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La Pieve di San Giorgio di Valpolicella (chiamata anche pieve di San Giorgio Ingannapoltron[1]) è una antica pieve che si trova posta nel comune di Sant'Ambrogio, in Valpolicella, nella frazione di San Giorgio.
Costruita probabilmente su di un luogo di culto paganesimo, risalente al VIII secolo (secondo alcuni storici anche al VII)[2] l'attuale edificio religioso rappresenta uno dei più interessanti e antichi esempi di architettura romanica presenti nella provincia di Verona[3].
Ricostruita in gran parte probabilmente intorno al XI secolo, durante il periodo medioevale, la pieve di San Giorgio, era posta a capo di uno dei tre piovadenghi in cui era divisa amministrativamente la Valpolicella. Insieme con essa ricoprivano questo ruolo anche la pieve di San Floriano e quella di Negrar[4][5]. Era inoltre sede di una collegiata di sacerdoti che gestiva una schola juniorum (cioè un seminario)[6].
Oltre all'interessante struttura architettonica, al chiostro adiacente e agli affreschi presenti all'interno, di grande pregio la presenza di un antico ciborio che presenta delle scritte che lo collocano in piena epoca longobarda e precisamente nel periodo del regno di Liutprando.
Storia
Prime tracce di insediamenti
Scavi archeologici recenti[7] hanno messo in luce alcuni reperti che attestano la presenza dell'uomo in zona fin da tempi anitichi. In particolare è stata rinvenuta una capanna a pianta rettangolare dell'età del bronzo e alcune strutture successive appartenenti al IV secolo a.C. Gli edifici scoperti presentavano una forma caratteristica di "casa retica", tipica dei territori alpino e subulapino.
Gli abitanti di questo villaggio, che si dedicavano alla coltivazione di cereali e all'allevamento, erano gli antenati degli Arusnati, popolazione che si sarebbe poi insediata in Valpolicella durante il periodo romano[8].
Nell'area del chiostro sono oggigiorno esposti alcuni reperti risalenti all' età romana (databili tra il I secolo a.C. e il I secolo), quali un sarcofago realizzato in un monolite di marmo rosso di Verona, un pozzo, alcuni resti di una colonna con capitello ornato da una decorazione a forma di foglie e altri conci non meglio identificabili. Altri resti più piccoli, come ex voto a dei pagani, steli, statuine in terracotta e iscrizioni romane, sono oggi conservati nel piccolo museo annesso alla pieve o presso il museo lapidario maffeiano che si trova a Verona.
I manufatti trovati sono per lo più inneggianti a divinità come Fortuna, Vesta, Sol, Luna a testimonianza che San Giorgio è stato un'importante centro religioso fin dall'epoca degli Arusnati. Sulla parte posteriore della chiesa è stato reipiagato un frammento di una lapide con inciso "LVALDE", il nome della dea Lualda[9].
Luogo di culto longobardo
Nonostante che nell'alto Medioevo la zona di San Giorgio dovesse essere caratterizzata da insedimaenti di modesta entità (lo testimoniano i pochi reperti trovati), rimaneva certamente un importante centro, perlomeno religioso. Fu dunque in quest'epoca che assunse il rango di "pieve" con il potere di battezzare, di formare chierici e di riscuotere la decima[10].
Per quanto riguarda l'edificio sacro, considerando la sua primitiva orientazione con la facciata rivolta verso levante e sopratutto dalle iscrizioni presenti su due colonnine del ciborio conservato all'interno, fanno ritenere che prima della costruzione dell'edificio cattolico fosse presente un luogo di culto dell'epoca longobarda. In particolare si fa risalire la sua costruzione durante il regno di Liutprando (712-744), anche se alcuni storici pongono la sua fondazione anche al VII secolo[11] in piena epoca barbarica. In quest'ultimo caso, si potrebbe ritenere che inizialmente fosse un luogo di culto pagano, poiché i Longobardi si sono convertiti interamente al Cristianesimo solamente verso la fine del VII secolo[12]
Oltre all'edificio di culto, a San Giorgio, era presente un castello longobardo, distrutto poi nell'alto medioevo, che era posto a capo di una sculdascia, cioè una circoscrizione minore nell'ambito di un ducato che disponeva di ampi poteri amministrativi, militari e giurisdizionali[13].
Dell'epoca Longobarda, oltre al ciborio, si ipotizza che ci rimanga a testimonianza anche il muro di facciata. L'analisi di quest'ultimo ha fatto ritenre che in quest'epoca la pianta dell'edificio dovesse avere una forma pressoché quadrata e rivolata verso oriente[14].
La pieve cristiana nell'alto medioevo
Le prime testimonianze di San Giorgio come edificio cristiano risalgono al XII secolo e più precisamente ne troviamo traccia in una bolla pontificia di papa Eugenio III datata 1145. È però probabile che a seguito del terremoto del 1117 possa essere stato oggetto di lavori e restauri che hanno portato alla trasformazione da edificio pagano a un luogo di culto della cristianità in stile romanico. Oltre a queste fonti scritte, la caratteristica pianta a due absidi è simili ad altri edifici di culto italiani sorti tra il X secolo e il XII secolo[15].
Una leggenda vuole che la pieve di San Giorgio, insieme a quella di San Martino a Negrar e San Floriano, siano state commissionate dalla regina Matilde Cristina Malaspina nel 1101[16], ma non c'è nessun elemento storico a prova di questa tesi.
Fin dai primi anni dopo la costruzione dell'odierno edificio, la pieve di San Giorgio, è stata sede di una parrocchia a cui era annessa una collegiata di sacerdoti, come ci testimonia il piccolo chiostro presente. Il clero che qui risiedeva aveva creato una schola juniorum, l'analogo di un seminario moderno. Sempre Papa Eugenio III, nella già citata bolla pontificia, ricorda: "Plebem S. Georgii cum capellis et decimis et familiis et dimidia curte".
La fonte battesimale, posta sul lato sinistro dell'edificio, è datata all'inizio XII secolo. Gli affreschi, per la verità molto rovinati dal tempo, sono databili invece posteriormente e cioè verso la fine dello stesso secolo. Il campanile sembra essere più recente, forse costruito sulla base di uno già esistente.
Durante tutto il basso medioevo la pieve di San Floriano era a capo di uno dei piovedenghi in cui era divisa la Valpolicella. Ogni piovedengo era sorretto da una propria pieve che ne rappresentava il centro. Di un'epoca leggermente posteriore a San Giorgio, sono la pieve di San Floriano e la pieve di Negrar.
Studi e restauri
La pieve di San giorgio ha destato interesse negli studiosi fin dal XVII secolo[17] ed in particolare, più tardi, in Scipione Maffei che prelevò le due colonnine del ciborio e alcune iscrizioni romane, per arricchire il suo museo lapidario veronese.
Nell'ottocento vennero fatti numerosi e accurati studi sulla planimetria a cura di Giovanni Orti Manara, il quale ebbe, tra l'altro, il merito di trovare la colonnina del ciborio recante la scritta "In nomine Domini....".
Tra 1923 e il 1924, la pieve, è stata oggetto di restauri ad opera dell'architetto Antonio Da Lisca. Questi lavori portarono, oltre alla ricostruzione del ciborio, anche al rifacimento del tetto e alla modifica di alcune finestre delle pareti[18]. Negli anni sessanta furono messi in luce ulteriori manufatti in pietra dell'epoca romana, rinvenuti nei pressi della canonica.
Architettura
La chiesa presenta una caratteristica pianta con lo spazio suddiviso in tre navate, con quella centrale di larghezza doppia rispetto alle laterali. Le dimensioni della pianta evidenziano un notevole equilibrio dell'edificio, la facciata della chiesa è infatti larga circa la metà (16 metri) rispetto ai due lati (32,5 metri).
Il lato orientale, edificato probabilmente nel XI secolo e in chiaro stile romanico, è costituito da tre absidi, uno maggiore al centro e due più piccoli lateralmente. L'abside centrale presenta tre aperture a monofora strombata con arco a tutto sesto, mentre le due laterali ne hanno un'unica di simile costruzione ma con gli archetti realizzati in tufo. Il muro è formato da conci di pietra bianca assemblati mediante abbondante malta e ordinati orizzontalmente.
Nel lato occidentale, secondo alcuni sudiosi appartenete all'edificio originario longobardo, si trova un'ulteriore e unico abside, dove è stata ricavata, già prima del 1840, la porta principale d’ingresso, in stile gotico e realizzata in calcare bianco e rosso[19]. Sopra l'abside, in corrispondenza della navata centrale, sono inserite due semplici monofore.
Il muro laterale a sud presenta due porte (di cui una oggigiorno murata) che comunicano sul sagrato, mentre più in alto sono aperte sette monofore. All'esterno di questo lato, a ricalcare il puro stile romanico dell'edificio, troviamo una torre campanaria e un chiostrino di cui è andata perduta la parte perimetrale occidentale. Il lato a nord della chiesa invece non presenta alcuna apertura.
Il soffitto dell'edificio è a travature in legno e il tetto è composto in larghe tegole in pietra e coppi. All'esterno, Entrambi gli elementi si trovano sul lato meridionale della chiesa.
L'analisi dell'architettura della pieve ha portato al formulare diverse teorie riguardo alla datazione del complesso. In particolare, il probabile mescolarsi di elementi dell'edificio originale longobardo con quelli dell'edificio più moderno cristiano ha creato degli elementi di incertezza nella ricostruzione storica.
Secondo quanto esposto dallo studioso Wart Arslan[20] e dallo storico Pietro Toesca[21], considerando l'altezza perfettamente uguale di tutte le arcate interne e l'uniformità delle mura perimetrali, si può pensare che questo edificio derivi (come molti altri sorti in Italia tra il X secolo e il XI secolo) dalle chiese biapsidiate ottoniani e carolingi del VIII e IX secolo, come possono essere tipici esempi l'abbazia di Saint-Riquier in Normandia, l'abbazia di Fulda, l'abbazia di Obermünster a Ratisbona, la cattedrale di Worms e molte altre. Questa teoria ha contribuito, pertanto, alla datazione della pieve cristiana[22].
Di diversa opinione gli storici Cipolla, Cattaneo, Mothes e Simeoni che ipotizzano due fasi costruttive. La prima avrebbe come unico resto la parte posta ad occidente, che rappresenterebbe oggi un raro esempio di basilica longobarda, mentre viene considerata la parte orientale, a tre absidi, più tarda (tra il IX e il XII secolo)[23]. In questo caso, viene inoltre ipotizzato, che la chiesa fosse inizialmente orientata in senso inverso rispetto all'attuale. L'edificio si sarebbe poi esteso fino all'attuale gradino interno, in coorrispondenza dove poi sarebbe sorto il campanile. Più tardi la chiesa srebbe stata ampliata, con la facciata a tre absidi, e di conseguenza inglobato il campanile[23].
Oggigiorno non è possibile stabilire con precisione quale parte dell'edificio sia di origine Longobarda e quale invece antecedente. L'impiego dell'identico materiale e i rudimentali metodi di costrizione rendono difficoltosi i tentativi di identificare le differenze tra le due parti. Le due differenze più visibili, comunque, tra la parte occidentale e orientale consistono nella sostituzione delle colonne ai pilastri e dalla sopraelevazione del pavimento, proprio in corrispondenza dell'inizio della parte con le colonne[24]. Va anche rilevata che il maggior riutilizzo di lapidi romani è concentrato sulla parte orientale[19].
Interno della chiesa
La suddivisione interna della chiesa in tre navate è realizzata grazie a dei pilastri e delle colonne. Osservand nel dettaglio, troviamo a destra quattro pilastri e tre colonne, mentre l'altro lato presenta cinque pilastri, di cui uno inserito tra due colonne. I pilastri sono tutti a pianta rettangolare, quelli a sinistra sono privi di decorazioni, mentre quelli che dividono la navata destra presentano delle pitture la cui datazione è fatta risalire al XIV secolo[26]. Sono su di esse possiamo riconoscere raffigurati: Santa Caterina (sul primo pilastro dall'ingresso), un Vescovo con mitra e pastorale (sul secondo pilastro), una Madonna con bambino e Sant'Antonio Abate (sul terzo), un'altra Madonna e San Bartolomeo (sul quarto) ed infine Maria Maddalena sull'ultimo pilastro. Le colonne e i pilastri sostengono otto archi longitudinali per parte, i cui sottoarchi presentano delle decorazioni con motivi a cerchi con foglie a stella e calici, dipinti in rosso.
Le colonne poggiano su dei capitelli realizzati riutilizzando delle are romane. Su tre di esse si possono ancora leggere delle incisioni in lingua latina[27]
Sul muro longitudinale, che divide la navata centrale dalla navatella, a destra sono presenti sette monofore, mentre nel lato contrapposto non è presente alcuna apertura. Sempre nella navata minore destra troviamo due porte squadrate che portano verso il sagrato (una di queste ormai murata) e una che va ad aprirsi sul chiostro. Quest'ultima è sormontata da un arco a tutto sesto, con pareti intonacate.[28]
Nell'abside posto ad occidente ora è aperta una porta neogotica[5] che ne costituisce l'ingresso principale e inoltre presenta degli affreschi nel lato interno. Questa parte, molto probabilmente, apparteneva alla prima chiesa cristiana, ansime alla grande fonte battesimale per immersione, realizzata in un unico pezzo di pietra e attualmente posizionata a sinistra dell'ingresso[6].
Diversamente dal lato occidentale, nel muro orientale, sono presenti tre absidi, uno centrale maggiore, dove è oggi collocato l'altare e due minori ai lati. A tutta l'area occidentale la luce viene fornita mediante tre monofore presenti nell'abside maggiore e da due inserite in ciascuno di quelli minori. Sempre in quest'aria, ma nel muro rivolto verso nord, si trova una scultura, raffigurante una Madonna con a lato quattro santi, risalente all'epoca gotica e realizzata in stucco. Tornando all'abside maggiore, in centro si trova una porticina che chiude la nicchia dove è custodito l'olio santo per i battesimi e verso sinistra è presente un tabernacolo, in stile tardo gotico[29].
La mensa, che serve da altare maggiore, sorregge il già citato ciborio, ed è costituita da una lastra di pietra con recante un'iscrizione relativa alla sua consacrazione, avvenuta probabilmente nell'agosto del 1412[30].
Il pavimento dell'edificio è realizzato con mattonelle di calcare chiaro senza che sia presente una cripta. Davanti all'ingresso, sempre sul pavimento, è presente un lastrone circolare (diametro di 2.60 m.) che indicava, secondo un'ipotesi, il punto ove stavo il seggio di un funzionario pubblico, secondo un'altra dove era posta la fonte battesimale (ora collocata nella navata di sinistra)[19]. La suddetta fonte battesimale (del tipo ad immersione) è realizzata in pietra locale e dalla forma ottagonale; un tempo doveva essere provvista di un coperchio in bronzo. La copertura è a capriate con travi a vista di epoca recente.
Affreschi e dipinti
Per quanto riguarda gli affreschi qui conservati, nonostante essi siano alquanto deteriorati, rappresentano un interessante esempio di pittura datata al XI secolo[31]. Nell'abside occidentale troviamo, posto nel semicatino, un "Cristo giudice" con un mantello rosso sulla spalla e attorniato da simboli degli evangelisti. Sotto il giro dell'abside si possono vedere tre serafini mentre sulle pareti a fianco della zona absidea sono raffigurati, sulla destra, un santo barbuto con una tunica corta e stratia di verde, sulla sinistra invece un santo soldato di aspetto più giovanile e con una clamide orlata di gemme[15].
Nel lato opposto, nella zona dell'attuale altare, troviamo un "arco trionfale", orlato da greche, in cui si intravedono delle figure che ricordano un angelo, un "battesimo di Cristo" e tre vecchi in vesti rossastre con fondo verde. L'analisi di queste pitture rileva una certa somiglianza con gli affreschi realizzati da Fratel Bonizzo, nel 1011, presso la Chiesa di Sant'Urbano alla Caffarella a Roma.
Sul lato orientale sono presenti alcuni interessanti affreschi (vedi nota a fianco) di epoca più tarda. Le tele appese alle pareti delle navate minori sono per lo più opera di Giovanni Battista Lanceni (tra cui un Martirio di San Giorgio)[32] (XVIII secolo). Vicino alla fonte battesimale è collocata, dal 1840 e proveniente da Venezia, una Resurrezione di Cristo attribuita a Palma il Giovane (XVI secolo)[33].
Ciborio
«Nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo. Dai doni di San Giovanni Battista fu edificato questo ciborio, al tempo del sovrano nostro signore Liutprando e del venerabile nostro padre vescovo Domenico, e dei suoi custodi venerabili sacerdoti Vidaliano e Tancol, e del gastaldo Refol. Io Godelmo, indegno diacono, scrissi.»
Il resto segue sull'altra colonnina:
«Maestro Orso maestro con i suoi discepoli Iuvintino e Iuviano edificò questo ciborio. Scari Vergondo e Teodoalfo»
Il ciborio, ora utilizzato come altare maggiore, rappresenta una delle parti più interessanti della pieve, sia per la testimonianza storica che riporta (grazie alle precise iscrizioni qui incise, caso raro per opere del periodo longobardo-altomedievale) sia per il suo pregevole valore artistico.
Dall'iscrizione ivi incisa (trascritta nella nota qui accanto) sappiamo che esso fu eretto sotto il regno di Liutprando (che regnò tra il 712 e il 744) mentre la diocesi di Verona era governata dal vescovo Domenico[36]. Sempre grazei alle iscrizioni veniamo a sapere che i nomi dei rettori della chiesa (Vidaliano e Tancol) e di quelli di altri amministratori (Vergondo e Teodoalfo) indicati, quest'ultimi, come scari e cioè amministratori di beni a livello locale[37][38]. L'iscrizione è stata commissionata da un certo Refol, gastaldo dell'epoca e probabilmente mecenate di artisti. Sono, inoltre, incisi i nomi dei costruttori: un certo Orso, capomastro, con i suoi allievi o discepoli Iuvintino e Iuviano, nomi che rivelano la loro origine latina e dunque possono essere considerati i precursori della scuola lombarda di scultori che sparse, in quegli anni, tanti capolavori nelle basiliche dell'alta Italia[36][39].
Il suddetto ciborio rimase all'interno della chiesa longobarda, probabilmente, fino alla sua trasformazione in romanica, quando fu scomposto e i vari elementi utilizzati per altri scopi[36]. Sembra, ad esempio, che le quattro colonnine che lo compongono siano state usate, fino dal 1412, per sostenere l'altare maggiore (consacrato appunto quell'anno). Nel 1738 l'altare, dichiarato sospeso in seguito di una visita vescovile, fu abbandonato nel chiostro ove rimase fino al 1923[36].
L'attuale ciborio è così il risultato di ricostruzioni basate sulle iscrizioni. Il suo ripristino lo si deve ad Alessandro Da Lisca, ispettore ai monumenti di Verona[40], che però rileva che con ogni probabilità, come testimonia il ritrovamento di ben sette archivoliti, dovesse essere in origine ben più fastoso e completo[41]
Torre campanaria
Per quanto riguarda il campanile, gli storici concordano con Arthur Kingsley Porter nel considerarlo non posteriore alla chiesa[42]. Inoltre lo studioso di architettura veeronse Arslan evidenzia che le decorazioni sono molto simili, seppure realizzate con diversi materiali, ad altri campanili dell'epoca come quello della cittadina basilica di San Zeno (del 1120 circa) e delle pievi San Martino a Negrar e di San Floriano e dunque ipotizza che quello di San Giorgio possa essere una rozza realizzazione di questi ultimi[43].
Esso è edificato in pianta quadrata e la sua composizione, in pietre calcaree di diversa misura appena sbozzate poste in linee orizzontali, richiama la costruzione dei muri perimetrali della chiesa. Diversi sono invece i contrafforti, posti ad una altezza di circa 4-5 metri da terra e larghi un metro. La pianta del campanile penetra nel perimetro della chiesa per alcuni centimetri rendendo così chiaro che esso non può essere stato edificato posteriormente alla chiesa.
Sul fianco occidentale la cella campanaria è formata da una trifora (caratteristica del romanico veronse maturo), a cui più in basso è posto un orologio, con archi compositi in pietra che si sorreggono su due colonnine monolitiche composte da semplici capitelli. Sugli altri fianchi troviamo invece, come apertura, delle bifore ad archetti costruiti in laterizio e dotati di una singola colonna con capitelli senza alcuna decorazione.
Il campanile ha una lunghezza di circa 5,5 metri e sporge dal lato della chiesa di 3,5 metri.
Il chiostro
Il chiostro, adiacente al lato est della chiesa, viene datato ai primi del XII secolo[44][45] coevo con quello della chiesa di San Giovanni in Valle di Verona. Dei quattro lati perimetrali formati da dei colonnati ne rimangono soltanto tre, il lato occidentale è stato sostituito, in epoca recente, da un cancellata. I colonnati posti a nord e a est sono coperti da un tetto, formato da coppi e grosse tegole in pietra. Al centro è posto un rustico pozzo.
Le arcate, a tutto sesto, sono sostenute da delle colonnine che poggiano, a loro volta, su un muretto continuo, discontinuo in altezza. Le murature presentano delle caratteristiche costruttive similari all'intero complesso. Le colonnine sono ornate da alcuni capitelli, in discreto stato di conservazione, con raffigurazioni di animali e fiori.
Il lato perimetrale più interessante del chiostro è sicuramente quello posto più ad est. Il colonnato, che qui si trova, presenta quattordici archi, suddivisi da un pilastro monolitico, costituito da una pietra chiara e squadrata. I pilastrini, edificati in diversi materiali, sono sormontati da dei capitelli privi di decorazioni. A differenze dei pilastrini, le colonnine, presentano capitelli scolpiti che raffigurano diversi soggetti come piante, animali e una testa umana presente su di uno. Sempre su questo lato, nel muro interno del chiostro restano alcune tracce di un affresco che raffigurano i tratti di un leone.
Sempre nel lato orientale, il chiostro comunica con l'ormai abbandonata canonica di grande antichità. Essa è costruita mediante calcare annerito dal tempo, sistema che caratterizza gran parte delle antiche case del paese[46]. All'interno sono presenti alcuni affreschi del XIV secolo raffigurati motivi floreali, stelle, scudi e versetti tratti dal Vangelo[29].
Museo
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Ubicazione | |
Stato | Non hai inserito il nome/codice della nazione! Leggi il manuale del template che stai usando! (bandiera) Non hai inserito il nome/codice della nazione! Leggi il manuale del template che stai usando! |
Indirizzo | Piazza della Pieve - San Giorgio, Sant'Ambrogio di Valpolicella |
Caratteristiche | |
Tipo | archeologia e etnografico |
Istituzione | 1992 |
Di fianco all'edificio religioso è presente un museo. Esso comprende Museo etnografico, istituito negli anni Settanta del Novecento che documenta le attività e le tradizioni locali e dove all'interno è allestita una cucina tipica della Valpolicella. Il Museo archeologico è stato invece inaugurato ne 1992 e raccoglie alcuni reperti trovati in loco come are e iscrizioni romane, sculture e rilievi longobardi e carolingi, oggetti d'arte svariate epoche[47].
Note
- ^ Il soprannome Ingannapoltron, nato probabilmente a partire dal XV secolo, deriva dalla lunga salita necessaria per arrivare al paese e dalla sua collocazione in un area ricca di cave (chiamate ganna) come descritto in Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p. 15.
- ^ Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 90.
- ^ Luigi Simeoni in Guida storico artistica di Verona e Provincia, 1909, p.381. afferma essere la chiesa più antica del veronese, sia per la presenza di un ciborio datato 712 che per la sua primitiva orientazione con la facciata rivolta verso oriente
- ^ Era presente una pieve anche a Arbizzano ma non aveva un ruolo così importante da poter disporre di un proprio piovedengo
- ^ a b Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 44.
- ^ a b Portale Valpolicella.it - Pieve di san Giorgio di Valpolicella, su valpolicella.it. URL consultato il 03-08-2010.
- ^ Per lo più effettuati tra il 1985 e il 1989
- ^ Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p.15.
- ^ Nome che richiamerebbe quello della divinità Lua, associata nel pantheon romano a Saturno e protettrice dell'agricoltura.
- ^ Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, pp. 7-8.
- ^ Come Luigi Simeoni Guida storico artistica di Verona e Provincia, 1909, p.381.
- ^ L'intero popolo divenne, almeno nominalmente, cattolico sul finire del regno di Cuniperto (morto nel 700), e i suoi successori (su tutti, Liutprando) fecero coscientemente leva sull'unità religiosa (cattolica) di Longobardi e Romanici per ribadire il loro ruolo di rex totius Italiae come si legge su Sergio Rovagnati, I Longobardi, Milano, Xenia, 2003, p.64, ISBN 8872734843.
- ^ Amelio Tagliaferri, I Longobardi nella civiltà e nell'economia italiana del primo medioevo, p. 52.
- ^ Questi rilevamenti sono stati fatti da Alessandro da Lisca durante il suo restauro, e citati in Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 92.
- ^ a b Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 94.
- ^ Così viene riportato da Gianbattista Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona.
- ^ La colonnina con l'iscrizione che nomina Liutprando è già citata in alcuni scritti di eruditi di questo secolo
- ^ Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p.15.
- ^ a b c Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p.12.
- ^ Wart Arslan, L'architettura romanica veronese, pag.33 e seguenti.
- ^ Pietro Toesca, Storia dell'Arte Italiana. Il medioevo, pp. 150 e 387.
- ^ Wart Arslan conclude la sua esposizione con queste parole: "Se la nostra ipotesi è giusta il San Giorgio di Valpolicella attesterebbe dunque un rifluire, punto inverosimile lungo la valle dell'Adige, al cui sbocco è questo borgo, testimonio di antichissima cultura italica, di una vena potente dell'arte tedesca; di quell'arte che, a sua volta, tanto doveva più tardi per la stessa via ricevere. Infatti, anche il vecchio duomo di Bressanone aveva pianta bi absidata. E non si saprebbe collocare San Giorgio altrimenti che nel secolo XI, per quanto in esso è riecheggiato, per quanto esso preannuncia
- ^ a b Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p.11.
- ^ Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 95.
- ^ Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p.27.
- ^ Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p.12.
- ^ In particolare, la base della prima colonna a sud è costituita da una ara romana realizzata su una pietra monolitica che presenta la seguente scritta, parzialmente rovinata: "SOLI ETIVNA - O SERTORIVS OF - FESTVS FLAMIN", tratto da: Romanico Minore in Italia - Interno della pieve di San Giorgio in Valpolicella, su thais.it. URL consultato il 02-08-2010.
- ^ Romanico Minore in Italia - Interno della pieve di San Giorgio in Valpolicella, su thais.it. URL consultato il 02-08-2010.
- ^ a b Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p. 14.
- ^ L'iscrizione risulta essere alquanto danneggiata e dunque non c'è certezza sull'anno
- ^ Sia l'Arslan che il Toesca che il Cipolla concordano con questa datazione
- ^ Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 100.
- ^ Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p.15.
- ^ La versione qui riportata è quella che si trova su Luisa, Le iscrizioni veronesi dell'Alto Medio Evo, "Archivio Veneto", XVI, 1934, p. 25 e seg.. , altri testi precedenti differiscono di poco
- ^ La traduzione è presa da Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p.8.
- ^ a b c d Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, pp. 96-97-98.
- ^ Pieve di San Giorgio di Valpolicella pag.3, su thais.it. URL consultato il 24-07-2010.
- ^ Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, p. 9.
- ^ Presso la Collegiata di Santa Maria a Ferentillo in Umbria troviamo un'altra opera, coeva del ciborio di San Giorgio, con la firma "Ursus magester fecit", ma non ci sono altri elementi che possano far ritenere con certezza che ambedue appartengano al medesmio autore o che sia sia semplicemente un caso di omonimia
- ^ Soprintendenza alla Galleria nazionale d'arte moderna e contemporanea, su ufficignam.beniculturali.it. URL consultato il 24-07-2010.
- ^ Alessandro Da Lisca ebbe a dire in proposito:«L'esame diligentissimo dei frammenti nei loro fianchi d'incastro, e il loro numero, e l'esame dei vani degli appoggi superiori nei capitelli delle colonne, escludono che l'opera di maestro Orso e dei suoi discepoli Juventino e Juviano si limitasse ad un semplice baldacchino con quattro archivolti e quattro colonne, anzi induce a ritenere che quegli scultori abbiano eseguita una vera iconostasi dividendo in due piani l'abside barbarica, la quale si presenta ora sproporzionatamente lunga; nel piano inferiore vi doveva essere una specie di cripta, aperta verso la chiesa da una serie di arcatelle poggianti su colonnine; nel piano superiore, cui si accedeva da scalette laterali, l'altare e il ciborio propriamente detto.»
- ^ Arthur Kingsley Porter, Lombard Architecture, p.363.
- ^ Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 93.
- ^ Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 95.
- ^ Non tutti gli storici concordano con questa datazione, l'Orti Manara e il Mothes lo collocano al X secolo, mentre il Simeoni addirittura al XIII secolo
- ^ Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, p. 96.
- ^ Portale San Giorgio di Valpolicella - Il territorio, su sangiorgiovalpolicella.it. URL consultato l'08-08-2010.
Bibliografia
Fonti antiche
- Gianbattista Biancolini, Notizie storiche delle chiese di Verona, Verona, 1750.
- Giovanni Orti Manara, Di due antichissimi tempi cristiani veronesi: San Giorgio di Valpolicella e San Pietro in Castello, Verona, 1840.
- C. Schnaase, Geschichte der bild Kùnste, Stoccarda, 1866-1879.
- R. Cattaneo, L'architettura italiana dal secolo VI al 1000 circa, Venezia, 1888, pp. 82-83.
- Carlo Cipolla, La chiesa di San Giorgio Ingannapoltron e i freschi nuovamente in essa rinvenuti, 1898.
- Luigi Simeoni, Guida storico artistica di Verona e Provincia, Verona, 1909.
- Arthur Kingsley Porter, Lombard Architecture, 1917, p.363.
- Lorenzo Priuli Bon, Intorno alla chiesa di San Giorgio in Valpolicella, 1912.
- Alessandro da Lisca, San Giorgio di Valpolicella, Verona, 1924.
- Pietro Toesca, Storia dell'Arte Italiana. Il medioevo, Torino, 1927, pp. 150 e 387.
- Wart Arslan, L'architettura romanica veronese, Verona, 1939.
- Wart Arslan, La scultura e la pittura veronese dal secolo VIII al secolo XII, Milano, 1943.
Fonti moderne
- Giuseppe Silvestri, La Valpolicella, Centro di documentazione per la storia della Valpolicella, 1950.
- Amelio Tagliaferri, I Longobardi nella civiltà e nell'economia italiana del primo medioevo, Milano, Giuffrè, 1965, p. 52.
- Eugenio Cipriani, Escursioni in Valpolicella, Verona, Cierre, 1991. ISBN 88-85923-22-4
- Andrea Castagnetti e Gian Maria Varanini, Il veneto nel medioevo: Dai Comuni cittadini al predominio scaligero nella Marca, Verona, Banca Popolare di Verona, 1991. ISBN 88-04-36999-X.
- Giovanni Solinas, Storia di Verona, Verona, Centro Rinascita, 1981.
- Margherita Bolla, La chiesa di San Giorgio di Valpolicella, Pro loco San Giorgio di Valpolicella, 1999.
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