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==== La chiusura dei conventi. L'impoverimento e il degrado del quartiere ====
Dopo la caduta della Serenissima nel 1797 e le campagne napoleoniche che ebbero ripercussioni negative sulla città e sul territorio,
 
==== Le istituzioni assistenziali ====
* San Rocco
* Checozzi
* Istituto Novello
 
==== Le istituzioni sannitarie ====
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==== La nascita di Istituti assistenziali e religiosi ====
{{vedi anche|Storia delle istituzioni assistenziali di Vicenza#Dagli inizi dell'Ottocento alla fine della prima guerra mondiale}}
 
* San Rocco
* Checozzi
* Istituto Novello
* Fondazione Cordellina (profughi giuliani)
 
Un mutamento di conformazione del quartiere fu dato anche dal concentrarsi in esso di istituzioni cittadine di assistenza che, sommate a quelle religiose, lo rendevano non più la residenza di classi laboriose seppur poco abbienti, quanto piuttosto un luogo deputato alla raccolta e al controllo di quote instabili ed emarginate di popolazione povera<ref>{{cita|Franzina, 2003|pp. 55, 77-78}}</ref>.
 
; L'Istituto Ottavio Trento
[[File:Chiesa di San Pietro (Vicenza)-8.jpg|thumb|Chiostro del [[Chiesa e monastero di San Pietro|monastero di San Pietro]], dall'Ottocento sede dell'Istituto Trento]]
Nel 1810 il nobile vicentino [[Ottavio Trento]]<ref>Sebastiano Rumor, ''Il conte Ottavio Trento. Ricordi e documenti nel primo centenario della sua morte'', Vicenza, 1912</ref> donò al Comune di Vicenza una somma cospicua per l'istituzione di una "Casa di lavoro volontario e semiforzato", al fine di dare una risposta allo stato di grave disagio in cui si trovavano i numerosi operai e artigiani rimasti sul lastrico con le loro famiglie in quegli anni di crisi economica; a questa donazione egli aggiunse poi nel suo testamento un ulteriore sostanzioso legato. Per realizzare l'opera, il Comune individuò il complesso dell'ex-monastero di San Pietro; i lavori di restauro cominciarono solo dopo la morte del donatore per concludersi nel 1814.
 
L'Istituto accolse dapprima ospiti anziani e bisognosi di assistenza, specialmente durante la stagione invernale; cinque anni più tardi iniziò ad accogliere anche i figli degli operai disoccupati, creando una sezione separata destinata all'istruzione professionale, per addestrare i ragazzi ad un lavoro artigianale; nel 1881 questa sezione fu spostata nell'Orfanotrofio maschile da poco istituito nel vicino ex-convento di San Domenico. Così l'Istituto Ottavio Trento - indicato dapprima come "Casa d'Industria e Lavoro a sollievo della mendicità", e quindi come "Casa di riposo per persone invalide o anziane prive di mezzi propri" - si specializzò sempre più nel ricovero di anziani poveri, attrezzandosi con strutture e personale adeguati all'evoluzione dei tempi<ref>{{cita|Reato, 2004|pp. 71-72}}</ref>.
 
; L'Istituto Salvi
Il conte [[Gerolamo Salvi]] che, come il Trento non aveva eredi, volle destinare quasi tutto l'ingente patrimonio familiare a sostegno delle persone più deboli e spesso abbandonate sul lastrico a mendicare; così con il testamento del 1873 costituì suo erede universale il Comune di Vicenza perché fondasse un asilo per i poveri, gli anziani e quanti soffrivano di menomazioni fisiche e mentali. Queste disposizioni furono realizzate con l'apertura dell'Asilo di mendicità negli ambienti dell'ex-convento di San Giuliano, opportunamente restaurati e attrezzati nel 1886.
 
; Il dormitorio pubblico
Dopo diversi passaggi di proprietà, nel 1888 [[palazzo Regaù]] divenne un [[dormitorio]] pubblico, lasciato all'incuria e al degrado, caratteristiche che lo contraddistinsero fino a tempi recenti, quando un accurato restauro lo restituì agli antichi splendori.
 
; L'Orfanotrofio di San Domenico
L'eccessivo affollamento dell'Orfanotrofio della Misericordia, verso la metà del secolo, rese necessaria una nuova sede per la sezione maschile, che fu trasferita nel 1861 in contrà San Domenico, dapprima nell'ex-convento delle cappuccine sotto la direzione dei [[Pavoniani|padri pavoniani]] e poi, risultando insufficiente e inadeguata anche questa sede, quattro anni più tardi nell'attiguo ex-convento delle domenicane. Qui furono allestiti alcuni laboratori per l'istruzione professionale e aule scolastiche per gli ospiti che - a norma di statuto - dovevano essere ragazzi e giovani "orfani o in stato di abbandono, i quali non possano essere convenientemente aiutati in seno alle loro famiglie" ed erano accolti a convitto o a semiconvitto; alla direzione dell'istituto furono chiamati sacerdoti diocesani.
 
; L'Istituto Farina
[[File:Istituto Farina-2.jpg|thumb|left|Istituto Farina delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori]]
Questa istituzione sorse nel 1836 per iniziativa del sacerdote e professore del [[Seminario vescovile di Vicenza]] - divenuto in seguito vescovo di [[Treviso]] e quindi di Vicenza - [[Giovanni Antonio Farina]], che nei primi dieci anni di sacerdozio prestava anche servizio come cappellano a San Pietro. In questa parrocchia, costituita per gran parte da famiglie operaie, nel 1827 era stata portata da don [[Luca Passi]] l'''Opera di Santa Dorotea'' e, nel febbraio dell'anno seguente, era stata istituita la ''Pia scuola di carità per le fanciulle povere''. Don Antonio Farina fin dagli inizi si prese a cuore l'Opera e nel 1831 la innestò nell'altra della Pia scuola che minacciava di estinguersi; fino al 1836 le maestre furono persone secolari non vincolate da voti, ma in quell'anno - sia per la difficoltà di trovare educatrici idonee e disponibili a tempo pieno, che per dare maggiore stabilità all'istituzione - il Farina favorì la costituzione di un gruppo di nuove maestre, che vivevano in comune e alle quali diede una regola<ref>Questa fu l'origine delle [[Suore Maestre di Santa Dorotea, figlie dei Sacri Cuori]], {{cita|Mantese, 1954/2|pp. 123-25}}</ref>.
 
In accordo con il vescovo [[Giovanni Giuseppe Cappellari|Cappellari]] e con le autorità civili, egli aprì la prima casa in contrà San Domenico e, grazie all'appoggio di alcuni benefattori, poté accogliervi le prime ospiti alle quali offrì, in un tempo in cui il ruolo della donna era spesso oggetto di emarginazione e di segregazione, un'educazione umanistica e morale, integrata dalla formazione professionale necessaria a un dignitoso inserimento nella società. Nel 1840 vi furono accolte, e seguite con appropriate tecniche didattiche, anche bambine cieche e sordomute<ref>Giovanni Antonio Farina, Felice De Maria, (a cura di Albarosa Ines Bassani), ''Memorie storiche sulla istituzione della Casa d'educazione in parrocchia di S. Pietro di Vicenza per le fanciulle povere ed abbandonate dai propri genitori'', Vicenza, 2011</ref><ref>L'"Effetà", l'opera di educazione delle sordomute iniziata dal Farina, fu spostato nel 1969 nella sede di [[Marola (Torri di Quartesolo)|Marola]]</ref>.
 
; L'Asilo per l'Infanzia
Il primo Asilo di Carità per l'Infanzia fu promosso da don [[Giuseppe Fogazzaro]], sacerdote, patriota e professore nel [[Seminario vescovile di Vicenza|Seminario vescovile]], il quale istituì un'apposita commissione direttiva che nel 1839 annunciò il progetto della fondazione del primo Asilo per l'Infanzia, modellato sull'esempio di altre città, sulla falsariga pedagogica e didattica del maestro [[Ferrante Aporti]] di [[Cremona]]. L'iniziativa mirava ad offrire all'infanzia un'adeguata assistenza ed educazione morale ed intellettuale, insieme con il sollievo e l'aiuto alle rispettive famiglie.
 
Nel luglio 1839 fu inaugurato in alcuni locali in piazza dell'Isola il primo Asilo per l'Infanzia con una quarantina di bambini provenienti dalle famiglie più povere della città, molte delle quali del quartiere oltre Bacchiglione. Il loro numero si accrebbe rapidamente, tanto che si rese necessaria per le fanciulle la collaborazione delle [[Suore maestre di Santa Dorotea, figlie dei Sacri Cuori|suore dorotee]].
 
; L'Oratorio femminile in contrà Santa Lucia
L'istituzione degli oratori parrocchiali a Vicenza è collegata al clima politico e sociale degli anni successivi all'unificazione nazionale, nell'ambito del movimento cattolico preoccupato di proteggere e sostenere i valori e le tradizioni religiose in una società di ispirazione liberale e talora anche massonica. In varie parrocchie nacquero così gli "oratori" dove, accanto all'insegnamento religioso e morale, si offrivano ai giovani occasioni di letture, giochi, gite, esibizioni teatrali, filodrammatiche, corali e strumentali, attività sportive. Venivano anche organizzati doposcuola per i più piccoli, corsi di addestramento professionale per le ragazze (le "scuole di lavoro") e per i giovani apprendisti<ref>{{cita|Reato, 2004|pp. 96-97}}</ref>. A Vicenza il primo di questi fu l'oratorio femminile gestito dalle Suore delle Poverelle in contrà Santa Lucia.
 
==== Il XX maggio 1848 a Porta Santa Lucia ====
[[File:Lapide 1848 Porta S. Lucia-1.jpg|thumb|left|Lapide sotto la Porta S. Lucia che celebra la resistenza del 1848]]
 
Quando nel 1848 in tutta Europa scoppiò una serie di moti rivoluzionari, l'esercito asburgico dovette ritirarsi nelle [[Fortezze del Quadrilatero]]; anche Vicenza fu sgombrata il 24 marzo e immediatamente si costituì un governo provvisorio. Il 20 maggio, però, la controffensiva austriaca guidata dal generale [[Nugent]] si portò sotto le mura di Vicenza tra porta Santa Lucia e Borgo Casale con 16.000 uomini che furono lanciati all'assalto, coperti dal bombardamento di sei cannoni; venne però sanguinosamente respinta dalla resistenza dei volontari vicentini coadiuvati dalle truppe regolari pontificie<ref>[http://www.cardinibruno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3:il-1848-vicenza&catid=1:tutto&Itemid=8 Bruno Cardini, ''Il 1848 a Vicenza'']</ref>.
 
Lo scrittore borghigiano Vittorio Meneghello narra che i popolani di Santa Lucia, artigiani e lavoratori, affiancarono sulle barricate i volontari e i soldati da Borgo Scroffa a Porta Padova. Anche il popolo minuto quindi si ribellò, accompagnando esponenti delle classi alte come il conte Camillo Franco "che aveva preteso che i suoi due figli si iscrivessero alla Guardia Civica" e come il canonico Luigi Maria Fabris, il protettore dei ''berechini''. [[Jacopo Cabianca]] scrisse che l'impegno della battaglia aveva richiamato alle armi persino i vecchi e le donne: "e le borghigiane di Santa Lucia non gareggiavano solo nell'assistere i feriti, ma anche nel preparare e porgere le munizioni ai combattenti, dietro lo schermo non invulnerabile delle barricate"<ref>{{cita|Franzina, 2003|pp. 56-58}}</ref>.
 
==== La rivitalizzazione del quartiere a fine Ottocento ====
Dopo la disastrosa alluvione del 1882 l'amministrazione comunale iniziò alcuni lavori: la riparazione dei selciati, l'abbattimento delle case vicine al ponte degli Angeli, opera che mise in risalto ''la stradela dei Toreti, che per quanto campestre, arborata e vitata, fa bela mostra dei so poco guereschi torrioni'', così come il risanamento di alcuni angoli soprattutto nella zona di San Pietro. Nel 1890, su iniziativa del titolare della tranvia cittadina, fu portata oltre il Bacchiglione la luce elettrica per l'illuminazione pubblica. Quest'azione di rifacimento ebbe anche il risvolto negativo della rivalutazione economica delle abitazioni del quartiere, il che portò ad un consistente aumento del costo degli affitti, aumentando quindi anche l'indigenza e il disagio della popolazione di queste zone già povere<ref>Questo traspariva dai dati dei morti per pellagra in città, dove il primato spettava appunto alle contrade di questo quartiere,{{cita|Franzina, 2003|pp. 90-92}}</ref>.
 
Negli ultimi due decenni del secolo i ''mestieri'' gestiti da singole persone - tipico della zona era quello delle ''lavandare'', linguacciute lavoratrici che dalle contrade scendevano alla Corte dei Roda - e da famiglie passarono sempre più alla condizione di mestieri operai e questo favorì l'aggregazione della popolazione. A [[palazzo Angaran]] avevano sede a fine secolo tre società operaie: la "Fratellanza", quella dei Falegnami e quella dei Macellai. Altro associazionismo qui presente era anche quello della Società Anticlericale e della Loggia Massonica intitolata a "[[Lelio Sozzini|Lelio Socino]]".
 
A fine Ottocento al di là del fiume vi era quindi il quartiere più popoloso e proletario, una sacca di contenimento delle povertà urbane e della vecchiaia impotente, un'area solcata da tensioni e da fermenti d'ordine sociale e culturale, ma anche uno spazio di associazionismo operaio, artigiano, politicamente filorisorgimentale e progressista.
 
In quel periodo erano già frequenti i momenti di ritrovo ludico comunitario in osteria, dove si incrementavano i processi di socializzazione politica e culturale del popolo minuto, caratterizzati da giochi, canti ma anche da litigi, spesso con i contadini del circondario che la domenica sera venivano a queste feste dalla campagna; importanti le trattorie di Benetto (che poteva accogliere oltre 300 persone) e "della Luna" di Soave, entrambe appena al di là della Porta Padova. Ogni tanto, nel corso dell'anno, vi erano banchetti sociali e appuntamenti politicamente significativi<ref>{{cita|Franzina, 2003|pp. 124-26}}</ref>.
 
==== La polemica sulla denominazione delle contrade ====
[[File:Piazzo XX Settembre-3.jpg|thumb|left|La colonna dell'Angelo in piazza XX Settembre]]
Nel 1895 la conquista della maggioranza nel consiglio comunale di Vicenza da parte dei cattolici, alleati con i moderati, determinò un consistente rinnovamento a livello della politica municipale, imprimendo un'importante accelerazione al processo di formazione del quartiere d'oltre Bacchiglione secondo le sue connotazioni più moderne<ref>{{cita|Franzina, 2003|p. 110}}</ref>.
 
Non era però conclusa, anzi era sempre più accesa, la polemica tra i fautori della monarchia sabauda e quelli del papa, da 25 anni ormai confinato nei palazzi vaticani.
 
Nell'ottobre 1895 un'istanza firmata da 395 cittadini fu presentata all'Amministrazione comunale per ottenere che alla piazza degli Angeli e alla contrà della Fontana Coperta venissero dati rispettivamente i nomi di piazza e di contrà XX Settembre, a ricordo della data della breccia di Porta Pia a Roma, avvenuta nel 1870. La Giunta del tempo, presieduta dal conte Antonio Porto, aveva fatta sua la richiesta e iscritta la relativa proposta all'ordine del giorno per l'approvazione del Consiglio comunale, quando pochi giorni prima dell'adunanza un'altra petizione firmata da 757 elettori pervenne al Comune perché fosse conservato alla via l'antico nome di Fontana Coperta e alla piazza degli Angeli venisse dato quello di piazza XX Maggio, a ricordo della giornata che aveva visto uno degli episodi della memorabile difesa del 1848.
 
Animata e non senza vivaci spunti polemici fu la discussione che si svolse in seno al Consiglio sulle due istanze, desiderosi gli uni che venisse rispettata l'antica denominazione e che il nuovo nome non servisse ad aumentare la discordia fra i cittadini, battendosi gli altri per l'accoglimento della petizione che includeva un concetto accentuatamente politico. Vi fu anche chi tentò di far accettare una soluzione di compromesso, mediante la quale, confermato il vecchio nome di Fontana Coperta, si sostituissero quelli di piazza degli Angeli con piazza XX Settembre e di contrà Santa Lucia con via XX Maggio; ma nemmeno questa proposta venne accettata.
 
Soltanto due anni più tardi la proposta di intitolare con il nome di XX Settembre la contrà della Fontana Coperta poté essere ripresentata dalla nuova Amministrazione Comunale, essendo sindaco Eleonoro Pasini<ref>Figlio di Valentino Pasini, che nel 1877 aveva donato al Museo di Vicenza le importanti raccolte geologiche, collezionate dallo zio Lodovico nella sua casa di Schio, {{cita|Giarolli, 1955|pp. 327-28}}</ref>, e a maggioranza approvata nella seduta dell'11 marzo 1898: il Consiglio volle anzi in un certo senso prendersi una rivincita per il ritardo subito, così chè non solo alla contrà della Fontana Coperta, ma anche alla piazza degli Angeli fu imposto il nome di XX Settembre<ref>{{cita|Giarolli, 1955|pp. 529-32}}</ref>.
 
==== La "Repubblica di Trastevere" e la ''"Republica de San Zuliàn"'' ====
In quegli anni si volle anche affermare l'analogia del quartiere di San Pietro con quello di Trastevere a Roma: si trovava al di là del Bacchiglione come il quartiere romano era al di là del Tevere, come quello veniva spesso alluvionato dal fiume, era caratterizzato da una popolazione quasi a sé stante, popolani di nota tenacia, fierezza e genuinità. Un'ulteriore affinità era data dal ricordo della [[Repubblica Romana (1849)|Repubblica Romana del 1849]], quando nel quartiere di Trastevere i popolani avevano appoggiato Mazzini, Garibaldi e infine i francesi ed erano stati dichiarati "veri amici della libertà"<ref>In un comunicato del generale Oudinot</ref>.
 
Proprio per sottolineare queste affinità il nome di "Repubblica di Trastevere" fu attribuito al quartiere popolare di Vicenza nel 1891 dai padri fondatori Cevese e Colain, che erano stati i promotori della nuova toponomastica del borgo. Questo episodio causò accesi dibattiti e appassionate proteste da parte di alcuni borghigiani e delle “''lavandare''”, solite a pulir panni sotto il Ponte degli Angeli, che si opponevano al mutamento. Nonostante le polemiche, la mozione dei “repubblicani” fu approvata e venne indetto il giorno dell’inaugurazione della colonna di Vittorio Cevese in piazza XX Settembre, il 25 ottobre 1891.
 
Sapientemente organizzata dai comitati promotori, l’iniziativa divenne una festa memorabile e si protrasse fino all’alba, con accompagnamento di fanfare e fuochi d’artificio.
 
Intento a rimuginare sugli ambienti di Roma città eterna, Antonio Colain così formulava le sue riflessioni: ''"… Il Trasteverino coi suoi costumi! Col suo fiume glorioso … quante memorie ha anche questo fiume! Ed anche il nostro Bacchiglione gli ha i suoi fasti, peccato non abbia più il suo arco romano; ma così abbiamo il Tevere senza le piene. Mi piace dargli questo nome, chi sa che forse i nostri trasteverini non diventino famosi … qui intanto si lavora, si rinnovano le vie, si danno spettacoli e si fanno delle beneficenze, forse ..."''<ref>Da ''Biografia di un Quartiere'' di Emilio Franzina</ref>.
 
==== La demolizione delle mura e l'apertura della città ====
I primi decenni del Novecento furono caratterizzati dallo sviluppo della città e dal notevole aumento del traffico, il che rese necessario lo smantellamento di una parte delle mura e portò all'allargamento del quartiere.
Nel 1910 fu demolita la Porta delle Torricelle, o Porta Padova<ref>Il rudere di un muro, a destra, ne segna ancora oggi l'ubicazione, {{cita|Giarolli, 1955|pp. 365-69}}</ref>. Così anche la zona di Borgo Padova, o di ''San Zuliàn'', che si trovava al di là della porta ma da sempre era collegata all'area interna, divenne parte integrante del quartiere.
 
Non era però sufficiente: alla vigilia del primo conflitto mondiale la città appariva ancora chiusa nella sua cerchia di mura. Nel primo dopoguerra ''la "forma urbis" fu inesorabilmente travolta dallo sviluppo edilizio contemporaneo, per sua natura insofferente di limitazioni e allargantesi, all'opposto, in massa informe e continua, negatrice di ogni attrazione e vincolo di forza centripeta''<ref>{{cita|Barbieri, 2011|p. 23}}</ref>.
 
Con l'abbattimento delle mura scaligere, nel 1927 venne aperta l'antica Porta di [[Lisiera]], costruendo il tratto esterno di via IV novembre che si collegava così a Borgo Scroffa. Nel 1932 fu aperta la porta delle Roblandine, permettendo il passaggio da contrà San Domenico a via Legione Gallieno<ref>{{cita|Giarolli, 1955|pp. 382-409}}</ref>.
 
Per esigenze urbanistiche, all'inizio degli anni cinquanta avvenne anche lo sfondamento del muro che aveva rinchiuso Porta Casale e quindi contrà San Pietro, così da consentirne l'immissione in viale Margherita; nel corso del decennio un ampio tratto di via Ceccarini e quasi tutta via Legione Gallieno furono costruite o ampliate colmando l'antico fossato che contornava le mura.
 
Abitazioni costruite utilizzando le mura scaligere di Borgo San Pietro:
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Mura scaligere est case 01.jpg
Mura scaligere est case 04.jpg
Mura scaligere est case 05.jpg
Mura scaligere est case 06.jpg
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== Il quartiere attuale ==