?254), Doura Europos (tra il 255 ed il 258) e la stessa Antiochia (?256).[31] L'imperatore Valeriano fu costretto ad intervenire, riuscedno a riconquistare la capitale della Siria, Antiochia l'anno successivo (257). La campagna proseguì con buoni risultati contro i Persiani fino a tutto il 259. Giunto ad assediare Edessa con grandi difficoltà (qui i Romani avevano avuto notevoli perdite anche a causa di una pestilenza dilagante), e recatosi ad un incontro con il re persiano, sembra fu fatto prigioniero a tradimento nell'aprile-maggio del 260.[32]
Il figlio, Gallieno, trovandosi in quello stesso periodo a dover combattere lungo il fronte del basso Danubio contro i Goti, dovette rinunciare a compiere una ulteriore spedizione per liberare il padre.[33] Egli preferì designare Settimio Odenato, principe di Palmira, del titolo di imperator, dux e corrector totius Orientis (una forma amministrativa da porre guida e difesa dei confini orientali, come lo era stato in passato con Marco Vipsanio Agrippa per Augusto dal 19 al 14 a.C., o con Avidio Cassio per Marco Aurelio negli anni 170-175), con l'obiettivo di allontanare sia la minaccia sasanidi sia quella dei Goti, che infestavano le coste dell'Asia Minore.[34]
Roma, il Regno di Palmira ed i Persiani (260-273)
Le campagne di Odenato contro Sapore I (260-267)
La cattura di Valeriano da parte dei Persiani lasciò l'Oriente romano alla mercé di Sapore I, il quale riuscì ad occupare oltre a Tarso ed Antiochia, anche tutta la provincia romana di Mesopotamia e Cesarea in Cappadocia dopo una strenue difesa.[35] La controffensiva romana portò Macriano (procurator arcae et praepositus annonae in expeditione Persica) a radunare a Samosata quello che rimaneva dell'esercito romano in Oriente, mentre il prefetto del pretorio, Ballista, riuscì a sorprendere i Persiani presso Corycus in Cilicia ed a respingerli fino all'Eufrate.[35] Frattanto Odenato, che aveva cercato di ingraziarsi in un primo momento le amicizie del sovrano persiano Sapore I, una volta che i suoi doni furono sdegnosamente rifiutati da quest'ultimo, decise di abbracciare la causa di Roma contro i Persiani. Come prima azione Odenato si diede all'inseguimento dei Persiani, di ritorno in patria dal loro saccheggio di Antiochia, e prima che potessero attraversare il fiume Eufrate inflisse loro una pesante sconfitta.[36]
Nel 262 Odenato, nominato da Gallieno prima imperator e poi rector Orientis, raccolto un ingente esercito passò l'Eufrate e dopo aspri combattimenti occupò Nisibi, tutta la Mesopotamia romana, recuperando gran parte dell'oriente (compresa probabilmente la stessa Armenia)[35] e costringendo Sapore I alla fuga dopo averlo battuto in battaglia.[37] Pochi anni più tardi, nel 267, nel corso di una nuova campagna militare riuscì a battere nuovamente Sapore I nei pressi della capitale dei Persiani, Ctesifonte,[38] riuscendo ad impadronirsi delle concubine del re e di un grande bottino di guerra.[39]
Aureliano, il regno di Palmira e i Sasanidi (267-273)
L'ambiziosa vedova di Odenato, Zenobia, una volta ottenuto il controllo del regno palimereno e di tutti i domini orientali dell'impero romano, trasformò il nuovo stato in una monarchia, dove i motivi orientali si intrecciavano a quelli romani. Suo figlio Vaballato era infatti non solo corrector totius Orientis (coreggente di tutto l'Oriente) come lo era stato il padre, ma anche Rex (Re).[40] Zenobia orchestrò la ribellione contro l'autorità Imperiale ed attuò una politica espansionistica negli anni successivi (dal 269 al 270), riuscendo ad annettere al nuovo Regno, la Bitinia, Ponto ed l'Egitto.
La nuova situazione geopolitica dell'area fu ratificata da un trattato concluso dall'imperatore Claudio II il Gotico con il Regno di Palmira, ma le cose cambiarono con l'avvento del nuovo imperatore Aureliano. Querst'ultimo, deciso infatti a ristabilire il controllo romano su tutte le regioni oreintali ed occidentali dell'Impero delle Gallie, dopo aver sconfitto l'esercito palmireno nella battaglia di Immae e di Emesa, riuscì ad entrare vittorioso nella capitale del regno di Zenobia, a Palmira (estate 272). La regina, che era fuggita per chiedere aiuto ai Persiani, fu raggiunta sulle rive dell'Eufrate e catturata insieme al figlio, ed esibita pochi anni più tardi nel Trionfo presso il Foro romano. Una successiva ribellione di Palmira l'anno successivo (nel 273), indusse l'imperatore a distruggere l'antica capitale del Regno.[41]
Riunificazione romana e problema armeno-mesopotamico (273-286)
Progetto di recupero della Mesopotamia sotto Probo (280-282)
L'ultima impresa che aveva progettato l'imperatore, Marco Aurelio Probo, fu quella di tornare in possesso della provincia di Mesopotamia, strappandola ai Persiani. Le continue invasioni lungo i confini imperiali, da quella dei Blemmi in Egitto all'insediamento di centomila Bastarni sulla riva destra del Danubio, oltre alle numerose usurpazioni comprese quelle più gravi in Gallia (di Gaio Quinto Bonoso assieme a Tito Ilio Proculo), sconsigliarono all'imperatore di imbarcarsi in una simile avventura nel 280.[42] La Historia Augusta ci racconta che:
Conclusa la pace con i Persiani, riprese in mano il progetto di invadere la Mesopotamia due anni più tardi nel 282. E mentre stava organizzando le armate a Sirmio per questa imponente campagna militare, cadde ucciso a tradimento.[43]
Campagna di Caro e Numeriano (283-284)
Ucciso Probo nel 282, divenne imperatore il suo prefetto del pretorio, Marco Aurelio Caro, il quale organizzò una campagna contro i Sasanidi, approfittando del fatto che il re persiano Bahram II era stato indebolito da una guerra civile contro il fratello Ormisda. Caro condusse la prima campagna nel 283, penetrando facilmente nel territorio sasanide, battendo i Persiani prima a Coche, occupando poi Seleucia ed infine la capitale, Ctesifonte.[44] La provincia mesopotamica fu nuovamente rioccupata dalle truppe romane, mentre Caro acquisiva l'appellativo di Persicus maximus, mentre il figlio maggiore Carino, fu elevato anch'egli al rango di Augusto. Morì probabilmente assassinato alla fine di quella stessa estate. L'avanzata romana cessò con la morte dell'imperatore, che lasciò al figlio Numeriano, il compito di ricondurre l'esercito all'interno dei confini dell'impero. E l'anno successivo anche quest'utlimo fu ucciso a Perinto.[45]
Riconquista romana di Mesopotamia e Armenia (286-305)
Appena ottenuto il potere, Diocleziano nominò come cesare per l'occidente un valente ufficiale, Massimiano, facendone il proprio successore designato, e quindi lo elevò al rango di augusto l'anno successivo (nel 286), formando così una diarchia in cui i due imperatori si dividevano su base geografica il governo dell'impero e la responsabilità della difesa delle frontiere e della lotta contro gli usurpatori.
Data la crescente difficoltà a contenere le numerose rivolte all'interno dell'impero e lungo i confini settentrionali ed orientali, nel 293 si procedette a un'ulteriore divisione territoriale, al fine di facilitare le operazioni militari: Diocleziano nominò come suo cesare per l'oriente Galerio, mentre Massimiano fece lo stesso con Costanzo Cloro per l'occidente.
Campagna di Galerio (296-298)
Dalle affermazioni di Eutropio risulterebbe che una nuova guerra tra Roma e la Persia iniziò già nel 293:
Ma è solo nel 296 che il cesare Galerio, fu chiamato da Diocleziano (alle prese con una rivolta in Egitto) per intraprendere una campagna militare contro Narsete, sovrando sasanide asceso al trono tre anni prima e che aveva invaso la provincia romana di Siria. L'esercito romano, una volta passato l'Eufrate con forze insufficienti, andò incontro ad una cocente sconfitta presso Nicephorium Callinicum,[46] a seguito della quale Roma perse la provincia di Mesopotamia.[47] Tuttavia, nel 297, avanzando attraverso le montagne dell'Armenia, ottenne una vittoria decisiva sul re sasanide Narsete, ricavandone un enorme bottino, che comprendeva l'harem di Narsete.
Approfittando del vantaggio, prese la città di Ctesifonte, costringendo Narsete alla pace l'anno successivo. La Mesopotamia ritornò sotto il controllo romano, l'Armenia fu riconosciuta protettorato romano, mentre a Nisibi furono accentrate le vie carovaniere dei commerci con l'estremo Oriente (Cina e India). Con il controllo di alcuni territori ad est del fiume Tigri, fu raggiunta la massima espansione dell'impero verso est (298). [48] Galerio celebrerà in seguito la propria vittoria erigendo l'arco di Galerio a Tessalonica anche se sembra non abbia accolto favorevolmente il trattato di pace, poiché avrebbe desiderato avanzare ulteriormente in territorio persiano.[49]
Sapore II
Nel 337, subito prima della morte di Costantino I, Sapore II ruppe la tregua conclusa nel 297 tra Narsete e Galerio. Iniziò così un conflitto di ventisei anni, in cui Sapore cercò di conquistare le fortezze frontaliere della Mesopotamia romana: Singara (dove si svolse la battaglia di Singara), Nisibi e Amida. Sebbene Sapore sconfiggesse ripetutamente l'esercito romano di Costanzo II, figlio e successore di Costantino, non riuscì a garantire una occupazione permanente delle fortezze.
Le operazioni militari contro i Romani si dovettero interrompere quando i Sasanidi furono attaccati a oriente da alcune tribù nomadi: dopo una lunga guerra (353-358), Sapore riuscì a soggiogare le tribù, ottenendo degli alleati per la sua successiva campagna contro i Romani. Nel 359 conquistò Amida dopo un assedio di settantatré giorni; nel 360 fu la volta di Singara e di altre fortezze, tra cui Bezabde, assediata e conquistata malgrado la strenua difesa di tre legioni romane — II Parthica, II Armeniaca e II Flavia Virtutis[50] — e punita con la morte dei suoi abitanti.
Costanzo fu obbligato a lasciare la frontiera per affrontare l'usurpazione del cugino Giuliano, morendo lungo il viaggio. Il nuovo imperatore fu impegnato nella politica interna, ma nel 363 diede inizio ad una campagna militare contro i Sasanidi: penetrò nel territorio nemico alla testa di 36,000 uomini, giunse fino alla capitale di Ctesifonte, sconfisse l'esercito di Sapore, superiore in numero, nella battaglia di Ctesifonte, ma non riuscì a conquistare la città, e fu ucciso durante la ritirata. Al suo posto fu eletto imperatore Gioviano, col quale Sapore firmò un trattato di pace che garantì ai Sasanidi forti guadagni territoriali. Queste vittorie sono celebrate negli altorilievi vicino la città di Bishapur:[51] sotto gli zoccoli del cavallo di Sapore è raffigurato il corpo di un romano, probabilmente Giuliano, mentre un altro romano supplice, Gioviano, chiede la pace.
Successivamente Sapore rivolse la propria attenzione all'Armenia, da lungo tempo contesa ai Romani. Riuscì a catturare il re Arshak II, fedele alleato dei Romani, e lo costrinse al suicidio; tentò anche di introdurre lo Zoroastrismo nel paese. La nobiltà armena si oppose all'invasione e prese contatto con i Romani, che inviarono il re Pap, figlio di Arsace III, in Armenia. Sull'orlo di una nuova guerra, l'imperatore Valente decise di sacrificare Pap, facendolo assassinare a Tarso, dove si era rifugiato (374).
Campagne di Teodosio II
Contro Bahram V (421-423)
Appena salito al trono (421), Bahram V continuò la persecuzione contro i cristiani iniziata dal padre, Yazdgard I, dopo il tentativo del vescovo di Ctesifonte di bruciare il tempio del Grande Fuoco della capitale sasanide. Questa persecuzione, che portò alla morte di Giacomo Interciso, fu il casus belli dell'offensiva imperiale.
L'imperatore Teodosio II inviò infatti un forte contingente militare in Armenia, da sempre contesa dalle due potenze confinati, al comando del magister militum praesentalis Ardaburio, il quale sconfisse il comandante persiano Narsehi e procedette al saccheggio della provincia dell'Arzanene e all'assedio della fortezza frontaliera di Nisibis. Narsehi, rinchiuso nella città, mandò un'ambasciata, chiedendo ad Ardaburio una tregua che però il generale romano rifiutò. Ottenuto dei rinforzi, Ardaburio entrò nella Mesopotamia sasanide.
Bahram, vista in pericolo la prestigiosa e fondamentale fortezza di Nisibis, decise di guidare personalmente l'esercito sasanide. Giunto a Nisibis, venne messo in difficoltà dalla defezione improvvisa dei suoi alleati Arabi, ma la supremazia numerica sasanide e la presenza degli elefanti impaurirono i Romani: Ardaburio ordinò di levare l'assedio, bruciare l'artiglieria e ritirarsi. Bahram mise sotto assedio Teodosiopoli e si mosse verso Resaena, dove sarebbe stato fermato da Procopio ed Areobindo: nel frattempo Ardaburio sconfisse un forte contingente sasanide. Bahram decise di chiedere la pace, ma prima tentò un colpo di mano, ordinando alla sua guardia personale, gli Immortali, di attaccare il campo romano: venuto a conoscenza dell'attacco a sorpresa, Ardaburio riuscì a neutralizzarlo e ad imporre la pace al sovrano sasanide (423).
Contro Yazdegard II (438)
All'inizio del regno di Yazdgard II, l'imperatore Teodosio II ordinò una concentrazione di truppe lungo la frontiera, in previsione di un attacco, con il rafforzamento delle fortezze in territorio romano di fronte alla città persiana di Carre. Yazdgard radunò un esercito composto da contingenti di diverse nazioni vassalle dei Persiani e attaccò i Romani prendendoli di sorpresa: solo una improvvisa e notevole alluvione mise fine all'attacco persiano, permettendo ai Romani di ritirarsi e impedendo a Yazdgard, che comandava il proprio esercito, di invadere il territorio romano.
Teodosio ordinò allora al proprio generale e politico Anatolio di recarsi al campo sasanide per stipulare la pace; Anatolio giunse al campo di Yazdgard da solo e si gettò ai piedi del sovrano: Yazdgard, impressionato, accettò di stipulare la pace, che prevedeva tra i suoi termini l'accordo di non costruire nuove fortezze frontaliere e di non fortificare quelle esistenti.
Cronologia
- Campagna di Gordiano III contro Sapore I
- 243 - Riconquista di Carre, Edessa, Resena, Nisibis e Singara. I Romani vincono la battaglia di Resena, ma Timesiteo muore.
- 244 - Battaglia di Mesiche, in cui i Sasanidi sconfiggono i Romani e Gordiano muore. Il nuovo imperatore Filippo l'Arabo è costretto ad accettare una pace onerosa.
- Campagna di Caro
- 283 - I Romani avanzano su Ctesifonte ed oltre, sconfiggendo l'esercito di Vararane II, ma la morte dell'imperatore mette fine alla campagna.
- Campagna di Galerio
- 296 - I Romani entrano in territorio sasanide, ma vengono gravemente sconfitti nella battaglia di Callinicum.
- 297 - I Romani sconfiggono l'esercito di Narsete di Persia e lo costringono alla pace.
- Campagna di Sapore II
- 359 - Battaglia di Amida, un assedio di settantatré giorni dopo il quale Sapore II conquista la fortezza frontaliera di Amida
- Campagna di Teodosio II
Note
- ^ D. Kennedy, "L'Oriente", in Il mondo di Roma imperiale: la formazione, a cura di John Wacher, Roma-Bari 1989, pp. 296-297.
- ^ Cassio Dione, 40.11-30.
- ^ Cassio Dione, 43.51.
- ^ Marco Tullio Cicerone, Lettere ad Attico, 14, 9, 3; Cassio Dione, 47.27, 2-5.
- ^ E.Horst, Cesare, Milano 1982, p.269.
- ^ Marco Tullio Cicerone, Lettere ad Attico, 13, 31, 3.
- ^ Cassio Dione, 43.47 e 43.49.
- ^ Appiano di Alessandria, Guerra civile, ii.110.
- ^ Appiano di Alessandria, Guerra civile, v.65.
- ^ Cassio Dione, 48.39-41.
- ^ Plutarco, Vite parallele - Marco Antonio, 49-50-51.
- ^ Cassio Dione, 53.33.
- ^ Strabone, Geografia, XVII, 821; Cassio Dione, 54.9, 4-5; Velleio Patercolo II, 94; Svetonio, Vite dei Cesari - Tiberio, 9,1.
- ^ Cassio Dione, 54.8, 1. Velleio Patercolo Storia di Roma, II, 91. Tito Livio, Ab Urbe condita, Epitome, 141. Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 21; Tiberius, 9.
- ^ Floro, Epitome di storia romana, 2.34.
- ^ Cambridge University Press, Storia del mondo antico, L'impero romano da Augusto agli Antonini, vol. VIII, Milano 1975, pag. 135; Mazzarino, p. 81.
- ^ Giuseppe Flavio, Antiquitates, 18,2,4,50; Cambridge University Press, Storia del mondo antico, L'impero romano da Augusto agli Antonini, vol. 8, Milano 1975, pag. 409 e 817.
- ^ Yan Le Bohec, L'esercito romano. Le armi imperiali da Augusto a Caracalla, Roma 1992, pp. 256 e 268.
- ^ Roger Rémondon, La crisi dell'impero romano. Da Marco Aurelio ad Anastasio, Milano 1975, pp.73-74; Stephen Williams, Diocleziano. Un autocrate riformatore, Genova 1995, p.24.
- ^ R.Rémondon, op.cit., p.74.
- ^ Mazzarino, p. 515.
- ^ Historia Augusta - I tre Gordiani, 26-28.
- ^ Grant, p. 204.
- ^ Eiddon, Iorwerth, e Stephen Edwards, The Cambridge Ancient History - XII The Crisis of Empire, Campbridge University Press, 2005, ISBN 0521301998, pp. 35-36.
- ^ Federico A. Arborio, L'impero persiano. Da Ciro il grande alla conquista araba, Milano 1980, pp. 356-357; Grant, pp. 204-205.
- ^ Zosimo, Storia nuova, I, 19.1; Grant, p. 207.
- ^ Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 8.
- ^ Grant, pp. 219-220.
- ^ Rémondon, p. 75.
- ^ Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 8.
- ^ Grant, p. 226.
- ^ Eutropio, Breviarium ab urbe condita, ix.7; Grant (p. 227) suggerisce che Valeriano abbia chiesto "asilo politico" al re persiano Sapore I, per sottrarsi ad una possibile congiura, in quanto nelle file dell'esercito romano che stava assediando Edessa, serpeggiavano evidenti segni di ammutinamento.
- ^ Mazzarino, pp. 527-528.
- ^ Mazzarino, p. 534.
- ^ a b c Grant, p.231.
- ^ Federico A. Arborio, op. cit., Milano 1980, p. 360
- ^ Historia Augusta, Trenta tiranni, Odenato, 15.3.
- ^ Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 10; Zosimo, Storia nuova, I, 39.2.
- ^ Historia Augusta, Trenta tiranni, Odenato, 15.4.
- ^ Mazzarino, pp. 561-562.
- ^ Mazzarino, p. 570.
- ^ Grant, p.256.
- ^ Historia Augusta, Probo, 20.
- ^ Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 18.
- ^ Mazzarino, p.586; Grant, p.260.
- ^ Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 24.
- ^ Grant, p. 287.
- ^ Mazzarino, p.588.
- ^ Grant, p. 288.
- ^ Ammiano Marcellino, Res Gestae, xx 7.
- ^ Stolze, Persepolis, p. 141.
Bibliografia
- Fonti primarie
- Appiano di Alessandria, Guerra civile,
- Cassio Dione Cocceiano, Storia romana
- Historia Augusta.
- Eutropio, Breviarium ab urbe condita, libri 1-10.
- Ammiano Marcellino, Res Gestae Libri XXXI, 23.5.17
- Plutarco, Vite parallele, Vita di Marco Antonio.
- Fonti secondarie
- Arborio, Federico, L'impero persiano. Da Ciro il grande alla conquista araba, Milano 1980.
- Grant, Michael, Gli imperatori romani. Storia e segreti, Roma, Newton & Compton, 1984, ISBN 8879831801.
- D. Kennedy, L'Oriente, in Il mondo di Roma imperiale: la formazione, a cura di John Wacher, Roma-Bari 1989.
- Boardman, John, et. al., The Cambridge ancient history, Cambridge University Press, ISBN 0521301998, pp. 34-36.
- F. Chamoux, Marco Antonio, Milano 1988.
- Mazzarino, Santo, L'impero romano, Bari 1976.
- Stephen Williams, Diocleziano. Un autocrate riformatore, Genova 1995. ISBN 88-7545-659-3
- Rawlinson, George, The Civilizations of the Ancient Near East
- Yarshater, Ehsan, The Cambridge History of Iran, vol. 3 The Seleucid, Parthian and Sassanian periods, Cambridge University Press, 1983, ISBN 052120092X, p. 125.
Voci correlate
Da parte romana
- Repubblica romana
- Impero romano
- Ottaviano Augusto
- Tiberio Claudio Nerone, figliastro di Augusto
- Gaio Cesare, nipote di Augusto
- Ottaviano Augusto
Da parte persiana
- Parti
- Mitridate II di Partia
- Tigrane II di Armenia
- Fraate III di Partia
- Mitridate III di Partia
- Orode II di Partia
- Pacoro I di Partia
- Tiridate II
- Fraate IV di Partia
- Artavaside II di Armenia
- Artaxias II di Armenia
- Tigrane III di Armenia
- Artavaside III
- Fraate V di Partia
- Tigrane IV di Armenia