Leone Fortis: differenze tra le versioni
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|GiornoMeseNascita = 5 ottobre
|AnnoNascita = 1827
|NoteNascita = <ref name="Monsagrati">{{cita|Monsagrati}}.</ref>
|LuogoMorte = Roma
|GiornoMeseMorte = 7 gennaio
|AnnoMorte =
|NoteMorte = <ref name="Monsagrati"/><ref>{{cita news|autore=Raffaello Barbiera|wkautore=Raffaello Barbiera|titolo=Leone Fortis|rivista=[[L'Illustrazione Italiana]]|data=16 gennaio 1898|pp=39 e 42}}</ref>
|Epoca =
|Attività = giornalista
|Attività2 = scrittore
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|AttivitàAltre = e patriota
|Nazionalità = italiano
|Immagine = Leone Fortis by Vespasiano Bignami (before 1929) - Archivio Storico Ricordi ICON010810.jpg
|Didascalia = Leone Fortis ritratto da [[Vespasiano Bignami]]
}}
== Biografia ==
[[File:LeoneFortis.jpg|thumb|upright|Leone Fortis]]
Il padre, Davide Forti, medico di [[religione ebraica]], era nato a Reggio Emilia. La madre, Elena Wollemborg, era di origine austriaca. Rimasta vedova, si era trasferita a [[Padova]]. La casa era frequentata da letterati di nuova generazione: [[Francesco Dell'Ongaro]], [[Aleardo Aleardi]], [[Arnaldo Fusinato]] e [[Giovanni Prati]]. Leone studiò medicina come il padre.<br/>▼
Cambiato il suo cognome in "Fortis", nel [[1846]] pubblicò una [[novella]] in versi sciolti, ''Luigia'', dedicata a Luigia Coletti, la sua futura sposa. Nel 1847, con Alfredo Romano, scrisse il dramma in versi ''La duchessa di Praslin'' - ispirato a un fatto di cronaca parigino - con allusioni patriottiche. Arrestato durante una manifestazione studentesca, fu condotto a Trieste. Nel marzo 1848, alla notizia delle [[Cinque giornate di Milano]] Leone tornò a Padova e si arruolò come volontario, combattendo a Monte Osio ([[Verona]]). Poi andò a [[Milano]], dove diresse "Il Vero Operaio", giornale moderato che contrastava il quotidiano radicale "L'Operaio"; quindi a [[Firenze]], dove fu redattore de "L'Alba", quotidiano democratico presto soppresso da [[Francesco Domenico Guerrazzi]]. L'ultima tappa fu [[Roma]] dove, come addetto allo Stato maggiore del generale P. Roselli, Fortis vide la caduta della [[Repubblica romana]] ([[1849]]).▼
▲Il padre, Davide Forti, medico di [[religione ebraica]], era nato a Reggio Emilia. La madre, Elena Wollemborg, era di origine austriaca. Rimasta vedova, si era trasferita a [[Padova]]. La casa era frequentata da letterati di nuova generazione: [[Francesco Dall'Ongaro|Francesco Dell'Ongaro]], [[Aleardo Aleardi]], [[Arnaldo Fusinato]] e [[Giovanni Prati]]. Leone studiò medicina come il padre.
===La passione per il teatro===▼
Leone Fortis tornò a Padova. Non trovando sbocchi alla sua passione per il [[giornalismo]], scrisse il dramma in cinque atti ''Camoens'', con vaghe allusioni patriottiche, che fu rappresentato a Milano e poi a [[Torino]] dalla Compagnia reale sarda. A Torino, Fortis divenne "poeta" della Compagnia reale, con l'obbligo di tre lavori ogni anno. Nel 1852 si trasferì a [[Genova]], sostenendosi con le [[recensione|recensioni]] teatrali per il "[[Corriere Mercantile]]". Per la celebre [[Fanny Sadowska]] scrisse ''Cuore ed arte'', andato in scena al [[teatro Re]] di Milano, nel dicembre 1852: {{sf|«un magnifico pasticcio», secondo [[Benedetto Croce]]}}; ma restò in cartellone e fu rimaneggiato nel 1854 col titolo ''Industria e speculazione''. Fortis, tornato in Lombardia nel 1854 grazie all'amnistia, scrisse tre [[libretto|libretti d'opera]]: ''L'Adriana'', 1857, musica di T. Benvenuti; ''L'uscocco'', 1858, musica di F. Petrocini; ''Il duca di Scilla'', 1859, musica di [[Errico Petrella]]. Nel 1857 divenne direttore artistico del [[teatro alla Scala]] di Milano.▼
▲Cambiato il suo cognome in "Fortis", nel [[1846]] pubblicò una [[novella]] in versi sciolti, ''Luigia'', dedicata a Luigia Coletti, la sua futura sposa. Nel 1847, con Alfredo Romano, scrisse il dramma in versi ''La duchessa di Praslin'' - ispirato a un fatto di cronaca parigino - con allusioni patriottiche. Arrestato durante una manifestazione studentesca, fu condotto a Trieste. Nel marzo 1848, alla notizia delle [[Cinque giornate di Milano]] Leone Fortis tornò a Padova e si arruolò come volontario, combattendo a Monte Osio ([[Verona]]). Poi andò a [[Milano]], dove diresse "Il Vero Operaio", giornale moderato che contrastava il quotidiano radicale "L'Operaio"; quindi si spostò a [[Firenze]], dove fu redattore de "L'Alba", quotidiano democratico, presto soppresso da [[Francesco Domenico Guerrazzi]]. Durante la direzione de "L'Alba" lui e il resto della redazione entrarono in contatto col patriota e giornalista polesano [[Alberto Mario]], col quale rimase sempre amico.<ref>{{cita|White|pp. 408-410}}.</ref> L'ultima tappa fu [[Roma]] dove, come addetto allo Stato maggiore del generale P. Roselli, Fortis vide la caduta della [[Repubblica Romana (1849)|Repubblica romana]] ([[1849]]).
Nel novembre 1856 nacque a Venezia un settimanale dal nome curioso: "Quel che si vede e quel che non si vede"; Fortis ne fu collaboratore e poi direttore. Foglio elegante, ironico, ricco di disegni originali, nella [[Testata giornalistica|testata]] aveva il diavolo zoppo che minacciava con la sua stampella. Vi pubblicarono poesie [[Arnaldo Fusinato]] e [[Ippolito Nievo]]. Ma in mezzo ai versi e alla cronaca letteraria, c'era qualche soffio inneggiante alla libertà e, il 4 gennaio 1857, il foglio fu chiuso, tanto più che si aspettava a Venezia la visita dell'imperatore [[Francesco Giuseppe]] e dell'imperatrice Sissi.▼
===A Milano e a Trieste===▼
Due mesi più tardi, a Milano, usciva "[[Il Pungolo]]", [[settimanale]] che arrivò al 4 aprile 1858, sostituito dal gemello "Il Panorama". Nella testata Leone Fortis, ideatore e direttore del foglio, si rappresentava sotto forma del diavolo zoppo "Asmodeo" - uno dei suoi [[pseudonimo|pseudonimi]] - che punzecchiava col forcone un gruppo di malcapitati. Il settimanale si impose per i toni ironici e anticonformisti e per il profilo dei collaboratori: il critico musicale [[Filippo Filippi]], la ditta [[Paulo Fambri]]-[[Vittorio Salmini]] (scrivevano per il teatro a quattro mani), [[Ippolito Nievo]] che vi pubblicò novelle, inoltre Arnaldo Fusinato e [[Cletto Arrighi]]. Tra i disegnatori e [[vignetta|vignettisti]] c'era [[Salvatore Mazza]], noto anche come pittore animalista e di genere. Usciva, a [[Natale]], un "Almanacco del Pungolo", redatto dagli stessi collaboratori e illustrato dagli stessi vignettisti: conteneva le prime prove della [[Scapigliatura]] milanese. ▼
▲=== La passione per il teatro ===
Non puntuale e non generoso nei pagamenti, Leone Fortis aveva fama di spendaccione. Scriveva Nievo ad Arnaldo Fusinato, dopo aver appreso che qualche collaboratore era stato pagato: «A lungo andare ci stanchiamo d'essere creduti minchioni e io per me rinunzio al Papato di collaboratore del "Pungolo", ma non voglio più fare il grullo».<ref>Ippolito Nievo, ''Epistolario'', a cura di Marcella Gorra, 1980, p. 458.</ref> Era un continuo prendersi in giro con il settimanale concorrente, "[[L'Uomo di Pietra]]", di [[Antonio Ghislanzoni]], su cui scrivevano, ma cambiando pseudonimo, gli stessi collaboratori. Alla fine del 1858, espulso da Milano e con noie con la [[censura]], Fortis, tornato a Trieste, assunse la direzione del settimanale "[[La Ciarla]]" che, trasformato in rivista illustrata umoristico-letteraria, visse stentatamente per sette numeri. Invano la madre si recava a [[Vienna]], a supplicare l'imperatrice Sissi di aver clemenza per quel figlio un po' discolo. A fine aprile 1859 Leone Fortis fuggì a Torino, travestito da pescatore, e tornò a Milano dopo l'annessione al [[Regno di Sardegna]], per lanciare un nuovo quotidiano.▼
▲Leone Fortis tornò a Padova. Non trovando sbocchi alla sua passione per il [[giornalismo]], scrisse il dramma in cinque atti ''Camoens'', con vaghe allusioni patriottiche, che fu rappresentato a Milano e poi a [[Torino]], dalla Compagnia reale sarda. A Torino, Fortis divenne "poeta" della Compagnia reale, con l'obbligo di tre lavori ogni anno. Nel 1852 si trasferì a [[Genova]], sostenendosi con le [[recensione|recensioni]] teatrali per il "[[Corriere Mercantile]]". Per la celebre attrice [[Fanny
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▲Nel novembre 1856 nacque a Venezia un settimanale dal nome curioso: "Quel che si vede e quel che non si vede"; Fortis ne fu collaboratore e poi direttore. Foglio elegante, ironico, ricco di disegni bozzettistici originali, nella [[Testata giornalistica|testata]] aveva il diavolo zoppo che minacciava con la sua stampella. Vi pubblicarono poesie [[Arnaldo Fusinato]] e [[Ippolito Nievo]]. Ma in mezzo ai versi e alla cronaca letteraria, c'era qualche soffio inneggiante alla libertà e, il 4 gennaio 1857, il foglio fu chiuso, tanto più che si aspettava a Venezia la visita dell'imperatore [[Francesco Giuseppe]] e dell'imperatrice Sissi.
Il giornale "Il Pungolo" divenne per eccellenza il giornale dei milanesi: costo contenuto, vendita attraverso strilloni, usciva il pomeriggio, ma a ora incerta, a seconda degli umori di Leone Fortis e dell'arrivo a [[Como]] del vapore postale che portava la corrispondenza da [[Lecco]]. Comparve il 20 giugno 1859 e si impose sulla "[[La Perseveranza|Perseveranza]]", giudicata foglio troppo vicina al governo. Il 9 dicembre 1859, alla vigilia delle elezioni amministrative, pubblicò l'elenco delle persone che a marzo 1853 si erano felicitate con Francesco Giuseppe per essere sfuggito a un attentato. Nel 1860 accolse corrispondenze di [[Alessandro Dumas padre]] dalla Sicilia. Pubblicava nella parte bassa della [[prima pagina]] un [[romanzo d'appendice]], com'era d'uso all'epoca. Sul Pungolo apparvero racconti di giovani, come [[Arrigo Boito]], [[Emilio Praga]] e [[Igino Ugo Tarchetti]]. ▼
▲Due mesi più tardi
▲Non puntuale e non generoso nei pagamenti, Leone Fortis aveva fama di spendaccione. Scriveva Nievo ad Arnaldo Fusinato, dopo aver appreso che qualche collaboratore era stato pagato: «A lungo andare ci stanchiamo d'essere creduti minchioni e io per me rinunzio al Papato di collaboratore del "Pungolo", ma non voglio più fare il grullo».<ref>Ippolito Nievo, ''Epistolario'', a cura di Marcella Gorra, 1980, p. 458.</ref> Era un continuo prendersi in giro con il settimanale concorrente, "[[L'Uomo di Pietra]]", di [[Antonio Ghislanzoni]], su cui scrivevano, ma cambiando pseudonimo, gli stessi collaboratori. Alla fine del 1858, espulso da Milano e con noie con la [[censura]], Leone Fortis, tornato a Trieste, assunse la direzione del settimanale "[[La Ciarla]]" che, trasformato in rivista illustrata umoristico-letteraria, visse stentatamente per sette numeri. Invano la madre si recava a [[Vienna]], a supplicare l'imperatrice Sissi di aver clemenza per quel figlio un po' discolo. A fine aprile 1859 Leone Fortis fuggì a Torino, travestito da pescatore, e tornò a Milano dopo l'annessione al [[Regno di Sardegna]], per lanciare un nuovo quotidiano.
A [[Napoli]] appena liberata (settembre [[1860]]), Fortis inaugurò un foglio dallo stesso titolo, affidato al cognato J. Comin. Poiché Comin non pagava i collaboratori, quando Fortis venne a Napoli, tutti andarono a riceverlo. Egli offrì un lauto pranzo, poi si fece accompagnare alla partenza del [[nave a vapore|vapore]]. "Il Pungolo" milanese si spostò progressivamente su posizioni ministeriali, perché Fortis, indebitato, ricorreva ad aiuti degli uomini della Destra, che erano al governo. Il giornale entrò in concorrenza con le nuove testate, "[[Il Secolo (quotidiano)|Il Secolo]]" (1866) e il "[[Corriere della Sera]]" (1876), il quotidiano più innovativo del tempo. "Il Pungolo" era affetto da un conservatorismo che, dalla politica, era arrivato alla critica letteraria e artistica. Il giornale fu venduto, poi ricomprato, infine si estinse, il 10 settembre 1892.▼
=== ''Il Pungolo'' (quotidiano) ===
===Altre testate===▼
▲Il giornale "Il Pungolo" divenne per eccellenza il giornale dei milanesi: costo contenuto,
▲A [[Ingresso di Garibaldi a Napoli|Napoli
▲=== Altre testate ===
Nel 1866 Leone Fortis lanciò a Padova "La Nuova Venezia"; a Roma, a ottobre 1870, "La Nuova Roma" (che nel 1872 fu assorbita dalla "Gazzetta di Roma") e nel 1873 "[[Il Popolo romano]]": fogli non così contrari al governo, e forse garantiti da fondi segreti del Ministero dell'Interno. Nel 1893 Fortis fu coinvolto nell'[[Scandalo della Banca Romana|inchiesta sulla Banca romana]]. L'editore [[Emilio Treves]] lo chiamò per aprire sull'«[[L'Illustrazione Italiana|Illustrazione italiana]]» una rubrica di cronache di cultura e costume. Da quel momento Fortis si firmò "Doctor Veritas".
[[File:Depretis Illustrazione Italiana 1885.jpeg|thumb|Depretis sulla copertina dell'Illustrazione Italiana (1885).]]
=== ''Conversazioni della domenica'' ===
A ottobre 1873 iniziarono le ''Conversazioni'' di Leone Fortis, che furono poi raccolte in cinque volumi, pubblicati dal 1877 e il 1890.
Contro il verismo in letteratura, il positivismo in filosofia e il socialismo in politica, Fortis rievocava sempre il Risorgimento di Cavour: la Destra e il Re erano per lui lo scudo alla visione socialista della Sinistra di [[Agostino Depretis]] prima,
===Ultimi anni===▼
Nel 1893 si trasferì a Roma, come condirettore della "[[Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia]]". L'anno dopo rivalutava in parte, in un articolo, Francesco Crispi, per essersi convertito alla monarchia e aver positivamente operato in campo internazionale. Dopo il 1890 pubblicò sulla "Rivista delle tradizioni popolari italiane" e su "La Vita italiana", riviste dirette da [[Angelo De Gubernatis]], e su "Natura ed arte". Morì cieco. Il suo immane archivio è andato perduto.▼
▲=== Ultimi anni ===
▲Nel 1893 si trasferì a Roma, come condirettore della "[[Gazzetta
Tra le opere di Leone Fortis, i ''Drammi'', in 2 volumi, Milano, 1888 e ''Ferrari: ricordi e note'', Milano, 1889.
=== Curiosità ===
{{sf|Si racconta che qualcuno, per fare un complimento a [[Cesare Cantù]], gli abbia detto: «Nessuno, in questo scorcio di secolo, ha scritto tanto quanto lei!» «Non è esatto - avrebbe risposto Cesare Cantù - chi ha scritto di più di tutti noi è stato Leone Fortis. Ai bei tempi era capace di scrivere da solo l'intero numero di un giornale e con tale chiarezza da farsi comprendere da tutti.»}}
== Note ==
<references/>
== Bibliografia ==
* {{cita libro|autore-capitolo=Jessie White|capitolo=Della vita di Alberto Mario|curatore=P. L. Bagatin|titolo=Tra Risorgimento e nuova Italia, Alberto Mario, un repubblicano federalista|città=Firenze|editore=Centro Editoriale Toscano|anno=2000|pp=408-410|cid=White}}
* Benedetto Croce, ''La letteratura della nuova Italia'', V, Bari, 1957.▼
* {{Enciclopedia italiana|cid=Menghini}}
* G. Mazzoni, ''L'Ottocento'', Milano, 1973.▼
▲* {{cita libro|autore=Benedetto Croce
* {{DBI|cid=Monsagrati}}
* {{Treccani|leone-fortis_(L'Unificazione)|Fortis, Leone}}
==Altri progetti==
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