Nicolò Rusca: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Biobot (discussione | contributi)
m Biobot fix par temp
Riga 66:
Durante il [[XVI secolo]] la parrocchia di Sondrio aveva visto succedersi alla sua guida arcipreti di contrapposte qualità: se alcuni si erano occupati ben poco della cura pastorale, non erano mancate neanche figure significative, quali i Pusterla, zio e nipote, che si erano prodigati per la comunità affidata alle loro cure. La situazione tuttavia "precipitò" nuovamente nel [[1588]] con l'arrivo di un certo Francesco Cattaneo (che sarebbe stato il predecessore del Rusca), del quale neppure si sapeva «se fosse prete o frate, ecclesiastico o laico».<ref>{{Cita|Paravicini 1969|pp. 253-254|Paravicini}}</ref>
 
D'altro canto, proprio a Sondrio aveva sede la più numerosa [[Chiesa cristiana|chiesa]] di cristiani riformati, con diverse comunità tra le quali quella del borgo (con circa 250 membri di Chiesa), quelle di alcune frazioni montane, e la comunità della Valmalenco, a quel tempo ancora parte del comune e della parrocchia di Sondrio. Ai riformati erano state assegnate, a norma dei decreti del 1557, la chiesa dei Santi [[Nabore]] e [[Felice (martire)|Felice]] in Sondrio e quella di [[San Bartolomeo]] nella frazione di Mossini, oltre all'uso in comune con i cattolici delle chiese parrocchiali di [[Lanzada]] e di [[Chiesa in Valmalenco]], sino a quando, in questi due centri montani, essi non riuscirono a costruire dei templi propri, rispettivamente nel [[1578]] e nel [[1608]].
La situazione locale era dunque assai delicata, e si sarebbe ulteriormente acuita con il complicarsi del quadro politico all'inizio del nuovo secolo. Un momento di forte tensione si creò in seguito al progetto dello Stato retico di aprire una scuola umanistica pluriconfessionale (almeno nelle intenzioni dichiarate dalle autorità pubbliche) proprio a Sondrio. L'iniziativa, che pure veniva presentata come di carattere puramente culturale, era comunque organizzata soltanto da ambienti riformati. La netta opposizione all'attuazione concreta di questo progetto da parte dell'arciprete Giovanni Giacomo Pusterla, aveva già provocato, nel [[1584]], una sollevazione popolare ed era costata al Pusterla alcuni mesi di carcere e la tortura; egli peraltro sfuggì ad una possibile condanna a morte per tradimento, rifugiandosi presso Carlo Borromeo, di cui era da tempo fidato collaboratore.