Maxiprocesso di Palermo: differenze tra le versioni

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{{citazione|Questo è un processo come tutti gli altri, per quanto smisurato. Ciò che vi chiedo non è la condanna della mafia, già scritta nella storia e nella coscienza dei cittadini, ma la condanna dei mafiosi che sono raggiunti da certi elementi di responsabilità.|Dalla requisitoria del pubblico ministero Domenico Signorino, 30 marzo 1987}}
Il '''Maxiprocesso''' è il nome sotto il quale viene ricordato un [[Processo (diritto)|processo penale]] iniziato il [[10 febbraio]] [[1986]] e terminato il [[16 dicembre]] [[1987]] e tenuto a [[Palermo]] nell'aula bunker. Fu chiamato appunto ''maxi processo'' in quanto furono indagate più di 400 persone, per crimini legati alla criminalità organizzata. Esso fu considerata la prima reazione importante dello Stato a Cosa Nostra,
{{Caso giudiziario
Non mancò una forte e marcata ostilità di molti componenti della magistratura palermitana, che spesso manifestarono dubbi e critiche al maxiprocesso e ai suoi promotori.
|nome = Maxiprocesso di Palermo
|immagine = MaxiprocessoPalermo.jpg
|didascalia = Un'udienza del maxiprocesso
|materia =
|corte = Tribunale di Palermo
|caso =
|nome completo =
|data = 10 febbraio [[1986]]
|delitti = *[[Omicidio (ordinamento italiano)|omicidio]]
*[[Traffico di droga#La legislazione italiana|traffico di stupefacenti]]
*[[estorsione]]
*[[associazione mafiosa]]
*altri
|sentenza = 30 gennaio [[1992]]
|citazioni =
|trascrizione =
|giudici = * [[Alfonso Giordano (giurista)|Alfonso Giordano]] <small>(Primo grado)</small>
* Vincenzo Palmegiano <small>(Appello)</small>
* Arnaldo Valente <small>(Cassazione)</small>
|precedenti =
|seguenti =
|correlato =
|opinioni =
|pchiave =
}}
 
'''Maxiprocesso di Palermo''' è la denominazione che fu data, a livello giornalistico, a un [[processo penale]] celebrato a [[Palermo]] per crimini di [[mafia]] (ma il nome esatto dell'organizzazione criminale è [[Cosa nostra]]), tra cui [[Omicidio (ordinamento italiano)|omicidio]], [[Traffico di droga#La legislazione italiana|traffico di stupefacenti]], [[estorsione]], [[associazione mafiosa]] e altri.
Questo processo diede inizio ad un'ondata di contromosse da parte di altri personaggi importanti dell'organizzazione criminale che avrebbe portato alla fine di molti [[traffico di droga|traffici di droga]] in atto, ma, soprattutto, avrebbe danneggiato in maniera significativa le alleanze tra le famiglie siciliane ed americane.
 
Il maxiprocesso deve il proprio soprannome alle sue enormi proporzioni: in primo grado gli [[Imputato|imputati]] erano 475 (poi scesi a 460 nel corso del processo), con circa 200 [[Avvocato|avvocati]] difensori<ref>Giordano, p. 53.</ref>. Il processo di primo grado si concluse con pesanti condanne: 19 [[Ergastolo|ergastoli]] e [[Pena detentiva|pene detentive]] per un totale di 2665 anni di [[reclusione]]. Dopo un articolato ''iter'' processuale tali condanne furono poi quasi tutte confermate dalla Cassazione<ref>Giordano, p. 291.</ref>. A quanto è dato sapere, si tratta del più grande processo penale mai celebrato al mondo.<ref>Giordano, p. 68.</ref>
== Introduzione ==
 
Durò dal 10 febbraio 1986 (giorno di inizio del [[Corte d'assise (Italia)|processo di primo grado]]) al 30 gennaio 1992 (giorno della sentenza finale della [[Corte suprema di cassazione|Corte di Cassazione]]). Tuttavia spesso per "maxiprocesso" si intende il solo processo di primo grado, durato fino al 16 dicembre 1987.
L'esistenza ed i crimini della Mafia sono stati negati o, comunque, sottovalutati dalle autorità per decenni, nonostante vi fossero prove della sua attività criminale risalenti all'[[XIX secolo|Ottocento]]. Ciò può essere attribuito, in parte, a tre metodi particolari usati dalla Mafia per fornire ai suoi componenti una condizione molto simile alla completa immunità:
 
== Contesto storico ==
* chiusura dei conti in sospeso con individui importanti
=== La situazione a Palermo ===
* uccisione di ogni possibile componente passibile di defezione
{{vedi anche|Seconda guerra di mafia|Primavera di Palermo}}
* minaccia, o addirittura uccisione di detti individui prominenti (giudici, avvocati, testimoni, politici ecc.)
All'inizio degli [[Anni 1980|anni ottanta]] in [[Sicilia]] imperversava la [[seconda guerra di mafia]]: la [[fazione]] dei [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]], capeggiata da [[Salvatore Riina]] e [[Bernardo Provenzano]], e quella [[Palermo|palermitana]], guidata da [[Stefano Bontate]], [[Salvatore Inzerillo]] e [[Gaetano Badalamenti]] (di cui faceva parte anche [[Tommaso Buscetta]], scappato in [[Brasile]]), si contendevano il dominio sul territorio, al punto che tra il 1981 e il 1984 vennero commessi circa 600 [[Omicidio|omicidi]] e la seconda fazione risultò perdente.
 
Anche numerosi uomini delle istituzioni italiane, che avevano tentato di combattere la mafia attraverso nuove [[Legge|leggi]], indagini e azioni di [[Polizia giudiziaria|Polizia]], caddero sotto i colpi dell'organizzazione criminale; tra questi il [[Prefetto (ordinamento italiano)|prefetto]] di [[Palermo]] [[Carlo Alberto dalla Chiesa]] (già noto generale dei [[Carabinieri]]), il segretario provinciale [[Democrazia Cristiana|democristiano]] [[Michele Reina]], il commissario di [[Polizia di Stato|Polizia]] [[Boris Giuliano]], il giornalista [[Mario Francese]], il candidato a [[giudice istruttore]] di [[Palermo]] [[Cesare Terranova]], il [[Presidenti della Regione Siciliana|presidente]] della [[Sicilia|Regione Siciliana]] [[Piersanti Mattarella]], il [[Procura della Repubblica|procuratore]] [[Gaetano Costa]], il capitano dei [[Carabinieri]] [[Emanuele Basile (carabiniere)|Emanuele Basile]], il segretario regionale [[Sicilia|siciliano]] del [[Partito Comunista Italiano|PCI]] [[Pio La Torre]], i [[Carabinieri]] [[Silvano Franzolin]], [[Salvatore Raiti (carabiniere)|Salvatore Raiti]], [[Luigi Di Barca]] e molti altri ancora.
Questi tre fattori concorsero a stroncare sul nascere molti processi. In effetti, fu solo nel [[1980]] che venne suggerito in maniera seria che l'essere membro della Mafia avrebbe dovuto essere [[Pio La Torre#Legge antimafia|un reato specifico]] dal [[politico]] [[comunista]] [[Pio La Torre]]. La legge entrò in vigore due anni dopo - dopo che La Torre era stato ucciso proprio per aver avanzato quella proposta.
 
=== La nascita del ''pool'' antimafia ===
Durante i primi [[anni 1980|anni ottanta]], la [[Seconda guerra di mafia]] aveva imperversato a tal punto che il boss dei [[Corleonesi]] [[Salvatore Riina]] decimò le altre famiglie mafiose, e centinaia di omicidi vennero commessi, inclusi quelli di diverse autorità di alto profilo come [[Carlo Alberto Dalla Chiesa]], capo dell'antiterrorismo che aveva arrestato i fondatori delle [[Brigate Rosse]] nel [[1978]]. Il suo omicidio è stato collegato all'assassinio di [[Aldo Moro]] e alla cosiddetta ''[[strategia della tensione]]'' perseguita dall'organizzazione segreta [[Organizzazione Gladio|Gladio]]. Il crescente sdegno dell'opinione pubblica per questi omicidi diede la spinta necessaria a magistrati quali [[Giovanni Falcone]] e [[Paolo Borsellino]] a provare a colpire efficacemente un'organizzazione criminale più radicata nell'isola.
{{vedi anche|Pool (magistratura italiana)}}
[[File:Caponnetto Falcone Borsellino.jpg|thumb|[[Giovanni Falcone]] (sulla sinistra) insieme a [[Paolo Borsellino]] (al centro) ed [[Antonino Caponnetto]] nel [[1986]].]]
Per far fronte a una simile situazione, il primo a pensare che presso l'Ufficio istruzione del [[Tribunale ordinario|tribunale]] di [[Palermo]] potesse essere istituita una squadra di giudici istruttori, che avrebbero lavorato in gruppo, fu il consigliere istruttore [[Rocco Chinnici]]<ref name=":13" />. Nel [[luglio]] [[1982]] le indagini del commissario [[Ninni Cassarà]] e dei capitani dei [[carabinieri]] Tito Baldo Honorati e Angiolo Pellegrini diedero origine al cosiddetto "Rapporto dei 162" ([[Michele Greco|Greco Michele]] + 161), la prima grossa inchiesta sulla fazione dei [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]] che inquadrava sia i gruppi "perdenti" che i "vincenti" della guerra di mafia allora in corso, considerata l'embrione dell'ipotesi investigativa alla base del Maxiprocesso<ref>{{Cita web|url=https://mafie.blogautore.repubblica.it/2020/07/12/4576/|titolo=Il famoso rapporto sui 162 mafiosi|autore=Attilio Bolzoni|sito=Mafie|data=12 luglio 2020|lingua=it|accesso=29 gennaio 2021}}</ref>; il rapporto venne trasmesso al procuratore capo Vincenzo Pajno (che lo assegnò ai sostituti Vincenzo Geraci e [[Alberto Di Pisa]]) e all'Ufficio istruzione, dove Chinnici lo affidò al giudice [[Giovanni Falcone]], che nel giro di qualche mese iniziò a lavorare fianco a fianco con i colleghi della Procura Agata Consoli, Domenico Signorino e [[Giuseppe Ayala]], titolari delle delicate inchieste sull'omicidio di [[Carlo Alberto dalla Chiesa]] e sulla [[strage della circonvallazione]] che si intersecavano inevitabilmente con quella sui 162 poiché una perizia compiuta da uno dei migliori [[Balistica forense|esperti balistici]] italiani, il professor Marco Morin (consulente della Procura di Venezia)<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/02/20/venezia-bocche-cucite-in-procura.html|titolo=VENEZIA, BOCCHE CUCITE IN PROCURA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=20 febbraio 1988|lingua=it|accesso=5 marzo 2021}}</ref><ref>{{Cita web|autore=Francesco Vitale|url=https://archivio.unita.news/assets/main/1990/12/12/page_006.pdf|titolo=Ci sono tre misteri nella morte del generale|data=12 dicembre 1990|pubblicazione=L'Unità}}</ref>, aveva dimostrato che per tutti questi delitti era stato usato un unico [[AK-47|mitragliatore kalashnikov]] e quindi avevano esecutori in comune<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/02/08/uccidendo-chinnici-la-mafia-ci-ha-sfidato.html|titolo=UCCIDENDO CHINNICI LA MAFIA CI HA SFIDATO E ORA DOVRA PAGARE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=8 febbraio 1986|lingua=it|accesso=29 gennaio 2021}}</ref><ref name=":2" /><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/07/07/boss-della-mafia-vincente-dietro-la.html|titolo=I BOSS DELLA MAFIA VINCENTE DIETRO LA STRAGE DALLA CHIESA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=7 luglio 1984|lingua=it|accesso=6 marzo 2021}}</ref>. Le indagini, che con il passare dei mesi si allargavano sempre di più, avevano dei tratti in comune anche con quella condotta da un altro giudice istruttore dello stesso Ufficio, [[Paolo Borsellino]], che riguardava l'omicidio del capitano dei [[Carabinieri]] [[Emanuele Basile (carabiniere)|Emanuele Basile]], ucciso nel [[1980]] perché investigava sui rapporti tra i mafiosi di [[Corleone]], [[Altofonte]] e [[Corso dei Mille-Sant'Erasmo|Corso dei Mille]]<ref name=":13">{{Cita libro|autore=Alexander Stille|wkautore=Alexander Stille|titolo=Nella terra degli infedeli. Mafia e politica nella Prima Repubblica|annooriginale=1995|editore=Mondadori|ISBN=ISBN 88-04-38802-1}}</ref>.
 
Quando poi nel [[1983]] Cosa nostra [[Strage di via Pipitone|uccise anche Chinnici]], il giudice chiamato a sostituirlo, [[Antonino Caponnetto]], decise di mantenere e ampliare l'organizzazione dell'ufficio voluta dal predecessore. Caponnetto si informò presso la [[Procura della Repubblica|Procura]] di [[Torino]] riguardo a come si fosse organizzata durante gli anni del [[Terrorismo in Italia|terrorismo]] e decise infine di istituire presso l'ufficio istruzione un vero ''[[Pool (magistratura)|pool]]'' antimafia, ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso. Lavorando in gruppo, essi avrebbero avuto una visione più chiara e completa del fenomeno mafioso nel palermitano, e di conseguenza la possibilità di combatterlo più efficacemente<ref name=":13" />.
== Luoghi e imputati ==
Un totale di 474 imputati vennero rinviati a giudizio, ma 119 di loro dovettero essere processati in contumacia, dal momento che erano fuggitivi ancora latitanti ([[Salvatore Riina]] era uno di loro).
 
Caponnetto scelse, tra i giudici istruttori che meglio conosceva e dei quali riteneva di potersi fidare, [[Giovanni Falcone]], [[Paolo Borsellino]], [[Leonardo Guarnotta]] e [[Giuseppe Di Lello Finuoli|Giuseppe Di Lello]]. Questi avrebbero svolto tutte le indagini su Cosa nostra, coadiuvati dai [[Procuratore aggiunto|sostituti procuratori]] [[Giuseppe Ayala]], Domenico Signorino, Vincenzo Geraci, [[Alberto Di Pisa]] e [[Giusto Sciacchitano]], il cui compito era inoltre quello di portare a processo come pubblici ministeri i risultati delle indagini del ''pool'' e ottenere le condanne.<ref name="cd">''La mafia – 150 anni di storia e storie'' (Compact Disc), la Repubblica, 1998.</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/02/08/uccidendo-chinnici-la-mafia-ci-ha-sfidato.html|titolo=UCCIDENDO CHINNICI LA MAFIA CI HA SFIDATO E ORA DOVRA PAGARE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=8 febbraio 1986|lingua=it|accesso=23 marzo 2022}}</ref><ref>Maria Falcone, pp. 16 e 91.</ref><ref>Ayala 2008, pp. 18-19 e 80-81.</ref><ref>Bolzoni e Santolini, p. 126.</ref>
Tra gli imputati presenti vi era [[Luciano Liggio]], il predecessore di Riina, che decise di assumere autonomamente la propria difesa, [[Giuseppe Calò|Giuseppe "Pippo" Calò]] e [[Michele Greco]] (quest'ultimo era lo zio del noto killer [[Pino Greco]]).
[[Immagine:03-02-07 1038.jpg|thumb|200px|Atti del Maxiprocesso su Michele Greco]]
Il maxiprocesso ebbe luogo nelle vicinanze dell'Ucciardone (il [[carcere]] di [[Palermo]]), in un bunker progettato e costruito appositamente per il processo. L'edificio era [[Ottagono|ottagonale]] in [[cemento armato]] in grado di resistere ad attacchi da parte di armi terra-aria; all'interno vi erano delle celle ricavate all'interno dei muri verdi, ed in esse venivano ospitati i molti imputati, suddivisi in gruppi. Più di seicento giornalisti furono presenti, insieme a molti [[carabinieri]] armati con [[fucile mitragliatore|mitragliatori]] e una [[armi contraerei|sistema di difesa contraereo]] che teneva d'occhio gli imputati ed eventuali malintenzionati che volessero minare gli sforzi del collegio giudicante.
 
== IlLa processofase istruttoria ==
=== Introduzione: il codice in vigore ===
Il processo si svolse secondo il rito previsto dal [[Codice di procedura penale italiano del 1930]]<ref group="Nota al testo">Il Codice di procedura penale del [[1930]] fu sostituito nel [[1989]] dall'attuale Codice, ma continuò a essere applicato fino alla conclusione del processo ([[1992]]).</ref>. In sintesi, esso prevedeva che le indagini e la raccolta delle [[Prova (diritto)|prove]] nei confronti degli indagati venissero effettuate in gran parte dal [[giudice istruttore]]. Altre indagini (di solito di minore importanza) erano svolte dal [[Pubblico ministero (ordinamento italiano)|pubblico ministero]].
 
Conclusa tale attività, il giudice istruttore, in base al materiale probatorio raccolto, tramite un'ordinanza-sentenza poteva disporre il [[proscioglimento]] oppure il [[rinvio a giudizio]] di ogni indagato. In questo secondo caso veniva celebrato un processo, in cui non era però il giudice istruttore a rappresentare l'accusa ma il pubblico ministero. Il processo aveva dunque in gran parte il compito di saggiare la correttezza delle conclusioni cui era giunto il giudice istruttore.<ref name=istrutt>Ayala 2008, pp. 18-19.</ref>
Dopo diversi anni di pianificazione, il processo iniziò il [[10 febbraio]] [[1986]]. La corte era presieduta da Alfonso Giordano, affiancato da due altri giudici che erano i suoi "sostituti", in modo tale da assicurare la continuità del procedimento nel caso in cui a Giordano fosse accaduto qualcosa di irreparabile prima della fine dello stesso. Le accuse ascritte agli imputati includevano 120 [[omicidio|omicidi]], [[traffico di droga]], [[estorsione]], e, ovviamente, il nuovo reato di associazione mafiosa.
 
=== L'arresto di Tommaso Buscetta ===
Il giudice Giordano si guadagnò grande fama per essere rimasto paziente e corretto durante un processo con così tanti imputati. Alcuni di essi si comportarono in maniera distruttiva e abbastanza pericolosa: uno si chiuse la bocca con delle graffette per segnalare il suo rifiuto di parlare, un altro mostrava segni di pazzia, urlava di continuo e ingaggiava lotte con le guardie anche quando indossava la [[camicia di forza]], un altro ancora minacciava di tagliarsi la gola se una sua dichiarazione non fosse stata letta alla corte.
[[File:Buscetta.jpg|thumb|[[Tommaso Buscetta]] arriva, in manette, all'[[Aeroporto di Roma-Fiumicino|aeroporto di Fiumicino]], scortato dai poliziotti e nascondendo le mani sotto una coperta ([[15 luglio]] [[1984]]).|alt=]]
Nel [[1983]] in [[Brasile]] venne arrestato il mafioso [[Tommaso Buscetta]]<ref name="web.archive.org">{{Cita web|url=http://www.lacndb.com/Si_Info.php?name=Tommaso%20Buscetta|titolo=lacndb.com::Italian Mafia|data=|accesso=23 agosto 2020|dataarchivio=17 ottobre 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131017031124/http://www.lacndb.com/Si_Info.php?name=Tommaso%20Buscetta|urlmorto=sì}}</ref>, detto ''don Masino'', che era latitante da circa tre anni dopo essersi sottratto al regime di semilibertà in [[Italia]]<ref name=":2">{{Cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/03/leggio-spacco-in-due-cosa-nostra.html|titolo=E Leggio spaccò in due Cosa Nostra - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=3 ottobre 1984|lingua=it|accesso=29 dicembre 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20090317040858/http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/03/leggio-spacco-in-due-cosa-nostra.html|dataarchivio=17 marzo 2009|urlmorto=no}}</ref>. Nelle carceri brasiliane, quando seppe che sarebbe stato estradato in [[Italia]], Buscetta tentò senza successo di uccidersi ingerendo della [[stricnina]] (in una quantità, in realtà, non sufficiente per potergli essere fatale)<ref name="web.archive.org"/>. Nel [[1984]] il giudice Falcone volò in [[Brasile]] per interrogare Buscetta ed ebbe l'impressione che egli potesse essere disposto a [[Collaboratore di giustizia (Italia)|collaborare con la giustizia]]<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/02/buscetta-ci-disse-non-sono-un-nemico.html|titolo=BUSCETTA CI DISSE: 'NON SONO UN NEMICO' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=2 ottobre 1984|lingua=it|accesso=28 marzo 2022}}</ref> (gesto che, nel rigido codice d'onore malavitoso, rappresenta inevitabilmente un tradimento da punire con la morte). Così avvenne: mentre il vicequestore [[Gianni De Gennaro]] e i suoi uomini lo scortavano sull'aereo che lo riportava in [[Italia]], Buscetta espresse questa volontà<ref>{{Cita web|url=https://www.lasicilia.it/news/cronaca/10096/lex-capo-della-polizia-de-gennaro-falcone-allarmato-dopo-addaura.html|titolo=L'ex capo della Polizia De Gennaro ”Falcone allarmato dopo Addaura”|data=|lingua=it|accesso=26 marzo 2022}}</ref> ed, arrivato a [[Roma]] il [[15 luglio]] [[1984]], cominciò a raccontare a Falcone le sue conoscenze su [[Cosa nostra]].<ref>Bolzoni e Santolini, pp. 128-129.</ref>
 
=== Il pentimento ===
La maggior parte delle prove più significative provenne da [[Tommaso Buscetta]], un mafioso catturato nel [[1982]] in [[Brasile]], paese in cui si era rifugiato due anni prima, da evaso, dopo essere sfuggito a una condanna per due omicidi. Costui aveva perso diversi parenti durante la guerra di mafia, tra cui due figli, e molti alleati, tra cui [[Stefano Bontade]] e [[Salvatore Inzerillo]], ed aveva, perciò, deciso di collaborare con i magistrati siciliani. I Corleonesi continuarono la propria vendetta contro Buscetta uccidendo diversi altri suoi parenti. La testimonianza contro i Corleonesi era l'unico modo che gli era rimasto per vendicare la sua famiglia ed i suoi amici.
Molto si è scritto sulla decisione di Buscetta di voltare le spalle a Cosa nostra e collaborare con gli inquirenti. In ogni caso, non si trattò di un pentimento in senso morale o spirituale: Buscetta non volle mai essere definito un "pentito", ammettendo di essere stato ed essere ancora un mafioso e di aver commesso, per tale motivo, dei crimini per i quali sarebbe stato pronto a pagare il proprio debito con la giustizia. Affermò anche che erano stati i nuovi capi di [[Cosa nostra]], i [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]], a sovvertire con la violenza i vecchi ideali della "[[Onorata società (termine)|Onorata società]]" e che, quindi, i veri traditori erano loro. Su questo punto, però, va precisato che vari studiosi di [[Cosa nostra]], tra cui lo stesso Falcone, ritengono che, in realtà, non sia mai esistito un tempo in cui la mafia rispettasse un qualsiasi codice etico.<ref>Falcone Padovani, pp. 60, 104.</ref><ref>Lupo, pp. 17-22.</ref>
 
Si può aggiungere almeno un'altra riflessione: Buscetta faceva parte di una fazione perdente e, non riuscendo ad eliminarlo, i [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]] gli avevano ucciso ben undici parenti (tra cui due figli che non erano nemmeno affiliati a [[Cosa nostra]], grave violazione delle regole non scritte della mafia). Di conseguenza, una volta arrestato, rivelare le proprie conoscenze era l'unico modo rimasto a Buscetta per prendersi una rivincita sui suoi nemici. La decisione di parlare peraltro non fu priva di conflitti interiori, tanto che, come già detto, poco prima di essere rimpatriato Buscetta tentò anche il suicidio.<ref name="cd" /><ref name="film">[https://it.youtube.com/watch?v=vEVXwzF2BCc&feature=user Documentario] sul maxiprocesso di Palermo.</ref><ref>Maria Falcone, pp. 91-93.</ref><ref name="Ayalapau112">Ayala 2008, pp. 112-113.</ref><ref>Lodato, pp. 18-19, 75.</ref><ref>Lupo, p. 253.</ref>
[[Immagine:Tommaso Buscetta.jpg|left|frame|Tommaso Buscetta (con gli occhiali) viene portato in aula durante il maxiprocesso.]]
 
=== Le rivelazioni ===
Alcune prove vennero presentate postume da [[Leonardo Vitale]]. Sebbene Buscetta sia considerato il primo [[pentito]] (e certamente fu il primo ad essere preso sul serio), nel [[1973]] il trentaduenne Leonardo Vitale si era presentato spontaneamente in una stazione di polizia di Palermo ed aveva confessato di far parte della mafia. Disse di aver commesso molti crimini durante la sua militanza, tra cui due omicidi. Disse anche di essere in una "crisi spirituale" e di provare rimorso. Tuttavia, le sue informazioni furono in larga parte ignorate per i suoi comportamenti inusuali, tra cui l'[[automutilazione]] come forma di penitenza personale, lo portarono ad essere considerato un [[malattia mentale|malato di mente]], e le sue dettagliate confessioni furono quindi ritenute prive di seri fondamenti. Gli unici mafiosi coinvolti dalla sua testimonianza erano Vitale stesso e suo zio. Vitale venne internato in un [[manicomio]], e fu quindi rilasciato nel Giugno del [[1984]]; sei mesi dopo fu ucciso a colpi di pistola.
{{Approfondimento
|titolo= L'organizzazione interna di Cosa nostra
|contenuto=Riguardo all'organizzazione di Cosa nostra, Buscetta rivelò che essa era rigidamente piramidale. Alla base stava la cosiddetta [[Famiglia (mafia)|famiglia]] (coincidente con una borgata nella città di [[Palermo]] o con un paese nella [[provincia di Palermo]]); tre o più famiglie contigue formavano un [[Mandamento (mafia)|mandamento]]. I capi-mandamento della provincia di Palermo, riuniti in assemblea, formavano la cosiddetta [[Commissione provinciale]]. Nessun omicidio di rilievo in provincia poteva essere commesso da un mafioso senza l’assenso della Commissione. Al di sopra della Commissione provinciale c'era infine la [[Commissione interprovinciale]], che raggruppava i rappresentanti mafiosi di tutte le province siciliane.<ref name=film /><ref name=autogenerato2>{{Cita news|url=http://archiviopiolatorre.camera.it/img-repo/fondo_zupo/Sez._I_serie_0003_Vol_008.pdf|titolo=Procedimento penale contro Greco Michele e altri - Procura della Repubblica di Palermo|pubblicazione=|accesso=29 dicembre 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20171107021036/http://archiviopiolatorre.camera.it/img-repo/fondo_zupo/Sez._I_serie_0003_Vol_008.pdf|dataarchivio=7 novembre 2017|urlmorto=no}}</ref><ref>Giordano, p. 30.</ref>
}}
Le rivelazioni di Tommaso Buscetta si possono fondamentalmente suddividere in due categorie:
* L'organizzazione e le regole interne di Cosa nostra;
* I mandanti e gli esecutori materiali di numerosi [[Delitto|delitti]] di mafia.
Fino a quei tempi, l'[[omertà]] di chiunque avesse avuto a che fare con gli ambienti ed i fatti mafiosi era così stretta che nessuno sapeva esattamente in cosa consistesse e come funzionasse Cosa nostra; per tale motivo le rivelazioni di Buscetta avevano un valore incalcolabile e consentivano per la prima volta agli inquirenti di penetrare quel mondo ancora ignoto. Per mantenere la massima segretezza (necessaria per poter poi colpire la mafia di sorpresa) Buscetta parlava esclusivamente con Falcone, il quale verbalizzava di proprio pugno, a penna, le informazioni. Ci vollero circa due mesi perché Buscetta terminasse la prima fase dei propri racconti.<ref name=film /><ref name=Ayalapau112 /><ref>Lodato, p. 120</ref>
 
Solo su un argomento Buscetta affermò, inizialmente, di non voler dire nulla: i rapporti tra mafia e politica. A questo proposito Buscetta spiegò che, secondo lui, i tempi non erano ancora maturi per rendere dichiarazioni simili allo Stato e le sue rivelazioni avrebbero scatenato polemiche e non sarebbero state considerate attendibili, giudizio che avrebbe sicuramente coinvolto anche tutto il resto delle sue dichiarazioni.<ref group="Nota al testo">Solo circa dieci anni dopo Buscetta parlerà dei rapporti tra mafia e politica, chiamando in causa tra gli altri il politico [[Giulio Andreotti]]. Da tali dichiarazioni scaturirà un processo che si concluderà, per il politico, con la [[Prescrizione (ordinamento penale italiano)|prescrizione]] per alcune delle accuse e l'assoluzione per altre.</ref>
Molti assunsero un atteggiamento critico nei riguardi del maxiprocesso. Alcuni ritenettero che gli imputati venivano vittimizzati, come se si trattasse di una vendetta dei magistrati. Lo scrittore siciliano [[Leonardo Sciascia]] disse che
 
=== Il ''blitz'' di San Michele ===
{{quote|Non c'è niente di meglio per farsi strada nella magistratura che prendere parte ai processi per Mafia}}
Man mano che Buscetta faceva le proprie rivelazioni, si cercavano i necessari riscontri, anche esaminando i risultati di indagini bancarie e rapporti di Polizia stilati negli anni precedenti (si stima che Falcone ordinò agli uomini di [[Gianni De Gennaro]] e [[Ninni Cassarà]] ben 3600 verifiche alle accuse di Buscetta)<ref>{{Cita web|url=http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/20/manganelli-investigatore-di-razza-porto-in-aula-buscetta-si-scuso-per-g8/536457/|titolo=Manganelli, investigatore di razza: portò in aula Buscetta, si scusò per il G8|sito=Il Fatto Quotidiano|data=20 marzo 2013|lingua=it|accesso=28 marzo 2022}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/04/05/la-cantata-di-don-masino-che-stronco.html|titolo=La cantata di Don Masino che stroncò il clan corleonese - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=5 aprile 2000|lingua=it|accesso=28 marzo 2022}}</ref>. Nel settembre [[1984]], si decise infine di passare all'azione, ossia eseguire gli ordini di custodia cautelare derivanti dalle dichiarazioni di Buscetta. Il ''[[blitz]]'' era previsto attorno alla metà di ottobre, ma verso la fine di settembre, conversando con un giornalista del settimanale ''[[L'Espresso]]'', Falcone ebbe la sensazione (poi rivelatasi infondata) che questi fosse venuto a conoscenza dell'operazione in preparazione. Per evitare che un eventuale ''[[Scoop (giornalismo)|scoop]]'' giornalistico rovinasse la riuscita dell'operazione, si decise di passare all'azione prima che uscisse il successivo numero del settimanale. Il lavoro di circa quindici giorni venne quindi concentrato in una sola nottata.<ref name=film /><ref name=Ayacava>Ayala e Cavallaro, pp. 84-85</ref><ref name=Ayalapau114>Ayala 2008, pp. 114-115</ref>
 
Nella notte tra il 28 e il 29 settembre [[1984]] al tribunale di [[Palermo]] si lavorò febbrilmente per spiccare 366 ordini di custodia cautelare da eseguire la mattina dopo. Il giudice Di Lello, che, ignaro di tutto, dormiva a casa propria, venne svegliato verso le tre del mattino e dovette correre in tribunale per firmare centinaia di documenti. L'operazione di Polizia, eseguita nel giorno di San Michele (29 settembre) colse tutti di sorpresa, sia la mafia sia le istituzioni italiane, e consentì la cattura di oltre i due terzi dei ricercati.<ref name=film /><ref name=Ayacava /><ref name=Ayalapau114 /><ref>Bolzoni e Santolini, p. 130.</ref>
Il [[Salvatore Pappalardo (cardinale)|Cardinale Salvatore Pappalardo]] della [[Chiesa Cattolica]] rilasciò una controversa intervista in cui disse che il maxiprocesso era "uno spettacolo oppressivo" e in cui affermava che l'[[aborto]] uccideva più persone che non la Mafia.
 
Nell'ottobre [[1984]] il giudice Falcone iniziò a raccogliere anche le dichiarazioni del mafioso [[Salvatore Contorno|Salvatore "Totuccio" Contorno]], che era sfuggito a un agguato per le strade di [[Brancaccio (Palermo)|Brancaccio]] e che aveva visto assassinare, per ritorsione, 35 tra parenti e amici: le dichiarazioni di Contorno costituivano un'ulteriore conferma a quelle di Buscetta e nel giro di pochi giorni produssero altri 127 mandati di cattura e 56 arresti eseguiti tra [[Palermo]], [[Roma]], [[Bari]] e [[Bologna]].<ref>{{Cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/26/un-altro-pentito-parla-56-arresti.html?ref=search|titolo=Un altro pentito parla, 56 arresti - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=26 ottobre 1984|lingua=it|accesso=30 dicembre 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131231003135/http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/26/un-altro-pentito-parla-56-arresti.html?ref=search|dataarchivio=31 dicembre 2013|urlmorto=no}}</ref>
Altri critici suggerirono che la parola degli informatori - ''in primis'' Buscetta - non fosse la maniera ideale per giudicare altri individui, dal momento che anche un informatore che si fosse sinceramente pentito era comunque un criminale, uno spergiuro ed un omicida, e poteva avere ancora un velato interesse a modificare la propria testimonianza per adattarla alle proprie necessità, se non per portare a termine le proprie vendette. Si disse anche che un processo così imponente con così tanti imputati non dava sufficienti garanzie a ciascuno di essi come individui, e si trattava di un tentativo di "fare giustizia in serie", come scrisse un giornalista.
 
{{Approfondimento
Le informazioni che Buscetta fornì ai giudici Falcone e Borsellino furono molto importanti; prese nel loro complesso esse andavano a formare il cosiddetto "teorema Buscetta", nel senso che ritenere vere le sue affermazioni era fondamentale per l'intero caso. Buscetta fornì una nuova consapevolezza del funzionamento della mafia, e di come i gruppi clandestini di potere della Cupola Siciliana (la [[Commissione della Mafia Siciliana]]) si mettessero d'accordo sulle politiche da adottare e sugli affari da intraprendere. Per la prima volta la Mafia veniva perseguita come entità, piuttosto che come insieme di crimini separati.
|titolo=''I professionisti dell'antimafia''
|contenuto= Rimase famoso anche un articolo di [[Leonardo Sciascia]] intitolato ''I professionisti dell'antimafia'', pubblicato sul ''[[Corriere della Sera]]'' del 10 gennaio [[1987]] (quando il maxiprocesso di primo grado era in pieno svolgimento), nel quale l’autore, prendendo come esempio la nomina di Borsellino a procuratore capo di [[Marsala]] a scapito di colleghi con maggiore anzianità di servizio ma meno esperti di mafia, lamentava come le inchieste contro [[Cosa nostra]] sembrassero essere diventate un modo per far carriera, più che un servizio allo Stato. Tale affermazione produsse, tra lo scrittore e gli inquirenti, un breve botta-e-risposta dai toni assai accalorati. Il rischio paventato dallo scrittore poteva in effetti teoricamente sussistere e la sua preoccupazione era senz'altro legittima, ma, nel merito, l’esempio portato da Sciascia non era congruente: oggigiorno la scelta che a suo tempo venne fatta di nominare Borsellino, esperto di mafia, in un territorio strangolato dalla criminalità organizzata, viene generalmente considerata opportuna, e, in ogni caso, la procura di [[Marsala]] non rappresentava una "poltrona" particolarmente appetibile.<ref>Maria Falcone, pp. 104-106.</ref><ref>Ayala e Cavallaro, pp. 70-74.</ref><ref>Bolzoni e Santolini, pp. 182-184.</ref>
}}
 
=== Le reazioni al ''blitz'' e gli organi di informazione ===
== I verdetti ==
Il ''blitz'' di San Michele fece molto scalpore, in [[Italia]] e all'estero. Dagli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] arrivarono commenti entusiastici, mentre in [[Italia]] ai complimenti di una parte del mondo politico e giornalistico si contrappose il silenzio o la critica di un'altra parte. Alcuni erano convinti che quella fosse "giustizia spettacolo", che non avrebbe portato ad alcun risultato concreto, mentre altri non vedevano di buon occhio una lotta così intensa alla mafia e la consideravano non tanto un'opportunità, quanto un pericolo. Non mancò nemmeno una marcata ostilità di alcuni componenti della magistratura palermitana, che manifestarono dubbi e critiche sul maxiprocesso in preparazione e sui suoi promotori.<ref>Ayala 2008, pp. 115-116, 137.</ref><ref>Bolzoni e Santolini, p. 125.</ref>
Il processo terminò il [[16 dicembre]] [[1987]], circa due anni dopo il suo inizio.
I verdetti furono letti alle 19:30, e ci volle un'ora perché venissero letti in dettaglio.
 
Furono in particolare due i quotidiani che si fecero portavoce di coloro che avversavano l'inchiesta, ''[[il Giornale]]'' di [[Indro Montanelli]] ed il ''[[Giornale di Sicilia]]'' di [[Antonio Ardizzone]], pubblicando articoli fortemente critici o irridenti sull'intera inchiesta e sui giudici che la conducevano. Tale atteggiamento restò evidente per tutto il processo di primo grado, ma dovette per forza di cose affievolirsi quando la conclusione del processo portò a pesanti condanne.<ref>Maria Falcone, pp. 102-104.</ref><ref>Ayala e Cavallaro, pp. 68-70.</ref><ref>Bolzoni e Santolini, pp. 115-116.</ref>
Dei 475 imputati - presenti e non - 360 vennero condannati.
 
=== Ritorsioni contro i collaboratori di giustizia ===
2&nbsp;665 anni di condanne al carcere vennero divisi fra i colpevoli, non includedo gli [[ergastolo|ergastoli]] comminati ai diciannove boss di punta della Mafia e ai killer, tra cui [[Michele Greco]], [[Giuseppe Marchese]] e - ''in absentia'' - [[Salvatore Riina]], [[Giuseppe Lucchese Micciche']] e [[Bernardo Provenzano]].Solo il Lucchese Micciche'viene assolto da questi crimini in Cassazione.
Il [[18 ottobre]] [[1984]], mentre Buscetta e Contorno continuavano a rendere le loro dichiarazioni al giudice Falcone, otto uomini vennero massacrati a colpi di [[Lupara (arma)|lupara]] e [[pistola]] all'interno di una stalla a Piazza Scaffa, nel rione palermitano di [[Corso dei Mille-Sant'Erasmo|Corso dei Mille]], e, secondo alcuni osservatori dell'epoca, la strage sarebbe stata la feroce risposta di Cosa Nostra alle serrate indagini del pool antimafia<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/19/la-sconfitta-dei-clan-lontana.html|titolo='LA SCONFITTA DEI CLAN È LONTANA' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=19 ottobre 1984|lingua=it|accesso=28 febbraio 2022}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/20/un-enigma-il-movente-della-strage.html|titolo=UN ENIGMA IL MOVENTE DELLA STRAGE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=20 ottobre 1984|lingua=it|accesso=28 febbraio 2022}}</ref><ref>https://vittimemafia.it/18-ottobre-1984-palermo-strage-di-piazza-scaffa-furono-uccise-8-persone-per-dare-un-segnale-forte-della-qpotenza-criminale-delle-qfamiglieq-sicilianeq/</ref>; nello stesso periodo, i [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]] scatenarono un'offensiva anche contro coloro che avevano scelto la strada della collaborazione con la giustizia: il [[12 novembre]] [[1984]] Salvatore Anselmo, un mafioso che aveva reso importanti dichiarazioni sul [[traffico di stupefacenti]], venne assassinato mentre si trovava agli [[arresti domiciliari]] mentre due giorni dopo finì ucciso Mario Coniglio, fratello di Salvatore, uno dei "soci" di Anselmo che da mesi collaborava anche lui con la giustizia e che aveva avuto un ruolo determinante nel processo contro gli assassini del ''boss'' Pietro Marchese<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/11/15/la-vendetta-dei-clan-assassinato-freddo-fratello.html|titolo=LA VENDETTA DEI CLAN ASSASSINATO A FREDDO FRATELLO DI UN PENTITO - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=15 novembre 1984|lingua=it|accesso=27 febbraio 2022}}</ref>; il [[2 dicembre]] successivo venne freddato in un tragico agguato [[Leonardo Vitale]], che negli [[Anni 1970|anni '70]] era stato uno dei primi mafiosi a collaborare con la giustizia<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/12/08/morto-leonardo-vitale-il-primo-boss-pentito.html|titolo=MORTO LEONARDO VITALE IL PRIMO BOSS PENTITO - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=8 dicembre 1984|lingua=it|accesso=27 febbraio 2022}}</ref>, e cinque giorni dopo a [[Bagheria]] avvenne l'omicidio di Pietro Busetta, inerme ed onesto lavoratore reo soltanto di avere sposato una sorella di Buscetta<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/12/08/assassinato-il-cognato-di-buscetta.html|titolo=ASSASSINATO IL COGNATO DI BUSCETTA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=8 dicembre 1984|lingua=it|accesso=28 febbraio 2022}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/12/09/bagheria-regna-la-paura.html|titolo=A BAGHERIA REGNA LA PAURA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=9 dicembre 1984|lingua=it|accesso=27 febbraio 2022}}</ref>.
 
Inoltre, il [[23 dicembre]] dello stesso anno, il ''boss'' [[Giuseppe Calò]] organizzò, insieme ad ambienti della [[banda della Magliana]] legati al [[terrorismo nero]], la [[strage del Rapido 904]], che provocò 17 morti e 267 feriti, al fine di distogliere l'attenzione delle autorità dalle indagini del pool antimafia e dalle dichiarazioni di Buscetta e Contorno<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/11/25/strage-del-rapido-904-confermata-la.html|titolo=STRAGE DEL RAPIDO ' 904' CONFERMATA LA SENTENZA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=25 novembre 1992|lingua=it|accesso=4 marzo 2022}}</ref>.
La corte era all'oscuro del fatto che alcuni tra quelli che erano stati condannati ''in absentia'' fossero già morti al momento della lettura della sentenza. Tra di essi si annoverano [[Filippo Marchese]], [[Rosario Riccobono]] e [[Giuseppe Greco]]. [[Mario Prestifilippo]], invece, fu trovato morto ammazzato nelle strade della città mentre il procedimento penale era ancora in corso.
 
=== Il rinvio a giudizio ===
114 imputati vennero assolti, tra cui [[Luciano Liggio]], che era stato accusato di aver contribuito a gestire la famiglia mafiosa dei [[Corleonesi]] dall'interno del carcere, e per avere ordinato l'omicidio di [[Cesare Terranova]], che l'aveva inquisito nel [[1970]]. Il collegio giudicante decise che non vi erano prove sufficienti. Tuttavia, questo non cambiava di molto la posizione di Liggio, dal momento che era stato condannato all'[[ergastolo]] per omicidio - infatti, Leggio morì in carcere sei anni dopo.
[[File:Casa di Falcone e Borsellino all'Asinara.JPG|miniatura|La casa in cui Falcone, Borsellino e le loro famiglie vissero durante il soggiorno all'[[Asinara]].]]
Dopo gli omicidi in rapida successione del commissario [[Beppe Montana]] ([[28 luglio]] [[1985]]), e del vicequestore [[Ninni Cassarà]] ([[6 agosto]] [[1985]]), Falcone e Borsellino furono trasferiti per ragioni di sicurezza insieme con le loro famiglie nella foresteria del [[carcere dell'Asinara]] per scrivere le circa 8.000 pagine dell'ordinanza-sentenza che rinviava a giudizio 476 indagati in base alle indagini del ''pool''<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/1992/giugno/17/Falcone_sfuggiva_mafiosi_Stato_presentava_co_0_92061717923.shtml Falcone sfuggiva ai mafiosi, lo Stato presentava il conto] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20140202121148/http://archiviostorico.corriere.it/1992/giugno/17/Falcone_sfuggiva_mafiosi_Stato_presentava_co_0_92061717923.shtml|data=2 febbraio 2014}} Corriere della Sera, 17 giugno 1992</ref><ref name=":13"/>. Per tale periodo, il [[Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria]] richiese poi ai due magistrati un rimborso spese e un indennizzo per il soggiorno trascorso<ref>''Figure di una battaglia: documenti e riflessioni sulla mafia dopo l'assassinio di G. Falcone e P. Borsellino'', pag. 121</ref>.
 
L'8 novembre [[1985]] il giudice Caponnetto poté emanare l'ordinanza-sentenza riguardante il maxiprocesso, intitolata "Abbate Giovanni + 706"<ref name="cd" />. Era lunga 8.608 pagine divise in 40 volumi e valutava la posizione di 707 indagati; di essi, 476 furono rinviati a giudizio (numero poi sceso a 475 perché il mafioso [[Nino Salvo]], già gravemente malato, venne a mancare), gli altri 231 vennero prosciolti<ref name="pau">Ayala 2008, p. 134.</ref>. Il primo volume dell'ordinanza era riservato alla lista degli imputati e dal secondo al quarto ai capi d'imputazione mentre dal quinto al ventesimo illustrava con dovizia di particolari gli argomenti salienti dell'istruttoria (struttura e regole di Cosa Nostra, produzione di sostanze stupefacenti gestita dalle cosche, l'indagine "[[Pizza connection]]", gli omicidi della guerra di mafia, i "delitti eccellenti" [[Boris Giuliano|Giuliano]], [[Emanuele Basile (carabiniere)|Basile]], [[Carlo Alberto dalla Chiesa|dalla Chiesa]], [[Calogero Zucchetto|Zucchetto]], [[Paolo Giaccone|Giaccone]]); gli ultimi dieci volumi esaminavano la posizione di ogni singolo imputato, con una raccolta delle accuse e delle prove nei loro confronti<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/11/15/sugli-omicidi-eccellenti-polemica-fra-magistrati.html|titolo=SUGLI OMICIDI ECCELLENTI POLEMICA FRA I MAGISTRATI - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=15 novembre 1985|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref><ref name=":1" /><ref name=":13" />. Per ciò che riguarda gli omicidi più importanti, venivano quindi rinviati a giudizio i membri della "[[Commissione provinciale|Commissione]]" o "Cupola" di Cosa Nostra sulla base del cosiddetto “teorema Buscetta”, che affermava l'inderogabile principio della responsabilità collegiale dei membri dell'organo di vertice dell'organizzazione mafiosa in tutti gli omicidi di un certo rilievo<ref>{{Cita web|url=https://www.repubblica.it/online/cronaca/buscetta/teorema/teorema.html|titolo=la Repubblica/cronaca: Il 'teorema' Buscetta scopre la 'cupola'|sito=repubblica.it|data=4 aprile 2000|lingua=it|accesso=5 febbraio 2021}}</ref>.
Tra gli assolti, diciotto vennero in seguito uccisi dalla Mafia, tra cui [[Antonino Ciulla]], che fu colpito a morte un'ora dopo il rilascio, mentre tornava a casa per partecipare a una festa in onore della sua liberazione.
 
In molte parti di essa, l'ordinanza-sentenza affrontava le dichiarazioni dei venticinque collaboratori di giustizia raccolte dai giudici sulle quali si basava l'accusa: tra di essi spiccavano, oltre a Buscetta e Contorno, i trafficanti [[Turchia|turchi]] Sami Salek e Salah Al Din Wakkas, il trafficante cinese Koh Bak Kin, gli spacciatori di droga [[Milano|milanesi]] Gennaro Totta, Rodolfo Azzoli e il [[Padova|padovano]] Alessandro Zerbetto<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/11/12/affaire-degli-appalti.html|titolo=L' AFFAIRE DEGLI APPALTI - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=12 novembre 1985|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>, l'ex bandito milanese d'origini catanesi [[Angelo Epaminonda]]<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/03/01/liberta-negata-al-conte-borletti-epaminonda-interrogato.html|titolo=LIBERTA' NEGATA AL CONTE BORLETTI EPAMINONDA INTERROGATO DA FALCONE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=1º marzo 1985|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>, i rapinatori palermitani [[Stefano Calzetta]], [[Vincenzo Sinagra]], Salvatore Di Marco (contigui alla [[Famiglia (mafia)|Famiglia]] di [[Corso dei Mille-Sant'Erasmo|Corso dei Mille]] guidata dal ''boss'' [[Filippo Marchese]], fedelissimo dei [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]])<ref>{{Cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/23/un-mafioso-pentito-rivela-cosi-marchese-uccidevano.html|titolo=Un mafioso pentito rivela "Così i Marchese uccidevano" - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=23 ottobre 1984|lingua=it|accesso=12 giugno 2018|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180612163915/http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/10/23/un-mafioso-pentito-rivela-cosi-marchese-uccidevano.html|dataarchivio=12 giugno 2018|urlmorto=no}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/02/12/storia-di-salvatore-picciotto-pentito.html|titolo=STORIA DI SALVATORE, PICCIOTTO PENTITO - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=12 febbraio 1986|lingua=it|accesso=23 marzo 2022}}</ref> e le dichiarazioni postume di [[Giuseppe Di Cristina]] e [[Leonardo Vitale]] (un collaboratore ''ante litteram'' che nel [[1973]] per primo aveva deciso di dissociarsi da [[Cosa nostra]], ma che non era stato creduto, anche a causa di alcune sue bizzarrie come l'autolesionismo per penitenza).<ref name="autogenerato2" /><ref name=":1">{{Cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/11/03/tutte-le-accuse-cosa-nostra.html?ref=search|titolo=Tutte le accuse a Cosa Nostra - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=3 novembre 1985|lingua=it|accesso=30 dicembre 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131231001415/http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/11/03/tutte-le-accuse-cosa-nostra.html?ref=search|dataarchivio=31 dicembre 2013|urlmorto=no}}</ref><ref>{{Cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/10/22/un-computer-scrivera-le-ottomila-pagine-del.html?ref=search|titolo=Un computer scriverà le ottomila pagine del rinvio a giudizio - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=22 ottobre 1985|lingua=it|accesso=30 dicembre 2013|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131230231604/http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/10/22/un-computer-scrivera-le-ottomila-pagine-del.html?ref=search|dataarchivio=30 dicembre 2013|urlmorto=no}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/11/09/da-buscetta-totuccio-contorno-grandi-accusatori-dei.html|titolo=DA BUSCETTA A TOTUCCIO CONTORNO I GRANDI ACCUSATORI DEI BOSS - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=9 novembre 1985|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref><ref name=":13" />
== Gli appelli ==
{{P|le tesi senza fonte sottolineate in rosa non sono attendibili inoltre non documentate|Corrado Carnevale|dicembre 2008}}
Tuttavia, {{citazione necessaria|il rapido inizio dei processi d'appello rivelarono come lo stesso fosse stato condotto con un rispetto della procedura poco accorto e poco prudente da parte dei magistrati di primo grado}}. In Cassazione ulteriori sentenze di condanna furono annullate ad opera di una Sezione della Corte presieduta dal giudice [[Corrado Carnevale]]. Le ipotesi che questo giudice fosse colluso con la mafia {{citazione necessaria|risultarono prive di fondamento, ed egli fu prosciolto da ogni accusa in questo senso}}. La tesi dell'accusa era che fosse sul libro paga della Mafia, ed alla Sezione da lui presieduta sarebbe stato dato il controllo della maggior parte dei ricorsi grazie all'influenza del politico [[Salvatore Lima]]. {{citazione necessaria|Ipotesi che non trovò alcuna conferma.}}
 
=== L'aula bunker ===
Carnevale fu soprannominato dai suoi detrattori come ''l'ammazza-sentenze'' per via della sua tendenza a cancellare le condanne per Mafia anche per piccoli vizi di forma. Carnevale cancellò alcune condanne per traffico di droga, ad esempio, perché le conversazioni [[intercettazione telefonica|intercettate]] presentate come prova si riferivano allo spostamento di "camicie" e "completi" invece che a [[narcotico|narcotici]]; sebbene fosse noto che talvolta alcuni trafficanti utilizzassero tali nomi in codice per riferirsi allo stupefacente, {{citazione necessaria|nel caso concreto, tuttavia, non vi erano prove ulteriori (come ad es. il sequestro di una partita di sostanza) che permettessero di affermare che gli interlocutori non stessero parlando di capi d'abbigliamento.}}
{{Vedi anche|Aula bunker del carcere dell'Ucciardone}}
Fu subito chiaro che nessuna aula di tribunale a [[Palermo]], e forse nel mondo, avrebbe potuto contenere un simile processo, quindi l'allora Ministro della Giustizia [[Mino Martinazzoli]] inviò nel capoluogo siciliano la funzionaria Liliana Ferraro<ref>{{Cita web|url=https://www.corriere.it/cronache/22_febbraio_24/morta-liliana-ferraro-era-le-piu-strette-collaboratrici-falcone-1276d210-959d-11ec-ae45-371c99bdba95.shtml|titolo=Morta Liliana Ferraro: era tra le più strette collaboratrici del giudice Falcone|autore=Giovanni Bianconi|sito=Corriere della Sera|data=24 febbraio 2022|lingua=it-IT|accesso=28 febbraio 2022}}</ref> per coordinare la costruzione, a fianco del [[carcere dell'Ucciardone]], di una grande aula, che venne completata in soli sei mesi e venne subito soprannominata ''aula bunker'', di forma ottagonale e dimensioni adatte a contenere svariate centinaia di persone<ref name=":13" />. L'aula aveva sistemi di protezione tali da poter resistere anche ad attacchi di tipo missilistico e fu dotata di un sistema computerizzato di archiviazione degli atti, senza il quale un processo di tali proporzioni non sarebbe stato possibile.<ref name=paura>Ayala 2008, pp. 137-138.</ref>
 
=== I pubblici ministeri e la Corte d'assise ===
Nel [[1989]], solo 60 imputati rimanevano dietro le sbarre.
[[File:Tommaso Buscetta.jpg|thumb|Tommaso Buscetta viene portato in aula al maxiprocesso]]
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si lamentarono dell'annullamento di diverse delle condanne inflitte in primo grado, ma non furono ascoltati: sembrava che la crociata dello stato contro la Mafia avesse perso vigore, e le loro opinioni rimasero in gran parte inascoltate.
A rappresentare l'accusa al maxiprocesso vennero nominati due pubblici ministeri: [[Giuseppe Ayala]] e [[Domenico Signorino]], che si sarebbero alternati in aula.
 
Per quanto riguarda invece la composizione della [[Corte d'assise]] che avrebbe giudicato (un presidente, un secondo giudice togato denominato [[Corte d'assise#Composizione|giudice a latere]] e sei giudici popolari), si pose subito un inatteso problema: nessun presidente di Corte d'assise sembrava infatti disposto a presiedere il maxiprocesso. Ben dieci di essi riuscirono in qualche modo a defilarsi; due di essi avevano in effetti gravi problemi di salute, ma per gli altri otto probabilmente prevalsero considerazioni di altro tipo. Alla fine l'incarico venne accettato da [[Alfonso Giordano (giurista)|Alfonso Giordano]], un magistrato che era stato nominato presidente di Corte d'assise da pochi mesi, ed era quindi "appena arrivato". Giordano, docente di diritto privato all'università di Palermo, per la maggior parte della propria carriera si era occupato di diritto civile, e la sua ambizione, in effetti, era di presiedere processi civili e non penali; aveva però maturato anche una decina d'anni di esperienza nel penale<ref>Giordano, pp. 14-15 e 23.</ref> così, data anche l'assenza di altri giudici, pur considerando l'impresa ai limiti delle possibilità umane, decise di accettare.<ref name=pau /><ref>Giordano, pp. 13, 19, 29.</ref>
{{citazione necessaria|Un pentito disse, più tardi, che la Mafia tollerò i maxiprocessi perché si riteneva che i condannati sarebbero stati silenziosamente rilasciati nel momento in cui il pubblico avrebbe perso interesse, e che la Mafia potesse continuare i propri affari come al solito. Sembrò, per un po', che i mafiosi avessero avuto ragione a pensarlo. }}
 
Come secondo giudice della Corte (detto giudice a latere) venne nominato [[Pietro Grasso]], e si procedette senza soverchie difficoltà anche alla nomina dei sei giudici popolari. Nel caso che qualcuno dei membri della Corte potesse trovarsi in condizione di non poter proseguire il processo (eventualità tutt'altro che remota trattandosi di un processo di mafia)<ref group="Nota al testo">In effetti, durante il processo il giudice a latere Grasso e il pubblico ministero Ayala furono oggetto di intimidazioni mafiose.</ref>, furono nominati due ulteriori giudici togati (Dell'Acqua e Prestipino) che potessero eventualmente sostituire i giudici Giordano e Grasso, nonché altri venti giudici popolari in eventuale sostituzione dei sei della Corte.<ref name=film /><ref>Giordano, pp. 31-33 e 44.</ref>
== Epilogo ==
 
=== Parti civili ===
Nel Gennaio 1992, Falcone e Borsellino presero in mano i rimanenti appelli del maxiprocesso. Non soltanto riuscirono a far rigettare molte richieste di appello, ma riuscirono ad agire anche su quelli che avevano avuto successo, così che molti mafiosi che erano stati da poco fatti uscire di prigione vi ritornarono, in molti casi per il resto della loro vita.
Diversi [[Persona giuridica|enti giuridici]] e soggetti fisici richiesero la costituzione di [[parte civile]] nel maxiprocesso che si stava aprendo<ref name=":6">{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/02/12/quel-lungo-rosario-di-vedove.html|titolo=QUEL LUNGO ROSARIO DI VEDOVE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=12 febbraio 1986|lingua=it|accesso=26 marzo 2022}}</ref>. Il [[Comune (Italia)|Comune]] di [[Palermo]], per volere del sindaco [[Leoluca Orlando]], si costituì parte civile nella prima volta della sua storia, rappresentato dall'avvocato [[Pietro Milio]]<ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/07/04/la-regione-sicilia-parte-civile-nel-maxi.html</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/11/palermo-reclama-cosa-nostra-paghi-danni.html|titolo=PALERMO RECLAMA ' COSA NOSTRA PAGHI I DANNI' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=11 luglio 1993|lingua=it|accesso=26 marzo 2022}}</ref>. La stessa cosa fecero numerosi familiari di personalità dello Stato rimaste vittime "eccellenti" di Cosa Nostra, il cui caso veniva trattato all'interno del processo: [[Nando dalla Chiesa|Nando]], [[Rita dalla Chiesa|Rita]] e [[Simona dalla Chiesa]] (assistiti dagli avvocati [[Alfredo Galasso]], [[Alfredo Biondi]] e Carla Garofalo), figli del prefetto [[Carlo Alberto dalla Chiesa]]; Filomena Rizzo, vedova dell'agente di scorta [[Domenico Russo (poliziotto)|Domenico Russo]], rimasto ucciso nella [[strage di via Carini]]; Ines Leotta, vedova del vicequestore [[Boris Giuliano]]; Antonia, Paolo e Giovanni Setti Carraro, madre e fratelli di [[Emanuela Setti Carraro|Emanuela]], la giovane moglie del prefetto [[Carlo Alberto dalla Chiesa|dalla Chiesa]]; vedove e figli degli agenti uccisi nella [[strage della circonvallazione]] ([[16 giugno]] [[1982]]); la vedova, i genitori e i fratelli del capitano dei [[carabinieri]] [[Emanuele Basile (carabiniere)|Emanuele Basile]]; Rosetta Prestinicola, moglie del medico legale [[Paolo Giaccone]]<ref name=":6" />. Solo due donne provenienti dagli strati popolari della città che avevano avuto uccisi i loro familiari ebbero il coraggio di costituirsi parte civile: Vita Rugnetta, madre di Antonino, strangolato perché amico del collaboratore di giustizia [[Salvatore Contorno]], e Michela Buscemi, sorella di Salvatore e Rodolfo, il primo ucciso e fatto sparire perché vendeva sigarette di contrabbando senza il permesso della mafia e il secondo perché aveva cominciato a indagare nel suo quartiere su chi potesse avere assassinato il fratello<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/03/24/le-vedove-di-mafia-accusano-capi-storici.html|titolo=LE VEDOVE DI MAFIA ACCUSANO I 'CAPI STORICI' DI COSA NOSTRA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=24 marzo 1987|lingua=it|accesso=26 marzo 2022}}</ref>.
 
== Il processo di primo grado ==
In quell'estate, Falcone e Borsellino vennero uccisi nelle note stragi di [[Strage di Capaci|Capaci]] e di [[Strage di via D'Amelio|via D'Amelio]]. Ciò portò ad un pubblico sdegno e ad un riacutizzarsi della lotta alla Mafia che indebolì pesantemente l'organizzazione.
{{Approfondimento
|titolo = Tentativi di ostruzionismo
|contenuto = Com’era lecito attendersi, non mancarono nemmeno ripetuti tentativi di avvocati e imputati di ritardare lo svolgimento del processo. Più volte gli imputati diedero in escandescenze, finsero attacchi epilettici o compirono azioni autolesioniste, ma gli atti più pericolosi per il processo vennero dagli avvocati, e furono due: una richiesta di [[ricusazione]] del presidente della Corte (però in seguito rigettata dalla [[Corte d'appello (Italia)|Corte d'appello]]) e soprattutto, verso la fine del [[1986]], la richiesta di lettura integrale di tutti gli atti processuali. Tale possibilità era prevista dal Codice (artt. 462-466) ma in disuso; nel caso del maxiprocesso, tale lettura avrebbe richiesto circa due anni di tempo, col rischio di incanalare l’intero processo in un binario morto da cui non sarebbe, forse, più uscito. Fu necessaria una nuova legge emanata dal [[Parlamento della Repubblica Italiana|Parlamento]], la n° 29/1987 ("legge [[Nicola Mancino|Mancino]]-[[Luciano Violante|Violante]]", dal nome dei suoi promotori), per scongiurare tale pericolo.<ref>Giordano, pp. 153-178 e 273-276.</ref><ref>Ayala 2008, pp. 140-141.</ref>
}}
 
=== Svolgimento ===
[[Salvatore Riina]] fu, infine, catturato nel [[1993]]; altri mafiosi, come [[Giovanni Brusca]], subirono la stessa sorte. [[Salvatore Lima]] avrebbe, probabilmente, affrontato un destino simile, ma venne ucciso nel [[1992]] per non aver impedito il rigetto degli appelli all'inizio dell'anno.
Il 10 febbraio [[1986]], in un'aula bunker colma di circa 300 imputati, 200 avvocati difensori e 600 giornalisti da tutto il mondo, si aprì il processo. Tra gli imputati presenti vi erano [[Luciano Liggio]], [[Giuseppe Calò|Pippo Calò]], [[Bernardo Brusca]], [[Salvatore Montalto]], [[Leoluca Bagarella]], [[Giuseppe Marchese]], [[Michele Greco]] (che era latitante ma giorni dopo fu catturato e presenziò al processo)<ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/02/21/craxi-ai-ministri-buone-notizie.html?ref=search</ref><ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/02/21/la-mafia-non-ha-piu-il-suo.html?ref=search</ref><ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/02/21/le-sue-parole-erano-sentenze.html?ref=search</ref><ref>''Preso il capomafia Greco tradito dai suoi uomini'', La Stampa, 21 febbraio 1986</ref><ref>{{Cita web|url=https://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2019/01/22/news/ecco-come-ho-arrestato-il-papa-di-cosa-nostra-che-riceveva-a-casa-la-palermo-bene-1.330777/|titolo=«Così arrestai Michele Greco, il 'papa' di Cosa nostra che riceveva a casa la "Palermo bene"»|sito=L&apos;Espresso|data=22 gennaio 2019|lingua=it|accesso=10 marzo 2021}}</ref> e moltissimi altri; tra i [[Contumacia|contumaci]] figuravano [[Salvatore Riina]], [[Bernardo Provenzano]], [[Nitto Santapaola]] e il superkiller [[Giuseppe Lucchese]]. Le accuse ascritte agli imputati includevano, tra gli altri, 120 omicidi, traffico di droga, rapine, estorsione, e, ovviamente, il delitto di "[[associazione mafiosa]]" in vigore da pochi anni.<ref name=paura />
 
Dal momento che i termini di custodia cautelare per un centinaio di imputati scadevano l'8 novembre [[1987]] (poi prorogati di poche settimane), era necessario che il processo di primo grado si concludesse entro quella data. Per questo motivo il presidente Giordano, nonostante le proteste di alcuni avvocati difensori<ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/02/11/contro-boss-non-ci-son-prove.html</ref> e giudici popolari, dispose che il processo si sarebbe celebrato tutti i giorni, a eccezione soltanto delle domeniche e di alcuni sabati.<ref>Giordano, p. 65.</ref>
Il giudice [[Corrado Carnevale]], che fu soprannominato ''l'ammazza-sentenze'', venne catturato ed imprigionato per associazione mafiosa, per essere poi assolto con formula piena nel [[2000]].
 
Il [[Giudizio ordinario penale|dibattimento]] si svolse in maniera tutto sommato ordinata e regolare, soprattutto grazie all'atteggiamento di grande pazienza e disponibilità del presidente Giordano. Uno dei momenti più attesi del processo fu la deposizione di [[Tommaso Buscetta]], che iniziò all'udienza del [[3 aprile]] [[1986]], cui seguì il confronto diretto tra il collaboratore di giustizia e l'imputato [[Giuseppe Calò|Pippo Calò]], che avvenne il successivo 10 aprile. In tale confronto la figura di Buscetta prevalse chiaramente, tanto che i numerosi imputati che chiedevano un confronto diretto col loro accusatore rinunciarono, lasciando che Buscetta ripartisse per gli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]]. L'11 aprile fece il suo ingresso in aula [[Salvatore Contorno]] che, a differenza di Buscetta, venne accolto da fischi e insulti anche durante la sua deposizione, che il collaboratore condusse in stretto [[dialetto palermitano]] nonostante le proteste degli avvocati difensori, tanto che il presidente Giordano dovette nominare come perito linguistico il professor [[Santi Correnti]] per tradurre in [[Italiano (lingua)|italiano]] la testimonianza di Contorno<ref>{{Cita libro|nome=Enrico|cognome=Deaglio|titolo=Raccolto rosso: la mafia, l'Italia e poi venne giù tutto|url=https://books.google.it/books?id=DYpNrwMsAZ4C&pg=PA57&lpg=PA57&dq=Contorno+santi+correnti&source=bl&ots=SscW06ymce&sig=ACfU3U0iYdIpbFrozhNIPc14MFG0Zqep8A&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwi98c6T06bvAhWSzqQKHVw3DqYQ6AEwD3oECBYQAg#v=onepage&q=Contorno%20santi%20correnti&f=false|accesso=2021-03-10|data=1993|editore=Feltrinelli Editore|lingua=it|ISBN=978-88-07-12010-7}}</ref>. Gli altri collaboratori (cosiddetti "minori") che testimoniarono in aula dovettero subire anche loro insulti di ogni genere da parte degli imputati presenti ma non si fecero condizionare e confermarono le loro accuse<ref>Ayala 2008, pp. 141.</ref>.
È impossibile giudicare se il maxiprocesso sia stato o meno un successo senza considerare gli eventi successivi. Il successo più importante del processo fu il fatto di prendere in considerazione la Mafia come organizzazione con le proprie attività, piuttosto che i suoi singoli membri per crimini isolati (quest'approccio venne incarnato negli [[USA]] dal [[RICO Act]]). Alcuni potrebbero affermare che i processi d'appello corrotti annullarono in larga parte l'esito del processo, ma, sebbene ci siano voluti diversi anni e la vita di due giudici, il maxiprocesso generò, alla fine, una reazione a catena che portò a un importante indebolimento della Mafia, e alla cattura di coloro che erano sfuggiti alla rete del processo, come Riina e Brusca e nel 2006 l'ultimo padrino siciliano della Mafia Bernando Provenzano, "Binnu 'u tratturi".
 
[[File:Michele Greco1.jpg|thumb|[[Michele Greco]] durante un'udienza del Maxiprocesso ([[1986]]).]]
L'udienza del [[21 maggio]] [[1986]] fu caratterizzata dalla singolare forma di protesta dell'imputato Salvatore Ercolano, il quale si cucì le labbra con una [[spillatrice]] e fece leggere un messaggio dal suo compagno di gabbia Tommaso Spadaro in cui smentiva tutte le accuse che gli erano mosse<ref>{{Cita web|url=https://www.lasicilia.it/news/cronaca/395141/mafia-arrestato-turi-ercolano-chi-e-il-boss-che-si-cuci-la-bocca-al-maxiprocesso.html|titolo=Mafia, arrestato Turi Ercolano: chi è il boss che si cucì la bocca al maxiprocesso|sito=lasicilia.it|data=23 febbraio 2021|lingua=it|accesso=10 marzo 2021}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://torino.repubblica.it/cronaca/2021/02/23/news/arrestato_a_torino_il_boss_mafioso_che_si_era_cucito_la_bocca_al_maxiprocesso_di_falcone-288822522/|titolo=Arrestato a Torino il boss mafioso che si era cucito la bocca al maxiprocesso di Falcone|sito=Repubblica.it|data=23 febbraio 2021|lingua=it|accesso=10 marzo 2021}}</ref>.
 
Durante l'udienza del [[4 agosto]] [[1986]], l'imputato Vincenzo Sinagra (detto "''Tempesta''", cugino dell'[[Vincenzo Sinagra|omonimo collaboratore di giustizia]]) venne condotto in aula in [[camicia di forza]] contenuto da ben dieci agenti ma continuò ad urlare e a dimenarsi, fin quando il presidente Giordano non ordinò di mandarlo via, disponendo una [[perizia psichiatrica]] che stabilì che era un simulatore<ref>{{Cita news|autore=Saverio Lodato|url=https://archivio.unita.news/assets/main/1986/08/05/page_005.pdf|titolo=Maxi processo in ferie. Bilancio positivo dopo 85 udienze. Di Sinagra l'ultimo show in aula|pubblicazione=L'Unità|data=5 agosto 1986|p=5}}</ref><ref>{{Cita libro|nome=Corrado De|cognome=Rosa|nome2=Laura|cognome2=Galesi|titolo=Mafia da legare|url=https://books.google.it/books?id=_zEz36LEZtEC&pg=PT142&dq=vincenzo+sinagra+agosto+1986&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwj-od316Pn2AhVTgv0HHTixAegQ6AF6BAgLEAM#v=onepage&q=vincenzo%20sinagra%20agosto%201986&f=false|accesso=4 aprile 2022|data=29 gennaio 2013|editore=Sperling & Kupfer|lingua=it|ISBN=978-88-7339-746-5}}</ref>; due mesi prima, lo stesso Sinagra era finito in [[ospedale]] perché aveva ingerito un paio di [[Chiodo|chiodi]] e la notizia aveva indotto Giordano a sospendere l'udienza del [[5 marzo]] precedente<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/03/06/ingoia-due-chiodi-udienza-rinviata.html|titolo=INGOIA DUE CHIODI L'UDIENZA È RINVIATA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=6 marzo 1986|lingua=it|accesso=4 aprile 2022}}</ref>.
 
Il 7 ottobre [[1986]] venne assassinato il piccolo [[Claudio Domino]]: le reali motivazioni del delitto non furono mai scoperte, anche se i sospetti ricaddero subito sulla mafia per via del fatto che i genitori del bambino erano titolari della ditta si era aggiudicata l'appalto delle pulizie nell'[[Aula bunker del carcere dell'Ucciardone|aula bunker]]<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/10/04/la-giustizia-di-riina.html|titolo=LA ' GIUSTIZIA' DI RIINA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=4 ottobre 1994|lingua=it|accesso=10 marzo 2021}}</ref>. Alcuni giorni dopo, all'apertura di un'udienza, l'imputato [[Giovanni Bontate]] chiese la parola al presidente Giordano e lesse un comunicato a nome di tutti gli altri imputati con cui condannava l'omicidio del piccolo Domino, che però ottenne l'effetto non voluto di confermare l'esistenza della organizzazione: come racconta [[Pietro Grasso]], all'epoca giudice a latere, «''con quella dichiarazione di Bontate, per la prima volta un mafioso pronunciò la parola ‘noi´: noi, significava noi mafiosi. Loro stessi ammettevano la loro esistenza. Era senza precedenti''»<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/02/10/vent-anni-fa-nel-bunker-con-boss.html|titolo=Vent' anni fa, nel bunker con i boss - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=10 febbraio 2006|lingua=it|accesso=10 marzo 2021}}</ref> (per via di questo comunicato, Bontate verrà poi assassinato nel [[1988]] insieme alla moglie Francesca Citarda)<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/09/29/un-abbraccio-un-caffe-poi-le.html|titolo=UN ABBRACCIO, UN CAFFE' , POI LE P38 - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=29 settembre 1988|lingua=it|accesso=10 marzo 2021}}</ref>.
 
Le udienze dell'[[11 novembre|11]] e [[12 novembre]] [[1986]] si tennero presso un'aula del [[Palazzo di Giustizia (Roma)|Palazzo di Giustizia di Roma]], dove furono ascoltati come testimoni [[Giovanni Spadolini]] (ministro della Difesa), [[Virginio Rognoni]] (ministro della Giustizia) e [[Giulio Andreotti]] (ministro degli Esteri) circa la mancata concessione di più ampi poteri al prefetto di [[Palermo]] [[Carlo Alberto dalla Chiesa]] nel [[1982]]<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/11/11/il-maxiprocesso-si-sposta-roma-per-ascoltare.html|titolo=IL MAXIPROCESSO SI SPOSTA A ROMA PER ASCOLTARE ROGNONI E SPADOLINI - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=11 novembre 1986|lingua=it|accesso=28 marzo 2022}}</ref>; l'avvocato [[Alfredo Galasso]] (difensore di parte civile dei figli di dalla Chiesa) trasmise gli atti della testimonianza di Andreotti alla Procura di [[Palermo]] per procedere nei suoi confronti per i reati di [[Falsa testimonianza (ordinamento italiano)|falsa testimonianza]] e [[reticenza]] ma le accuse vennero tutte archiviate<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/11/22/andreotti-finisce-sott-inchiesta.html|titolo=ANDREOTTI FINISCE SOTT' INCHIESTA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=22 novembre 1986|lingua=it|accesso=28 marzo 2022}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/12/04/andreotti-reticente-per-questo-va.html|titolo=' ANDREOTTI È RETICENTE, PER QUESTO VA MESSO SOTT' ACCUSA' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=4 dicembre 1986|lingua=it|accesso=28 marzo 2022}}</ref>.
 
Durante l'udienza del [[17 marzo]] [[1987]] avvenne anche un fatto surreale: un gruppo di donne parenti dell'imputato Vincenzo Buffa si affacciò alle ringhiere dell'aula bunker riservate al pubblico gridando verso la Corte che il loro congiunto non si era pentito; queste donne (ribattezzate poi dalla stampa "le [[Erinni]]"), immediatamente allontanate dall'aula, speravano così di convincere gli altri imputati che la storia della collaborazione con la giustizia di Buffa fosse solo un'invenzione, in modo da evitare il pericolo di vendette trasversali<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/03/18/sette-donne-urlano-il-nostro-uomo-non.html|titolo=SETTE DONNE URLANO 'IL NOSTRO UOMO NON È UN TRADITORE' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=18 marzo 1987|lingua=it|accesso=10 marzo 2021}}</ref>.
 
Gli ultimi 7-8 mesi furono dedicati alle requisitorie dei pubblici ministeri<ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/04/03/condannateli-all-ergastolo-sono-capi-di-cosa.html?ref=search</ref> e alle arringhe difensive degli avvocati, prima che il processo di primo grado si avviasse all'epilogo.<ref>Ayala 2008, pp. 145-152.</ref><ref>Giordano, pp. 127-133.</ref>
 
=== La camera di consiglio e la sentenza ===
[[File:03-02-07 1038.jpg|thumb|upright|Faldone riguardante Michele Greco al maxiprocesso]]
 
L'11 novembre [[1987]], dopo 349 udienze, 1314 interrogatori e 635 arringhe difensive, gli otto membri della Corte d'assise si ritirarono in [[camera di consiglio]], accompagnati da un inatteso applauso da parte degli imputati (il cui numero, nel corso del processo, era leggermente diminuito fino a 460). Tale Corte era composta dai due giudici togati Alfonso Giordano e Pietro Grasso, e dai sei giudici popolari Francesca Agnello, Maria Nunzia Catanese, Luigi Mancuso, Lidia Mangione, Renato Mazzeo e Francesca Vitale. Fu la più lunga camera di consiglio che la storia giudiziaria ricordi: 35 giorni, durante i quali la Corte visse totalmente isolata dal mondo, lavorando a tempo pieno sul maxiprocesso. <ref name=film /><ref>Giordano, p. 204</ref><ref>Bolzoni e Santolini, p. 133.</ref><ref name=paudue>Ayala 2008, p. 160.</ref><ref name=bolzo>Bolzoni, p. 125.</ref>
 
Infine, il 16 dicembre [[1987]] il presidente Giordano, che nell'occasione sfoggiò una lunga barba a testimonianza dell'isolamento totale della Corte durante la camera di consiglio, <ref>{{Cita web|url=https://www.repubblica.it/cronaca/2016/02/29/news/alfonso_giordano_io_e_grasso_per_un_mese_non_tagliammo_piu_la_barba_-134473855/|titolo=Alfonso Giordano: "Io e Grasso per un mese non tagliammo più la barba"|sito=la Repubblica|data=2016-02-29|lingua=it|accesso=2024-11-23}}</ref>lesse il [[Dispositivo (diritto)|dispositivo]] della sentenza che concludeva il maxiprocesso di primo grado: 346 condannati e 114 assolti; 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione. La sentenza venne unanimemente considerata un duro colpo a [[Cosa nostra]] e ricevette commenti favorevoli da tutto il mondo. Anche chi non era contento di una così penetrante lotta alla mafia, si guardò bene dal protestare.<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/12/17/giudici-hanno-creduto-buscetta.html|titolo=I GIUDICI HANNO CREDUTO A BUSCETTA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=17 dicembre 1987|lingua=it|accesso=24 aprile 2021}}</ref><ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/12/17/il-sorriso-si-spense-sulle-facce.html?ref=search</ref><ref name=paudue /><ref name=bolzo /><ref>Giordano, pp. 291 e 302-307.</ref>
 
Negli ambienti mafiosi e a esso contigui, tuttavia, prevalse un certo ottimismo: se pure in primo grado c'erano state dure condanne, nei successivi gradi di giudizio (in appello e soprattutto in Cassazione), esse sarebbero state senz'altro in gran parte diminuite o annullate, riducendo il tutto a ben poca cosa.<ref>[http://books.google.it/books?id=ik_VtGSncN0C&printsec=frontcover&dq=gli+uomini+del+disonore&hl=it&sa=X&ei=2HqkUoqRJ6Wr0AWmyoCwBw&ved=0CEkQ6AEwAQ#v=onepage&q=gli%20uomini%20del%20disonore&f=false Pino Arlacchi, ''Gli uomini del disonore''] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20131220120824/http://books.google.it/books?id=ik_VtGSncN0C&printsec=frontcover&dq=gli+uomini+del+disonore&hl=it&sa=X&ei=2HqkUoqRJ6Wr0AWmyoCwBw&ved=0CEkQ6AEwAQ#v=onepage&q=gli%20uomini%20del%20disonore&f=false|data=20 dicembre 2013}}, pp. 285-286, su Google Books.</ref><ref>Memoria depositata dai Pubblici Ministeri nel procedimento penale instaurato nei confronti di [[Giulio Andreotti]], [[1995]], p. 12.</ref>
 
La sera stessa in cui venne letta la sentenza di primo grado, fu ucciso uno degli imputati, Antonino Ciulla, freddato con sette colpi di [[pistola]] mentre stava raggiungendo i familiari per festeggiare l'assoluzione nel maxiprocesso: molti lessero in quest'esecuzione una feroce ed immediata risposta di [[Cosa Nostra]] alla storica sentenza.<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/12/18/la-piovra-risponde-uccidendo.html|titolo=LA PIOVRA RISPONDE UCCIDENDO - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=18 dicembre 1987|lingua=it|accesso=1º marzo 2022}}</ref>
 
== Il processo d'appello ==
=== L'omicidio Saetta ===
Contrariamente a quanto era avvenuto per il processo di primo grado, in [[Appello (ordinamento penale italiano)|appello]] si trovò subito un sia pur ristretto numero di magistrati disposti a presiedere il maxiprocesso. Uno di questi era [[Antonino Saetta]], un magistrato che si era messo in luce negli ultimi anni per il coraggio e l'assoluto rigore morale<ref group="Nota al testo">Un esempio era stata la condanna inflitta a [[Cosa nostra]] per l'omicidio del capitano dei [[carabinieri]] [[Emanuele Basile (carabiniere)|Emanuele Basile]].</ref>. Il 25 settembre [[1988]] [[Cosa nostra]] uccise il giudice Saetta a colpi di pistola, e uno dei motivi era proprio quello di impedirgli di presiedere il maxiprocesso.<ref name=cd />
 
=== Svolgimento e sentenza ===
L'incarico di presidente venne infine accettato dal giudice Vincenzo Palmegiano, sicché, espletati tutti gli adempimenti, il processo d'appello poté aprirsi il 22 febbraio [[1989]]. L'accusa nel giudizio d'appello si basò sulle testimonianze dei collaboratori di giustizia già sentiti in primo grado, cui si aggiunsero le dichiarazioni dei nuovi collaboratori [[Antonino Calderone]], Giuseppe Pellegriti e [[Francesco Marino Mannoia]], che avevano frattanto iniziato a collaborare con la giustizia. Infatti, durante i mesi del dibattimento, la Corte d'appello andò ad ascoltare negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] il ''boss'' [[Gaetano Badalamenti]] (detenuto negli USA per [[Traffico di sostanze stupefacenti|traffico di stupefacenti)]] nonché [[Tommaso Buscetta]], che però rifiutò di rispondere alle domande<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/07/26/tommaso-buscetta-racconta-contorno-mi-confido.html|titolo=TOMMASO BUSCETTA RACCONTA 'E CONTORNO MI CONFIDO' ...' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=26 luglio 1989|lingua=it|accesso=6 marzo 2021}}</ref>; a [[Roma]] per sentire le rivelazioni di [[Francesco Marino Mannoia]] e nel carcere di [[Alessandria]], dove furono interrogati il pentito catanese Giuseppe Pellegriti e il neofascista pluriomicida [[Angelo Izzo]]<ref>{{Cita web|url=http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/13/maxi-processo-cosa-nostra-meta-dicembre-la.html|titolo=Maxi processo a Cosa Nostra, a metà dicembre la sentenza - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=13 novembre 1990|lingua=it|accesso=12 giugno 2018|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20180612163735/http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/11/13/maxi-processo-cosa-nostra-meta-dicembre-la.html|dataarchivio=12 giugno 2018|urlmorto=no}}</ref>. Venne inoltre stralciata dal processo la posizione degli imputati Armando Bonanno, Filippo Giacalone, [[Giuseppe Greco (mafioso)|Giuseppe Greco]] (detto "''Scarpuzzedda''"), [[Filippo Marchese]], [[Rosario Riccobono]] e [[Salvatore Scaglione]], nei cui confronti esisteva la sospetta della loro morte perché numerose testimonianze li ritenevano uccisi con il metodo della "[[lupara bianca]]"<ref name=":3" />.
 
L'appello ebbe durata appena inferiore al primo grado, e il 12 novembre [[1990]] la [[Corte d'assise d'appello]] poté ritirarsi in camera di consiglio. La sentenza, pronunciata dal presidente Palmegiano il 10 dicembre [[1990]] si rivelò deludente per gli inquirenti e per la maggior parte dei mezzi di comunicazione, tanto che non mancarono le polemiche. Le condanne venivano infatti ridotte in maniera cospicua: gli ergastoli passarono da 19 a 12, le pene detentive vennero ridotte di oltre un terzo, scendendo a 1576 anni di reclusione, e vennero pronunciate 86 nuove assoluzioni. Venne anche corretto qualche errore commesso in primo grado: erano stati infatti condannati anche quattro imputati ritenuti morti e uno che all'epoca dei fatti era minorenne.
 
Buona parte di tali riduzioni di pena derivavano dalla convinzione del collegio giudicante che il principio della responsabilità collegiale dei membri della "Commissione" fosse in effetti assai meno inderogabile di quanto non si fosse ritenuto in primo grado e che, quindi, in alcuni casi fossero stati commessi omicidi anche senza l'assenso dei vertici di [[Cosa nostra]]<ref name=cd /><ref>Giordano, pp. 321-323.</ref><ref>Bolzoni, p. 126.</ref><ref name=":3">[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/12/12/io-non-lotto-faccio-solo-sentenze.html Io non lotto, faccio solo sentenze] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20131224110037/http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/12/12/io-non-lotto-faccio-solo-sentenze.html|data=24 dicembre 2013}}, la Repubblica, 12 dicembre 1990.</ref>: infatti il "teorema Buscetta" venne riconosciuto soltanto negli omicidi della guerra di mafia mentre i membri della "Cupola" vennero assolti per quanto riguarda i "delitti eccellenti" [[Carlo Alberto dalla Chiesa|dalla Chiesa]], [[Boris Giuliano|Giuliano]], [[Calogero Zucchetto|Zucchetto]] e la c.d. "[[strage della circonvallazione]]" con la motivazione che sarebbe stato controproducente per i Corleonesi compiere azioni così eclatanti contro uomini dello Stato, probabilmente organizzate a loro insaputa dalle cosche perdenti dalla guerra di mafia per ragioni connesse al [[traffico di stupefacenti]] (attività illecita in cui i singoli gruppi godevano di illimitata autonomia decisionale senza informare la "Cupola") o come disperato tentativo di "riconquistare terreno" e fare ricadere la colpa sugli avversari<ref name=":4">{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/08/01/fu-la-mafia-perdente-ad-uccidere.html|titolo=FU LA MAFIA ' PERDENTE' AD UCCIDERE DALLA CHIESA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=1º agosto 1991|lingua=it|accesso=7 febbraio 2021}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/10/08/voi-magistrati-appello-mandaste-assolti.html|titolo=' VOI, MAGISTRATI D'APPELLO MANDASTE ASSOLTI I CAPIMAFIA' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=8 ottobre 1991|lingua=it|accesso=10 febbraio 2021}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/12/12/in-scena-palermo-il-rituale-delle-facili.html|titolo=IN SCENA A PALERMO IL RITUALE DELLE 'FACILI' ASSOLUZIONI - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=12 dicembre 1990|lingua=it|accesso=7 febbraio 2021}}</ref>. Quindi i giudici d'appello rifiutavano la visione di una "mafia moderata" (la fazione [[Stefano Bontate|Bontate]]-[[Inzerillo (famiglia)|Inzerillo]]) contrapposta ad una "mafia stragista" (i [[Clan dei Corleonesi|Corleonesi]]), così come prospettata dalle dichiarazioni di Buscetta e Contorno, che erano da considerarsi parzialmente attendibili e, in alcuni casi, addirittura fuorvianti (anche alla luce delle nuove rivelazioni di [[Antonino Calderone|Calderone]] e [[Francesco Marino Mannoia|Marino Mannoia]]) poiché provenienti da soggetti schierati con la fazione perdente e quindi interessati ad allontanare dal loro gruppo di riferimento (ed anche da loro stessi) la responsabilità dei "delitti eccellenti"<ref>Sentenza della Corte d'assise d'appello di Palermo nei confronti di Abbate Giovanni + 386</ref><ref name=":4" />.
 
=== Scarcerazione degli imputati ===
L'11 febbraio [[1991]] quaranta imputati del maxiprocesso già condannati in primo grado ed in appello (tra cui importanti boss come [[Michele Greco]] e [[Giuseppe Lucchese]]) vennero scarcerati per la scadenza dei termini di [[Custodia cautelare in carcere|custodia cautelare]] a seguito di un [[Ricorso per cassazione (ordinamento civile italiano)|ricorso]] accolto dalla prima sezione penale della [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]] presieduta dal magistrato [[Corrado Carnevale]]. Fu una decisione che generò grande scalpore all'interno dell'opinione pubblica e tra le forze politiche<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/02/20/che-errore-scarcerare-quei-boss.html|titolo=CHE ERRORE SCARCERARE QUEI BOSS... - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=20 febbraio 1991|lingua=it|accesso=17 febbraio 2022}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/02/16/cosi-in-italia-sta-nascendo-una-giustizia.html|titolo=COSI' IN ITALIA STA NASCENDO UNA GIUSTIZIA IMPOSSIBILE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=16 febbraio 1991|lingua=it|accesso=17 febbraio 2022}}</ref>. Per porre un freno a questa situazione, ai primi di [[marzo]] il [[Governo Andreotti VI]], nelle persone del Ministro dell'Interno [[Vincenzo Scotti]] e di quello della Giustizia ''[[ad interim]]'' [[Claudio Martelli]], emanò d'urgenza un [[decreto-legge]], il n° 60/1991<ref>{{Cita web|url=https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1991/04/23/091A1873/sg|titolo=Testo del decreto-legge 1 marzo 1991, n. 60 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 51 del 1 marzo 1991)|accesso=2022-03-01}}</ref>, che modificava i termini della custodia cautelare e quindi riportava in prigione gli imputati scarcerati<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/02/26/troppo-pericolosi-per-tornare-liberi.html|titolo=' TROPPO PERICOLOSI PER TORNARE LIBERI' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=26 febbraio 1991|lingua=it|accesso=17 febbraio 2022}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/03/05/scotti-il-mio-mestiere-chiedere-che.html|titolo=SCOTTI: 'IL MIO MESTIERE È CHIEDERE CHE I MAFIOSI TORNINO IN CARCERE' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=5 marzo 1991|lingua=it|accesso=17 febbraio 2022}}</ref>. Le critiche di [[incostituzionalità]] al decreto sfociarono in uno [[sciopero]] nazionale degli avvocati penalisti<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/03/27/la-giustizia-si-ferma-per-lo-sciopero.html|titolo=LA GIUSTIZIA SI FERMA PER LO SCIOPERO DELLE TOGHE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=27 marzo 1991|lingua=it|accesso=18 febbraio 2022}}</ref>.
 
== La sentenza della Corte di Cassazione ==
{{Approfondimento
|titolo = L'omicidio Scopelliti
|contenuto = Il 9 agosto [[1991]], a [[Reggio Calabria]], venne ucciso [[Antonino Scopelliti]], sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Scopelliti avrebbe dovuto rappresentare l'accusa davanti alla Suprema Corte per il maxiprocesso e stava quindi esaminando i ricorsi degli avvocati difensori degli imputati. L'omicidio venne probabilmente decretato dai vertici di [[Cosa nostra]] di concerto con la [['Ndrangheta]] calabrese, anche se mandanti ed esecutori sono rimasti sconosciuti.<ref>[http://www.raistoria.rai.it/articoli/scopelliti-il-giudice-solo/10663/default.aspx Scopelliti, il giudice solo] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20131220234208/http://www.raistoria.rai.it/articoli/scopelliti-il-giudice-solo/10663/default.aspx|data=20 dicembre 2013}}, Raistoria.rai.it</ref>
}}
 
L'ultimo passaggio da superare era quello del vaglio, da parte della [[Suprema Corte di Cassazione|Corte di Cassazione]], sulla regolarità del processo. Per gli imputati il giudizio di Cassazione era in effetti l'ultima possibilità per un'ulteriore riduzione o annullamento delle condanne, mentre per l'accusa essa rappresentava la possibilità di ricorrere contro le assoluzioni pronunciate in secondo grado. Il rischio, assai temuto da [[Giovanni Falcone]], era che il maxiprocesso venisse affidato alla prima sezione della Cassazione, presieduta da [[Corrado Carnevale]], giudice cui venivano di solito attribuiti i processi di mafia e che, per la gran quantità di condanne annullate, quasi sempre per piccoli vizi di forma (a fronte invece delle assoluzioni quasi sempre confermate), era stato soprannominato "ammazzasentenze".<ref group="Nota al testo">In seguito, anche Carnevale sarà accusato di collusione con la mafia, processato e infine prosciolto dopo un lungo e articolato ''iter'' processuale che vide alternarsi condanne e assoluzioni. Il proscioglimento definitivo di Carnevale venne pronunciato poiché la Cassazione a Sezioni Unite stabilì l'inutilizzabilità delle dichiarazioni dei giudici che componevano i collegi di cui faceva parte Carnevale, per violazione del segreto della camera di consiglio.</ref>
 
Di fronte alle sentenze della Corte presieduta da Carnevale, da molti ritenute a dir poco discutibili (come quella del febbraio precedente che scarcerava numerosi imputati del maxiprocesso), [[Giovanni Falcone]], nominato da Martelli direttore degli affari penali del [[Ministero della giustizia|Ministero della Giustizia]], aveva promosso una sorta di "monitoraggio" delle sentenze della Cassazione, che aveva il compito di registrare a quali sezioni della Corte di Cassazione venissero affidati i processi di mafia e il loro esito<ref group="Nota al testo">La correttezza di questo monitoraggio, condotto nella nuova veste di direttore degli affari penali del Ministero della giustizia, è stata riconosciuta con queste parole, pronunciate venticinque anni dopo: “Quando [[Giovanni Falcone]] ritenne necessario ‘seguire’ le sorti del maxiprocesso anche nei successivi gradi di giudizio, non gli passò neppure per l'anticamera del cervello di farsi comandare alla Procura generale, ma accettò l'incarico ministeriale offertogli da [[Claudio Martelli]]”. {{collegamento interrotto|{{cita web|url=http://www.avantionline.it/2016/01/109880/#.VqzAPMfYa0Q|titolo=Csm. Buemi: offrire un sistema di nomine all'altezza delle richieste dei cittadini}}}}</ref>. Il risultato fu che, per evitare polemiche, il primo presidente della Cassazione decise che i processi di mafia sarebbero stati attribuiti a tutti i presidenti di sezione, a rotazione. Di conseguenza, nonostante secondo alcuni Carnevale avesse operato a lungo, nell'ombra, per ottenere il maxiprocesso, esso fu attribuito alla sesta sezione della Corte, presieduta dal giudice Arnaldo Valente.<ref name=cd /><ref>Ayala 2012, p. 24.</ref><ref>Bolzoni e D'Avanzo, pp. 165-183.</ref><ref name=statomafia>[http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/12/11/news/trattativa_stato-mafia_di_matteo_non_va_all_udienza-73305528/?ref=HREC1-4 Trattativa Stato-mafia] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20131220014148/http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/12/11/news/trattativa_stato-mafia_di_matteo_non_va_all_udienza-73305528/?ref=HREC1-4|data=20 dicembre 2013}}, la Repubblica, 11 dicembre 2013.</ref>
 
La sentenza, emessa il 30 gennaio [[1992]], fu molto severa: le condanne furono tutte confermate, mentre la gran parte delle assoluzioni pronunciate nel giudizio d'appello per gli omicidi [[Boris Giuliano|Giuliano]], [[Carlo Alberto dalla Chiesa|dalla Chiesa]], [[Paolo Giaccone|Giaccone]] ed altri venne annullata e per gli imputati venne disposto un nuovo giudizio<ref>https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/01/31/adesso-palermo-esulta-finalmente-ci.html?ref=search</ref>. Uno dei motivi principali fu che la Corte, in accordo con i giudici di primo grado, considerò il "teorema Buscetta" assai più cogente di quanto non avessero creduto i giudici di secondo grado. Il processo di rinvio venne celebrato tra il [[1993]] e il [[1995]] davanti alla [[Corte d'assise d'appello]] presieduta da Rosario Gino: tutti gli imputati vennero condannati all'ergastolo<ref>[http://archiviostorico.corriere.it/1995/marzo/18/Delitto_Dalla_Chiesa_ottavo_ergastolo_co_0_95031816119.shtml Delitto Dalla Chiesa: ottavo ergastolo a Riina] {{Webarchive|url=https://web.archive.org/web/20151003004355/http://archiviostorico.corriere.it/1995/marzo/18/Delitto_Dalla_Chiesa_ottavo_ergastolo_co_0_95031816119.shtml|data=3 ottobre 2015}}, Corriere della Sera, 18 marzo 1995.</ref>. Il risultato finale del maxiprocesso fu dunque che la quasi totalità delle pesanti condanne pronunciate in primo grado venne confermata e divenne definitiva: un colpo molto duro per [[Cosa nostra]].<ref>Giordano, pp. 323-325.</ref>
 
== Tronconi del Maxiprocesso ==
A causa della mole dell'istruttoria processuale e dell'elevato numero degli imputati, l'inchiesta del pool antimafia di Palermo produsse altri tre tronconi, che si svolsero quasi in parallelo con il procedimento principale (definito "maxi-uno")<ref name=":13" /><ref name=":0">{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/02/20/palermo-nel-maxi-processo-bis.html|titolo=PALERMO, NEL 'MAXI - PROCESSO - BIS' I RAPPORTI TRA LE COSCHE E I GOLP - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=20 febbraio 1987|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref><ref name=":5" />.
 
=== Maxiprocesso ''bis'' ===
Il 21 aprile [[1987]] si aprì presso la Corte d'Assise di [[Palermo]], presieduta dal giudice Stefano Migliore, il "Maxiprocesso ''bis''", che contava ottanta imputati, la maggior parte appartenenti alla cosiddetta "''mafia di provincia''" (cioè le cosche dell'entroterra palermitano), e si basava sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Marsala, il figlio del capoclan di [[Vicari]] ucciso dai Corleonesi nel [[1983]]<ref name=":0" />.
 
Il [[16 aprile]] [[1988]] si concluse il primo grado del maxi-bis con una condanna all'[[ergastolo]] (inflitto al ''boss'' di [[Caccamo]] Francesco Intile come mandante dell'omicidio del padre di Marsala) e tre condanne a trent'anni di reclusione e pene per complessivi 332 anni di carcere per gli altri quarantanove imputati mentre il collaboratore Marsala ebbe cinque anni e sei mesi<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/04/17/condannata-la-mafia-di-provincia.html|titolo=CONDANNATA LA ' MAFIA DI PROVINCIA' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=17 aprile 1988|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>. Il [[6 maggio]] [[1989]] la [[Corte d'assise d'appello]] di Palermo, presieduta da Pasqualino Barreca, annullò l'ergastolo per Intile, assolvendolo per [[insufficienza di prove]], e dimezzò le pene per tutti gli imputati<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/05/07/in-liberta-la-mafia-di-provincia.html|titolo=IN LIBERTA' LA MAFIA DI PROVINCIA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=7 maggio 1989|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>. Nel [[febbraio]] [[1990]] la sentenza d'appello venne confermata dalla prima sezione penale della [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]], presieduta da [[Corrado Carnevale]]<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/02/14/maxi-processo-arriva-la-sentenza-della.html|titolo=MAXI - PROCESSO ARRIVA LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=14 febbraio 1990|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>.
 
=== Maxiprocesso ''ter'' ===
Nel maggio [[1988]] iniziò presso la Corte d'assise di [[Palermo]], presieduta da Giuseppe Prinzivalli, il "Maxiprocesso ''ter''" che vedeva imputate 124 persone per associazione mafiosa, traffico di stupefacenti e sei omicidi avvenuti nei primi [[Anni 1980|anni '80]] durante la guerra di mafia e si basava principalmente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia [[Vincenzo Sinagra]]<ref name="ricerca.repubblica.it">{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/06/25/annullati-ergastoli-carnevale-non-cambia.html|titolo=ANNULLATI 4 ERGASTOLI CARNEVALE NON CAMBIA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=25 giugno 1992|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/01/26/contro-quei-mafiosi-falcone-non-aveva.html|titolo=' CONTRO QUEI MAFIOSI FALCONE NON AVEVA PROVE' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=26 gennaio 1990|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>. Ad agosto la Corte d'assise andò in trasferta negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] per sentire i collaboratori di giustizia [[Tommaso Buscetta]] e [[Salvatore Contorno]]<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/08/28/maxiprocesso-ter-giudici-negli-usa-per.html|titolo=MAXIPROCESSO - TER I GIUDICI NEGLI USA PER INTERROGARE 'DON MASINO' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=28 agosto 1988|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/09/13/il-pentito-contorno-riina-il-capo.html|titolo=IL PENTITO CONTORNO: 'È RIINA IL CAPO ATTUALE DI COSA NOSTRA' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=13 settembre 1988|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref> ma entrambi rifiutarono di rispondere alle domande della Corte<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/09/07/la-scena-muta-di-buscetta.html|titolo=LA SCENA MUTA DI BUSCETTA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=7 settembre 1988|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/07/21/il-super-pentito-non-vuol-piu-parlare.html|titolo=IL SUPER-PENTITO NON VUOL PIU' PARLARE - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=21 luglio 1988|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>; il mese successivo venne ascoltato nell'aula-bunker di [[Carcere di Rebibbia|Rebibbia]] anche il nuovo collaboratore [[Antonino Calderone]]<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/09/30/un-pentito-al-maxiter-io-continuero-parlare.html|titolo=UN PENTITO AL 'MAXITER' 'IO CONTINUERO' A PARLARE' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=30 settembre 1988|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>.
 
Il 15 aprile [[1989]] venne pronunciata la sentenza di primo grado, che assolveva [[Michele Greco]], [[Giuseppe Calò]], [[Salvatore Riina]], [[Bernardo Provenzano]], [[Francesco Madonia]], [[Pietro Vernengo]] e altri ''boss'' mafiosi dall'accusa di essere i mandanti dei sei omicidi oggetto del processo, disconoscendo quindi il cosiddetto "teorema Buscetta" (esistenza della Cupola e struttura unitaria di [[Cosa Nostra]]); vennero invece condannati all'ergastolo il ''boss'' [[Filippo Marchese]] (assente dal processo perché latitante ma in realtà già ucciso), [[Salvatore Montalto]], Salvatore Rotolo, Paolo Alfano, Vincenzo ed Antonino Sinagra, riconosciuti come unici responsabili degli omicidi in questione, mentre il collaboratore Vincenzo Sinagra (omonimo dell'altro condannato) ebbe ventidue anni di reclusione<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/04/16/michele-greco-innocente.html|titolo='MICHELE GRECO, INNOCENTE...' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=16 aprile 1989|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>. Nell'[[agosto]] [[1991]] la sentenza di primo grado venne confermata dalla Corte d'assise d'appello di [[Palermo]], presieduta da Francesco D'Antoni, che però annullò l'ergastolo per Antonino Sinagra, che venne assolto per non aver commesso il fatto<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/08/03/maxiprocesso-la-cupola-assolta.html|titolo=MAXIPROCESSO LA CUPOLA È ASSOLTA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=3 agosto 1991|lingua=it|accesso=28 gennaio 2021}}</ref>.
 
Il [[24 giugno]] [[1992]] la [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]], presieduta da [[Corrado Carnevale]], confermò le precedenti assoluzioni e dispose un nuovo processo d'appello per Paolo Alfano, [[Salvatore Montalto]], Salvatore Rotolo e Vincenzo Sinagra<ref name="ricerca.repubblica.it"/>.
 
=== Maxiprocesso ''quater'' ===
A causa dello smantellamento del pool dovuto alla nomina del nuovo consigliere istruttore [[Antonino Meli]], l'istruttoria del quarto troncone (denominato Maxiprocesso ''quater'') venne portata a termine solamente da [[Leonardo Guarnotta]], il quale, per concluderla, rimase l'unico [[giudice istruttore]] al Tribunale di [[Palermo]] dopo la riforma del [[Codice di procedura penale (Italia)|Codice di procedura penale nel 1988]]<ref>{{Cita web|url=http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2001/03/23/Cronaca/DELLUTRI-I-LEGALI-NESSUNA-INDAGINE-GIUDICE-ISTRUTTORE_144400.php|titolo=DELL'UTRI: I LEGALI, NESSUNA INDAGINE GIUDICE ISTRUTTORE|sito=www1.adnkronos.com|data=23 marzo 2001|accesso=27 febbraio 2022}}</ref>. Questo troncone si basava in gran parte sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia [[Antonino Calderone]]<ref name=":13" />, cui si aggiunsero in seguito quelle di [[Francesco Marino Mannoia]] e [[Gaspare Mutolo]]<ref name=":5">{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/03/01/un-altro-magistrato-lascia-palermo-giacomo-conte.html|titolo=UN ALTRO MAGISTRATO LASCIA PALERMO GIACOMO CONTE DAL POOL ANTICLAN A G - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=1º marzo 1991|lingua=it|accesso=27 febbraio 2022}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/01/19/cosa-nostra-voleva-uccidere-contrada.html|titolo=COSA NOSTRA VOLEVA UCCIDERE CONTRADA - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=19 gennaio 1996|lingua=it|accesso=27 febbraio 2022}}</ref>. Infine, il [[5 gennaio]] [[1995]] Guarnotta chiuse definitivamente l'indagine e rinviò a giudizio 184 imputati<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/05/23/voi-falsi-amici-di-giovanni.html|titolo=' VOI, FALSI AMICI DI GIOVANNI...' - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=23 maggio 1993|lingua=it|accesso=27 febbraio 2022}}</ref>. Il "Maxiprocesso ''quater''" si aprì quindi l'anno successivo presso la Corte d'assise di [[Palermo]], presieduta da Silvana Saguto, che nell'[[aprile]] dello stesso anno si recò anche in trasferta negli [[Stati Uniti d'America|Stati Uniti]] per sentire come testimone il ''boss'' [[Gaetano Badalamenti]]<ref>{{Cita web|url=https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/04/29/silenzi-di-tano-badalamenti.html|titolo=I SILENZI DI TANO BADALAMENTI - la Repubblica.it|sito=Archivio - la Repubblica.it|data=29 aprile 1996|lingua=it|accesso=27 febbraio 2022}}</ref>.
 
== Avvenimenti collegati ==
=== La fine del ''pool'' antimafia ===
Il ''pool'' antimafia organizzato da [[Antonino Caponnetto]] non ebbe vita lunga. Alla fine del [[1987]], una volta concluso il primo grado del maxiprocesso, Caponnetto, ritenendo sostanzialmente concluso il suo compito, decise di tornare nella sua [[Firenze]], lasciando quindi il posto di consigliere istruttore presso il tribunale di [[Palermo]]. Falcone avanzò la propria candidatura a sostituirlo e molti ritenevano che tale successione fosse nell'ordine delle cose, tuttavia un anziano magistrato, [[Antonino Meli]], che inizialmente intendeva candidarsi come presidente del tribunale di [[Palermo]], venne convinto da alcuni colleghi a ritirare tale candidatura e correre invece per la poltrona (assai meno prestigiosa) di presidente dell'ufficio istruzione. Meli era un magistrato di lunga esperienza, che tuttavia non si era mai occupato di mafia, se non in una singola occasione, ma che aveva un'anzianità di servizio assai superiore a quella di Falcone, e il criterio dell'anzianità era quello di solito seguito dal [[Consiglio superiore della magistratura]] per l'assegnazione dei posti.<ref name=Bolzo>Bolzoni e Santolini, pp. 134-137.</ref><ref name=Ayapau161>Ayala 2008, pp. 161-165.</ref>
 
[[File:Giovanni Falcone tree2.jpg|thumb|Albero commemorativo di Giovanni Falcone, davanti alla sua abitazione di [[Via Notarbartolo]], a [[Palermo]]]]
 
Falcone aveva all'interno del [[Consiglio superiore della magistratura|CSM]] numerosi ammiratori ma anche un gran numero di detrattori, sicché la maggioranza dei consiglieri votò per Meli: la sua maggiore anzianità di servizio era stata preferita all'esperienza nella lotta alla mafia di Falcone. Il nuovo consigliere istruttore decise di cancellare il metodo fino ad allora seguito nell'ufficio, smettendo quindi di considerare [[Cosa nostra]] come un unico fenomeno e trattando quindi i crimini di mafia come una semplice serie di delitti scollegati tra loro. Questo portò, in breve tempo, alla fine dell'esperienza del ''pool'', poiché buona parte dei suoi componenti preferì dimettersi e dedicarsi ad altri incarichi.<ref name=Bolzo /><ref name=Ayapau161 /><ref>Maria Falcone, p. 113.</ref>
 
=== Gli attentati del 1992 e del 1993 ===
{{Vedi anche|Bombe del 1992-1993|Trattativa Stato-mafia}}
Concluso il maxiprocesso, [[Cosa nostra]] sentì impellente la necessità di contrattaccare: tra il [[1992]] e il [[1993]] vennero organizzati e portati a compimento una serie di attentati, le cui vittime più note furono i giudici istruttori del maxiprocesso Falcone e Borsellino, nonché l'eurodeputato [[Salvo Lima]] (quest'ultimo, legato a esponenti mafiosi, per non essere riuscito a far modificare in [[Corte suprema di cassazione|Cassazione]] la sentenza del maxiprocesso).<ref name=statomafia /><ref>[http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=1004477 Archivio - lastampa.it] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20131019110307/http://archivio.lastampa.it/LaStampaArchivio/main/History/tmpl_viewObj.jsp?objid=1004477|data=19 ottobre 2013}}</ref>
 
== Il maxiprocesso di Palermo nella cultura di massa ==
* Il maxiprocesso è stato ricostruito nel documentario [[Rai]] ''[[Maxi - Il grande processo alla mafia]]'' in sei episodi più un extra.<ref>{{Cita web|url=https://www.raiplay.it/programmi/maxi-ilgrandeprocessoallamafia/|titolo=Maxi - Il grande processo alla mafia|sito=RaiPlay|editore=Rai|data=15 ottobre 2018|accesso=29 marzo 2019|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20190329224844/https://www.raiplay.it/programmi/maxi-ilgrandeprocessoallamafia/|dataarchivio=29 marzo 2019|urlmorto=no}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://www.rai.it/ufficiostampa/articoli/2019/03/Maxi-Il-grande-processo-alla-mafia--b1bfe7ba-30c3-4898-9daa-4fdfd4165a22.html|titolo=Maxi. Il grande processo alla mafia. L'astronave verde|sito=Rai Ufficio Stampa|editore=Rai|data=29 marzo 2019|accesso=29 marzo 2019|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20190329220359/https://www.rai.it/ufficiostampa/articoli/2019/03/Maxi-Il-grande-processo-alla-mafia--b1bfe7ba-30c3-4898-9daa-4fdfd4165a22.html|dataarchivio=29 marzo 2019|urlmorto=no}}</ref>
* Ampi spezzoni del primo grado del maxiprocesso sono stati messi in scena nel film ''[[Il traditore (film 2019)|Il traditore]]'' ([[2019]]), regia di [[Marco Bellocchio]], incentrato sulla vita di [[Tommaso Buscetta]]; le scene del maxiprocesso sono state girate proprio nella vera aula bunker dell'[[Ucciardone]].<ref>{{Cita web|url=https://www.repubblica.it/dossier/spettacoli/cannes-2019/2019/05/09/news/_il_traditore_marco_bellocchio_pierfrancesco_favino-225770969/|titolo='Il traditore', Marco Bellocchio e Pierfrancesco Favino raccontano il loro Buscetta - La Repubblica|sito=Repubblica.it|data=9 maggio 2019|lingua=it|accesso=}}</ref>
* Il primo grado del Maxiprocesso è stato ripercorso nel docu-drama ''[[Io, una giudice popolare al Maxiprocesso]]'' ([[2020]]) diretto da [[Francesco Miccichè (regista)|Francesco Miccichè]].
 
== Note ==
=== Note al testo ===
<references group="Nota al testo"/>
 
=== Note bibliografiche ===
{{Note strette}}
 
== Bibliografia ==
* [[Giuseppe Ayala]] e [[Felice Cavallaro]], ''La guerra dei giusti'', Mondadori, 1993, ISBN 978-88-04-34961-7.
* Giuseppe Ayala, ''Chi ha paura muore ogni giorno'', Mondadori, 2008, ISBN 978-88-04-59093-4.
* Giuseppe Ayala, ''Troppe coincidenze'', Mondadori, 2012, ISBN 978-88-04-61363-3.
* [[Attilio Bolzoni]], ''FAQ Mafia'', Bompiani, 2010, ISBN 978-88-452-6491-7.
* Attilio Bolzoni e Giuseppe D'Avanzo, ''La giustizia è cosa nostra'', Mondadori, 1995, ISBN 88-04-38547-2.
* Attilio Bolzoni e Paolo Santolini, ''Uomini soli'', Melampo Editore&nbsp;– La Repubblica, 2012.
* Giovanni Falcone, in collaborazione con [[Marcelle Padovani]], ''[[Cose di Cosa Nostra (saggio)|Cose di Cosa Nostra]]'', Rizzoli, 1991, ISBN 978-88-17-84145-0.
* [[Alexander Stille]], ''Excellent Cadavers: The Mafia and the Death of the First Italian Republic,'' Vintage, London, [[1995]]. Ediz. italiana: ''Nella terra degli infedeli. Mafia e politica nella Prima Repubblica,'' traduzione di Paola Mazzarelli, Milano, Mondadori, 1995. ISBN 88-04-38802-1; Milano, [[Garzanti]], 2007. ISBN 978-88-11-74061-2.
* Maria Falcone e [[Francesca Barra]], ''Giovanni Falcone un eroe solo'', Rizzoli, 2012, ISBN 978-88-17-05617-5.
* Alfonso Giordano, ''Il maxiprocesso venticinque anni dopo - Memoriale del presidente'', Bonanno Editore, 2011, ISBN 978-88-7796-845-6.
* [[Saverio Lodato]], ''La mafia ha vinto. Intervista con Tommaso Buscetta'', Mondadori, 1999, ISBN 978-88-04-57004-2.
* [[Salvatore Lupo]], ''Storia della mafia'', Donzelli, 1997, ISBN 978-88-7989-321-3.
* ''La mafia – 150 anni di storia e storie'' (CD Rom), la Repubblica, 1998.
 
=== Articoli giornalistici ===
* {{cita news|autore=Leonardo Sciascia|url=http://www.archivioantimafia.org/sciascia.php|titolo=I professionisti dell'antimafia|pubblicazione=[[Corriere della Sera]]|data=10 gennaio 1987|accesso=29 marzo 2019}}
 
== Voci correlate ==
{{Div col|2}}
* [[Mani pulite]]
* [[Antonino Caponnetto]]
* L'omicidio di [[Carlo Alberto Dalla Chiesa]], ordinato da Salvatore Riina
* [[Bombe del 1992-1993]]
* [[Corrado Carnevale]]
* [[Giovanni Falcone]]
* [[Giuseppe Ayala]]
* [[Leonardo Vitale]]
* [[Leonardo Messina]]
* [[Mafia]]
* [[Paolo Borsellino]]
* [[Pool (magistratura italiana)]]
* [[Rocco Chinnici]]
* [[Seconda guerra di mafia]]
* [[Stefano Bontate]]
* [[Strage di Capaci]]
* [[Strage di via D'Amelio]]
* [[Tommaso Buscetta]]
* [[Totò Riina]]
 
=== Altri maxiprocessi contro le mafie ===
==Bibliografia==
*{{en}} ''Excellent Cadavers'' (1995) [[Alexander Stille]], Vintage ISBN 0-09-959491-9
*{{en}} ''The Antimafia'' (2000) Alison Jamieson, MacMillan Press Ltd ISBN 0-312-22911-9
*{{en}} ''Cosa Nostra'' (2004) John Dickie, Coronet, ISBN 0-340-82435-2
 
* [[Maxiprocesso di Messina]]
* [[Maxiprocesso alla Nuova Camorra Organizzata]]
* [[Processo Rinascita-Scott]]
{{Div col end}}
 
== Altri progetti ==
{{interprogetto}}
 
== Collegamenti esterni ==
*[http {{cita web|url=https://itwww.youtube.com/watch?v=vEVXwzF2BCc&feature4tTQyOei8iU|titolo=user Documentario] sul maxiprocesso di Palermo.|accesso=5 maggio 2019}}
 
{{Cosa Nostra}}
{{Portale|diritto|}}
 
{{Antimafia in Italia}}
[[Categoria:Cosa Nostra]]
{{Portale|diritto|Italia|Sicilia|storia d'Italia}}
[[Categoria:Processi celebri]]
 
[[Categoria:Processi per mafia|Palermo]]
[[en:Maxi Trial]]
[[Categoria:Storia di Cosa nostra]]
[[Categoria:Storia di Palermo]]
[[Categoria:Eventi degli anni 1980]]