Francesco Guccini

cantautore italiano (1940-)

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«io, giullare da niente, ma indignato,
anch'io qui canto con parola sfinita,
con un ruggito che diventa belato,
ma a te dedico queste parole da poco»

Francesco Guccini (Modena, 14 giugno 1940) è uno dei maggiori e più celebri cantautori italiani di sempre.

È anche scrittore di successo e sporadicamente attore, autore di colonne sonore e di fumetti. I testi delle sue canzoni - così come per Fabrizio De André - sono da tempo considerati delle vere e proprie composizioni poetiche. Oltre ad essere uno dei cantautori di maggior qualità, Guccini risulta essere anche uno dei più amati di sempre, probabilmente per la sua grande coerenza ed umanità e per la sua volontà di non sottostare alle regole del mercato dicografico.

Tra le altre cose Guccini si occupa anche di lessicologia, lessicografia, glottologia, etimologia, dialettologia, traduzione ed è autore di canzoni per altri interpreti.


La poetica

«Lei, Guccini, canta l'etica con parole estetiche»

La poetica di Guccini è unica, colta e raffinata come poche in Italia. Il cantautore modenese ama alternare spesso il tono aulico (usato sovente in maniera ironica) a quello popolare. Come afferma Umberto Eco, "Guccini è omerico, procede per agglomerazione...", per esclusione di certezze, il suo essere estremamente esistenzialista lo avvicina alla poetica leopardiana ma anche alla leggerezza dei crepuscolari (Gozzano era un suo mito giovanile). La sua arte è sempre ad ampio respiro: non a caso nella sua ricca e prolifica carriera ha alternato soavi ballate amorose a crude invettive politiche. Nelle sue canzoni (spesso ricche di citazioni e rimandi letterari) compare la grande tradizione artistica italiana: da Montale a Svevo, da Dante a Boccaccio, da Ungaretti a Pirandello. La coerenza artistica e il coraggio intellettuale dell'artista e dell'uomo sono due delle sue caratteristiche migliori. Se il suo linguaggio non è lontano da quello giovanile, è pur vero che i suoi componimenti sono spesso ricchi di simbolismo.

L'opera di Guccini ha quasi sempre diversi piani di lettura, da quello più evidente a quello della pura introspezione, dall'analisi attenta della quotidianità al rimando di senso che si nasconde dietro la descrizione analitica delle cose che circondano lo scorrere della realtà. La dimensione narrativa della polvere che si poggia su una vita di routine, si alterna a quella del significante, cioè supera la mera soglia del dicibile nascondendosi nell'indicibile ma intuibile. Proprio come quella verità ultima delle cose tanto cercata da Guccini, quella verità fugace che è solo intuibile e che si cela dietro e oltre le cose che circondano, lo "specchio di ogni viso" come dice lui. Questo suo continuo cercare il senso delle cose, questo suo ossimorico nichilismo esistenzialista ("lo sai che non siamo più niente", "quel vizio che ci ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere", "Il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa che chiami vita"), lo spingono spesso a rifugiarsi nel carnevalesco, goliardica realtà ribaltata, dell'ironia come verità affermabile e unica. Parimenti, il suo spiritualismo da agnostico, da vago panteista lo spinge all'eterna ricerca di quella verità che nella nostra breve vita possiamo solo veder passare, possiamo intuire la sua presenza ma nulla più, proprio come "luci nel buio di case intraviste da un treno".

Il tono dei suoi componimenti è spesso metafisico, è evidente il condizionamento artistico di García Lorca, Thomas Eliot, John Donne... In quel suo essere vicino al sociale Guccini afferra le parvenze del sempre mutevole fluire della nostra società, ma non si distoglie mai dal concepire la dimensione quasi mistica delle sue radici: non a caso in varie situazioni Guccini esalta il potere trascendente che evoca in lui il suo amato paese (Pavana) dove sorge anche la casa dei suoi nonni. Per tal motivo nell'opera gucciniana si può spesso trovare il tema del viaggio e della sua inutilità come mezzo di conoscenza. Oltre alle tematiche di indignazione, e di rivolta sociale che lo vedono affrontare le grandi problematiche dei nostri tempi (la povertà, l'ipocrisia della gente, l'inquinamento, la guerra...), Guccini canta prevalentemente l'inevitabilità della fuggevolezza del tempo che vede l'uomo circoscritto nell'unica sicurezza dell'eterno dubitare.

Dunque, come afferma Vecchioni, "Guccini si trasforma in un «cantapensiero», il più vero, il più sincero, il più alto che si conosca". Continua Vecchioni: "Guccini procede partendo da un nucleo minimo (un uomo, un assillo, un posto emblematico, un dialogo soprattutto) e sciorina strofe come catene di libere associazioni in cui i concetti, i ritagli di ricordi, le considerazioni si passano dall'una all'altra il testimone fino alla constatazione conclusiva che può essere aperta o amara. Guccini non fa misteri della propria aristocrazia mentale, sente la sua esclusività e l'accarezza, prende tutte le distanze possibili dal disimpegno, dal disincanto sociale, dal qualunquismo emozionale, ma nel contempo è, il suo, un pensar alto e sottile, restio a concedere e ben lungi dall'essere consolatorio."

Ed è allora che la dubbiosità di Guccini esplode e si fa cosmica: "lui è a tu per tu con L'Uomo universale, di sempre e di mai, prima ed oltre lo scorrere del progresso, ma rivisitato per intero, selezionato, indagato, fotografato nel suo illusorio dibattersi in sempre nuove verità proposte dalla storia e dalla cultura". Tuttavia, nella sua visione cosi umana del mondo, l'amicizia vince anche il dubbio. Si perché ascoltando Guccini si nota come nelle sue ballate non si respiri il soffio tipico del pessimismo "totalitario" di stampo foscoliano; in quanto nella sua opera fà sempre capolino un certo "ordine delle cose" che si concretizza nel senso che esprimono le grandi relazioni quali amore, amicizia, solidarietà, uguaglianza, senso della giustizia... in poche parole nella cura della "qualità della relazione riconoscente".

Nelle canzoni di Guccini, la metrica ha sempre avuto un importanza fondamentale, proprio come il fine uso della rima: è impossibile non notare come nella sapienza del verso (spesso, endecasillabi di tipo novecentesco), Guccini intrecci la cadenza ritmica della stesura musicale. "La sua poesia dotta, intarsio di riferimenti" (come afferma Umberto Eco) è sempre correlata da un uso elegante e sapiente delle varie figure retoriche (le metafore sono una peculiarità del suo modo di comporre).

Come afferma lo stesso Guccini: "Uso sistemi metrici e rime che in qualche modo per me sono anche punti di riferimento all'idea-nucleo della canzone. La metrica, la rima sono per me elementi molto importanti. C'è in essi un gioco di rimandi di parola in parola, una misteriosa consonanza che da un sapore ad un testo. Non è solo un fatto mnemonico, né un puro artifizio. Ma è un modo per amplificare la parola, per precisarne il significato". Si può aggiungere come in Guccini viva, splendente e lucidissima, l'originale macchina metrica da lui utilizzata: uso virtuoso della rimalmezzo, dell'apocope interna al verso, delle inversioni sintattiche e degli eleganti endecasillabi usati in chiave musicale.

Il pascoliano metodo di far cozzare l'aulico e il prosaico torna di frequente in Guccini. Come è frequente in Guccini il tipico ritratto narratvo dei cantastorie con una sostanziale differenza: nella tecnica del Cantautore emiliano emerge il "ritratto a ritorno", grazie a cui i personaggi e le situazioni che egli spesso abilmente disegna, si trasformano in uno specchio della propria persona in un mistico balletto di rimandi alla morale esistenzialista. In Guccini tutto è un pretesto per l'introspezione.

Biografia

«Noi siamo come tutti e un poco, giorno dopo giorno, sciupiamo i nostri 'oggi' come 'ieri'»

In una carriera ormai quarantennale (il suo debutto ufficiale risale al 1967 con l'"ellepì" Folk beat n°1 ma già nel 1960 aveva scritto L'antisociale) ha pubblicato più di venti album di canzoni. Il "Guccio" è considerato il cantautore per antonomasia, in quanto racchiude in esso tutte le peculiarità presenti in questo importante movimento: la sua maestria nell'uso del verso è nota a tal punto che Guccini viene ormai insegnato nelle scuole come esempio di poeta contemporaneo. Tuttavia Guccini non è solo apprezzato da intellettuali e letterati ma riscontra un imponente seguito popolare. Guccini viene ormai comunemente considerato il cantautore "mito" di tre generazioni di italiani. Da circa quindici anni, il "vate" della musica italiana si è anche imposto sulla scena letteraria, la sua produzione cartacea (oltre ad un grande successo di vendite) ha fatto sì che la critica lo abbia disegnato come "uno dei più grandi innovatori linguistici degli ultimi tempi".

A molti dei testi delle sue canzoni viene riconosciuto un indiscusso valore letterario, tanto da consentirgli di essere insignito nel 1992 del Premio Eugenio Montale - versi per la musica per Canzone delle domande consuete, brano premiato anche con una targa del Club Tenco. Come lo stesso Guccini ha raccontato in una sua canzone, "Fu il fato che in tre mesi" lo spinse via dalla sua città natale, quella Modena cantata con accenti tutt'altro che affettuosi in Piccola città; la sua famiglia si trasferì infatti a Pàvana, frazione di Sambuca Pistoiese (PT), paese d'origine del padre Ferruccio situato sull'Appennino tosco-emiliano.

Piccola città

«Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa
e c'è il sospetto che sia triviale l'affanno e l'ansimo dopo una corsa
l'ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita
il lento scorrere senza uno scopo di questa cosa... che chiami... vita...»

La Piccola città di una fra le sue più conosciute canzoni è Modena, la città dell'Emilia-Romagna in cui Guccini nacque ma da cui fu allontanato ben presto: "Fu il fato che in tre mesi mi spinse via". Il fato cui il cantautore fa riferimento è la seconda guerra mondiale che chiamò suo padre alle armi costringendo la famiglia di Guccini ad andare a vivere presso i nonni, a Pàvana.

L'imprinting di questa esperienza - gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza trascorsi sulle montagne dell'Appennino - sarà sempre presente nella sua attività: non a caso, proprio a Pàvana ha dedicato il suo primo romanzo (Cròniche Epafániche); molte delle sue canzoni, inoltre, hanno attinto da questa ambientazione montanara della quale Guccini - per sua parola - è sempre andato molto fiero.

Subito dopo la fine della guerra, e prima di iscriversi all'Università di Bologna, l'eterno studente Guccini (come si è autodefinito in Addio) inizia la sua esperienza alla Gazzetta di Modena; per due anni ricoprirà il ruolo di cronista, un lavoro massacrante a sua detta, dodici ore di lavoro al giorno per ventimila lire al mese. In redazione si occuperà di diverse mansioni, ma presterà particolare attenzione a articoli di impatto sui processi.
Sono questi gli anni più intensi riguardo la sua formazione musicale e culturale.

Nasceranno in questi contesti, le storie delle sue canzoni che guardano alla società, al quotidiano e che spesso si uniscono ad un sottile senso di impotenza, tutta umana, verso il destino che travolge l'uomo in quel continuo e mai banale chiedersi un perché, senza pretese di dare risposte assolute e dogmatiche: lui che in un verso di Samantha si definisce un burattinaio di parole.

Negli ultimi quindici anni ha alternato l'attività di compositore e cantante a quella di scrittore, pubblicando diversi libri; oltre a redigere un Dizionario del dialetto pavanese, ha collaborato alla stesura, assieme ad altri autori, di scritti di saggistica e narrativa, interessandosi a svariate tematiche, fra cui quelle relative ai diritti civili (occupandosi del caso di Silvia Baraldini) e all'arte del fumetto. Proprio in ambito fumettistico è stato sceneggiatore di Storie Dello Spazio Profondo, disegnate dall'amico Bonvi e pubblicate negli anni settanta da Arnoldo Mondadori Editore.

Fino alla metà degli anni ottanta ha insegnato lingua italiana al Dickinson college, collegio off-campus, a Bologna, dell'Università della Pennsylvania. Guccini ha anche lavorato come docente presso la sede bolognese della Johns Hopkins University.

Stagioni e Ritratti

 
Francesco Guccini

Noto per tenere nei suoi concerti accanto a sé sul palco un fiasco di vino, Guccini ha mantenuto negli anni una linea compositiva assolutamente coerente con la sua personalità di autore "contro", tingendo spesso le sue canzoni di colori autobiografici (il titolo di uno dei suoi più recenti album, Stagioni, è sufficientemente esplicativo), senza trascurare temi sociali ed esistenziali di impegno (e canzoni come L'atomica cinese, Eskimo ed Il vecchio e il bambino ne possono essere una testimonianza).

Sul piano strettamente musicale, ha affiancato alla prediletta forma della ballata tipica del folk, i ritmi più svariati, dal jazz, al tango argentino, alla milonga.

«Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani

e, anche se siamo soltanto due romantici rottami
sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte...»

"Don Chisciotte" dei sentimenti e fustigatore dell'ipocrisia che si ammanta di perbenismo, avvelenato contro le ingiustizie, paladino degli antisociali, musicista amaro come il jazzista Keaton, Guccini è capace tuttavia di intenerirsi di fronte al "culodritto" della figlioletta oppure davanti un nuovo sentimento, alla stregua di un novello "Cirano" (senza perdere di vista, come l'eroe deriso di Rostand, l'opportunità di indignarsi).

Figure letterarie quindi, mitiche, eroiche, carismatiche, del passato remoto e prossimo, hanno perciò da sempre affascinato Guccini, pronto a trasporle in biografie in versi; il cantante modenese è sempre stato tuttavia anche un attento osservatore dei nostri tempi, con i suoi eventi e cambiamenti del costume; questi temi sono ripresi, ancora una volta, nell'ultima sua produzione, Ritratti, nella quale trovano spazio personaggi storici e della letteratura (come Cristoforo Colombo, Che Guevara ed Ulisse, qui Odysseus) ma anche fatti relativamente recenti e laceranti come gli incidenti accaduti al G8 di Genova nel luglio 2001.

Collaborazioni celebri

Di notevole rilievo è stata la collaborazione con alcuni famosi complessi degli anni sessanta e settanta, fra cui i Nomadi di Augusto Daolio (che portarono al successo di un pubblico più vasto - in qualche caso non senza guai con la censura dell'epoca - le celebri Dio è morto, Noi non ci saremo, Per fare un uomo e Canzone per un'amica) e l'Equipe 84 di Maurizio Vandelli (L'antisociale, Auschwitz o la canzone del bambino nel vento, È dall'amore che nasce l'uomo).

Biografia critica

Infanzia: tra Dante e la miseria (1940-1945)

«Cresciuto tra i saggi ignoranti di montagna,

che sapevano Dante a memoria...»

Con le parole di “Addio” , Guccini pare fotografare la sua infanzia.
Francesco nasce a Modena il 14 giugno 1940 , da umile famiglia. A causa della Guerra si trasferirà con i parenti a Pavana dove trascorrerà i primi 5 anni della sua vita.

Come ci insegna Pascoli con la poetica del fanciullino, lo stupore dei primi anni della vita sarà inarrivabile nel proseguo della stessa. E forse è per questo che, come dice Freud , quando si invecchia si torna sempre alle proprie radici. “Io sono ateo solo fino a quando non arrivo a Pavana (il paesino della sua infanzia) dove ritrovo il piacere della spiritualità”. Quella spiritualità e quel senso delle “Radici” proprio solo dei montanari, che segnerà fortemente la Poetica del Vate e che tornerà spesso nei suoi “ritratti” di vita. “Amerigo” ad esempio,canzone che narra della storia di uno zio emigrante, storia triste, storia di povertà ed emarginazione, solita per quel periodo, vista dal Guccini “Puello”si trasforma in una fiaba vagamente mistica, quasi epica nella forma, in cui il poeta finisce con lo specchiarsi nel volto dello zio tornato dopo anni di sofferenza negli USA “Sentivo che quell'uomo era il mio volto, era il mio specchio...”. Si perché il Guccini quasi panteista di Pavana si sente parte di una grande ruota, si identifica nella circolarità della vita, nel fluire della natura, nell'ironico “balletto dei giorni”, nell'ermetico distaccamento da ciò che si vede e da ciò che è iscritto nelle proprie “memorie biologiche”.

Tuttavia questo topos atipico, quest' “isola trovata” quale era Pavana, così lontana dalla virulenza della guerra, sarà presto solo la parvenza di un momento forse mai vissuto, perso nei meandri di una nuova vita. Ed è così che Guccini, alla fine della Guerra (1945) tornerà nella casa dalla quale era fuggito per rifugiarsi nell' “illibato nido” dei nonni paterni. In quella Modena “provinciale e triste”.

Adolescenza: Modena, Piccola Città... bastardo posto (1945-1959)

Corre l'anno 1945, finita la guerra, Guccini e famiglia tornano a Modena ( che verrà raccontata in “Vacca d'un cane” suo secondo romanzo) dove l'artista passerà tutta la sua adolescenza. È un periodo questo che non viene ricordato felicemente da Guccini, la fuga dalla sua Pavana, la perdita di quella misticità di un “non-luogo” si scontra vivacemente con la realtà della vita. Modena è una cittadina di provincia alla fine della seconda guerra mondiale, la vita scorre diversamente; più veloce, più asettica, forse più falsa. La canzone che certamente fotografa alla perfezione Modena è indiscutibilmente Piccola città (Radici, 1972), ove con vigorose pennellate Francesco rifinisce le sembianze di Modena usandola come soggetto per affrescare la sua adolescenza in una visione a tutto tondo di quella dura realtà. Altre fotografie di Modena le si possono trovare in “Cencio” (Quello che non, 1990) amico del “Guccio” affetto da nanismo che viene ricordato con nostalgia. Tuttavia, nel 1959 arriva la grande svolta: l'incontro con Bologna (Parigi minore), città che sarà un grande punto di grandi convergenze culturali da cui Guccini trarrà linfa vitale per le sue future composizioni.

«Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po' molli,

col seno sul piano padano ed il culo sui colli.»

Periodo giovanile, “oscuro maestro” del beat (Anni 60')

«Arrivai ad abitare a Bologna nel 1960, con i miei genitori. Allora la città era meno costosa, c'erano molti locali aperti la notte, più voglia anche di divertirsi e più idee che circolavano con entusiasmo. Conoscevo già un po' di gente, in parte erano retaggi modenesi o ragazzi della montagna conosciuti durante le passate estati, tutta gente che faceva l'Università. Mi riscrissi nel 1963 al Magistero appena finito il militare. Passavamo le giornate all'Università. C'erano discussioni di li letteratura, di poesia e canzoni, le prime canzoni. Ricordo in particolare le discussioni all'Osteria dei Poeti al pomeriggio. La sera invece all'Osteria di Fuoriporta di cui ho parlato in una canzone. Nel 1964 io e dei miei amici dell'Accademia dell'Antoniano cominciammo a fare cabaret. A quei tempi a Bologna c'erano tre o quattro gruppi che si occupavano di questa attività e la sera ci si trovava in alcune osterie. Il gruppo che noi a avevamo fondato si chiamava pomposamente Folkstudio. Ci incontravamo alcune sere a settimana; ognuno portava la sua chitarra, si suonava, si cantava, si discuteva delle nuove tendenze»

Guccini nasce in realtà non come cantautore, ma come cantante e scrittore di “canzoni da balera”. Gli esordi artistici lo vedono come cantante e chitarrista nel gruppo di cui fanno parte Pier Farri e Victor Sogliani (futuro Equipe 84). Si chiamavano Hurricanes, poi Snakers ed in fine i Gatti i quali, unitosi ad i Giovani Leoni di Maurizio Vandelli sfoceranno nel 1964, nei ben più noti Equipe 84 (Guccini rifiuterà di entrarvi per continuare gli studi). Tuttavia la sua evoluzione artistica comincia proprio da qui, Guccini comincia ad interessarsi al beat, compone le sue prime canzoni; da “La canzone del bambino nel vento” a “Il sociale e l'antisociale” fino a “è dall'amore che nasce l'uomo” portate al successo da L'Equipe84. Si fa conoscere e apprezzare anche da Caterina Caselli che lo invita, nel 1964, in TV (per la Caselli Guccini scrive “Incubo N° 4”) e si fa gradire per la splendida traduzione di “Bang Bang (My Baby Shot Me Down)” di Sonny Bono e Cher (cantata sempre dall'Equipe 84) che Jachia definisce “più efficace dell'originale” [1]. Saranno tuttavia i Nomadi che nel 1966 porteranno al successo quella che sarà una delle più importanti e belle canzoni della storia della musica italiana: Dio è morto. Canzone “generazionale” che per la universalità del suo contenuto ha superato qualunque confinamento politico venendo elogiata addirittura da Papa Paolo VI (anche se incredibilmente fu trasmessa da Radio Vaticana ma censurata dalla RAI). Dunque il giovanissimo ed insicuro Guccini si ritrova perso nei suoi studi universitari, scoprendosi un “oscuro maestro” del Beat Italiano. Ciò nonostante il periodo Beat verrà presto superato in favore del folk (grazie anche alla scoperta di Bob Dylan).

Il primo periodo di Guccini: tra esistenza e resistenza (1967-1970)

«Non lo sapevi che c'era la morte? Quando si è giovani è strano

poter pensare che la nostra sorte venga e ci prenda per mano.»

Il primo album Arriverà nel 1967, quando un ancora sconosciuto Francesco Guccini si affaccia nel mondo della musica da cantante oltre che da autore.

«Francesco Guccini è stato il più lucido Poeta della generazione Beat italiana: la struttura musicale del suo primo album riproduce in pieno il modello di Bob Dylan, e le canzoni sono infatti ballate folk dal forte impegno sociale; poetica esistenzialista e visioni apocalittiche costituiscono la struttura prima linguistica e poi musicale del cantautore bolognese…Nelle sue canzoni Guccini non ricorre mai a falsi romanticismi, sviluppa forme e contenuti con grande intensità espressiva»

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Questo di Guccini è un album che (oltre a contenere canzoni storiche ) ha una sua ben precisa linea espressiva, se vogliamo dolorosa, dove i temi sono la morte, suicidio, infimezza sociale, olocausto e guerra iniziando cosi un percorso artistico e umano che delineerà i contorni del cantautore di Pavana. Tra le canzoni incise ci sono anche alcune di quelle gia portate al successo dai Nomadi o dall'Equipe 84, comunque quella che guida l'album è sicuramente Auschwitz, profonda e commovente come poche.

Ci vorranno 2 anni (1970) per rivedere Guccini in sala di incisione. Il 1970 è la volta di “Due anni dopo”, album più inquieto ed esistenziale, che lascia da parte le logiche della protesta per abbandonasi all'introspezione. A conferma di questo le stesse parole di Guccini:

«Per me scrivere era un fatto di necessità creativa, esistenziale, non certo un fatto professionale…il primo spettacolo ufficiale lo feci solo nel '69, alla Cittadella di Assisi, un centro culturale fondato dai francescani, dove venni chiamato in virtù della popolarità di “Dio è morto”.»

L'Album è molto “leopardiano”, nelle tematiche e nei vocaboli, consegnandoci un Guccini ancora giovanile ma certamente più maturo del precedente. Il vero centro narrativo del disco, dalla robusta influenza francese, è il tempo che passa e la vita quotidiana analizzata nella dimensione dell'ipocrisia Borghese. Questo di Guccini è un disco atipico, bello e particolare, a dimostrazione della grande creatività eclettica dell'artista.

Il successo: via Paolo Fabbri e le Radici (1971-1980)

A pochi mesi da “Due anni dopo” esce “L'isola non trovata” uno dei dischi più misteriosi e sognanti del Vate. Il titolo dell'album che è anche una canzone, è un chiaro riferimento a Gozzano e alla morte dell'Utopia, vista ormai come irraggiungibile. Splendide canzoni come “E un altro giorno è andato” a segnare il fluire del tempo, si alternano a dolci e trasognati ballate come “Asia” e “Canzone di Notte”.

Guccini comincia dunque a farsi conoscere anche al di fuori di Bologna, passando dall'osteria al teatro.

Il vero salto artistico e qualitativo si avrà però con “Radici” (1972). Radici è un contenitore di alcune delle canzoni più apprezzate di Guccini. Prima ma non unica “La locomotiva”, inno portatore di valori eterni come uguaglianza, giustizia sociale e libertà. Il filo conduttore del disco è pertanto l'eterna ricerca delle proprie radici, testimoni della continuità della vita. Il Disco ci vede di fronte ad un Guccini contemplativo e onirico. Canzoni come “Incontro”, “Piccola Città”, “Il vecchio e il bambino”, “La Canzone della bambina portoghese” e “Canzone dei dodici mesi” si alternano e si mescolano dando vita ad un opera intensa e sognate di rara bellezza.

Nel 1973 è la volta di Opera buffa, disco registrato nelle osterie, goliardico e spensierato che mette in luce le grandi capacità di un Guccini cabarettista, ironico e teatrale, colto e canzonatorio ma mai banale o volgare. Potremmo notare come da questo album live si manifesti il modo in cui Guccini si avvicina ai concerti che lo caratterizzeranno nello scorrere della sua carriera. Il suo tipico modo di fare cabaret si rinnova sempre nei suoi spettacoli che diventano delle vere e proprie esibizioni teatrali in cui il protagonista dialoga e si confronta con il pubblico di tutte le età. Questa sua vena cabarettistica lo accompagnerà sempre anche in sala di incisione (alcuni esempi: “L'avvelenata”, “Addio” (invettiva sociale) o la spensierata “I Fichi”).

«Io dico sempre non voglio pensare, ma è come un vizio sottile e più penso più mi ritrovo questo vuoto immenso, e per rimedio soltanto il dormire.»

Segue nell'anno successivo Stanze di vita quotidiana, album controverso, amato e odiato dai fan in egual misura.
Paolo Jachia afferma: “Stanze è l'album meno capito di Guccini” [1]. Forse addirittura troppo raffinato ed esistenziale, stanze rispecchia il periodo di crisi profonda che Guccini viveva. Composto da sei canzoni, tutte malinconiche e struggenti, dimostra, come afferma Jachia: “che a fatica la canzone è stata apprezzata come fatto artistico e culturale”.

La critica fu pesantissima con questo LP, si ricorda soprattutto una pesante catilinaria del critico Riccardo Bertoncelli, a cui Guccini rispose in rima qualche anno dopo.

A distanza di molti anni è stato riconosciuto il grande valore artistico di questo LP. Basti notare che la prosa della toccante “Canzone per Piero” è stata inserita tra le fonti della prima prova dell'esame di Stato 2004 [2].
Il tema del saggio era l'amicizia e Francesco si è detto (ovviamente) fiero di figurare in mezzo a Dante e Raffaello. Parlando della canzone gli ascoltatori più eruditi e attenti avranno notato come la fonte conscia o inconscia di Guccini sia certamente il dialogo di Plotino e Porfirio contenuto delle Operette morali di Giacomo Leopardi. Questo per chiarire come il Guccini di stanze sia tutt'altro che "melenso". Il disco anzi, scivola via lasciando il segno, i vocaboli leopardiani, i temi della quotidianità, le decrepite maschere borghesi fanno da specchio alla società che Guccini ritrae con cruda efficacia.

Il Successo di Guccini esplode potente nel 1976 anno del mitico “Via Paolo Fabbri 43” album che risulterà tra i cinque più venduti dell'anno. Il cantante si fa più maturo e più sicuro di se. La struttura musicale dell'Lp è più complessa dei precedenti, gli arrangiamenti strizzano l'occhio al jazz e la sua voce fonda si fa più salda e decisa. Come risposta alle critiche dedicate a “Stanze di vita quotidiana” il Maestrone scrive la celeberrima “L'Avvelenata” considerata da Jachia “la più bella canzone cabaret della Musica Italiana”, la quale ci vede davanti ad un Guccini rabbioso e deciso a rispondere “vivacemente” a chi lo ha aspramente criticato.

Altra canzone-mito di questo album risulterà essere Quella che da il titolo al album che sarà un'altra prova della sua coerenza sia come uomo che come artista. Non mancano ad arrivare nemmeno i momenti fortemente lirici e toccanti: “Canzone quasi d'Amore” dalla poetica intensa ed esistenziale è un grande esempio delle vette raggiungibili dal “Guccini poeta”. Il suo aggraziato tratto da cantastorie tornerà anche ne “Il pensionato” ballata narrante di un suo anziano vicino, ma che esploderà nella cosmicità del messaggio sulla situazione degli anziani nella nostra società malata.

Due anni dopo arriva Amerigo (1978), la cui più famosa canzone è certamente la illustre “ Eskimo” “canzone dedicata ad un non più amore…storia di una sconfitta o di una maturazione forse mai raggiunta il cui tono complessivo oscilla tra nostalgia e autoironia". Spicca su tutte la bellissima “Amerigo”, epica e commovente narrazione della vita di uno zio emigrante in cui Guccini si rispecchia.

Guccini saluta gli anni 70 con un album concerto registrato con i Nomadi. La particolarità di questa raccolta è sicuramente l'interpretazione a due voci di Francesco e Augusto Daolio. Interessante anche il fatto che Guccini canta canzoni da lui scritte ma mai incise: “Noi”, “Per fare un uomo” e soprattutto “Dio è Morto”.

Il secondo periodo. La crescita. (1981-1998)

Il secondo periodo della carriera gucciniana si distingue integralmente dalla sua precedente produzione.

I toni del cantautore si fanno più artistici, i temi più ricercati e vasti;

«Guccini è un cantautore di vaste pianure»

e da tale si dimostra un grande esploratore di terre mai visitate, sarà più intimista, più introspettivo, più fine e addirittura più ambizioso. La sua prosa si fa più pensata il piano interpretativo più astratto. Va comunque precisato che il Guccio non risulterà mai distaccato dalle problematiche dell'uomo, bensì cercherà di affrontare gli stessi temi ma da diversi punti di vista. Egli non perderà comunque la sua condizione di "medesimezza".

«Il non colto, il vagheggiato, la fuga del tempo, la labilità dell'amore, ma pure il senso del porto, il luogo natale, così come la provvisorietà e l'incommensurabile dolcezza di alcuni attimi di vita sono alla base del suo concetto di "medesimezza umana" (come diceva Gramsci e ha ribadito Jachia) per il quale è sintomatica la “canzone quasi d'amore”. La medesimezza è un uguaglianza esistenziale tra gli uomini, che si coglie solo a cercarla, a pensarla: non appare e non te la senti addosso se non svicoli o ti perdi negli effetti e nella funzione del quotidiano. Più viva, più forte, più determinate si configura in chi è spiazzato, o senza collare, o diverso, o stanco, o deluso, per chi insomma è "pecora nera" non senso amorale del termine, ma decentralizzato, fuori dal coro delle ovvietà. La medesimezza è riconoscesi di un'unica e faticosa umanità proprio nel confronto di quei particolari, di quegli stimoli, di quegli istinti che sono iscritti in noi da sempre e sono naturali e quindi "neri" rispetto all'omologazione sociale imperturbabile, distratta, lieta di rimuovere chi ci fa "bianchi"»

Guccini apre gli anni '80 con un album che testimonia il cambio di tematiche e l'evidente salto di qualità. Metropolis eccelle sotto vari punti di vista. Il sottile filo conduttore della raccolta è la descrizione di alcune città dal preciso valore simbolico: Bisanzio, Venezia, Bologna e Milano.

La storia delle città si intreccia in un lieve gioco di vicende storiche e di rimandi dal fine significato simbolico. La parte musicale è più corposa e si distanzia dagli stereotipi classicamente folk; compaiono infatti incroci di sax e chitarra, basso e batteria, tastierine, zufoli, clarinetti, flauti e cosi via. In questo LP torna il tema del viaggio o meglio “l'impossibilità e l'inutilità di viaggiare”. Per la prima volta Guccini si apre a collaborazioni scrivendo due canzoni a quattro mani con Giampiero Alloisio. In realtà Metropolis narra, più che della descrizione di alcune città, il disagio della vita nella “polis” e la dispersione della civiltà urbanizzata.

La canzone più bella è senza alcun dubbio Bisanzio composizione “commovente e sognante” (come afferma Jachia), è una canzone di rara epicità e bellezza che, continua Jachia, “complessivamente ribadisce la ricerca gucciniana di una verità ulteriore non percepibile in un pensiero dogmatico e arrogante”.

Bisanzio viene rappresentata da Guccini come un incantevole e angosciante viadotto geopolitico e temporale al limite tra due continenti e due ere, il tono è apocalittico. Il protagonista stesso, tale Filemazio, percepisce pienamente la decadenza della sua civiltà e l'avvicinarsi della fine (romani e greci dove siete andati?.../sentivo bestemmiare in alemanno e in goto…/) nonostante la sua cultura, Filemazio non sa più leggere il futuro, si trova di fronte all'impossibilità di capire e si lascia in fine trascinare dallo scorrere nichilistico degli eventi. La canzone è ambientata intorno alla fine del 1400 quindi in concomitanza della sconvolgente scoperta dell'America e della vicina caduta dell'Impero Romano d'Oriente, sovrastato dall'arrivo dalle “barbare genti”. È facile scorgere il profilo di Guccini dietro Filemazio, ed è altrettanto facile paragonare la situazione di Bisanzio a quella della decadente civiltà occidentale (sublimamente raccontata dal “profeta” Guccini).

Continuando la descrizione del disco non si può non citare “Venezia”, poetica e toccante, e “Bologna”, colta e coinvolgente ballata dedicata ad un “amore passato”, quella “Parigi minore” “volgare e matrona”.

Anche il successivo disco, dal titolo emblematico (Guccini-1983 ), tratterà le stesse tematiche del precedente. Ritorna infatti il tema del viaggio e del disagio metropolitano che saranno cantate in “Gulliver” ed in “Argentina”. Una classica di Guccini diventerà “Autogrill” canzone metafisica che narra di un amore solo sfiorato. Ricercata e particolare risulta essere la preziosa “Shomèr ma mi llailah?” tratta dalla Bibbia (precisamente dal libro di Isaia cap. 21).

Questa canzone risulta essere una delle più profonde riflessioni esistenziali di Guccini, sull'impossibilità dell'uomo di avere delle risposte ma sulla possibilità e l'esigenza di farsi infinite domande, per non far esaurire quella ricerca esistenziale che ci rende umani.

Seguirà nel 1984, il celebre album live “Fra la via Emilia e il west” che raccoglierà le performance live di molti dei successi fino ad allora scritti. L'album verrà tratto principalmente da un megaconcerto in piazza Maggiore a Bologna dove Guccini era accompagnato dalla solita band.

Il 1987 è l'anno di “Signora Bovary”, album di stampo intimista , toccante e intenso come pochi. Uno dei più amati dai Fan del Cantastorie. Le varie canzoni sono dei ritratti di personaggi della vita di Guccini. "Van Loon" è il padre di Guccini, "Culodritto" è la giovane figlia Teresa (nata nel 1978), "Signora Bovary" è lo stesso Guccini.

Da sottolineare come questo disco segni un importante cambiamento di rotta somprattutto per quel che riguarda la composizione musicale. Parafrasando le parole di Jachia, si può notare come la musica si faccia più raffinata e gli arrangiamenti vengano curati con grande attenzione. Da Signora Bovary in avanti migliorano notevolmente la comlessità melodica e la elaborazione poetica consacrando definitivamente il "Maestrone" come "chansonnier di grande qualità musicale "alla maniera -afferma Felice Liperi - di Brel e Dylan. Colpisce su tutte la celebre "Scirocco", canzone, tra l'altro, che ha ricevuto vari riconoscimenti. La raffinatezza di questo disco si nota gia dalla copertina, sulla quale è raffigurato un elegante velluto rosso.

Nel 1989 Guccini presenta un Live celebrativo dei primi venti anni (ventidue per l'esattezza) di carriera. Quasi come Dumas è registrato dal vivo, nel 1988, al Palatrussardi di Milano, al Palasport di Pordenone e al Teatro dell'Istituto Culturale dell'Ambasciata d'Italia a Praga.

Il terzo periodo. La maturità: “sublimazione della forma” (2000-2007)

«Scrutiamo le case abbandonate chiedendoci che vite le abitava, perché la nostra è sufficiente appena,
ne mescoliamo inconsciamente il senso;
siamo gli attori ingenui sulla scena di un palcoscenico misterioso e immenso»

Guccini non è più intuitivo, ma è sublime. Perfetto. Ha perso la movenza folgorativa della stesura, acquisendo però, la saggezza letteraria, la dimensione dell'idilliaco, la cognizione della elegia. Si potrebbe riassumere così questa fase della poetica gucciniana. Il cantautore pare aver acquisito una profonda consapevolezza delle sue capacità.
La cura della forma tocca apici a dir poco lirici, quasi maniacali nell'eleganza. Francesco è sempre più elegiaco, lo studio certosino, la ricercatezza del dettaglio, la nobilitazione del “particolare” emergono soprattutto in Ritratti, (2004) da alcuni considerato il suo miglior disco degli ultimi 15-20 anni.

L'album pare quasi alienato da una qualsiasi dimensione cronotopica, vive di luce propria in una realtà vagamente onirica, sicuramente letteraria, in cui il “Burattinaio di parole” dialoga con personaggi storici come Ulisse, Colombo, Guevara, che sembrano vivere dentro di lui velati da un vago ermetismo. Odysseus che apre il disco è senza alcun dubbio il Capolavoro dell'album, nonché una delle liriche migliori della sua formidabile carriera. La canzone dal punto di vista tecnico tocca vette difficilmente eguagliate . Il componimento ha una lirica profonda, armoniosa e vivace che spinge l'uditore a viaggiare insieme ad Ulisse , ripercorrendone il cammino con enfasi e capillare eufonia , l'accompagnamento di stampo mediterraneo con chitarra ritmica e percussioni è tessuto perfettamente con le maglie euritmiche del testo. La pindarica danza dei versi assume picchi mai raggiunti da Guccini in precedenza (e francamente quasi mai raggiunti da nessun cantautore); le assonanze , le cadenze scandite, le citazioni dotte, imperversano per tutto il percorso della poesia che si chiude con l'Ulisse che percepisce la sua “immortalità”.

L'album continua a scorrere con ricercatezza, la foggia che racchiude il tutto è eccelsa, passando da una meta-canzone, fino per toccare i cuori con la splendida ballata per il Che. Da citare la commovente traduzione dal catalano al modenese de “la Ziatta” come per altro la altrettanto commovente canzone dedicata a Carlo Giuliani, il ragazzo deceduto nel 2001 negli scontri del G8 di Genova. Interessante anche l'inedito inserito nel disco (La tua Libertà - 1971) che rievoca le sottili atmosfere de “L'isola non trovata”.

Tuttavia non si può non fare un passo indietro (2000) per citare l'album che inizia quel percorso artistico sfociato nel sopraccitato “Ritratti”. Non è un caso infatti che Guccini inauguri il ventunesimo secolo con l'ottimo “Stagioni”, album che, come il titolo stesso suggerisce parla proprio dei cicli temporali che attraversano lo scorrere degli anni. Un disco ricco di ottimi pezzi: “autunno” emerge per la bellezza dei versi e per la struggente interpretazione, “Ho ancora la forza” (scritta a quattro mani con Ligabue) è una dichiarazione di vigore e coerenza di grande impatto, “Don chisciotte” è il Guccini letterario che duetta con il suo chitarrista dando vita ad una coinvolgente ballata che fa eco a “Cirano”, “E un giorno” è un toccante dialogo con la figlia Teresa, intenta ad affrontare i problemi della vita e “Addio” è una nuova “Avvelenata” ma con gli echi della maturità e dell'universalità del messaggio.

Nel 2005 esce a distanza di 7 anni, il suo ultimo live, registrato l'anno prima nello splendido anfiteatro di Cagliari. Il doppio CD è accompagnato anche dal suo primo DVD ufficiale che ripropone integralmente il medesimo concerto in versione video, non privo dei classici dialoghi che da sempre caratterizzano i concerti del Cantastorie.

Segue all'eccellente disco dal vivo (Anfiteatro Live), la raccolta tripla celebrativa dei suoi primi 40 anni di carriera, racchiusa nelle 47 canzoni presenti nella sua “The Platinum Collection” (2006). La selezione è buona, anche se certamente non esaustiva, data l'ampiezza della sua carriera e la sempre eccellente qualità dei suoi lavori.

Nel luglio del 2006 la EMI FRANCE pubblica “La Giungla”, singolo del Professore trattante il rapimento di Ingrid Betancourt.

Nel tour del 2007, (che fa registrare il tutto esaurito) Guccini presenta una nuova canzone sulla resistenza, (“Su in collina”) la quale verrà inserita nel prossimo Album attualmente in lavorazione. Parlando del disco Guccini rivela di aver già scritto una canzone dedicata a Pavana, (“Canzone di Notte n.4”) e “Ieri pomeriggio” che narrerà del testamento di un Clown a fine carriera.

«Se ci sono non so cosa sono e se vuoi quel che sono o sarei, quel che sarò domani, non parlare non dire più niente, se puoi, lascia farlo ai tuoi occhi, e alle mani...»

Guccini e la politica

«Io tutti, io niente, io stronzo, io ubriacone,
io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista,
io ricco, io senza soldi, io radicale,
io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista»


Guccini è considerato il cantautore più politicizzato tra quelli della grande tradizione italiana. Nonostante la risaputa vicinanza del nostro alla sinistra italiana, questa politicizzazione ha avuto spesso effetti di strumentalizzazione. Se è vero infatti che alcune sue composizioni sono socialmente impegnate (e quindi tendenzialmente politiche), è altrettanto vero che la gran parte dei suoi successi derivano dall'elevato valore artistico e letterario che i suoi brani dimostrano. Potremmo dunque dedurre che la visione di Guccini come cantautore politico è quanto mai riduttiva e superficiale.

Non a caso il "maestrone", come ha dichiarato in una intervista, ha sempre rifiutato incarichi politici o amministrativi che gli venivano spesso proposti.

Va comunque ricordato che la grande politicizzazione di Guccini deriva principalmente dall'enorme successo de La locomotiva, una splendida ballata divenuta un simbolo della sinistra italiana.

Tuttavia un personaggio come Guccini, non è certo inscrivibile in un determinato quadro politico, lui infatti si definisce (come l'amico Fabrizio De André) un anarchico.

Dalla chitarra alla penna, Francesco scrittore

  Lo stesso argomento in dettaglio: Cròniche Epafániche.

Che a Guccini stesse stretta la forma sostanzialmente breve e tipicamente riassuntiva delle canzoni era evedente; canzoni che sfiorano i 10 minuti ne sono la chiara dimostrazione. Non è infatti una casualità se ormai da 15 anni Guccini si sia prestato con notevole successo allo "scibile cartaceo" in tutte le sue forme.

Se è infatti evidente che il duo Guccini-Machiavelli abbia ormai creato un nuovo mito del Noir italiano (il maresciallo Benedetto Santovito) è altrettanto veritiero che la complessità e il fascino della trilogia autobiografica del cantautore bolognese ne rappresenta l'apice narrativo, e ne dimostra tutte le sue capacità di etimologo, glottologo, lessicografo e scrittore.

Croniche Epafaniche (1989) è stata una delle sue opere più importanti (pubblicata presso la Feltrinelli). Il romanzo, pur non essendo una biografia dell'autore, diventa un romanzo autobiografico per la propensione di Guccini a volersi riappropriare delle sue radici. Apprezzatissimo dalla critica e di gran successo di vendite, il romanzo è ambientato in montagna e riprende una cultura di contadini ormai in via di sparizione.

Sono stati dei best seller anche i suoi due romanzi successivi, Vacca d'un cane e Cittanova blues, entrambi riguardanti i diversi periodi della sua esistenza.

Se infatti Croniche Epafaniche racconta l'infanzia di Guccini, il periodo bucolico del "puello", l'illibatezza dello stupore primigenio degli anni puri, l'utopia della bella Pavana alienata da qualunque contesto cronotopico, lontana dalle realtà infernali della seconda guerra mondiale, allora Vacca d'un cane narra del periodo successivo, quello in cui un Guccini adolescente ormai stabilmente a Modena (città da lui mai veramente amata) scoprirà di non essere "uno tra tanti", ma contemporaneamente diventerà coscente di come la provincialità della sua città natale massacrata dalla guerra, farà da ostacolo alla sua crescita intellettuale.

Dunque Modena andrà presto stretta a Guccini, propenso a spostarsi presto a Bologna, la quale simboleggerà la scoperta del mondo, l'illusoria utopia, il sogno americano. Ed è quest'ultimo capitolo che verrà narrato nelle vicende di Cittanòva Blues, che va a chiudere la splendida trilogia autobiografica.

Jachia dice dei suoi libri: "Non sono libri facili, i romanzi di Guccini, anche se, naturalmente, essendo libri profondamente legati al suo modo di raccontare, al suo mondo poetico, anche di primo acchitto sono pur sempre libri appassionanti non solo perché imprevedibili nelle soluzioni linguistiche e stilistiche, ma più ancora perché questi romanzi sono profondamente legati tematicamente al nostro passato prossimo di ex contadini e miserabili neourbani, legati dunque al tempo antico, e in qualche modo fiabesco, dei nostri genitori e più ancora dei nostri nonni"

Nel 1998 Guccini pubblica il dizionario del dialetto di Pavana, la città della sua infanzia, nel quale si più notare tutta la sua capacità di dialettologo.

Diverse altre pubblicazioni sono successivamente venute alla luce in collaborazione con Loriano Macchiavelli.

Guccini e il cinema

L'attività di Guccini inerente al cinema, come attore o come musicista, inizia nel 1976: non è stata particolarmente intensa, ma sicuramente ricca di significati.

La prima apparizione di Guccini su uno schermo televisivo come attore è stata in occasione del film Bologna. Fantasia, ma non troppo, per violino di Gianfranco Mingozzi del 1976 e della durata di 90'. Si trattava di una puntata dedicata a Bologna della serie televisiva Raccontare la città nella quale Guccini interpretava il poeta cantante Giulio Cesare Croce che, nella trama del film, rivive nei secoli le vicende della città di Bologna, accompagnando questo percorso con canzoni tratte (in parte o integralmente) da testi originali di Croce. Altri interpreti che parteciparono come attori al film furono Claudio Cassinelli e Piera Degli Esposti che interpretavano entrambi personaggi storici della città.

Come attore ha inoltre partecipato ai film I giorni cantati (del 1979, per la regia di Paolo Pietrangeli, la cui colonna sonora contiene la sua canzone Eskimo), Musica per vecchi animali (1989, regia di Umberto Angelucci e Stefano Benni), Radiofreccia (1998, regia di Luciano Ligabue, assieme a Stefano Accorsi) e Ormai è fatta (1999, regia di Enzo Monteleone, sempre con Stefano Accorsi), Ti amo in tutte le lingue del mondo (2005, diretto ed interpretato da Leonardo Pieraccioni) . Nella colonna sonora di "Nero" (1992, regia di Giancarlo Soldi), è contenuta la canzone Acque. Come musicista ha scritto la colonna sonora di Nenè (1977, regia di Salvatore Samperi) .

Riconoscimenti

«Di giorno bevo l'acqua e faccio il saggio ,
per questo solo a notte ho quattro soldi di messaggio...
da urlare in faccia a chi non lo raccoglie.»


Umberto Eco ha dichiarato che Francesco Guccini è "il più colto dei cantautori italiani", con tanto di lode: «Che coraggio far rimare 'amare' con 'Schopenhauer'» (dopo un bicchiere di vino con frasi un po' ironiche e amare/ parlava in tedesco e in latino, parlava di Dio e Schopenhauer). Francesco prontamente - e scherzosamente - ha replicato che si tratta di assonanza, non di rima.

Molti i riconoscimenti andati a Guccini per la sua attività artistica; fra questi vanno segnalati il Premio Tenco ricevuto nel 1975 e le Targhe Tenco che gli sono state assegnate nel 1987 per il brano Scirocco, nel 1990 per il brano La canzone delle domande consuete (come già segnalato), nel 1994 per l'album Parnassius Guccini (deve il titolo a una farfalla scoperta nel 1992 nell'Appennino toscoemiliano da un entomologo appassionato alla sua musica) e nel 2000 per il brano Ho ancora la forza, cantato insieme a Ligabue.

Il suo racconto La Cena è stato inserito nella raccolta Mondadori "Racconti del '900".

Guccini il 26 maggio 2004 è stato insignito del titolo di Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi.

Nel 1992 Guccini ha ricevuto il premio Librex-Guggenheim. Il comune di Carpi (Modena), gli ha dedicato nell'autunno del 2003 una mostra.

Il 21 ottobre 2002 le università di Modena, Reggio Emilia e Bologna hanno consegnato la laurea ad honorem in Scienze della Formazione Primaria a Francesco Guccini.

Nel 2004 ha ricevuto la Targa Ferrè.

Nel 2005 gli viene conferito, nella seconda edizione nazionale, il premio "GIUSEPPE GIACOSA - PAROLE PER LA MUSICA"

Il 6 agosto 2006 Guccini ha ricevuto durante il tradizionale campionato italiano della bugia a Le Piastre, sulla Montagna Pistoiese, il Bugiardino ad Honorem. Guccini si era presentato sul palco con una bugia: "Salve, sono Lucio Dalla!".

Oltre che alla già citata farfalla Parnassius mnemosyne guccinii, il nome del cantautore è stato utilizzato anche per denominare un asteroide scoperto nel 1997 da Luciano Tesi e Gabriele Cattani (e definito, appunto, 39748 Guccini).

I musicisti

I componenti della sua attuale band sono:

Fra coloro che in diverse occasioni hanno collaborato con lui citiamo:

In due concerti del 1979 (dai quali è stato poi tratto un disco dal vivo) Guccini è stato accompagnato anche dai Nomadi.

Discografia

Album

45 giri

Versioni inedite su LP; "Un altro giorno andato" verrà reincisa in versione acustica nel 1970 ed inserita in L'isola non trovata, mentre "Il bello" verrà reincisa dal vivo in Opera buffa
Versioni diverse nel mixaggio da quelle inserite in Due anni dopo
  • 1977 - Nené" / "Tema di Ju

Singoli

Apparizioni in compilation o in dischi di altri interpreti

Sono incluse solo le raccolte che ospitano canzoni inedite sugli LP e CD ufficiali

  • 1975 - Grande Italia: compilation pubblicata dalla EMI con artisti modenesi; Guccini canta "Le belle domeniche", una sua canzone d'amore scritta una decina di anni prima ma pubblicata solo nel 2006 nella sua "The Platinum Collection" (in versione rimixata).
  • 1988 - Dalla/Morandi: Canta con Lucio Dalla e Gianni Morandi il brano "Æmilia", scritto a quattro mani con Dalla. La versione gucciniana di questo brano sarà successivamente inserita su Quello che non....
  • 1993 - Il volo di Volodja: compilation pubblicata dalla Ala Bianca e curata dal club Tenco, è un omaggio al cantautore russo Vladimir Vysotskij: molti cantautori italiani interpretano delle sue canzoni in italiano, e Guccini canta "Il volo interrotto".

Guccini autore: canzoni scritte per altri interpreti

  • 1966: È dall'amore che nasce l'uomo (testo e musica di Francesco Guccini; firmata da Maurizio Vandelli perché Guccini non era ancora iscritto alla Siae); interpretata dall'Equipe 84 nell'album "Io ho in mente te"
  • 1967: Le biciclette bianche (testo di Francesco Guccini; musica di Caterina Caselli; firmata da Ingrosso e dal maestro Franco Monaldi perché Guccini e la Caselli non erano iscritti alla Siae); interpretata da Caterina Caselli nell'album "Diamoci del tu"
  • 1967: Incubo n° 4 (testo di Francesco Guccini; musica di Caterina Caselli; firmata da Ingrosso e dal maestro Franco Monaldi); interpretata da Caterina Caselli nell'album "Diamoci del tu"
  • 1967: Per un attimo di tempo (testo e musica di Francesco Guccini; firmata da Maurizio Vandelli perché Guccini non era ancora iscritto alla Siae); interpretata dall'Equipe 84, che la incise nel 1967 ma la pubblicò solo l'anno dopo nell'album "Stereoequipe" (cfr.: Franco Ceccarelli - Io ho in mente te: storia dell'Equipe 84, 1996, Zelig Milano , p. 100)
  • 1967: Dio è morto (testo e musica di Francesco Guccini); interpretata dai Nomadi nell'album "Per quando noi non ci saremo" e da Caterina Caselli nell'album "Diamoci del tu" (con delle piccole varianti nel testo): è la prima canzone depositata alla Siae a nome di Francesco Guccini (che nel frattempo aveva superato i due esami come autore di testi e come musicista non trascrittore) sia per il testo che per la musica, è sicuramente una delle sue canzoni più famose eppure non è mai stata incisa in studio dal suo autore ma solamente dal vivo
  • 1967: Il disgelo (testo e musica di Francesco Guccini); interpretata dai Nomadi nell'album "Per quando noi non ci saremo"
  • 1967: Noi (testo e musica di Francesco Guccini); interpretata dai Nomadi nell'album "Per quando noi non ci saremo"
  • 1967: Per fare un uomo (testo e musica di Francesco Guccini); interpretata dai Nomadi nell'album "Noi non ci saremo", dai Profeti nell'album "Bambina sola" e, con piccole varianti nel testo, da Caterina Caselli nell'album "Diamoci del tu" (tutti i dischi sono usciti nel 1967 a distanza di pochi mesi)
  • 1968: Quei coraggiosi delle carrozze senza cavalli (testo e musica di Francesco Guccini); interpretata da Johnny e i Marines su 45 giri
  • 1968: È giorno ancora (testo e musica di Francesco Guccini); interpretata dai Nomadi nell'album "I Nomadi"
  • 1968: Un figlio dei fiori non pensa al domani (testo di Francesco Guccini; testo e musica originale di Ray Davies); interpretata dai Nomadi nell'album "I Nomadi". Come ha raccontato spesso lo stesso Guccini, in realtà il testo in italiano di questa canzone ("Death of a clown" dei Kinks) non è opera sua, ma del suo amico Franco Tedeschi, nato a Modena nel 1942, professore e traduttore; Tedeschi però non era iscritto alla Siae, per cui Guccini gli fece da prestanome, come avevano fatto De Ponti e Verona nei suoi confronti fino a poco tempo prima (cfr.: Massimo Masini, Seduto in quel caffè...., fotocronache dell'era beat, 2003, RFM edizioni Modena, p. 14)
  • 1968: Cima Vallona (testo e musica di Francesco Guccini); incisa da Caterina Caselli nello stesso anno, non fu però pubblicata dalla casa discografica probabilmente per l'argomento affrontato nel testo (cioè la strage di Cima Vallona; solo nel 1998 questa canzone riuscirà ad essere pubblicata nel cd antologico della caselli "Qualcuno mi può giudicare"
  • 1968: Mrs. Robinson (testo di Francesco Guccini; testo originale e musica di Paul Simon); interpretata dai Royals; reincisa due anni dopo da Bobby Solo nell'album "Bobby folk".
  • 1971: ...e tornò la primavera (testo di Francesco Guccini; musica di Deborah Kooperman); interpretata da Patty Pravo nell'album "Di vero in fondo"; pochi mesi dopo viene incisa anche dall'autrice della musica e pubblicata su 45 giri (a nome "Deborah").
  • 1998: Una casa nuova (testo di Francesco Guccini; musica di Gaetano Curreri); interpretata da Patty Pravo nell'album "Notti, guai e libertà"; nel 2002 è stata reincisa dagli Stadio nell'album "Occhi negli occhi"
  • 2006: Ti ricordo Amanda (traduzione di una canzone di Victor Jara); interpretata da Francesco Guccini e Colectivo Panattoni nell'album "L'America" del gruppo "Colectivo Panattoni"

Filmografia

Attore

Autore della colonna sonora

Film in cui vi sono nella colonna sonora sue canzoni

Bibliografia

Saggi e romanzi di Guccini

Racconti

Fumetti

  • Magnus, Guccini F., Largo delle tre api, in "Lo sconosciuto", ed. Del Vascello, Milano 1975, poi ristampato da L'Isola trovata, Milano 1985; Granata, Bologna 1991; Einaudi, Torino 1998
  • Bonvi, Guccini F., Storie dello spazio profondo, Carecas, Roma 1972, poi ristampato da Mondadori, (Milano 1979) e da Granata (Bologna 1991)
  • Guccini F., Rubino F., Vita e morte del brigante Bobino detto Gnicche, Lato Side, Roma 1980
  • Guccini F., Scozzari F., Barbùn vs. Realtà, in "Re nudo", 1981, poi ristampato in Mollica V., (a cura di), Francesco Guccini, Lato Side, Roma 1981
  • Guccini F., Cavezzali M., Gerry Pompa in Mollica, V., Sacchi, S., (a cura di), Caro diario. *Taccuino visivo del Tenco '82, Il Ponente, Sanremo 1983

Testi

Approfondimenti

Curiosità

  • Durante il primo scrutinio per l'elezione del Presidente della Repubblica Italiana, svoltosi l'8 maggio 2006, Francesco Guccini riceve un voto.
  • Il vecchio e il bambino può sembrare una canzone critica verso l'industrializzazione accusata di distruggere a poco a poco la natura e tutto ciò che un tempo era considerato "puro". Guccini, nel libro-intervista Un altro giorno è andato, ha detto che questa può essere una possibile interpretazione ma che non è quella con cui la canzone è stata pensata: l'autore ha scritto il testo immaginandosi l'olocausto di una possibile guerra nucleare, il vecchio (della generazione sopravvisuta alla guerra) racconta al bambino di come la Terra fosse bella prima che tutto venisse distrutto.
  • Maurizio Crozza ha imitato con successo Guccini in diverse puntate di Crozza Italia e in una di Rockpolitik.
  • Nel 2006 Guccini è tornato ad apparire in tv dopo quasi 10 anni nella trasmissione di Fabio Fazio "Che tempo che fa", (tornandoci poi nel 2007).
  • Nel 1993 viene dato il suo nome ad una farfalla: Parnassius Guccinii
  • Nel 1997 viene dato il suo nome ad un asteroide: 39748 Guccini
  • Nel film indiano Abar Aranye (2003) del regista Goutam Ghose, a un certo punto l'attore Subhendu Chatterjee impugna una chitarra e canta in un italiano incerto Stagioni.
  • Il suo brano Canzone per Piero, contenuto nell'album Stanze di vita quotidiana, figurava tra le fonti per la prima prova scritta dell'Esame di Stato 2004 "L'amicizia, tema di riflessione e motivo di ispirazione poetica nella letteratura e nell'arte". [2]
  • Guccini è legato alla EMI dal 1967, risultando l'artista italiano da più anni sotto contratto con questa casa discografica (e il secondo del mondo).
  • Roberto Vecchioni ha scritto e dedicato una canzone (il cui titolo è Canzone per Francesco) all'amico Guccini e l'ha cantata al Club Tenco del 1989.
  • La figlia di Francesco, Teresa Guccini, si è laureata lunedì 26 marzo 2007, in Letteratura Italiana al Dams di Bologna. La giovane ha presentato una tesi di ricerca dal titolo Isole di specchi che le è valsa la lode e in cui ha messo a confronto le lettere dei fan del padre con quelle dei fan di Robbie Williams (con il quale ha lavorato a Londra).
  • Bollywood canta Guccini. Un personaggio impugna la chitarra ed esegue (in italiano) la canzone 'Stagioni' di Francesco Guccini. Succede nel film indiano 'Un'altra volta nella foresta' (Abar Aranye, 2003) del regista Goutam Ghose. (fonte Repubblica 16 maggio 2007)

Note

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

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Simbolo mancante (man)